mercoledì 23 dicembre 2009

Spalti inaccessibili. E Bari ghiacciato

Si lamenta ancora, il Bari. A distanza di giorni. Legittamamente, magari: perché a Genova avrebbe voluto giocare, domenica. E misurarsi con un’altra realtà del torneo. Un po’ amaccata, ultimamente: da indisposizioni certificate e dalla delusione della mancata qualificazione al successivo turno di Europe League. E, per questo, avversario ancora più appetibile. Piovuto sul cammino di una squadra oltre tutto fortificata dalle ultime prestazioni di pregio. Ma tant’è: il ghiaccio e la neve non aiutano il calcio. E neppure la gente che, dal calcio, si sta allontanando. Perché, ricordiamocelo, il pallone è (dovrebbe) essere spettacolo per la gente. Che necessita di palcoscenici praticabili. E che non merita di attirare inutili polemiche quando cerca di ripararsi dalle avversità (metereologiche, in questo caso). Dispiace, per il Bari. Ma la soluzione è quella giusta: concettualmente. Quella che avremmo invocato a situazione invertita (calcio d’avvio con campo ghiacciato o spalti inaccessibili). E quella che avrebbe invocato pure Ventura, con opposte esigenze. Anche se il dubbio della furbata genoana, onestamente, resta. Ma, talvolta, gli elementi si combinano. E il calcio, anzi, si diverte a combinarli. Puntualmente.

martedì 22 dicembre 2009

Porta, operazione fiducia

Certe trasferte (le ultime tre, giusto per essere precisi) avevano rinfrancato, diciamo così. Fruttando altrettanti punti (zero a zero, in ciascun caso) e la speranza di aver quadrato l’assetto difensivo lontano dallo Zaccheria. In attesa di regolare anche l’espressione collettiva nella gare da disputare con il conforto del pubblico amico, sempre abbastanza deluso e sostanzialmente ancora troppo distante. Emotivamente, ma non solo. Ma la realtà è diversa. E anche discretamente cattiva. Così, nell’ultimo turno dell’anno, il Foggia si piega di fronte al Verona, sulle zolle di casa. Niente di inimmaginabile: perché la classifica non mente. Perché la capolista recupera la strada giusta e torna a fare il Verona: una formazione ancora immacolata, fuori dai propri confini (nessun gol subito, in dieci prestazioni). Perché la squadra di Porta e Pecchia torna ad essere il Foggia: un po’ ammaccato, un po’ svagato, decisamente permeabile, tatticamente allungato e anche un po’ disorientato dalle assenze di peso. E perché è sempre difficile nutrirsi di progressi saltuari, ma soprattutto modesti: insufficienti a garantirsi continuità e tranquillità. Prego, attendere. E, dunque, ricominciare dai gradini più bassi. Alla sosta, Mancino e compagni ci arrivano in penultima posizione, pur se con la prospettiva di recuperare il punto di penalizzazione (potrebbe accadere). Non è molta roba: soprattutto se non dovessero arrivare novità salienti dalla riapertura della campagna di trasferimento (difficile, con l’attuale stagnazione societaria). E, allora, non resta che appellarsi alla fiducia. Quella di Porta, perché no: «Non saremo quelli del girone di andata, non capiterà mai un black out più lungo di tre giornate. Da qui in poi, sarà tutta un’altra storia, abbiamo la possibilità di arrivare senza fatica alla salvezza». Fiducia che s’impasta di certezze, di spavalderia o di sana incoscienza, chissà. Parole sentite, magari: ma che, oggi, sembrano vagamente anacronistiche. Onestamente. Parole che profumano di augurio e che sono molto più di una promessa. Che assomigliano, anzi, ad un preciso impegno. Non resta che trovare gente disposta a crederci. Fuori e dentro del campo.

