martedì 31 marzo 2009

Taranto, speranze tradite

Dichiararsi non è sufficiente. Volere non significa potere: Alfieri ci perdonerà. E i buoni propositi non scrivono la storia. Neppure se sono suffragati dalle sensazioni. Ci vuole altro: le idee, la forza, la qualità, la sostanza, per esempio. Un progetto che si pianta nelle fondamenta. E un collettivo collaudato per imporsi. Ovunque. Paolo Stringara sperava nel successo. Credeva nella vittoria. E aveva irrorato di entusiasmo giocatori e ambiente. Con sicurezza, spavalderia: per sentirsi tutti più convinti, più coraggiosi. Per mostrarsi più solidi, più aggressivi. Stringava parlava da leader. Per scrollarsi quel pessimismo: il pessimismo di una squadra, la sua, quasi sempre motivata e vincente a casa sua e regolarmente sconfitta sul campo avverso. Più o meno inversamente proporzionale alla versione concepita da Dellisanti, il suo predecessore. Prima del viaggio a Crotone, il coach stimolava il profilo psicologico della sua gente. Opportunamente, anche. Dopo, però, scavando tra le pieghe del match, Stringara si sarà ricreduto. Così molle e impacciato, il Taranto non avrebbe potuto sopravvivere, in Calabria. Mai e poi mai. Esattamente quello che è accaduto. Dopo novanta minuti di manifesta debolezza, di calcio remissivo, di attesa vana. Attesa incondizionata dell’avversario, soprattutto: che giostra, si arma, colpisce e ringrazia. Novanta minuti che sottolineano la verità che conoscevamo già (e che qualche timido bagliore si era incaricato di addolcire): l’organico è incompleto e i suoi componenti sono abbastanza umorali. E che la salvezza andrà costruita (lavorando, sgomitando e soffrendo sino in fondo) allo Iacovone, dove magari l’ardore si alimenta e la controparte si confonde (ma fino a quando?). Sperando che il nervosismo non corroda anche la certezza di poter contare sulle zolle amiche: e sì, quel Taranto che, a Crotone, trova pure due cartellini rossi è una formazione vulnerabile, anche caratterialmente. Cercava la vittoria, Stringara. Forse, novanta minuti dopo, avrà smarrito qualche convinzione. Una partita, certe volte, può confessare molto.

lunedì 30 marzo 2009

Il derby pigro del Francavilla

Il Francavilla che galleggia nel derby di Grottaglie è un po’ pigro. Per necessità, scelta strategica, calcolo e convenienza: preferisce non scoprirsi e non rischiare, addormenta il gioco quando serve, risparmia quelle energie che forse non possiede più, punta deliberatamente alla sostanza. Non sa graffiare, neppure quando si ritrova in svantaggio. Fatica a scrollarsi quel certo torpore che l’avviluppa, malgrado l’acquisita superiorità numerica. Sinceramente, non convince: sembra devitalizzato, privo di ardore, spento. Pareggia, ma senza adoperarsi troppo. Pareggia, perché il calcio è così e il Grottaglie, in dieci, non è sempre lucido nella gestione della palla. Pareggia, mantenendo la distanza di sicurezza dal Bitonto. Ma concede (e si concede) meno garanzie, rispetto al passato. Il calo della squadra è evidente: emozionale, prima ancora che atletico. Il campionato, però, non è affatto terminato. Anzi, forse comincia proprio adesso. E la salvezza è ancora un traguardo da conseguire: vale ricordarlo.

