domenica 31 gennaio 2010

Grottaglie, come non detto

Il break fortunato e complessivamente convincente di Francavilla, in Lucania, a metà settimana, aveva risollevato e, forse, anche illuso il Grottaglie. Riaccreditandolo di incisività e compattezza. E tranquillizzando la gente che tifa sulle proprie capacità di amministrazione del match. Invece, la realtà è differente: la squadra di Maiuri, nell’anticipo del sabato, frana ancora sul campo di casa. Per la quinta volta consecutiva. Ma, questa volta, non esiste l’attenuante dell’avversario robusto e tecnicamente superiore. Questa volta, festeggia l’Ischia, organico modesto che pratica un calcio che non si vede più da quindici anni (libero staccato alle spalle di altri quattro difensori e marcature a uomo), calcisticamente poco dotato e che, soprattutto, dovrà battagliare non poco per conquistare il traguardo della permanenza. I campani passano a partita ormai archiviata, in pieno recupero, con la seconda conclusione in porta di tutta la gara. Perché la prima (un calcio di rigore regalato da D’Amanzo) viene neutralizzata da Laghezza, a ripresa in corso. Ma è il Grottaglie a lasciare perplessi. E non solo per l’atavico difetto di fallire l’approccio alla gara e per l’abitudine di praticare un calcio troppo tenero e orizzontale. A lasciare perplessi, peraltro, è anche coach Maiuri, che detta alla propria truppa (e, di conseguenza, pure all’avversario) messaggi timorosi: insistendo, ad esempio, con la difesa a quattro (di fronte all’unico artigliere ischitano) dopo l’espulsione rimediata da Tunzi. E svuotando ulteriormente una mediana (De Ricardis scala in terza linea) già in palese difficoltà. Prima ancora di operare delle sostituzioni (il legnoso Giacco per il più dinamico Ancora e il centrocampista Arcadio per una punta, De Angelis) che non appagano le attese. Finendo, così, per primo sul banco dell’accusa del tribunale improvvisato del tifo. Questa volta neanche più stizzito o adirato, ma semplicemente caustico. E vagamente rassegnato.

sabato 30 gennaio 2010

Gallipoli-Bettarini, operazione glamour

Il mercato di riparazione è una giostra strana. Dove non comandano solo le esigenze, ma le convenienze. E i procuratori. E' un momento febbrile che, al di là delle espressioni puramente linguistiche, difficilmente riesce a riparare. E che difficilmente scandisce trattative di spessore assoluto, ma di ordinaria amministrazione. Talvolta, è persino uno spazio aperto al folklore e al glamour, oppure un tributo alle volontà mediatiche di chi gravita attorno al calcio di casa nostra. L'accordo di Stefano Bettarini con il Gallipoli, difensore di discreto e ormai lontano passato, ultimamente transitato per salotti telesivi e trasmissioni di culto, sembra proprio un'operazione di etichetta, più che di sostanza. E lascia, onestamente, perplessi quanti si occupano di pallone. Quello vero. Sì, sembra un'operazione un po' fuori dagli schemi, un po' stravagante. In un momento di grande difficoltà (anche e soprattutto economica) della società. Che, immaginiamo, dovrà pure soddisfare le pretese del giocatore ritrovato (ce lo auguriamo, almeno). Ricorrendo, magari (e non ci meraviglieremmo) a uno o più sponsor. Anche se non è dato di saperlo, al momento. Intanto, resta la notizia. E lo stupore. A Bettarini, invece, il compito di ribattere alle prime sensazioni: che la definizione della trattativa sia un azzardo inutile.

venerdì 29 gennaio 2010

Casarano, rincorsa fallita

Il pareggio di Matera e quello successivo sul terreno di casa con la pericolante Sibilla, in appena tre giorni, spiegano il campionato del Casarano e perchè la squadra di Bianchetti, da ora in poi, dovrà esclusivamente preoccuparsi di puntare ad un posto nella griglia dei playoff (chissà quanto redditizi, ma non si sa mai). La battaglia per la promozione diretta, oggettivamente, è già persa. Inutile ignorare la realtà: questa squadra, esaurito il momento migliore, non ha più saputo assicurarsi continuità. E, in più, non sembra possedere il guizzo di chi può scrivere l'impresa della rimonta. Il tecnico siciliano, tempo fa, non si sbagliava: l'avvio faticoso era un handicap assai fastidioso, difficilmente colmabile. Ma è vero anche che il Casarano ha accumulato fatiche pure quando la pressione emotiva attorno a sè si è allentata. No, questa non sembra una formazione da rincorsa. Sarà meglio farsene una ragione. Sin da ora. E cercare di capire da dove occorrerà ripartire, l'anno prossimo. Limando le incongruenze, correggendo quello che c'è da correggere. Cioè, migliorando l'assetto attuale, senza necessariamente smantellarlo. La prima piazza, adesso è chiaro, è un discorso tutto campano. Rassegnamoci all'idea.

