C’è una società in attesa
ansiosa, l’Audace. E, tanto per infrattarci nella retorica, una città che
osserva e spera, Cerignola. Poi, guardando meglio, c’è pure un microcosmo intero
(il girone appulocampano del campionato di serie D) che si ingolosisce attorno
ad una notizia che non arriva ancora e che non sgorgherà prima di qualche
giorno. Malgrado il torneo sia già partito da due settimane. Senza il club
dauno, ovviamente. Perchè è così che va: con i tempi ristretti del pallone, con
l’estate delle carte bollate, della Covisod e dei ripescaggi, con i tempi
tecnici che l’Alta Corte del Coni deve pure rispettare. Vediamo: il Cerignola,
in fondo alla stagione appena trascorsa, si era assicurato il diritto a
giocarsi la finale della Coppa Italia riservata alle formazioni di Eccellenza.
Partita persa al fotofinish, per la
cronaca: quanto basta per promuovere gli avversari (i marchigiani della
Fermana) in quinta serie. Come da regolamento. Festeggiamenti inutili,
peraltro: perché la Fermana,
oberata dai debiti, si è liquefatta in fretta, lasciando una sedia libera. Ma,
nel contempo, assicurandosi il salto di categoria ugualmente: rilevando, cioè,
il titolo di un’altra società. A surrogare il vincitore, di solito, è chi ha
perso la finale: dunque, il Cerignola avanza la propria candidatura al
ripescaggio. Legittimamente, aggiungiamo: se non altro, perché manca, nelle
norme sui ripescaggi, un paragrafo che regoli la questione specifica. Invece,
niente: questa volta valgono solo le graduatorie di merito e titoli redatte
dalla Federazione. E in Capitanata non gradiscono, promuovendo un’azione
legale. Che va avanti. Il primo round
(l’ammissibilità del ricorso), è vinto: ma occorre ancora qualcosa (il giudizio
finale dell’Alta Corte del Coni, appunto). Intanto, l’Audace non si è neppure
iscritta al campionato regionale di Eccellenza, partito proprio domenica scorsa.
E, dunque, adesso le prospettive sono due: o il Cerignola viene ammesso in
seconda battuta al campionato di D, oppure fine delle trasmissioni. Cioè del
calcio cittadino. Nella speranza, magari, che un titolo sportivo tutto nuovo
transiti oltre l’Ofanto l’anno prossimo. Un bel problema: del Cerignola nel
caso che si avveri la seconda ipotesi. E del campionato di serie D in caso di
ammissione. E sì: il torneo, oggi, possiede un calendario che, eventualmente,
sarebbe stravolto. I club diventerebbero diciannove: e tutti si ritroverebbero
ad osservare due turni di riposo ciascuno. E la regolarità della stagione non
sarebbe affatto salvaguardata. Oggettivamente, non avremmo mai scommesso su una
decisione (qualunque decisione) più celere: un iter legale pretende i suoi tempi. Probabilmente, avremmo gradito la
partenza ritardata del girone, giusto per non correre il rischio di inciampare
in complicazioni più grandi: il male minore, dopo tutto. Ma sappiamo bene che
il pallone non si ferma facilmente. E che un precedente del genere diventerebbe
pericoloso per il sistema-calcio. L’Alta Corte, però, un segnale l’ha dato: rinviando
il verdetto, che sarebbe dovuto arrivare ieri. Un segnale da interpretare: come
un’esigenza di valutare attentamente la questione. O come un consiglio: che il
campionato prosegua, le speranze del Cerignola sono molto più che ridotte. Il
rinvio, ad ogni modo, assume contorni sinistri, per come la vediamo noi:
reinventarsi un campionato tutto nuovo dopo tre o, peggio, quattro giornate già
disputate è improponibile. E tecnicamente complicato. Tanto da travolgere
qualsiasi responso. Anche il più benevolo.