Aggancio riuscito. E rincorsa (al quartiere playoff)
conclusa. E’ bastato aggrapparsi alla puntualità dei risultati, senza strafare.
Cioè, acquisire solidità di gruppo E viaggiare sul binario dell’umiltà. Poi, gli
avversari (tutti, praticamente) hanno agevolato il compito: in terza serie,
quest’anno, è dura per chiunque. E neppure gli organici corazzati di
Salernitana, Benevento, L’Aquila, Pisa e altre ancora passeggiano senza
incontrare problemi. Anzi. Il Lecce, così, vincendo il recupero
infrasettimanale di Nocera continua a scalare la classifica. Malgrado il
disastro di inizio stagione, la formazone di Lerda, adesso, è quarta. Lontana
dalla prima piazza (sette punti e, per ora, non è neppure il caso di pensarci, oggettivamente), ma
assolutamente nel vivo della competizione per il secondo posto disponibile in
ottica serie B. Da non credere. Due successi in quattro giorni rilanciano le
quotazioni, aprono orizzonti nuovi, liberano la fantasia. Ma, soprattutto,
spazzano quella cappa di cattivo umore che non ha mai abbandonato la squadra
sin dall’avvio del torneo. In Campania, mercoledì, ci pensa Bogliacino a
sbloccare lo score, prima che arrivi
l’intervallo, dagli undici metri (è questa la svolta: anche perché la Nocerina rimane
contestualmente in dieci): quindi, tutto diventa più semplice. Ma il Lecce, al
di là degli episodi, sfrutta un momento di maggiore serenità e i propri valori
tecnici, superiori alla media del campionato. Che, seppure in ritardo, si
sforzano di emergere. Contando, da qui in poi, anche su un altro requisito, da
non sottovalutare. La continuità, appunto: che, in questo momento solo la
capolista Perugia e – in parte – il Catanzaro possono ugualmente vantare. Una
dote da sfruttare, prima che la riapertura del mercato favorisca una
ridefinizione delle forze nello scacchiere del torneo.
venerdì 20 dicembre 2013
mercoledì 18 dicembre 2013
Bisceglie, meglio adesso
Il secondo segmento di mercato rimodella la serie D,
praticamente ad ogni latitudine, e stravolge gran parte delle protagoniste di
Puglia. Ma c’è un dato, soprattutto, che colpisce e lascia riflettere: i club
tagliano molti big, riducono le spese
d’ingaggio, puntano sul concetto di completezza dell’organico e cominciano a
preferire la sostanza alla forma. Seppure in ritardo, cioè, le società scoprono
(o riconoscono) un’antica verità: ogni campionato necessita dei giocatori più
adatti a quel tipo di palcoscenico. Traducendo, gli elementi di categoria offrono,
alla lunga, maggiori garanzie. Ancora: sono pochissime le operazioni da urlo
(ricordiamo, nel girone H, quella di Picci, transitato dalla C di Barletta al
Matera: per il resto, niente di speciale). Non solo: la capolista Marcianise,
ad esempio, non si muove o quasi. Tra lo Jonio e l’Adriatico, invece, il Monopoli
rivoluziona il look, reinventando la
difesa. Il San Severo cambia pelle. Il Grottaglie, teoricamente, si
irrobustisce. Il Brindisi si libera di qualche impegno oneroso e, però,
mantiene il suo miglior realizzatore, il ricercatissimo Gambino. Il Manfredonia
perde qualcosa (Arigò e Lacarra, ad esempio) e prova a rimediare. Mentre il
Taranto, senza grandi capitali da investire, assiste, recuperando un solo under (Picascia, ex Foggia). Infine, il
Bisceglie. Che – potremmo sbagliarci, ma anche no – si giova più di tutti delle
transazioni dicembrine. Innanzi tutto, il presidente Canonico dimentica le
intemperanze recenti della tifoseria e dribbla le angosce dell’ambiente,
sconfessando nuovamente i propositi di abbandono. Resta al timone, pur senza
rilanciare. Cogliendo, tuttavia, l’occasione per pulire l’organico di molti
elementi poco propedeutici al progetto. Va via, in sintesi, un po’ di gente dal
curriculum importante. Ma, di contro, arrivano ricambi più spendibili, più
affamati. E anche economicamente più sostenibili. Non a caso, la prima (proprio domenica passata, a
Grottaglie) è assolutamente positiva: successo netto e pesante. Sgomitava,
soltanto pochi giorni fa, l’ipotesi di un tracollo tecnico, il rischio di una
retrocessione annunciata. Scommettiamo, invece, che la salvezza è assai più
vicina adesso di un mese fa?