giovedì 28 gennaio 2010

All'improvviso, un altro Francavilla

Poco più di mezz'ora è sufficiente. E, da lì in poi, il successo è archiviato. Mai in discussione, limpido. Il Francavilla straccia la seconda espressione del calcio beneventano, che non dimostra nè troppa forza, nè aggiunge molto coraggio alla sua prova opaca. La gente di Francioso cerca di capire la partita. E, poco dopo, affonda. Una volta, due, poi tre. Il quattro a zero, invece, arriva nel finale, dopo che Malagnino ha anche sperperato una conclusione dagli undici metri. Il Forza e Coraggio termina in nove e paga (anche, ma non soprattutto) l'espulsione di Salvati, a primo tempo ancora in corso. Ma in campo c'è un Francavilla ostico, che non lascia nulla ai sentimenti altrui, trascinato da Ferrari (una marcatura su calcio piazzato, quindi altre due punizioni che vengono tradotte in rete prima da Maraschio e poi da Paglialunga). Un Francavilla veloce e sveglio, che pretende da se stesso. Determinato. Che non tradisce, questa volta. Che s'inventa un pomeriggio importante. Un pomeriggio che trascina, paradossalmente, nuovo rammarico. Per quello che è accaduto a Pisticci, per esempio, dieci giorni prima. Oggi più di allora, quelli persi in Lucania sembrano punti pesantissimi. E, se dovessero condizionare davvero, più avanti, diventerebbero amarissimi.

martedì 26 gennaio 2010

L'evoluzione del lavoro

Neanche la flessione (lunga) di fine anno (quello appena trascorso) aveva spento certe sensazioni. L’Andria di Papagni ci sembrava in evoluzione: che non significa salvezza certa, né automatica. O semplice. L’evoluzione di un collettivo, del resto, non è sempre istantanea. E neppure accecante. Ma può ritagliarsi nel tempo. Oggi, due vittorie di fila dopo, questa squadra ha oltrevarcato nuovamente lo steccato del pericolo, senza aver peraltro guadagnato l’immunità perpetua. Più o meno quanto accaduto già un volta. Eppure, la lievitazione si riaffaccia: graduale, costante. E la quieta saggezza del nocchiero di Bisceglie sembra incatenare l’ambiente ad una solida speranza. Che si specchia nelle folate di Sy e di Doumbia, nella maggiore robustezza dell’assetto, in una concezione più razionale di calcio, in un’espressione di gioco più fluida e convinta. Ci sarà da giocare e da giocarsela, sia detto sùbito. E quello che adesso sembra chiaro, non è detto che lo sia domani. Primo, perché il calciomercato di metà stagione, come sempre, sconvolge gli equilibri. E secondo perché troppe squadre sulla soglia del fosso non assicurano pronostici facili o scontati, ma solo punti interrogativi. Avanti così, allora. Ma l’Andria esiste. Perché Papagni, se non altro, gli ha conferito un’identità nuova. Perché la città che tifa e la società lo hanno lasciato lavorare. Lasciando crescere il gruppo. E perché il tecnico ha saputo conquistare la gente. Come qualche anno addietro. Sarà strano, ma è così: ad Andria succede solo a lui. E qualche merito gli andrà pure tributato.