lunedì 21 dicembre 2009

Il nuovo Francavilla è più squadra

Il nuovo Francavilla possiede maggior personalità, prova a dettare il gioco, viaggia a ritmi più alti. Detto in una frase, è più squadra. E sembra migliore della sua precedente versione anche sotto il profilo atletico: anche se, in fondo ad una gara densa, un po’ di stanchezza affiora. Non è difficile accorgersene. Rivisitato e corretto (molto rivisitato, decisamente corretto), l’organico affidato (o riaffidato) alle cure di Mino Francioso offre le garanzie che il materiale umano gestito dall’avvio di torneo da De Rosa non avrebbe saputo assicurare. Il concetto è indiscutibile, ci pare. E ci sembra anche che la riuscita della missione (la salvezza) possa essere possibile. Primo, perché questo gruppo sembra deciso a battagliare. Secondo, perché il Francavilla che supera in casa la Casertana (uno a zero, al fotofinish) non appare disposto a soprassedere prima di aver tentato tutte le strade. Terzo, perché le concorrenti da inseguire sono tuttora visibili. Quarto, perché in questo campionato non c’è eccessiva qualità diffusa. Quinto, perché certi segnali qualcosa devono pur dire. Per esempio: la Casertana si difende discretamente e il Francavilla non riconosce facilmente la porta (per l’occasione, davanti, stazionano due under, Maraschio e Schirinzi: il difetto di esperienza esiste e si nota). Il nuovo artigliere Radicchio, oltre tutto, è ancora indisponibile, così come Maraglino. Eppure, ad una manciata di minuti dalla conclusione del match, il diciannovenne Paciullo si ritaglia una possibilità, rilevando proprio Schirinzi, e la sfrutta benissimo, correggendo una palla vagante davanti alla porta. E risolvendo una partita mai semplice e in via di archiviazione. Ma caratterizzata anche da un dato, che non va sottaciuto, né dribblato: Francioso, nel corso dei novanta minuti più recupero, anche per un’esigenza reale dettata dalle contingenze, utilizza ben otto giovanissimi, partendo peraltro con sei sottoquota, uno in più del dovuto. Francavilla giovanissimo sì, ma anche tenace. E prossimamente, chissà, anche più appuntito. Che è poi la condizione necessaria per festeggiare, a maggio. Senza la quale, è ovvio, il resto sono chiacchiere. O speranze devitalizzate.

domenica 20 dicembre 2009

Gallipoli, adesso bisogna capire

Prima Mancini, poi Scaglia. Il Gallipoli ribalta un match nato difficile, scaccia le ombre della Reggina e completa la manovra di ancoraggio alla fascia mediana della classifica. Quella manovra interrotta per un po’ e che, per questo – inutile nasconderlo -, aveva generato dubbi, paralleli (e chissà quanto consequenziali) alla bassa pressione calata sulle questioni societarie. Vittoria di pregio, ma pure legittima: per quantità di calcio e per la capacità di allargarsi e stringere l’avversario, di cambiare il gioco, di imprimere ritmi convincenti. Che, idealmente, suggella l’anno più importante della storia del pallone in quest’angolo di Salento. E che aiuta la formazione di Giannini ad affacciarsi su un girone di riorno per alcuni versi misterioso. Perché misteriosa è la composizione dell’organico che uscirà dall’imminente riapertura del mercato (girano molte voci, troppe: e qualche protagonista potrebbe abbandonare). E perché tuttora misterioso è la politica gestionale del club: del resto, è stata appena saldata una sola mensilità, proprio alla vigilia della gara di ieri. Meglio di niente, certo. E qualcosa in meno di abbastanza, è chiaro. Quanto basta, comunque, per non spegnere (nella tifoseria e, soprattutto, nella squadra) il desiderio di capire cosa si annida dietro il futuro.