martedì 17 dicembre 2013
Due storie inversamente proporzionali
Il Brindisi perde male –
molto male – anche sul campo del San Severo (non è una novità, per la
formazione di Totò Ciullo, sfigurare di fronte a formazioni teoricamente niente
affatto trascendentali) e, nell’ambiente, sgomita la sensazione che qualcuno,
all’interno dell’organico, abbia volentieri sperato nell’insuccesso con scarso
decoro per poter contare, immediatamente dopo, sullo svincolo. E, di
conseguenza, sul trasferimento, proprio in dirittura d’arrivo della seconda
sessione di calciomercato. Non ne fa mistero, del resto, neppure il presidente
Flora: che abbandona gli spalti del neutro
di Lucera prima del novantesimo, precisando con rabbia che nessuno lascerà
Brindisi. E che, anzi, la squadra verrà potenziata ulteriormente. Al di là
degli episodi e di certe oscure pieghe, sull’Adriatico sta accadendo qualcosa.
La squadra si è inabissata in una certa mediocrità di fondo e, soprattutto, le
operazioni di mercato sembrano aver corroso – più del previsto, più del normale
– la quotidianità del club. Mentre, sullo sfondo, passano determinate immagini già
viste negli studi televisivi di un’emittente locale e le polemiche, ancora recenti,
consumate tra lo stesso Flora e il direttore generale Carbonella, tra il
presidente e un procuratore assai vicino (un tempo, almeno) alle scrivanie di
via Brin. Tanto per capirci, proprio mentre scriviamo, sembra dissolversi anche
la pace temporanea tra i due massimi dirigenti brindisini: condizione che
porterebbe, questa volta definitivamente, il diggì lontano dal Brindisi che
sarà. Epilogo inevitabile, ma – probabilmente – anche opportuno: se la situazione
si è incancrenita, meglio recidere il rapporto. Sarà meglio per tutti. In
queste ore, intanto, la società potrebbe rafforzare l’elenco a disposizione del
trainer (con Marinucci Palermo? Con altri nomi?), zittendo ulteriori illazioni
e nuovi sospetti. E, magari, provare a rimarginare in fretta la ferita di
Lucera: che rimane, però, profonda. Anche perché patita in casa di un San
Severo decimato dalle ultime evoluzioni di mercato e, perciò, scarsamente
accreditato. Un San Severo liberatosi di molti fedelissimi del tecnico Rufini
(che, comunque, continua – almeno ufficialmente – a sposare la filosofia
societaria) e rimodellato attorno ad interpreti meno considerati, ma
evidentemente dotati di maggior appetito e di stimoli superiori. Proprio due
ingredienti che, attualmente, fanno difetto al Brindisi. Due storie distinte e
inversamente proporzionali: questa riapertura del mercato rischia di
terremotare il campionato. O di condizionarlo, chissà per quanto. Davanti e
indietro.
lunedì 16 dicembre 2013
Nuovo Monopoli, vecchio trend
Calcio discontinuo e profitto limitato, se
comparato alle attese. Il Monopoli, così, a dicembre si reinventa,
approfittando della seconda sessione di mercato. E sconfessando larga,
larghissima parte delle scelte estive: Di Rito, De Toma, Vetrugno e Adeshokan,
sull’Adriatico solo per quattro mesi, trovano altre sistemazioni e nuovi
stimoli tra la serie D e l’Eccellenza. Se ne va anche Strambelli, uno dei big un tempo (neanche troppo lontano)
molto amati e, ultimamente, particolarmente criticato (e contestato) dalla
parte più intransigente della piazza. La società, cioè, coniuga in una mossa
unica l’esigenza di liberarsi di qualche ingaggio pesante e la prospettiva di
recuperare qualche pedina più affidabile per i sistemi di gioco ideati da coach
De Luca. Non senza qualche difficoltà, arrivano dunque un difensore esperto
come Esposito, una punta di peso come Pedalino, un’alternativa come Aprile e,
infine, un ulteriore rinforzo in terza linea (Castaldo). Tra il pericolo di un
incidente diplomatico con Leo Vinci (direttore sportivo attualmente senza
vincoli, contattato dal presidente Mastronardi, ma bloccato dalle altre anime
societarie) e una certa preoccupazione popolare. Ancora in bilico tra il
vecchio e il nuovo corso, però, la squadra si presenta (è storia della
settimana passata) sul campo della capolista Marcianise, ritagliandosi una prestazione
di personalità, salda e solida, e intascando un punto pregiatissimo. E, oltre
tutto, rispondendo indirettamente alle accuse di smobilitazione che la
tifoseria ha appena riversato sulla società. Ma, sette giorni dopo, tornando ad
operare sull’erba di casa, il Monopoli frena un’altra volta, di fronte al
rinnovato e abbottonato Real Metapontino. C’è ancora un po’ di ruggine,
nell’ingranaggio. E mancano il sacro furore, l’atteggiamento della squadra
consapevole della propria forza.. Soprattutto, però, il 3-5-2 di partenza non
si sviluppa, non alza i toni, non intensifica il ritmo, difettando in dinamismo
e agilità. La squadra è lenta e i lucani si portano in vantaggio in due
occasioni. Lanzillotta a parte, il Monopoli appare bloccato, imbalsamato.
