venerdì 23 dicembre 2011

Il Taranto ritrova gli stipendi. Scaglionati

D'Addario, presidente in difficoltà come tanti altri, comincia a pagare. Scaglionando gli importi, ma comincia a pagare. Questo raccontano le note delle ultime ventiquattr'ore. E lo sciopero della manovalanza (la squadra del Taranto) si arresta (o dovrebbe arrestarsi: attendiamo conferma). L'operazione, seppur in ritardo, rende merito alle promesse (reiterate) del patron jonico: infastidito, dice, per il clamore mediatico suscitato inutilmente. E per la scarsa fiducia riposta nei suoi confronti dai propri dipendenti. Ma i difetti (di comunicazione e di forma) restano nel retrobottega. Perchè, giusto per chiarirci, il punto nodale della questione non era (e non è) la solidità dell'imprenditore, nè il suo profilo manageriale. Il problema, piuttosto, è nato e cresciuto con le reticenze, con quella superficialità un po' snob, con la disc utibile scelta di dribblare qualsiasi confronto e con certe parole inevase: non una, ma due volte. Nessuno, soprattutto oggi, può e vuole colpevolizzare l'indisponibilità temporanea di liquidi: viviamo in Italia e capiamo. Nessuno può e deve accanirsi sulla situazione transitoria di chi, per il pallone, si sta adoperando in prima persona. Dopo averlo in qualche modo salvato, in riva a Mar Piccolo. Ma le parole possiedono un proprio valore. Ancora per poco, forse: ma lo possiedono. E poi è sempre meglio raccontare la verità: soprattutto in un caso come questo, dove non c'è dolo, non c'è infamia, non c'è premeditazione. Meglio la verità: segnatamente in una città difficile, depressa, emotiva e altamente infiammabile come Taranto. Che, non potendo compiacersi con molto altro, vive anche di una palla che rotola, anche se con scarse fortune. Ricordandosi, magari, di non addossare la responsabilità a chi, per mestiere, deve cercare di sapere. Per distribuire un'informazione credibile, seria, onesta.