lunedì 25 gennaio 2010

Grottaglie, si fa dura

Non è cambiato niente. Il Grottaglie si ripete. E, adesso, dovrà interrogarsi. Perché non è lecito affrontare un collettivo più dotato (cioè più ricco di individualità e ben più attrezzato) come la capolista Neapolis senza affidarsi alla grinta, alla cattiveria agonistica, alla corsa, alla determinazione, al carattere. Che possono provare a colmare il gap. A parità di condizioni, del resto, non c’è storia: né potrebbe esserci. E la sconfitta (la quarta consecutiva, sull’erba di casa: questo è un dato rovente) diventa inevitabile, soprattutto se il guardasigilli Laghezza fallisce nuovamente la prova. Anche se i campani recitano un match niente affatto abbagliante, ottenendo il massimo con uno sforzo contenuto. Le lezioni del passato recente (la gara con il Pianura, ad esempio) non insegnano nulla, evidentemente, ad una squadra che - così com'è - sembra avvertire l'assoluto bisogno di un'iniezione di energie nuove (almeno un paio di queste opzioni: un portiere sempre credibile, un centrocampista dotato di visione di gioco e piedi morbidi e una punta presente in area). Dietro, intanto, le concorrenti si avvicinano. Troppo. Ecco: il vantaggio accumulato sulla sest’ultima posizione si è quasi esaurito. E diviene necessario svegliarsi. Prima ancora, capirsi dentro. Adesso, servono risposte. Dalla società (la seconda sessione di mercato è ancora aperta) e da Maiuri, innanzi tutto.

domenica 24 gennaio 2010

E adesso Barba ci crede

Prima il pareggio strappato con dedizione e sacrificio a Cesena, poi la novità che piove sul Gallipoli: le quote azionarie di d’Odorico sono congelate dalla Guardia di Finanza. Tutto parte da Barba. E da un pagamento (per il travaso del club dalla scrivania del parlamentare a quella dell’imprenditore friulano) ancora non saldato. La pratica, è ovvio, finirà in Tribunale: dove il magistrato dovrà decidere qualcosa. Anche perché il nuovo proprietario non sembra troppo contento di quanto ricevuto. O, almeno, di alcuni dettagli. Ma la (difficile) situazione societaria sembra arrivata al momento in cui sarà bene salvaguardare il futuro: perché, dietro le quinte, non ballano soltanto le distanti posizioni dei protagonisti. Ma anche la questione-stipendi, la vicenda legata al fitto dello stadio di Lecce e altre problematiche sparse. Ed è arrivato anche il momento in cui D’Odorico faccia chiarezza completa e dichiari cosa c’è sotto il vestito. Proprio mentre Barba preme seriamente per reimpossessarsi della sua creatura. Alternativa che non ci dispiacerebbe, diciamolo sùbito. Perché, talvolta, il vero futuro può guardare al passato. E al cuore: che, talvolta, si fonde con le possibilità economiche. E con l’esperienza che Barba si è guadagnata sul campo, in anni vincenti. E, in fondo, mai dimenticati. Anche da chi, in estate, l’ha apostrofato e costretto a cedere il Gallipoli. Attorno al quale non si può bluffare. Ma solo programmare. Questa è serie B. E non si scherza.

venerdì 22 gennaio 2010

Foggia, problemi di Ugolotti

Ugolotti trova un Foggia maltrattato dall’Andria, appena domenica scorsa, e divorato dalle polemiche che si sono reimpossessate dell’ambiente in coda ad un break beneagurante, ma ache abbastanza breve. E scopre anche un organico vagamente modificato: Salgado è emigrato a Torino (meglio così, il suo rapporto con il club e la città si era consunto da tempo: anzi, la separazione arriva tardi), Di Roberto ha preferito continuare la stagione a Taranto, Cuomo ha raggiunto Nocera e Troise, appena vincolato, ha sùbito salutato. In più, Germinale non è più rientrato dal Benevento, come sembrava praticamente certo. Guido Ugolotti è il nuovo nocchiero del Foggia che prova a ripartire: operazione che Porta e Pecchia gli hanno lasciato con qualche rimpianto, o forse no. L’esonero (o le dimissioni?: la differenza è sottile) della coppia al potere tecnico per un intero girone, quello di andata, e pochi spiccioli della manche di ritorno, inaugura – è l’augurio – un nuovo ciclo, magari strettamente legato all’evoluzione della situazione societaria. La Meleam, dopo aver provato ad accollarsi il futuro del Gallipoli prima e del Bari poi, ha formulato un’offerta soppesata dall’attuale gruppo di comando e praticamente scartata da un comunicato stampa. Di certo, allora, rimane solo la classifica: che non sorride, ma che resta assai corta e non condanna nessuno. Tanto meno il Foggia, squadra decisamente discontinua per potersi fidare di se stessa, eppure dotata di materiale umano che proprio Ugolotti ritiene compatibile con le aspirazioni di salvezza. Purchè, ovviamente, prima della sua chiusura il mercato sappia offrire i puntelli necessari. E purchè, aggiungiamo, la tifoseria non acceleri il processo di disgregamento dell’ambiente che ruota attorno ad un gruppo che immaginiamo confuso, più del solito. La gente, anzi, potrebbe fare molto. In una piazza in cui - ancora una volta – riesce ad allontanarsi, proprio appena si avverte la necessità dell’appoggio popolare.