martedì 15 dicembre 2009

Il cuore del Taranto. E la polemica di Brucato

Scomodiamo un luogo comune: vince il cuore. O la rabbia, come suggerisce Brucato. Non può vincere, del resto, solo il calcio del Taranto. Che non coltiva ancora un progetto e che non abbonda neppure di razionalità. Non è (né può essere), infatti, razionale la squadra che liquida il Cosenza nel posticipo serale del lunedì. Che, sì, nella ripresa stringe l’avversario, ribaltando lo score, ma appellandosi all’urgenza, alla neccesità, alla disperazione (altri luoghi comuni: e va bene). E all’orgoglio, anche. L’orgoglio di chi, come Felci, sembra aver chiuso in anticipo l’esperienza in riva a Mar Piccolo e che è parte integrante della lista nera stilata dalla società. O di chi sta vivendo i suoi giorni tra la disapprovazione della gente. Tre punti di rabbia, allora. Dettati dal cuore. Buoni a rilanciare Scarpa e compagni. E ad azzerare la prova del Cosenza, intelligente per un tempo. Il primo. Il Cosenza che, da principio, coniuga sacrificio, culto dell’attesa, quantità e scaltrezza. Per poi abbassarsi e abdicare. Cioè, per piegarsi: in coda ad una partita solcata dai dubbi (il direttore di gara sembra negare un penalty a Biancolino, ma poi convalida il vantaggio bruzio, viziato da una situazione di offside). Ma, prima di vincere, il Taranto – ancora una volta – dimostra di non possedere fluidità, si slabbra, s’intimidisce. Il momento storico è difficile e i timori emergono tutti. Che solo la determinazione e l’accelerazione dei ritmi, più tardi, riusciranno a distanziare per almeno sei giorni. Dopo aver vinto, invece, il tecnico ingaggia un lungo duello verbale con la stampa. Che chiede, ma senza livore. Per capire, se non altro, le scelte iniziali di Brucato (Correa non si siede neppure in panchina): ovvero nulla di particolarmente scandaloso, normalissima routine. Ma la mourinhizzazione della dialettica si allarga velocemente e approda tra i due Mari. Dove, a questo punto, diventa praticamente inutile frequentare la sala stampa. E dove occorrerà accontentarsi della semplice verbalizzazione delle parole di circostanza.

lunedì 14 dicembre 2009

Manca l'ardore, cade il Grottaglie

Il Grottaglie cade ancora. E ancora in casa. Forse non si fa troppo male (il margine di sicurezza dal quartiere più caldo della classifica è tuttora ampio), ma, nell’approccio e nella gestione della gara, c’è qualcosa che non convince. Al di là della differenza di spessore tra la formazione di Maiuri e il Pianura, squadra creata per vincere e per imporsi tecnicamente, ma che una dose di dinamismo in più avrebbe potuto arginare di più e meglio. L’approccio, dunque: il Grottaglie nasce imballato, lento. Si adegua al ritmo (basso) dell’avversario: che, però, può permetterselo. Non aggredisce: e la rete del vantaggio (deviazione decisiva) non modifica il senso del discorso. Vero: i campani soffrono lo svantaggio e si perdono, per un po’. Ma poi le risorse bastano a rianimare l’undici di Gargiulo e a ribaltare lo score. Oltre tutto, l’assetto difensivo dell’Ars et Labor è tenero, permissivo. La gestione del vantaggio, cioè, lascia perplessi. Anche se, a ripresa appena cominciata, l’accelerazione delle operazioni conduce al pareggio. Temporaneo: perché, sulle palle inattive, i partenopei si appoggiano spesso e bene. E perché il Grottaglie, sotto pressione, continua a sbandare. Senza – ed è questo il peccato più pesante – abbozzare al momento giusto una reazione convincente. Detto tra i denti: non è scandaloso soccombere di fronte al Pianura. Ma lascia perplessi la quantità di agonismo profuso. In un campionato dove, prima di tutto, contano la corsa e l’ardore.

domenica 13 dicembre 2009

La libidine di Ventura

Puntare, colpire. E poi presidiare. Rischiando qualcosa, magari: ma è inevitabile. Come un penalty da cui difendersi. E che, però, la Juventus sciupa, con Diego. E, poi, ripartire. Cioè, giocarsela sino in fondo, come si augurava (e chiedeva) Ventura alla vigilia. Infine, affondare l’avversario. Coordinate di una notte da ricordare. Di un match da dedicarsi. Il Bari che si porta un gol avanti e che si fa raggiungere, che torna a condurre e che quasi si lascia riprendere, sprinta per bene e chiude l’anticipo di campionato sul tre a uno. Tutto bello, tutto vero. Tre a uno, risultato che azzera definitivamente l’appeal tra Ferrara e la gente che tifa in bianco e nero e che, invece, rinsalda il legame tra Ventura e la gente di Bari. Già, Ventura. «Alleno per libidine», aveva dettato poche ore prima della recita al San Nicola. E questa classifica è davvero una libidine. Guardare per credere. A metà torneo già sviscerato. Come dire: non è proprio una casualità. Quattro mesi di pallone fanno testo. E come. E possono essere tranquillamente analizzati. Per quello che hanno detto, sin qui. Ripartenze veloci, ma anche possesso di palla, idee chiare, predisposizione alla battaglia, freddezza e un po’ di coraggio: c’è questo ed altro, in una notte dal gusto particolare. Come la prestazione di Almirón, uno che arriva proprio dalla Juve e che cercava riscatto, soddisfazioni perdute, rivincite. «Il Bari ha legittimato la propria supremazia», chiosa il coach nella mix zone, a gara appena consumata. Parole chiare e forti. Anche questa è libidine.