Laboragine, a cui adesso è ufficialmente delegato il compito di creare, non si
accende. Il nuovo terminale offensivo, Pedalino, è ancora un po’ estraneo alla
manovra (e non esclusivamente per amnesie proprie). Lo stesso Pinto rinuncia
spesso alla sua progressione possente. E, se non fosse per il colpo di testa
risolutore di Montaldi, a recupero quasi consumato, parleremmo di un rovescio amaro
e scomodo. Il collettivo, è chiaro, si sta ancora cercando, senza trovarsi per
due partite di fila. E, nel frattempo, sembra aver perso i contatti dalle prime
della classe. Certo, i nove punti che distano dalla vetta sono tecnicamente
ancora colmabili, se ricordiamo che il leader
Marcianise deve ancora riposare, proprio domenica prossima (diciamo pure che,
virtualmente, sono sei) e un nuovo torneo si sta ufficialmente aprendo, come
sempre accade al termine della prima manche
della stagione: ma, probabilmente, questo è anche il momento di cominciare ad osare
qualcosa in più, pur salvaguardando gli equilibri fondamentali. E di spendere
una dose in più di coraggio.
domenica 15 dicembre 2013
Bari, mezzo passo falso
Alberti e Zavettieri superano
qualche problema di formazione. Ma il Bari non si libera dal Carpi.
Raggiungendo, anzi, il risultato minimo solo in prossimità del fotofinish. Dopo aver condotto il match
per un po’. Ed essere passato in vantaggio, legittimamente. Eppure,
globalmente, la prestazione non fortifica il morale del gruppo e della
tifoseria. Aprendo, per qualche ora, il dibattito sulla posizione dei tecnici, minacciati
da un esonero che, comunque, non si concretizza. E dire che il match sembra
ammiccare, da sùbito. Il Bari, è vero, non forza, non alza il ritmi. Ma tiene
palla, premendo con discrezione: e, sostanzialmente, fa la partita.
L’avversario è fragile e non filtra: sembra poco convinto e persino poco
dinamico. Galano, di contro, è ispirato. Fedato si accoda. Il 4-2-3-1 e qualche
accelerazione bastano a creare i presupposti giusti che permettono a Ceppitelli
di colpire. Uno a zero, il compito appare facile. Così non è, invece. Gli
emiliani si svegliano, si consolidano in mezzo al campo, conquistano la
superiorità nella zona nevralgica e cominciano ad aggredire, guadagnando metri
e occupando più spazi. Il nigeriano Mbakogu, un po’ di tecnica e molti doti
atletiche, s’inventa il pareggio e cambia le sorti del match. Che inverte il
suo corso nella ripresa, quando lo stesso Mbakogu escogita la maniera per
raddoppiare. Il Bari si concede al 4-3-3, poi – con l’apporto di João
Silva - al 4-4-2, quindi al 4-2-4: ma vengono a mancare la continuità e la
brillantezza. Marotta e soci rincorrono senza trovarsi. Sciaudone si perde un
po’ e difetta pure la fantasia. Brilla solo Sabelli, che a destra si propone
con continuità e personalità. Resta la disperazione, oppure l’orgoglio: a cui,
infine, la squadra si aggrappa, riuscendo a rimediare almeno un punto. Che non
è molto, ma che tuttavia basta a non deprimersi. E, probabilmente, a salvare i
condottieri, peraltro già sonoramente scaricati dalla curva più calda a gara
ancora in corso. Però, è bene sottolinearlo, il Bari non rinuncia mai a mettere
la palla a terra, anche nei momenti meno fecondi. Pagando (troppo) certe pause
e determinati cali di tensione. Come in passato. Si tratta, evidentemente, di
un limite congenito, che la bassa età media del gruppo contribuisce a spiegare.