giovedì 21 gennaio 2010

La nuova scommessa del Bari

Quattro giorni intensi. Prima, di sabato, il Bari scopre di aver sperperato un’altra occasione inenarrabile. Esattamente come nella gara di andata, a Milano, sul campo dell’Inter. Così come, in un’altra occasione, su quello del Milan. Finendo per accontentarsi di quanto raccolto: che non è poco, ci mancherebbe. Poi, di mercoledì, recupera il match della polemica a Genova, guadagnando un pareggio assolutamente interessante su un terreno solitamente avaro per chi arriva da lontano. Passando in vantaggio, in entrambe le situazioni. E facendosi poi raggiungere. Le due prove di buon calcio dell’undici di Ventura rendono, così, altrettanti punti, ma pure elogi universali che si accodano ai precedenti. Ovvero, un’abitudine piacevole per una squadra e per un allenatore gratificato persino da un collega di prestigio come José Mourinho da Setúbal: «Il suo calcio mi piace. Ma necessita di spazi». Spazi che, però, il Bari si sta evidentemente industriando per recuperare. Riuscendo, nel contempo, a dominare le pressioni del tragitto. Mantendendo, cioè, l’aplomb nelle sfide più impervie e la concentrazione quando certe tensioni potrebbero affiorare. Proprio come in casa del Genoa, teatro di una situazione ancora non troppo chiara (il rinvio del match, prima della sosta) e sicuramente mal digerita dall’intero entourage biancorosso. Che, adesso, non può più nascondersi. Ma neanche rischiare di snaturarsi: perché, da ora in avanti, la salvaguardia della propria identità diventa la migliore garanzia possibile in prospettiva futura. La scommessa, ora, è proprio questa.

mercoledì 20 gennaio 2010

Dellisanti, terza scalata

Il sostituto di Brucato sulla panchina del Taranto è Franco Dellisanti, alla terza scalata di una squadra che ama visceralmente e che, per questo, gli ha procurato più guai che soddisfazioni. Molti più di quelli che il tecnico sangiorgese si è creato altrove, nel corso di una carriera corposa, a rimorchio di scelte spesso infelici (Nocera, tanto per fare un esempio: ma non solo). E’ la soluzione di D’Addario, il presidente che non perde tempo, accelerando qualsiasi processo di evoluzione all’interno di una società e di una formazione che continua a ritenere degne della serie B. E’ la soluzione fatta in casa, perché Dellisanti è tarantino, è già assoldato e arriva dalla “Berretti”. Ed è, forse, la soluzione più semplice. Non la più ovvia, ma la più immediata. Il compito del nuovo coach, inutile sottolinearlo, è improbo. Perché il Taranto non ha ancora una fisionomia, né un marchio di fabbrica: che, teoricamente, Dellisanti è in grado di assicurare. Ma a determinate condizioni: allenando, cioè, in tranquillità e con il beneficio della completa indipendenza. Ingredienti sinceramente estranei all’ambiente in cui dovrà operare. Perché il Taranto non possiede molto tempo. E D’Addario ancora meno. E perché, soprattutto, Dellisanti dovrà obbligatoriamente confrontarsi con i voleri presidenziali: la promozione sùbito, senza se e senza ma. «Finalmente ho l’opportunità di allenare il Taranto in condizioni ideali”, detta il nocchiero numero tre della stagione. Onestamente, però, facciamo fatica a intravedere condizioni ideali al suo modo di fare calcio. Dellisanti è tecnico capace, ma anche uomo particolarmente sensibile, che vive di timori e dubbi. E che va preservato alle incurie del mondo, minuto dopo minuto. E che, quindi, rischia di bruciarsi per la terza volta, in riva a Mar Piccolo. Ma è, soprattutto, un allenatore emozionalmente coinvolto (troppo coinvolto) che cerca appoggio in una società che intende la collaborazione in termini aziendali e non calcistici. E che rischia di essere fagocitato dal sistema della Taranto Sport. E anche molto presto.