domenica 29 marzo 2009

Grottaglie, di nuovo nel vortice

Di nuovo dentro il vortice. Bisognerà abituarsi. Il Grottaglie torna a rincorrere e si reimmerge nelle calde acque dei playout. Il pareggio, in certe situazioni, non assolve. Anche se il pareggio arriva in un derby, che è storicamente sfida nell’incognito. Ma il risultato va accettato: perché espresssione di un match sgualcito e tirato, senza fantasia. La formazione di Dino Orlando non possiede il guizzo, non trova il cambio di passo e neppure l’affondo. L’approccio alla gara, anzi, non è (non può esserlo) rilassato. Gioca di più dell’avversario, è vero. Ma senza incidere eccessivamente. Carteni, tuttavia, sblocca ad avvio di ripresa, esattamente quando il Grottaglie sfrutta un’intuizione di D’Amario, che si accomiata dalla monotonia del gioco. Tutto appare improvvisamente più bello, ma così non è: Latartara, appena più tardi, va fuori (doppia ammonizione). Nella difficoltà, Camassa e soci sembrano però compattarsi e infittire l’intensità. Tanto da confidare nella conduzione della partita sino in fondo. Sbagliato: Malagnino, in collaborazione con Galeandro, trova la soluzione vincente, a un quarto d’ora dalla fine. E sul derby cala il sipario. Mentre, da altri campi, arrivano cattive notizie. E una sola nota lieta, il pareggio interno del Matera, società e squadra in emergenza e confusione. Una formazione in più su cui impostare la rincorsa. Anzi, il concorrente più debole, in questo momento. Dettaglio banale, però: se il Grottaglie tornerà sconfitto, ad esempio, da Nocera, domenica prossima. Il rush finale è cominciato. E la sensazione è che il pareggio, ora, servirà sempre meno. Ce lo aspettavamo: adesso lo sappiamo ufficialmente.

sabato 28 marzo 2009

Ursus vendesi. Su e-bay

La provincia debole e sana stupisce spesso. Continuando a raccontare storie di ordinaria quotidianità e straordinaria innocenza. Questa è simpatica: la seconda squadra di Trani si chiama Ursus e si trascina anni di dilettantismo puro, impreziosito anche da una fugace apparizione nel campionato di Promozione, pochi anni addietro. Adesso, però, le disponibilità economiche sono più magre che in passato. O, forse, l’entusiasmo non regge più come un tempo: e anche il torneo di Seconda categoria è un futuro a serio rischio. Ma c’è sempre una soluzione teorica, prima della liquidazione: la cessione del club. Purchè qualcuno mostri interesse. Cioè, passione. Piazzando sul tavolo denaro liquido: a fondo perduto, ovviamente. Ipotesi difficile: in questo periodo, poi, ancora più ardua. Ma la speanza di risolvere il problema sopravvive. E, inoltre, c’è il supporto della tecnologia. Di internet. Di e-bay, il portale con il quale tutto si compra e tutto si vende. Anche (magari) una società di Seconda Categoria. Esatto, l’Ursus Trani è in vendita su e-bay. In attesa di compratori che scongiurino la liquefazione di una società quasi antica. Attendiamo tutti notizie, allora. Confidando nelle potenzialità del web. E rincuorandoci un poco: in passato, l’Ursus avrebbe avuto una chance in meno. Anche se, da ieri ad oggi, in fondo è cambiato poco, nel calcio sommerso di casa nostra. Nei Dilettanti i club collassavano e collassano ancora. E le disfunzioni calcistiche, adesso, sono più o meno quelle di una volta. Le spese, però, sono molto più alte. E quella vecchia patina di fascino ruspante è evaporata tra la polvere dei campi in terra battuta e l’erba sintetica che avanza. C’è internet, comunque: che non si nega a nessuno. E a nessun affare. Provare per credere.

venerdì 27 marzo 2009

Un derby per spiegare e spiegarsi

In sette giorni il Francavilla perde parcchio. Prima la possibilità di albergare nel salotto del girone (i playoff erano, ad un certo punto, assai visibili: l’alterna credibilità della maggioranza delle concorrenti è la migliore chiave di lettura) e, sùbito dopo, il vantaggio psicologico di poter vivere con un margine sufficiente di tranquillità l’ultima parte del campionato. La quinta sconfitta in Lucania (a Genzano, per la precisione) non drammatizza il cammino della formazione di Francioso, ma indubbiamente l’affatica. E il derby di dopodomani, a Grottaglie, oltre a nascondere un po’ di insidie, rischia di diventare esageratamente delicato per le ripercussioni che un’eventuale caduta potrebbe avere sulla classifica. Il presidente Distante, che sa essere critico severo, sottolinea l’insufficiente aggressività della squadra, sgonfiatasi (sotto il profilo caratteriale, soprattutto) immediatamente dopo il derby felice con il Brindisi. Un derby che, se non l’ha paradossalmente frenato, sembra aver un po’ imborghesito il Francavilla: collettivo che deve, piuttosto, aggrapparsi alle motivazioni e vivere sul filo della tensione. Che non dispone di esagerati argomenti tecnici. E che, per questo, deve garantirsi sul campo la presenza, sempre e comunque. Ma a Genzano il Francavilla ideale non c’era. E non c’era neppure la settimana prima. Il problema, dunque, potrebbe farsi serio. E sette giorni sembrano pochi per spiegare e per spiegarsi. Forse ci riuscirà un altro derby, quello che sta per arrivare. Un derby senza attriti. Ma con troppi interessi che scorrono nel mezzo.