Ma non ad assolvere. Mentre la classifica non migliora: reclamando, semmai, un
pizzico di esperienza. Angelozzi, se potrà operare nelle prossime due settimane,
ormai dovrebbe sapere in che direzione
rivolgersi.
giovedì 12 dicembre 2013
Taranto, serve ridimensionare il progetto?
Questa volta si gioca,
normalmente. Niente pioggia scrosciante, niente freddo pungente: il Taranto recupera di mercoledì il
match di Francavilla sul Sinni, rinviato l’altra domenica. E trova un pareggio
non eccessivamente ammiccante, che tiene – magari – la squadra ancora sulla
scia del pratico, rapido e ben organizzato Marcianise, sempre più capolista
(con merito) del girone appulocampano di D. Quel Marcianise che, peraltro,
proprio domenica scende allo Iacovone (dove, uscendo indenne, potrebbe
ipotecare la promozione: fatti, non fantascienza). La formazione di Papagni si
ritrova sotto, pareggia e ribalta lo score,
quindi si fa raggiungere: ma, al di là dei dettagli statistici, dopo un periodo promettente, quella di Papagni non sembra ancora la squadra sicura di sé e proprietaria insindacabile
del proprio destino che tutti gradirebbero applaudire. Rischia poco, cioè: ottenendo il minimo indispensabile.
Così com’è, diciamolo tranquillamente, non può ambire a molto di più del terzo
o del secondo posto finale. Il coach, è vero, è costretto a rinunciare agli
attaccanti migliori. E, in fase difensiva, continua a soffocare (le esitazioni,
ormai, sono sistematicamente imbarazzanti). Ciarcià, ispiratore designato
dall’urgenza, fallisce la prova, sostanzialmente: spiegando, una volta per
tutte, che l’ingaggio di un catalizzatore di gioco è esiziale. Ma, in realtà,
la seconda sessione di mercato non decolla. Per ora, solo movimenti in uscita. E
c’è un motivo, sottolineato – del resto – dagli sviluppi dell’ultimo confronto
societario: il club, come confessa candidamente il presidente Nardoni, ha capito
di aver fatto affidamento su entrate inesistenti, di fatto. La situazione è più
complicata del previsto: come certi segreti sussurrati qua e là avevano, sin
dalla fine dell’estate. già abbondantemente lasciato intendere. Nessun
problema, però. In questo caso, è sufficiente abbozzare un passo indietro e
moderare gli appetiti. Se il Taranto non può competere per la serie C, che
venga detto chiaramente. Definitivamente. La gente capirà. O se ne farà una
ragione. I programmi possono pure cambiare, a lavori in corso. Non è una
vergogna. Per nessuno. Nemmeno per una piazza di prestigio antico: che deve
preferire la continuità al sogno folle.
martedì 10 dicembre 2013
Il Martina non c'è. E, ora, il mercato
Due trasferte redditizie
(quattro punti in due gare, nello spazio di sette giorni) possono persino non
significare niente. O meglio: gli effetti sulla classifica, in qualche maniera,
resistono: ma quelli sulla psiche di gruppo e sulla qualità di calcio possono addirittura
evaporare in fretta. Se ne accorge il Martina. Se ne accorge la gente che tifa.
E dobbiamo augurarci che se ne accorga anche la società. Il successo di
Sorrento e il successivo pari di Aversa, probabilmente, avranno illuso la
squadra, attenuato la tensione, liquidato la concentrazione, colmato
l’appetito. Privando la formazione di Bocchini, sulle zolle di casa, davanti al
Chieti, dell’energia - fisica e mentale - che serve ogni domenica per ambire ad
un traguardo ancora troppo lontano, la permanenza tra i professionisti.