martedì 19 gennaio 2010

Francavilla, stop antipatico

Stop antipatico, difficile nasconderlo. Il Francavilla di Pisticci (prima vittoria stagionale dei lucani sul terreno di casa, diciassette anni dopo l’ultima affermazione in serie D al “Michetti”) frana e complica abbastanza il proprio processo di rincorsa alla salvezza. E quel che è peggio è che la formazione di Francioso gestisce male il match, sin dall’inizio. Non accelerando quando sembra poterlo fare e quando, se non altro, sembra poterne conquistare il controllo. Limitandosi, più o meno incosciamente, al minimo garantito. Attendendo l’avversario anche quando la condizione atletica altrui si sgonfia. Quindi, una volta in svantaggio, incastrandosi in deboli e inutili argomentazioni. La sconfitta, al di là delle defezioni accusate nel reparto avanzato, è un responso che schiaffeggia una formazione diventata, nell’emergenza, anche disordinata e tatticamente lunga. E, comunque, mai in grado di assicurare un’impronta alla gara, di armarsi di personalità spendibile. Due insuccessi di fila (Pomigliano e poi Pisticci, appunto) bruciano e cominciano a pesare sulla classifica. E ci incuriosisce capire, dopo la sosta imposta dal calendario, domenica prossima, se e come il gruppo saprà reagire. Psicologicamente, adesso il problema esiste.

lunedì 18 gennaio 2010

Brucato, Rimini fatale

«Ci vuole un segnale forte». Così parlò D’Addario, il presidente del Taranto che avrebbe giocato (e perso malamente) poche ore più tardi a Rimini. E il segnale forte è arrivato. Dopo. Sùbito dopo il match: quando il tecnico Brucato viene esonerato senza saperlo. Anzi, apprendolo dalla stampa, davanti a block notes e telecamere. E chissà quanto incide sulla scelta la contestazione popolare cominciata a partita tuttora in corso. Magari poco, dal momento che il vertice societario ama ripetere di saper parare tutte le pressioni che si condensano all’esterno e di non accettare mai consigli. Di fatto, il Taranto crolla senza giocarsela, innescando una soluzione sempre rinviata: l’esautoramento del coach. Più volte difeso o graziato. Mai troppo amato dalla piazza. Uno che, sinceramente, non ci ha mai entusiasmato. Al quale è stato concesso, nel tempo, il beneficio di una controprova. Materializzatasi dopo la riapertura del mercato, da cui è uscito un organico differente negli uomini e nelle caratteristiche. Più vicino, si è detto, alle idee e alle esigenze di Brucato. Sul quale, però, l’allenatore nisseno, al di là della formazione allestita in Romagna, non ha potuto lavorare più di dieci giorni. Spazzato dai nuovi appetiti della proprietà, Brucato si è peraltro anche adombrato per le modalità del provvedimento. Glielo concediamo. Se non altro, per la tempistica che ha accompagnato il licenziamento. Piovuto nel momento meno atteso, forse. E, comunque, a ricostruzione appena avviata. Ma, si sa: la fiducia si esaurisce, prima o poi. Soprattutto se evapora anche la chance di riserva: sia pure formalmente.

domenica 17 gennaio 2010

Il crudo risveglio del Gallipoli

Il risveglio è crudo. E dolorosi sono i quattro gol dell’Ascoli. La caduta del Gallipoli sul terreno di casa (salvato dalla prima rata riparatrice: continuare a giocare a Lecce si può, basta pagare) è sonora nel risultato e fastidiosa nelle argomentazioni che lo seguono. La gente di Giannini, semplicemente, non si vede. E si affaccia appena sulla partita solo quando lo score è largamente compromesso. L’ultimo impegno stride con la prestazione precedente e, allora, gli osservatori cominciano a chiedersi se questa squadra non abbia peccato di presunzione: nell’approccio tattico e in quello mentale. Più semplicemente, la regolarità non è una qualità di chiunque, in serie B. E il livellamento dei valori non aiuta a comprendere: oggi premiando uno e domani un altro. Ma, sicuramente, il cammino verso l’obiettivo (chè sempre quello, indovinate quale), pretende umiltà e personalità, soprattutto nei momenti in cui tutto sembra scorrere felicemente.