giovedì 26 marzo 2009

Foggia, provarci non è un reato

Le impressioni recenti non mentivano: il Foggia non è (ancora) totalmente affidabile. Non lo è alla distanza: perché la continuità, per ambire, è esenziale. E perché lo spessore interpretativo della formazione di Novelli viene e va. Il Foggia, diciamo così, non è ancora maturo per pensare intensamente ai playoff: come (anche) il match di domenica (vittoria di misura sul Marcianise) conferma. Perché frutto di una prestazione complessivamente lacunosa, incerta. E bagnata dal risultato favorevole proprio sui titoli di coda: malgrado (unica attenuante) le assenze di rilievo come quelle di Pecchia e Salgado, sulle quali il tecnico si è ovviamente concentrato. Eppure, il quinto posto, l’ultimo utile per accedere agli spareggi-promozione, si fa ancora più visibile: e, adesso, dista tre punti. Anche e soprattutto per demerito altrui: l’Arezzo riprende a confondersi e la Cavese frana in casa. Anzi, proprio i campani si fanno inghiottire dal vortice del nervosismo, finendo con il pagare in termini disciplinari il cupo dopo-derby con il Sorrento. E ritrovandosi, di conseguenza, a sopportare un’inattesa agitazione societaria (il presidente Fariello è dimissionario). La Cavese, cioè, proprio in attesa dello sprint, rischia di sfaldarsi. E, allora, il Foggia si deve appropriare del dovere di provarci. Certi segnali, del resto, vanno colti. Anche se la squadra è giovane e ancora acerba. Sì, è giusto provarci. E’ giusto provare a crederci. Già da domenica prossima, sul campo dell’Arezzo: perché il calendario, certe volte, si diverte ad incrociare i destini dei protagonisti. Sì, è giusto tentare. Non costa nulla. E, comunque, domani nessuno potrà rimproverare niente, al Foggia. Qualsiasi cosa accada.

mercoledì 25 marzo 2009

Bitonto, scollamento inopportuno

Molti confidavano nel Bitonto. Meglio ancora: nelle sue virtù gladiatorie, nella praticità del suo nocchiero, nell’essenzialità di una programmazione ideata per catturare la salvezza, nella scontrosa applicazione delle sue caratteristiche fondamentali. E il progetto, in mezzo all’assortimento delle difficoltà, ampiamente previste, galleggiava nel mare della serie D. Il Bitonto, società e squadra, confidava peraltro nella complicità dell’ambiente, nell’apporto pesante di una tifoseria calorosa e partecipe. Nella protezione popolare, che pure diverse volte aveva contribuito a risolvere situazioni delicate. E giocare contro la formazione di Ruisi, in campo avverso, era un pensiero abbastanza ingombrante, per tutti. Poi, con il tempo, si è incrinato qualcosa. Il rapporto tra la squadra e il risultato (sconfitta interna con il pericoloso Pianura e, a seguire, caduta preventivabile a Brindisi) e quello tra la squadra e il suo pubblico. Non si spiega altrimenti la rappresaglia di una frangia del tifo, penetrata all’interno del recinto dello stadio, sùbito dopo il rovescio sul terreno della capolista, domenica scorsa. Rappresaglia cieca, sfogata sulle vetture dei giocatori, rappresentante allarmante di un malessere. O, comunque, di uno scollamento. Che segna il momento, assolutamente delicato, del Bitonto. Timoroso, adesso, di essersi compromesso il sostegno proprio quando il sostegno diventa un ingrediente decisivo.

