Il Taranto, in D, è una big. Per definizione. Per una questione di blasone. Per la storia
che il pallone dei due Mari ha raccontato in un passato, per la verità, ormai
sempre più lontano. E, questa volta, anche per il ruolo che la società ha
voluto cucire addosso alla squadra di Enzo Maiuri: rimodellata, dopo un anno di
ambientamento, ad uso e consumo di una promozione da coltivare e inseguire. Quel
traguardo, cioè, abbondantemente pubblicizzato prima di partire: malgrado la
patina protettiva di quelle parole un po’ vaghe e misteriose («campionato
importante», si è detto) che vogliono dire e non vogliono dire. Il Taranto, in
questa serie D, parte per vincere. Punto. Anche se la robusta rivisitazione
dell’organico, lo ripetiamo ancora, finisce paradossalmente per minacciare il
progetto, certe volte. E pure se le concorrenza è temibile. La squadra
allestita, perciò, è di spessore: frutto di scelte mirate (pensiamo, tra gli
altri, agli ingaggi di Clemente e Balistreri, o di Ciarcià e Muwana) e di investimenti di più che
discreta portata.. Ma la quinta serie non concede alcun diritto di
inviolabilità. E la prima uscita (allo Iacovone
con la matricola Real Metapontino, una settimana fa) è affaticata: scarsa
tracciabilità di calcio ispirato, reticenze varie, penetrazione insufficiente,
una conclusone dagli undici metri sprecata e appena un punto. Quanto basta per
attirare le prime critiche, i primi dubbi. L’avversario, poi, contiene con
sacrificio, vanificando gli sforzi e illustrando la realtà del pallone a certe
latitudini. Molto, molto migliore è invece la resa sette giorni più tardi, cioè
ieri, a Manfredonia, sul sintetico di uno sparring
partner più quotato e meglio disposto a giocarsi il match. Tre gol nella
prima mezz’ora chiudono il conto con anticipo esagerato e i minuti che restano
servono a gestire il vantaggio e a rifinire il punteggio (finirà quattro a uno
per gli jonici). Il Taranto, è vero, è più brillante, più tonico e anche
decisamente più concreto. Più immediato, più diretto. Si spalma sul campo per
fare la partita e la fa. Guadagnando sùbito metri e procurandosi le occasioni
per passare. Disponendosi con autorevolezza, sin da principio. Comportandosi
esattamente come deve una big. In
mezzo al campo si lavora di quantità e di qualità, davanti gli artiglieri si
fanno trovare. Tutto abbastanza semplice, persino. Il classico caso di novanta
minuti che sbugiardano i precedenti: può accadere, soprattutto agli albori del
torneo. Eppure, le due situazioni differenti cercano di spiegare immediatamente
dove e come la formazione di Maiuri dovrà giocarsi il proprio campionato.
Ritagliandosi gli equilibri giusti. Perché un fatto è il duello con i pari
grado o con le formazioni che devono necessariamente preoccuparsi di costruire
anche qualcosa, lasciando spazi e varchi. Dunque, la possibilità di orchestrare
e colpire. E un altro battagliare con gli orizzonti corti di chi preferisce
tutelarsi a qualsiasi costo. Decurtando l’ossigeno e scavando fossati. Un
atteggiamento che, soprattutto allo Iacovone, si concederanno parecchi. Consapevoli
di incontrare una squadra che sentirà il peso di ogni sfida, ogni domenica. E
che non potrà godere di molti bonus.
Né di troppa indulgenza.