martedì 12 gennaio 2010

Brindisi, ripartenza con polemiche

Il pareggio della rabbia. Delle attese defraudate. La gente che tifa estremizza e condanna il suo Brindisi che pareggia a casa del Noicattaro, alla ripresa del tragitto. Troppo poco, evidentemente. Perché serve di più. Vero. In virtù di un organico migliore. E di ambizioni più alte. La contestazione a fine match, è dura. E va, però, al di là del consentito. Molto al di là. Roba da cronaca nera. Finendo per aggredire (non solo verbalmente) e impaurire una squadra già di per sè confusa. Che, appena deve decollare, rimane sulla pista, con i motori accesi. Silva è sentitamente invitato a sloggiare. E la società a rivedere qualcosa: e, peraltro, a mercato di riparazione ancora aperto, si può. Eppure, va considerato che il Brindisi, così com’è, è sempre lì. In agguato alla zona playoff. E chi conosce le cose della quarta serie sa che è importante rimanere a rimorchio delle prime o, comunque, nella zona di attracco agli spareggi finali, almeno sino alla primavera. Quando cioè, si definiscono le situazioni. Meglio esserci, piuttosto che apparire soltanto. E avvelenare l’ambiente con imboscate e inseguimenti non serve. Come la reazione della famiglia Barretta (minccia di disimpegno) conferma. Anzi, il clima rovente è controproducente. Soprattutto in una piazza che non ha ancora imparato a gestirsi, emotivamente. Anche se certi dettagli del passato dovrebbero aver insegnato qualcosa.

lunedì 11 gennaio 2010

Bitonto, mani sul derby

Quello che accade in principio (il Grottaglie persegue la manovra geometricamente e gioca palla a terra) non serve a capire il risultato del derby, né a riconoscere le modalità che lo determinano. Perché, alla fine, è il Bitonto a impossessarsi dei punti e dei consensi. In virtù di una prestazione asciutta e razionale, impostata su ripartenze frequenti e fastidiose (la squadra di Maiuri soffre la velocità altrui, quando non è in possesso di palla). Davanti, poi, l’Ars et Labor coltiva un’imprecisione che inquieta. Mentre dietro qualcosa non quadra, puntualmente. Il Bitonto, invece, è più sostanza, ma anche continuità. Perché non si perde nei picchi e nei cali di tensione che stringono l’avversario. E perché, con il tempo, comincia a limitare i pericoli e a controllare la partita. Anzi, nella seconda parte del match il Grottaglie, abbandonato da intensità, lucidità e idee, si sfarina e affonda. Riconoscendo i difetti antichi di personalità e incassando la drastica contestazione dei propri supporters, a novanta minuti appena consumati (il margine dal pericolo, progressivamente, si restringe). E, allora, ecco il profilo di una formazione, quella di Pizzulli, non più solo scorbutica come una volta, ma pure intelligente. Che si adatta alla situazione, giostarndo senza fronzoli, come si conviene in quinta serie. Ma, soprattutto, in evoluzione.

domenica 10 gennaio 2010

Pari col Sassuolo, De Canio piccato

«Il girone di andata del Lecce è eccezionale. Per quanto mi riguarda, almeno». I toni di Gigi De Canio, nella sala stampa di Modena, seconda casa del Sassuolo, sono piccati. E l’impressione è che il trainer materano non sia troppo disposto a dialogare. O, comunque, ad approfondire. Sintomi che lasciano pensare ad un allontanamento concettuale tra il coach e qualche ambiente cittadino, evidentemente convinto della superiorità incontrastabile di una squadra che, a metà del cammino, è la più redditizia della seconda serie. E che, proprio in Emilia, ha saputo conquistare un punto che pesa: passando in vantaggio, senza però gestirlo sino alla fine. «Ma non ci siamo accontentati», aggiunge De Canio: come a difendersi da ciò che potrà essere detto. O pensato. Come a voler puntualizzare preventivamente. Come a voler prendere le distanze da qualcuno o da qualcosa. «Sono un uomo di calcio e conosco le insidie della serie B». E, anche per questo, fa bene a mostrarsi soddisfatto: ne ha facoltà, del resto. Come avrebbe facoltà di diffidare di certi mormorii, se ce ne fossero davvero: gli stessi mormorii che hanno minato la strada del Lecce più volte, nel tempo. Complicando il progetto di rinnovamento della società. Obbligata sempre e comunque a distinguersi: anche se, nell’ambiente, dietro ai sussurri, convivono troppo spesso apatia e freddezza.

