Contro il Vico, tecnicamente neanche tanto male:
una di quelle squadre partite persino discretamente e poi risucchiate dalla
classifica, nel corso della stagione. Contro le sue stesse paure: che due soli
punti guadagnati in dieci match, gli ultimi disputati, avevano dilatato oltre
il limite della normalità. E contro troppi pronostici: tutti rigorosamente
chiusi. Per la natura del match (gara unica in campo avverso), per il gap psicologico (un solo risultato a
disposizione) e per quello scadimento strutturale e mentale accusato negli
ultimi tempi, in coda al momento di maggior vivacità. E apparso, ad un certo
punto, addirittura inarrestabile. Invece, il Grottaglie va a prendersi in
costiera quello che gli serve, il successo. E si regala un altro anno di serie
D. Il quattordicesimo di fila. I playout non ammettono amnesie. Ma, questa
volta, la formazione di Pettinicchio c’è: passando in vantaggio, abbastanza
presto, con Fumai, ripescato dopo molti giorni scanditi da un’indisposizione di
stagione. E senza concedersi allo scoramento, quando i campani pareggiano,
monetizzando una miscela di ingenuità e insicurezza di Prete. Ci pensa, alla
fine, Formuso: il sigillo vincente è tutto suo. Due a uno: non ci avrebbe
scommesso chiunque. Capolavoro di realismo, verrebbe da aggiungere. Senza
troppa enfasi, prestazione solida, pulita. L’Ars et Labor si ricompatta nel
momento essenziale: ritrovando stimoli, vigore, coordinate. Giocando da squadra
consapevole delle proprie prospettive, sicura del risultato che al novantesimo
la ricompenserà. E resistente al forcing
finale dei campani, ma anche ai sette minuti di recupero che sembrano voler
rimandare o zittire la festa. Ma la festa, prima o poi, esplode. Festa doppia.
Per la conservazione della serie D, prima di tutto: arrivata in ritardo sui tempi programmati. E, comunque, centrata. Ma pure per la
sopravvivenza del pallone a Grottaglie. Che, di fronte alla dura realtà dell’Eccellenza,
si sarebbe liquefatto. Potete crederci.