Tornando a casa, cioè, Martina si ritrova senza ritmo, senza voglia, senza
coraggio. Svuotato. L’avversario è oggettivamente modesto: fa appena quanto la
situazione gli chiede e intasca tutti i punti a disposizione: legittimando,
peraltro, il sigillo decisivo di un ex, Mangiacasale. Ma Leuci e soci sono
assolutamente inguardabili. Timidi, inconsistenti, inadeguati. E’ la verità:
anche se dispiace dirlo. Non è, quello che viviamo, un campionato di grande
spessore. E, proprio per questo, è necessario tentare, sempre. Ed è
obbligatorio provare a fare il match, almeno di fronte al pubblico amico. Del
resto, in una stagione anomala come questa, tanti pareggi (quando arrivano) non
possono e non potranno bastare. Ma il Martina si estranea dalla battaglia,
dalla partita. Non regge neppure il paragone con un allenamento
infrasettimanale: là c’è più agonismo, garantito. Il 5-3-2 (sì, in fase di
possesso dovremmo parlare di 3-4-3, ma è proprio il possesso di palla che
manca) preparato dal tecnico si assenta da sùbito: ma non è un inconveniente di
natura tattica. E’, piuttosto, una questione di approccio. O, peggio, di
mentalità. Anche Petrilli è svagato oltre il consentito: difficile, allora,
pretendere qualcosa da una squadra che, praticamente, arriva ad una vera conclusione
solo in prossimità del novantesimo. E mai prima. Gli ultimi dieci minuti di
leggero forcing non cancellano gli
imbarazzi degli altri ottanta. E non c’è troppo da aggiungere. Se non che,
ormai, è tempo di rimediare: con qualche rinforzo di personalità, magari anche
di esperienza. Serve gente che sappia trascinare il gruppo, ecco. Che possieda
intraprendenza, decisione, grinta. Le mezze figure non risolveranno nessun
problema. Con o senza Bocchini: che parte della tifoseria, evidentemente,
continua intimamente a non amare troppo. E che, invece, continueremo a
difendere: almeno sino a quando il roster
rimarrà quello che attualmente è. Dopo avergli chiesto, perché no, di dotare al
Martina più aggressività. E più rabbia. Ce n’è bisogno, al di là del livello
tecnico degli interpreti.
lunedì 9 dicembre 2013
Bisceglie e Ostuni, la provincia si sveglia
Il presidente Canonico,
appena cinque giorni fa, puniva l’irrazionale e vendicativa irruzione della
frangia più calda della tifoseria biscegliese, azzerando il piano di rilancio
della squadra e, sostanzialmente, firmando il proprio disimpegno. E ieri, ad
Ostuni, un altro presidente (Luca Marzio) ha praticamente sgomberato parte
della tribuna, delegittimando la presenza degli ultras. Colpevoli di aver lanciato in campo materiale pirotecnico
e, soprattutto, di aver stordito – senza successive conseguenze, peraltro – un
assistente di linea, durante il match tra la formazione di casa e il Galatina (campionato
di Eccellenza). Sembra che - timidamente, lentamente - il pallone di casa
nostra e, principalmente, i suoi gestori
comincino a svegliarsi, a ribellarsi ad un certo trend. Sono piccoli segnali, ma indicativi. Che rallegrano non
poco. Se certe turbolenze si affacciano pure in provincia, è proprio la
periferia dell’impero a mobilitarsi: con misure concrete. Sembra una traccia,
un messaggio. E sono misure che meritano un sostegno, anche e soprattutto da
parte delle istituzioni: morale e, innanzi tutto, pratico. Se, poi, è proprio la Puglia a dettare una determinata
linea, ben venga. Sperando che i fatti di Bisceglie e di Ostuni non si rivelino
solo una semplice coincidenza. Intanto, dove non arrivano le restrizioni, i
tesseramenti, i prefiltraggi e tutto il resto, emerge il buon senso. L’ultima
stampella a cui ci è concesso aggrapparci.
giovedì 5 dicembre 2013
Bisceglie, dalla rifondazione al disimpegno
Il Bisceglie zoppica ancora.
E, pur tranquillizzando la sua gente per soli sette giorni (pari a Torre del
Greco, con onore e rimpianti), torna sùbito a sbandare. Consigliando il patron
Canonico a riconsiderare l’idea di investire: sul mercato di riparazione, è
ovvio. Tanto che il ventaglio delle possibilità si allarga progressivamente:
cominciano, così, a circolare nomi
suggestivi, rinforzi preziosi. L’ultima performance,
però, si trascina imbarazzi inimmaginati: la caduta, nella nebbia di Lucera, in
casa del San Severo, è rovinosa. E la manovra improponibile. Ma c’è di più,
purtroppo: la tifoseria, stressata, non accetta spiegazioni. E insorge,
veemente. Al rientro dall’ultima trasferta, la squadra è accerchiata,
sbeffeggiata, insultata. Nell’assalto, non solo verbale, maturano spintoni,
forse anche schiaffi. Qualche effettivo dell’organico, colpito, comunica di
voler cambiare residenza calcistica, immediatamente. E, allora, già
sufficientemente provato dall’esperienza sull’Adriatico, ovvero pentito di una
scelta rinnegata anche nel corso della stagione sportiva passata, il presidente
interviene con chiarezza. Duramente. Stop alla campagna di rafforzamento,
innanzi tutto: Strambelli, dunque, si muove da Monopoli, ma si sistema ad
Andria, in Eccellenza. E lo stesso fa Di Rito, il miglior realizzatore del
campionato scorso, proprio a Bisceglie. Via i pezzi più interessanti (Titone,
ad esempio, si sistema a Matera). E, ovviamente, nuove dimissioni.