giovedì 10 dicembre 2009

Noicattaro, ecco i problemi di sempre

Tre a zero secco e vero. Improcastinabile: per la sete del Gela e per la differente caratura tecnica che costringe il Noicattaro ad arrendersi senza troppo discutere. La squadra di Carella, mai nel cuore della partita e decisamente remissiva, si riappropria dei vecchi problemi di tenuta e di classifica, che traduce con trasparenza l’ultimo mese di calcio improduttivo. Rendendo vani i progressi dell’altro ieri, che avevano lasciato sperare, ma che non avrebbero mai potuto tranquillizzare. Perché il problema è alla fonte: l’organico, al di là di qualche bagliore, è molto tenero per garantire una salvezza che non passi dalla porta dei playout. E inventarsi qualcosa è sempre ingrato. Soprattutto se la riapertura delle liste non porterà buone notizie. Ecco, il punto è questo: il secondo segmento di mercato si avvicina e tra poco capiremo se il presidente Tatò confermerà la scarsa voglia di continuare ad investire per l’espressione calcistica di una città che non risponde. E se, piuttosto, preferirà destinare le proprie risorse in favore della resurrezione del pallone a Bisceglie, dove è appena approdato. Ma, se proprio ci chiedete un pronostico, scommetteremmo molto poco sul robusto rafforzamento del Noicattaro. Il ciclo si sta esaurendo: e, questa volta, è proprio vero. Chi ancora ha voglia di entrare nella questione, se ne faccia una ragione. Più o meno come Carella, per esempio: ma lui, una ragione, se l’è fatta da tempo.

mercoledì 9 dicembre 2009

Taranto, attendendo gennaio

Non rimane che attendere gennaio. E il mercato che riapre. Perché il Taranto cambierà tratti somatici. Perché il Taranto, sfigurato anche dal derby di Andria, deve cambiare passo e protagonisti. Al di là delle esigenze (ormai visibilissime): perché patron D’Addario è stato chiarissimo. Ribadendo un concetto ormai datato e solo per un po’ accantonato. Troppa gente, nello spogliatoio. Troppa gente che non si industria. Che non incide sul campo. Che non crede al progetto, quello dell B, per niente accantonato da chi comanda la nave: e che, dunque, non segue le direttive della società. E, aggiungono troppi osservatori, neppure quelle del tecnico Brucato, peraltro invitato dal presidente a perseverare. Ma con giudizio: cioè, ascoltando le ragioni e, soprattutto, i consigli (tecnici, tattici, comportamentali) della proprietà. La cattiva figura di Andria (sconfitta senza alcun onore) sembra aver scritto la fine di un capitolo. E l’inizio del nuovo. In cui il coach, ancora più di prima, dovrà adeguarsi. E condividere. Tanto da dover accettare l’ombra di Franco Dellisanti, tecnico della formazione Berretti promosso al ruolo di tutor o di qualcosa di simile. Sì, Dellisanti: recentemente messo in discussione per il proprio lavoro svolto all’interno del settore giovanile e, adesso, evidentemente rafforzato da un’ulteriore dose di stima. Caso singolare, indubbiamente: se non altro, perché l’idea di tutor (o di consigliere, seppur esperto) che arrirva dalla base (il vivaio, appunto) non depone troppo in favore del tecnico della prima squadra, sin qui non eccessivamente ascoltato dalla truppa e, ora, ulteriormente delegittimato. Ma tant’è. Non ci rimane che attendere gennaio. E la rivisitazione di un organico che non risponde. Anche se l’epurazione (già minacciata e poi congelata) comincerà prima. Sùbito, anzi. Del resto, è inutile perdere altro tempo: un allenatore (qualsiasi allenatore) non potrà trarre molte indicazioni ed energie da giocatori che sanno di dover andare via. Dunque, delegittimati anche loro: agli occhi della gente. Che conosce perfettamente, ormai, nomi e cognomi dei partenti.

