L’insospettabile Grottaglie è lì, dietro le migliori del girone, ma –
soprattutto - ben al di là della soglia del terrore. E, a quasi un terzo del
cammino, il dato comincia a nutrirsi di attendibilità. Quattordici punti sul
campo e tredici in classifica diventano così il premio per la freschezza di un
gruppo cementatosi velocemente e che, per esplicita ammissione di molti dei
suoi protagonisti, si diverte: durante la settimana e la domenica. E sul quale,
evidentemente, incidono il lavoro e l’onestà intellettuale di Enzo Pizzonia,
tecnico di esperienza e buon senso che, tradizionalmente, riesce ad offrire il
meglio di sé nelle situazioni più complicate. Dove, ad esempio, occorre
sopperire con altri valori alle carenze di liquido o di organico: traendo da ciascuna
pedina a disposizione il meglio. Archiviata l’amarezza di Andria (zero a uno
sul campo della capolista), l’Ars et Labor incontra la Sarnese e la supera a
domicilio: non è, però, un successo agevole e neppure limpido. Anzi, per dirla
tutta, il match si definisce quando l’avversario subisce il secondo penalty e,
contestualmente, perde un uomo (l’estremo difensore Nobile interviene
fallosamente sul dinamico Facecchia, che però si sta allontanando dallo
specchio della porta): cioè, con un gol in più e con la superiorità numerica,
il Grottaglie può irrobustirsi e governare. L’avvio di gara, peraltro, è
leggermente affaticato. I salernitani leggono meglio determinate situazioni e
godono di migliore fluidità. Il vantaggio ospite è persino legittimo: e serve un
primo calcio di rigore per riacquisire l’equilibrio del risultato. Poi, il
corso della partita cambia decisamente. Il tre a uno finale, infine, è il
sigillo a una prestazione non irreprensibile, ma complessivamente intelligente.
In cui Faccini e soci capiscono ancora una volta di possedere le qualità per
poter badare a se stessi e, innanzi tutto, comprendono di dover necessariamente
aggrapparsi a quella quantità venuta meno nella prima mezz’ora di gioco. Senza
la quale qualsiasi formazione di quarta serie e, nello specifico, una squadra
come il Grottaglie, condannata dalle contingenze a inseguire la permanenza, non
potrebbe sopravvivere: è bene ricordarlo.
lunedì 10 novembre 2014
domenica 9 novembre 2014
Il Barletta e Sesia respirano
Non è affatto male la partenza del Barletta. Otto punti, nelle prime sei
uscite di campionato, significano che l’obiettivo dichiarato è, in tempi di
primissime analisi, rispettato. E che qualche margine di lievitazione esiste.
Manca evidentemente qualcosa, alla squadra di Sesia: quel graffio in più, quel
guizzo che sa scardinare certe gare. E, altrettanto evidentemente, è largo e
lungo il percorso che serve a colmare il gap
con le concorrenti più titolate. Ma il club, dice chi sa, persegue
esclusivamente un campionato tranquillo. Coltivando l’idea di piazzare le
fondamenta per un progetto ancora più degno, da disegnare nel prossimo futuro.
Ottobre e la prima metà di novembre, però, finiscono per abbassare le
quotazioni del gradimento popolare: l’involuzione è evidente, le difficoltà di
interpretazione delle singole gare e di penetrazione emergono più vistose. Le
sconfitte si accumulano, la classifica si blocca, il cuscinetto di protezione
dalla fascia meno abbiente si riduce drasticamente, la piazza s’indispettisce e
il tecnico Marco Sesia si ritrova davanti ad una realtà scomoda. Tanto che la
società si affanna a ribadire la propria fiducia all’allenatore, almeno in un
paio di occasioni. Il derby con il Martina, al dodicesimo chilometro, rischia
di diventare così una pietra miliare del cammino del Barletta: ma la squadra,
questa volta, è pronta, vivace. Cerca la profondità e la trova immediatamente,
costringendo l’avversario a subire per mezz’ora. Dentro la quale si avvicina
spesso al vantaggio, spreca una conclusione dagli undici metri e,
successivamente, passa a condurre lo score.