martedì 24 marzo 2009

Cassano e la Nazionale

Bari si risveglia. Bari sogna. Bari recupera il tempo perduto. Bari si riaffaccia alla finestra principale. Il momento felice della città, calcisticamente parlando, è sintetizzato anche dal dirottamento, sull’erba del San Nicola, di un capitolo (importante) dell’avventura della Nazionale di Lippi verso il prossimo Mondiale. Italia-Irlanda, il primo aprile, non è proprio un confronto qualsiasi: anche se, sin da ora, l’assenza dalla lista dei convocati del barese Antonio Cassano fa rumore. Soprattutto adesso: quando il talento di via San Bartolomeo brilla di forma invidiabile. Non abbastanza, tuttavia, da intenerire il tecnico di Viareggio, evidentemente consigliato da un’architettura tattica che non prevede (non ancora, almeno) l’apporto del fantasista doriano e, si dice, anche dall’ostilità interna di qualcuno che non gradirebbe il ragazzo in squadra. Pazienza, allora: le scelte vanno accettate. E chi pone in discussione il proprio operato (Lippi, appunto) deve necessariamente possedere il diritto di scegliere. Senza dover subire pressioni geopolitiche. Quelle, magari, peseranno più tardi. Quando, magari, Cassano cambierà casacca: finendo per indossare quella della Juve, come si ipotizza a voce alta. Domani, magari, l’amarezza verrà cancellata. Nel frattempo, però, Cassano dovrà attendere. E sperare che la trattativa di mercato si definisca davvero. Ecco, sì, probabilmente, domani verrà scritta un’altra storia. E gli equilibri cambieranno: talvolta, basta modificare i colori. Scommettiamo?

lunedì 23 marzo 2009

Oggi il Grottaglie è salvo

Oggi, il Grottaglie sarebbe salvo. Ma, oggi, il campionato è ancora vivo. Anche troppo. E il riscontro parziale non serve. Il Bitonto, che perde a Brindisi, è dietro. E dietro è sempre l’Angri, ch cade nella casa del Pianura. Come il Genzano, discretamente rivitalizzato. Serve di più, certo, il successo di Venafro (uno a zero), strumento assai utile per immagazzinare convinzione. Uno a zero, omaggio sincero di Pastano (girata di destro vincente) e concessione forzata dell’imprecisione molisana, che non capitalizza qualche esitazione altrui. La terza linea dell’Ars et Labor, per essere chiari, cede spesso e, ovviamente, si tratta di un dettaglio da non sottovalutare, in questo preciso momento storico. Nel quale, ne abbiamo già parlato, la formazione di Orlando si appresta a combattere un paio di scontri diretti in campo avverso e qualche altra sfida non particolarmente rassicurante. Però, è la sensazione di continuità (dei risultati) a ravvivare il Grottaglie: mai così in alto, prima di adesso, in classifica. E mai così vicino al traguardo, statisticamente parlando. Ma anche abbastanza intelligente per capire che, senza l’attenzione del caso, i pronostici si rovesciano facilmente.

domenica 22 marzo 2009

Manfredonia, ultima chiamata?

La trasferta di Lamezia (un punto di parziale soddisfazione, due punti di logici rimpianti, persi nelle ultime battute del match) non incoraggia troppo, ma rincuora un po’. Il Manfredonia continua a sperare, perché non possiede alternative. E, se affiora qualche lieve progresso, è tutto guadagno. L’ultima gara, intanto, può (deve) rappresentare il punto di ripartenza sulla strada di una salvezza oggettivamente tutora assai distante. Distante in virtù del concetto secondo il quale la squadra di D’Arrigo deve ritrovare la testa, prima delle gambe. Autoconvincendosi che ancora niente è deciso. L’ultima settimana di riposo forzato (il campionato di quarta serie oggi è fermo) è occasione utile, invece, per riorganizzare le idee: anche perché, da qui in poi, è vietato scherzare. E gli errori, adesso, si pagheranno tutti, per intero. Il club sipontino, però, emette un segnale che esclude il pericolo di resa: e, in occasione dello scontro diretto (interno) con l’Isola Liri, alla riapertura del torneo, decide di deprezzare i tagliandi d’ingresso allo stadio. Tutti insieme, appassionatamente: per un obiettivo. L’unico obiettivo. La C2 è un bene prezioso, da difendere con l’aiuto della gente, come nelle favole migliori. Tutto giusto, tutto bene: il messaggio è chiaro. E la squadra dovrà raccoglierlo: senza svagatezze, misurandosi con ardore. Il vecchio Manfredonia, per intenderci, non serve. Serve, piuttosto, una versione aggiornata della squadra: questa potrebbe essere – non scherziamo affatto - l’ultima chiamata. Niente di più, niente di meno.