lunedì 7 dicembre 2009

Brindisi, vince il cuore

A quattro minuti dalla fine può cambare il palcoscenico. E gli attori possono mettersi in salvo. Potere di una vittoria: che, sicuramente, non stravolge la classifica. Ma che può deviare il destino o il corso della storia. Perchè il mercato di riparazione sta per aprire e una società che vuole vincere deve pure inventarsi una soluzione. Partendo, forse, dall'idea più immediata: la sostituzione dell'allenatore. A quattro minuti dalla fine, il Brindisi torna a vincere. E lo fa contro il Catanzaro, indiscusso sovrano del girone. Digrignando i denti, con un rush finale dove comanda il cuore. Quello stesso Brindisi che, in campo, si presenta con gli stimoli giusti e che, però, finisce per imbottigliarsi nella sua stessa sete, nella sua stessa urgenza. Silva sceglie il 4-4-2 e, quindi, l'equilibrio: ma questo è un tipo di gara in cui necessita il guizzo, l'intuito. Moscelli lavora molto per la causa comune, ma non trova varchi per sè. E poi l'avversario (leader con largo vantaggio) è nelle condizioni di poter governare. Peggio: quando i ritmi si abbasano, il Catanzaro fa girare meglio la palla, alza la linea di difesa, intensifica il presing e anche l'intensità. Lasciando capire di essere più reattivo. O, semplicemente, dentro la partita. Anche se, alla conclusione, la squadra di Auteri non arriva mai. Ma proprio mai. Nell'intero arco dei novanta minuti. Cosa che, talvolta, riesce a fare il Brindisi: al quale viene ingiustamente annullato il vantaggio firmato da Da Silva. Però, il secondo tempo degli adriatici è più vispo. I calabresi rintuzzano, ma Trinchera e compagni ci mettono anche maggior quantità, riuscendo infine a passare. Sfruttando, forse, la cattiva gestione del momento o la difettosa lettura delle pieghe del match di un Catanzaro che si crede inattaccabile. E che, però (onore al merito) non si trincera, accettando il confornto aperto, sempre. «I ragazzi hanno saputo attendere», rivelerà Silva negli spogliatoi. Vero anche questo. Come sembra genuino quello spirito di gruppo che schizza quando serve, quando sembra scadere anche il tempo di pensare. Quando sono ancora vivi, in tribuna, i fotogrammi di uno dei fratelli Barretta che si alza nervoso e scappa via, a primo tempo ancora in corso. E i fotogrammi di quella sciarpa scagliata con rabbia, per terra. Molto più di un messaggio. Molto più di un indizio.

Gallipoli, soltanto complimenti

Visto così, il Gallipoli è molto meglio del Torino. Più vivo, più convincente. più cerebrale, più pungente. Tutte qualità che non bastano: perchè la quantità della formazione di Giannini non si riassume nel gol e perchè la sofferenza dell'avversario sfocia in un successo che, sinceramente, stona. Come Beretta, nocchiero ospite, sottolinea con onestà, dopo il novantesimo. Gioca con maggior chiareza, il Gallipoli. E paga dazio oltre la normalità: ma la consapevolezza di essere stato defraudato di qualcosa può fortificare il gruppo, che si sta dotando di anticorpi nuovi, utili per il domani. Anzi: la squadra si sta convincendo, giorno dopo giorno, di poter controbattere con argomenti buoni anche la borghesia della B. E tutto questo può contribuire sensibilmente ad alimentare l'autostima di Ginestra e soci. Tutta gente che è migliorata tantissimo, dalle prime battute del torneo ad oggi. Singolarmente e collettivamente.

