martedì 22 dicembre 2009

Porta, operazione fiducia

Certe trasferte (le ultime tre, giusto per essere precisi) avevano rinfrancato, diciamo così. Fruttando altrettanti punti (zero a zero, in ciascun caso) e la speranza di aver quadrato l’assetto difensivo lontano dallo Zaccheria. In attesa di regolare anche l’espressione collettiva nella gare da disputare con il conforto del pubblico amico, sempre abbastanza deluso e sostanzialmente ancora troppo distante. Emotivamente, ma non solo. Ma la realtà è diversa. E anche discretamente cattiva. Così, nell’ultimo turno dell’anno, il Foggia si piega di fronte al Verona, sulle zolle di casa. Niente di inimmaginabile: perché la classifica non mente. Perché la capolista recupera la strada giusta e torna a fare il Verona: una formazione ancora immacolata, fuori dai propri confini (nessun gol subito, in dieci prestazioni). Perché la squadra di Porta e Pecchia torna ad essere il Foggia: un po’ ammaccato, un po’ svagato, decisamente permeabile, tatticamente allungato e anche un po’ disorientato dalle assenze di peso. E perché è sempre difficile nutrirsi di progressi saltuari, ma soprattutto modesti: insufficienti a garantirsi continuità e tranquillità. Prego, attendere. E, dunque, ricominciare dai gradini più bassi. Alla sosta, Mancino e compagni ci arrivano in penultima posizione, pur se con la prospettiva di recuperare il punto di penalizzazione (potrebbe accadere). Non è molta roba: soprattutto se non dovessero arrivare novità salienti dalla riapertura della campagna di trasferimento (difficile, con l’attuale stagnazione societaria). E, allora, non resta che appellarsi alla fiducia. Quella di Porta, perché no: «Non saremo quelli del girone di andata, non capiterà mai un black out più lungo di tre giornate. Da qui in poi, sarà tutta un’altra storia, abbiamo la possibilità di arrivare senza fatica alla salvezza». Fiducia che s’impasta di certezze, di spavalderia o di sana incoscienza, chissà. Parole sentite, magari: ma che, oggi, sembrano vagamente anacronistiche. Onestamente. Parole che profumano di augurio e che sono molto più di una promessa. Che assomigliano, anzi, ad un preciso impegno. Non resta che trovare gente disposta a crederci. Fuori e dentro del campo.