sabato 21 marzo 2009

Lecce, mentalità cercasi

Sta lavorando, De Canio. Lontano dal pessimismo e dalla rabbia di Lecce. Lontano, il più lontano possibile, dall’epicentro della polemica. Sta lavorando sull’erba di Martina, cercando coesione, tranquillità e chiarimenti tattici per una squadra che non risponde alle sollecitazioni. E che frana. Il ritiro in Valle d’Itria si esaurisce oggi. E domani è di nuovo campionato: ad incrociare i tacchetti di Castillo e soci c’è l’Atalanta. Ed è di nuovo sofferenza. A proposito: il tecnico, in settimana, ha sottolineato l’esigenza di dover assaltare l’avversario, di segnare, di aggredire la situazione. Solo segnando, ci si può salvare. Solo segnando, si può vincere. E’ vero. Non esiste alternativa: soprattutto a questo punto del cammino. In cui, nei bassifondi del torneo, imparano a collezionare punti quasi tutti. Neanche il pareggio paga, come dimostrano i recenti, ma effimeri, progressi del Torino. Sperare, allora, significa proporsi. Scrollarsi, cioè, quella patina di indifferenza (o di impotenza) che aveva accompagnato il Lecce dalla soglia del centroclassifica alla lotta più calda. Battagliare vuol dire provarci. E cambiare la mentalità.

venerdì 20 marzo 2009

Urlare. Per difendersi

Non ci sbagliavamo: la guerra dei nervi è abbondantemente cominciata. E il Bari naviga nel mezzo. Proprio quel Bari bistrattato dalla direzione di gara, a Grosseto, nel turno infrasettimanale: dove un penalty non appare e il sigillo della vittoria, a gara in attesa di archiviazione, scompare. Due motivi per smentire le voci (e per zittire le accuse) di supposta sudditanza psicologica arbitrale nei confronti del club dei Matarrese: che, da qualche tempo, spazzano i vicoli del campionato di B. Sì, la guerra è in piena evoluzione. E, comunque vada, sarà meglio munirsi. Alzando la voce: come Antonio Conte fa ormai spesso. Seguito, questa volta, pure dal diesse Perinetti. Un’operazione che serve sempre, prima o poi. In un Paese dove tutti parlano e pochi ascoltano. E dove serve urlare: talvolta, non per attaccare. Ma per difendersi.

giovedì 19 marzo 2009

Andria già apprezza Chiancone

C’è la certezza di un dato: da quando Roberto Chiancone è il suo nocchiero, l’Andria consegue puntualmente il risultato pieno. Cioè, da tre settimane. Assecondando, così, le esigenze del club, insoddisfatto del calcio praticato dalla precedente gestione-Di Leo e, soprattutto, dal percorso insicuro di un collettivo ormai promessosi ai playoff. Chiancone, del resto, è l’uomo chiamato espressamente per rifinire il progetto già abbozzato e finalizzato ad una (ardua) promozione in seconda battuta. E le sue teorie intrise di praticità e realismo sembrano facilmente conciliarsi con le ambizioni dichiarate. Malgrado l’onestà intellettuale del coach sottolinei certe lacune ancora evidenti come gli inconvenienti di gestione del risultato (domenica, tuttavia, l’Andria è passata con onore sul campo dell’Isola Liri) e la scarsa reticolazione delle operazioni di possesso, macchiate da un fastidioso scavalcamento della linea mediana. Dettagli sui quali il tecnico potrà lavorare sfruttando la sosta, prima di riannodare il discorso con il campionato a Catanzaro, nel posticipo del lunedì. Esattamente dove l’Andria si giocherà le possibilità di ambire anche al terzo posto: appena un mese fa poco meno di un miraggio. Anche per questo, dunque, Chiancone ha già catturato la piazza. Non senza aver prima affidato alla squadra il suo quoziente di personalità.

