Se la piazza sbuffa, s’impressiona, si agita e preme, il club si difende
e si protegge. Dunque, si adatta. E cede alle pressioni. Un po’ quello che,
recentemente, è accaduto a Manfredonia, microcosmo in crisi dopo un avvio di
stagione complessivamente incoraggiante. E, successivamente, angustiato dai
mali di stagione e di solvibilità. Che, di fatto, hanno consigliato una
politica di contenimento dei costi di gestione, tradotta a metà del cammino in
una rivisitazione del materiale umano a disposizione del coach. La rivoluzione
di dicembre, in sostanza, ha rimodellato l’organico, sottraendo al tecnico
Cinque qualche certezza accatastata nel percorso, la solidità di base della
squadra e qualche colpo utile nei momenti più ardui. Nella manche di ritorno, cioè, il Manfredonia si è un po’ perso, senza
rincontrarsi mai compiutamente. Scalando dalle posizioni a ridosso
dell’aristocrazia del girone appulocampano di serie D a quelle meno
rassicuranti del quartiere playout. In cui, ora, occorre misurarsi con
avversarie psicologicamente già ben adattate alla battaglia, rafforzate a
lavori in corso e, evidentemente, più motivate. Mentre, sul golfo, il timore si
è già abbondantemente diffuso. Cinque, come molto spesso accade in casi come questo,
in realtà ha intanto già pagato con l’esonero, planato meno di due settimane
fa. Squadra un po’ ferma, un po’ molle, impaurita. E ambiente riscaldato:
quanto basta per convincere il club che qualche soluzione andava pur
perseguita. Al suo posto si è seduto Max Vadacca, fantasista di un tempo (anche
a Manfredonia) e allenatore alla prima proposta importante. Subito castigato,
all’esordio, in casa, dal San Severo: in un derby che è riuscito ad invertire
posizioni e prospettive di vinti e vincitori (chi inseguiva, adesso si fa
inseguire e viceversa). E, sei giorni dopo (cioè ieri, nell’anticipo), premiato
nella trasferta di Pozzuoli. Dove il Manfredonia ha, se non altro,
riconquistato ritmo ed energie mentali, sfruttando la cattiva gestione di gara
della Puteolana e il carattere ammorbidito di una squadra, quella campana,
assolutamente irriconoscibile. Mettendoci, tuttavia, qualcosa di proprio,
almeno sul piano dell’intensità e della sostanza. Nonostante i sei under schierati tutti assieme dall’inizio
, tra cui il ’97 Terminello (la felice esperienza maturata con Granatiero, peraltro
già passato alle giovanili della Juve, spinge ad insistere). Anche se poi, facendo due conti, si scopre
quello che i numeri ci avevano lasciato intuire, già all’epoca del governo
Cinque: il Manfredonia sa cautelarsi e poi ripartire con perizia, ma zoppica
appena è lecito attendersi di più in fase di possesso, ovvero quando la logica
obbliga il modulo ad impossessarsi del match. I dodici punti soltanto
guadagnati al Miramare e i diciannove
collezionati lontano da casa spiegano a sufficienza: tanto da sospettare che il
problema è strutturale. E che il cambio di gerenza tecnica, al di là delle
competenze di Vadacca e della bontà del lavoro che il nuovo allenatore saprà
applicare, era probabilmente solo una necessità di routine.