A margine: mentre la squadra guadagna gradatamente nuove simpatie, la società è ormai chiacchieratissima. Prima la querelle tra il presidente D'Odorico e l'ormai ex direttore sportivo Fioretti (accuse velate e incrociate, divorzio condito da malumori), poi la polemica tra il patron di oggi e quello di ieri (Barba, che non avrebbe ancora riscosso neppure una parte di quanto gli spetta per la cessione del club) e, infine, la battaglia legale che l'amministrazione comunale di Lecce, proprietaria dello stadio in cui il Gallipoli sta disputando le gare interne, starebbe per intraprendere. Per un motivo serio: il mancato pagamento dei fitti mensili della struttura. Che sta accadendo? D'Odorico ci aiuti a capire. In fretta, magari.

giovedì 3 dicembre 2009

Tanto per farsi del male

Il pallone è ostico a qualsiasi latitudine. Da un po’, anche a Grottaglie, piazza di tradizionale serenità. L’Ars et Labor arriva da una stagione travagliata: l’ultima. Macchiata da una retrocessione sofferta sul campo, ai playout, e poi riabbellita dal faticosissimo ripescaggio Adesso, è una formazione che prova a trovare una quadratura definitiva e che cerca di ottenere l’obiettivo (la salvezza) senza faticare troppo. Il disegno, oggi come oggi, sembra riuscire: la gente di Maiuri, in coda ad una partenza affannata, ha saputo costruirsi una credibilità e, innanzi tutto, una classifica. Ma il Grottaglie è una formazione che cerca conferme e che non può prescindere dall’organizzazione in campo, da una condizione psicofisica confortante e dall’impegno consapevole: in settimana, così come ogni domenica. Cioè: per sopravvivere, deve farsi trovare nelle migliori condizioni. Sempre. Diverse volte, accade. Talvolta, no. Domenica scorsa, ad esempio: quando il Matera, abituato ad imporsi lontano dal campo amico, ha violato l’erba del D’Amuri. Senza scandalo, sia chiaro. E denudando qualche problema che, evidentemente, il Grottaglie si porta dall’avvio della stagione. E che, probabilmente, lo accompagnerà sino alla chiusura del torneo, se la seconda sessione di mercato non provvederà a migliorane i contenuti o a limarne le difficoltà. La sconfitta, peraltro, non sembra aver pregiudicato assai la classifica, ancora rassicurante. Ma ha stizzito (anche parecchio) la tifoseria. E la contestazione (di contestazione vera e propria, infatti, si tratta) ha ferito il gruppo. Comprensibilmente: perché iniqua. Esagerata. E affrettata. Ma anche discendente diretta dell’insoddisfazione accumulata nel passato torneo. Ormai andato via, con tutte le sue problematche e le sue polemiche. Polemiche che, forse, qualcuno vorrebbe trasportare sin qui. Per motivazioni oscure o trasparenti: dipende dalle angolazioni di osservazione. Così, tanto per farsi del male.

martedì 1 dicembre 2009

La chiarezza di Sciannimanico

Troppo spreco. E, di contro, un Cassino quadrato, furbo. E più tonico, sotto il profilo della manovra. Il Barletta si arresta nel pieno della propria evoluzione, in casa propria. E la delusione dell’ambiente è più evidente, dopo il match di Brindisi, impastato di coraggio e intelligenza, e - soprattutto - in coda a cinque risultati favorevoli di fila. Certe speranze, dunque, si infrangono presto. Troppo presto. Ma non è lecito neppure meravigliarsi: la C2 ci ha abituati a frequenti inversioni, che valgono per tutti. Oppure stizzirsi. Perché, sul campo, è sempre difficile inventarsi qualcosa. E perché il campionato non può non tenere conto delle premesse, della cifra tecnica di ciascuna squadra, della qualità complessiva di ogni concorrente e del concetto di discontinuità, che è poi il marchio di fabbrica della quarta serie. Coach Sciannimanico, peraltro, si nutre delle proprie esperienze personali e conosce i problemi del suo gruppo: «Il Barletta non punta ai playoff, né può farlo – detta al novantesimo -. Ci sono limiti strutturali, conosciuti prima di cominciare la stagione. La costruzione della squadra è stata influenzata dai problemi incontrati dalla società in estate: l’ho già detto e credo di parlare un italiano comprensibile. Pensiamo a salvarci il più presto possibile, piuttosto. Chi vuole capire, intenda». Parole vere, che sottoscriviamo. A fari spenti, il Barletta viaggerà più sicuro. E, se qualcuno si adombrerà, pazienza.