mercoledì 18 marzo 2009

Il Barletta e l'obiettivo

Dalla prestazione di Scafati sgorgano emozioni limitate, indicazioni genericamente confortanti e un punto che serve a sopravvivere con serenità, senza doversi spendere in alcuna progettualità futura. Il Barletta trova quello che cerca (il pareggio, appunto), affidandosi ad un’organizzazione ormai consolidata (era tempo, del resto) e ai criteri di cautela. Soddisfacendosi di quello che conta: non perdere, ovvero mantenere la sequenza d’imbattibilità. Bene così: dopo tutto, il club si avvicina compiutamente alla mèta che si prefiggeva di raggiungere: una salvezza più che dignitosa. Ma traguardo, forse, vagamente riduttivo, per le possibilità oggettive della squadra, nettamente rafforzata prima del girone di ritorno. Alla quale la cura disposta da Sanderra, trainer subentrato a lavori in corso, ha assicurato più compattezza, risultati al qua della soglia della preoccupazione e, contemporaneamente, anche qualche desiderio inespresso. O immediatamente troncato. Cioè, il raggiungimento dell’obiettivo e niente di più. A due mesi dalla conclusione del campionato. Due mesi di tranquillo anonimato, senza felicità.

martedì 17 marzo 2009

Gallipoli, leadership in comproprietà

Ci sono momenti in cui occorre accettare di rigiocarsi la credibilità e affrontare le avversità del campionato. In cui il Gallipoli deve inghiottire l’amaro e ripartire. La sconfitta dolorosa di Arezzo appiattisce la classifica (ora il Crotone di Moriero è lì, a condividere la leadership), ma piove quando il pareggio appare saldamente tra i piedi di Mounard e compagni. Certo, il posticipo è di approccio impegnativo: la gente di Giannini, pressata ed aggredita, si protegge a lungo, deve arginare la verve toscana, lavorare con fatica, spezzare il ritmo altrui. La novità tattica (Ginestra è temporaneamente dirottato tra le linee) si scontra con le esigenze di presidio e tamponare non è semplice: eppure, nel passaggio più delicato del match, il Gallipoli resiste con dignità. Quando, però, è tempo di reagire (o quando l’Arezzo è obbligato a decelerare), il collettivo jonico certifica di poter anche mordere e, comunque, di poter guadagnare campo. Cioè di appropriarsi delle operazioni. Saper soffrire e saper riorganizzarsi: certe volte è fondamentale. Eppure, nella parte di gara più felice, Baclet sfugge al dispositivo difensivo e il Gallipoli cede. Anche perché il tempo per ridiscutere il risultato è davvero limitato. Zero a uno: e pagina girata. Niente di irreparabile, ovviamente: purchè la squadra sappia assorbire l’ematoma, ribellarsi al contrattempo e smaltire velocemente la delusione. La qualità del gioco non era e non è un problema. Piuttosto, questo è il momento di aggrapparsi al carattere e alla personalità. Perché arriva sempre il giorno in cui la credibilità diventa un bene da difendere e conservare.