Le intuizioni sono più chiare, il ritmo c’è. E, quando è tempo di concedersi
una pausa, la formazione di Ciullo ne approfitta per pareggiare il conto. Ma
dura poco: il Barletta è più compatto, più equilibrato: le dinamiche del match,
nel frattempo, si sono un po’ modificate, eppure il divario d’intensità è
sufficiente per spiegare l’ennesimo imbarazzo difensivo del Martina e il
sigillo del nuovo vantaggio adriatico. Vince il Barletta, perché è sempre
dentro la partita, o quasi. E perde il Martina, assente per gran parte dei
novanta minuti. Tutto regolare, dunque. Per Sesia e i suoi, un rifornimento di ossigeno,
graditissimo. E, di contro, una raccomandazione a non rilassarsi: non tutti gli
avversari, cioè, dispongono di una retroguardia sciagurata come quella a
disposizione di Ciullo. I progressi vanno verificati: appena possibile.
domenica 2 novembre 2014
Martina, un punto è meglio che niente
Adesso, il Martina viaggia più tranquillo. Sette
punti in tre match, gli ultimi in ordine cronologico, sono ossigeno e tanto
buon umore. Conquistati contestualmente, va detto, all’improrogabile
rinnovamento tattico della formazione di Ciullo, transitata felicemente da un
4-2-4 carico di insidie e di dubbi ad un meglio spendibile e più rassicurante
4-3-3. Poi, il successo più recente, quello di Torre Annunziata, distribuisce quel
quoziente di autostima che, nel corso della stagione, viene sempre utile. E
che, ovviamente, certifica la fine di quel periodo di emergenza e di pessimismo
che Amodio e soci sembravano ormai condannati a dover frequentare senza una
reale prospettiva di rimedio. Anche per questo, dunque, la gara con il Melfi
appare un’occasione concreta per agganciare i vagoni della metà classifica. Ma
il Martina, tornato a calcare l’erba del Tursi,
decolla con fatica, sintonizzandosi a primo tempo inoltrato. L’avvio è pigro,
moscio. L’assenza dello squalificato Arcidiacono si avverte abbastanza. La
manovra non sgorga e la quantità difetta. Però, la squadra s’industria e, alla
distanza, si organizza: finendo per crescere e per impossessarsi delle
operazioni. La concentrazione sotto porta, magari, resta un problema: passare
in vantaggio si potrebbe, più di una volta. E, invece, riemergono certi spettri
del passato recente: Patti, puntato da Caturano, va in difficoltà e lo atterra.
Penalty e, soprattutto, espulsione: poco prima dell’intervallo, questa è una
notizia scomoda. Bleve, certo, rimedia e, nell’arco di sette giorni,
neutralizza il secondo calcio di rigore. Ma l’inferiorità numerica resta. Così
come, del resto, resiste lo spirito della gente di Ciullo: che, oltre tutto, a
fronte dell’ingresso obbligato di un altro difensore (Caso), decide di non
rinunciare a nessuna delle sue pedine avanzate. Il Martina, cioè, mantiene per
un po’ la supremazia nel mezzo, perseguendo il vantaggio con sufficiente
dedizione: eppure gli equilibri, sul campo, non sono più gli stessi e,
soprattutto, l’intensità del gioco si abbassa velocemente. Serve, dunque, un
centrocampo più folto e presente, che assista lo scacchiere soprattutto in fase
di non possesso: e, dunque, Di Risio va a rilevare l’esterno di punta Carretta.
Quanto basta per avvicinarsi ad un’antica verità: se la partita non può essere
vinta, è assolutamente conveniente non perderla. E anche questo è un progresso.
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