sabato 9 gennaio 2010

Il Taranto si allarga

Siamo fuori dal coro. Dal coro dei soddisfatti che salutano l'ampio ventaglio di acquisti di riparazione del Taranto. Acquisti necessari, magari. E, probabilmente, anche qualitativamente interessanti. Ma l'organico si alimenta esageratamente, invece di assottigliarsi: malgrado le intenzioni del presidente D'Addario. Il quale difficilmente riuscirà a piazzare gli uomini in esubero che non possono tornare al mittente. E che, proprio per questo, potrebbero mettere in seria difficoltà una società obbligata a disfarsi di molti effettivi. E, dunque, concettualmente assai debole. Dicono, però, che il tempo per operare in uscita ci sia ancora. E, allora, crediamoci ed aspettiamo. Ma non possono, però, passare inosservati i contratti lunghi assicurati a chi è appena arrivato: triennali e, addirittura, quadriennali. Accanto ai quali si affiancano nuovi adeguamenti per chi già c'era. Un po' troppo, oggettivamente. E un po' troppo rischioso. Ma il Taranto opera così, senza un uomo che sappia navigare nel mercato del pallone, inseguendo istinti e capricci personali. E sorprendersi della realtà, dunque, non è affatto normale.

giovedì 7 gennaio 2010

Il Bari spazza i timori

Guardandoli da fuori, il Bari e l’Udinese possedevano un passo diverso, idee differenti. Di qua, la meticolosità del metodo e il rigore dell’applicazione, il mutuo soccorso e la chiarezza d’esposizione. Di là, la manovra sgualcita e livello minimo di tensione, il depauperamento dell’identità e lo sgranamento collettivo. Risultato inequivocabile: il Bari di Ventura supera un nuovo ostacolo, allungando la serie felice. Dimenticando le apprensioni sgorgate da un mese di inattività e i timori (giustificabili) seminati dal trainer alla vigilia del primo match del duemiladieci. Due a zero e altra euforia da immagazzinare. E, perciò, da metabolizzare. Il tecnico, non a caso, parla già di prova di maturità: e il riferimento va alla prossima trasferta di Firenze. Esame che non sarà l’ultimo, tuttavia: perché questo è il destino di chi si ritrova a lottare con i migliori senza averlo previsto. Destino, però, niente affatto sgradevole. E poi, se i timori di Ventura torneranno a galleggiare, non dispiacerà a nessuno. Significherà che tutto procede bene. E che il Bari avrà imparato a gestirsi oltre i novanta minuti.

martedì 5 gennaio 2010

Profumo di Barba

«Potrei riacquistare il Gallipoli, a fine stagione. Purchè, prima di avviare qualsiasi trattativa, venga onorato il debito (tre milioni, ndr) che ancora vanto nei confronti dell'attuale società». Così parlò Vincenzo Barba, il padre del progetto serie B, uscito dal palcoscenico quasi senza accorgersene, in un'avvampata estate neppure troppo distante. E, adesso, di nuovo sull'uscio: proprio quando si moltiplicano certe voci di una difficoltà gestionale su cui si starebbe arenando il nuovo proprietario del club, D'Odorico. Voci talmente solide da consigliare il padre del nuovo patron ad arginarle con un intervento robusto e, sembra, anche chiaro. Comunque, vada, però, il Gallipoli sembra godere di spalle coperte: perchè, appunto, Barba è di nuovo in queste contrade. Non sappiamo quanto casualmente: ma con l'inesprimibile voglia di rientare. A conferma delle impressioni raccolte tra le note di cronaca di agosto: quelle che hanno travolto un uomo in cerca di sostegno, ma intensamente legato alla sua creatura. Che mai avrebbe voluto abbandonarla. E che mai avrebbe pensato di essere costretto dalla veemenza degli accadimenti a ritrovarsi fuori dalla porta. Prima vittima di un gorgo misterioso da lui stesso innescato.