Irrevocabili: come qualche mese fa, è vero. Ma, questa volta, più pericolose.
Più credibili. Il Bisceglie, all’improvviso, si ritrova senza sovvenzioni.
Senza guida. Con un titolo teoricamente in vendita. Senza un organico
competitivo. E con la prospettiva di dover affrontare il resto del torneo con
la formazione Juniores. Anche e soprattutto perché altri emigreranno, da qui
sino al diciassette dicembre, data di chiusura della seconda sessione di
calciomercato. Eppure, non ci sentiamo di censurare l’operazione di Canonico.
Niente affatto. Anzi, ci sembra una buona idea. Anche se coincide con il
fallimento ufficiale di un progetto e anche se dovesse accompagnare lo stato
d’agonia di un club storico, titolato. E’ una buona idea perché non si può e
non si deve, sempre e comunque, fingere di non vedere e di non capire. Perché,
a queste condizioni, non regge il sacrificio di uno o più imprenditori: al
netto degli errori e di tutto il resto. Perché è il momento di cominciare a
tracciare una linea, in fondo alla pagina. E di calcolare controindicazioni e
benefici di ciascuna avventura calcistica. E perché le illusioni (e,
eventualmente, le disillusioni) non devono sistematicamente spingerci nel fango
di un tifo miope o, peggio, illegale. Del problema specifico, altrove, se ne
parla, anche troppo: e fioccano messaggi privi di soluzione. Quello di
Canonico, invece, è un segnale concreto: sempre che la decisione venga
confermata, come sembra. Un segnale che presuppone un’azione precisa. Che va
condivisa. Seppur con dolore.
lunedì 2 dicembre 2013
Se Gambino non segna
Nella domenica del diluvio si
fermano forzatamente il Taranto e il Francavilla, il Matera e il Marcianise:
infiacchendo l’irriverenza (e la bellezza) del calendario, che avrebbe voluto
contrapporre quattro delle prime sei concorrenti del girone appulocampano di
serie D. A Brindisi, tuttavia, si gioca. Anche se il terreno è ovviamente
pesante. C’è la Turris:
e il fascino di una sfida importante, malgrado l’afflosciamento temporaneo
delle prospettive dei campani, peraltro rimaneggiati in prossimità della
rivoluzione tecnica di metà stagione, si sente tutto. Anche per questo, la
gente di Ciullo e la formazione di Pensabene, coach all’esordio, faticano a
ragionare. La Turris
è contratta, preoccupata: e, a lavori in corso, preferisce badare alla
quantità. Tralasciando decisamente la qualità della manovra. Il Brindisi, di
contro, è nervoso. E si esprime con lanci lunghi. Le condizioni del campo
incidono, evidentemente: ma difetta la fluidità di altre occasioni. Con il
tempo, però, le cose migliori sono degli adriatici, che ampliano la supremazia
territoriale e rafforzano la pressione. Ma Gambino, al rientro dopo tre turni
di squalifica, non è irreprensibile. La sosta, probabilmente, lo ha
arrugginito: oltre tutto, l’estremo torrese Liccardo gli si oppone dagli undici
metri, ad inizio della ripresa. Dopo il penalty fallito c’è solo il Brindisi: la Turris si difende soltanto.
Pellecchia coglie il palo, però a De Martino e soci difetta la marcia in più,
il guizzo. Il pari senza marcature, alla fine, trattiene il Brindisi: senza
rilanciare i campani. Dalla sfida, infine, fioccano altre indicazioni. La più
vistosa: malgrado il Brindisi abbia terminato il match con tre punte di peso
(Gambino, Tedesco e Albano), la fase di possesso non si è finalizzata. E’
mancato il gol. Cioè, è mancato Gambino. Che i compagni di squadra non sempre
possono sostituire.
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