lunedì 16 marzo 2009

Francavilla, basta la salvezza

Quasi al traguardo. Il Francavilla inciampa negli ultimi assalti della Nocerina, vanificando la possibilità di avvicinarsi sensibilmente alla soglia dei playoff. Ma il pari (due a due) è un verdetto sostanzialmente esatto, che aggrada anche il Brindisi, libero di allungare (nuovamente) sui campani. Sfugge, dunque, il successo e sfugge, probabilmente, pure un’occasione più che interessante per sentirsi grandi e utile a progettare un domani più intrigante. La squadra di Francioso, peraltro, è meno risoluta e meno incisiva – in un aggettivo, meno fluida – di quella vista recentemente proprio contro il Brindisi, cioè in un match innervato da caratteristiche simili. E soffre eccessivamente le incursioni laterali che tagliano la retroguardia. Francavilla e Nocerina si dividono campo, timori e reticenze. Accelerano saltuariamente, Gallù e soci: sbloccando il risultato a ridosso di un infortunio avversario, dagli undici metri. I salernitani riequilibrano lo score immediatamente, ritrovandosi però ancora ad inseguire, prima dell’intervallo: deludendo, complessivamente, ancora una volta. E dimostrando, sin dall’inizio, di accontentarsi della divisione della dote. Divisione della dote che, per il Francavilla, rappresenta una tappa di avvicinamento all’obiettivo di partenza. La salvezza, se ancora non aritmetica, è oggettivamente definita. Ed è giusto allietarsi, per questo. Altri eventuali progetti sembrano troppo impegnativi, per il momento. E i tempi per disegnarli non ancora maturi. Semplicemente.

domenica 15 marzo 2009

La guerra dei nervi è appena cominciata

Inevitabilmente, la polemica si estende. Dentro, c’è il Bari, ci sono gli arbitri e sembra essrsi arroccata una concorrenza allargata. Il club di via Torrebella si difende e, quindi, attacca: le parole di Antonio Conte, nel corso della scorsa settimana, graffiano, stagnano («Questa squadra è in vetta al torneo con merito, gli avversari se ne facciano una ragione»). E le accuse altrui si alimentano: adesso arrivano anche quelle del’Avellino, superato ieri nettamente (tre a zero), ma anche insoddisfatto dell’atteggiamento del direttore di gara. Il tecnico e la società avevano captato per tempo gli umori del campionato: ribellandosi. E, ovviamente, chi vive dall’altra parte della barricata, cavalca il momento. E’ il gioco delle parti: ed è persino tutto normale. Non sappiamo se esiste esiste un disegno comune per osteggiare il Bari, ma sicuramente certe voci possono infastidire e, soprattutto, il clima creatosi può cominciare a rabbuiare gli animi. O ad eccitarli. Gillet e soci gestiscono il loro invidiabile stato di forma (supremiazia larga e chiara, anche nell'ultimo match) e, intanto, devono mantenersi pronti a tutto. La guerra dei nervi è appena cominciata.

sabato 14 marzo 2009

Il Foggia in piazza

A certe latitudini, evidentemente, è impossibile dribblare gli attriti. O attendere il futuro allineati e coperti. O soltanto soprassedere. C’è sempre un problema da inventarsi. O un nemico da combattere. E’, forse, una questione di tradizione. A Foggia la serenità recuperata a Gallipoli, nell’ultima manche di campionato, è sùbito infranta. Basta una semifinale di Coppa Italia, malamente gestita e regalata al Sorrento, e un richiamo severo e plateale del tecnico Novelli a Posillipo, giovane rampante colto in difetto. In panchina, a gara in corso, davanti al mondo intero. Episodio antipatico, certo. Che il presidente Capobianco ha stigmatizzato, a ragione. Se ne parli, piuttosto, nel chiuso degli spogliatoi: questo il concetto (condivisibile) del numero uno del club. Capobianco, sgridando Novelli (che non ha gradito, così come il diesse Fusco, accorso in soccorso del trainer), commette però lo stesso errore. Trascinando in piazza un chiarimento che avrebbe potuto (e dovuto) consumarsi lontano dalla gente e dall’opinione pubblica. E ottenendo due pessimi risultati: l’amplificazione di un confonto verbale (tra Novelli e Posillipo) che, probabilmente, si sarebbe annacquato da solo e la tracciatura di una crepa nel rapporto tra il vertice societario e due dipendenti

venerdì 13 marzo 2009

Una storia senza buon senso

Questa è una storia sommersa. Una storia di semplice definibilità. E di cattiva gestione. Dove si assenta il buon senso. Oppure, è una storia di scarsa intelligenza regolamentare. Dove difetta il coraggio: di ravvedersi e ammettere l’errore. Una storia al termine della quale il protagonista dovrebbe essere fermato, definitivamente: non per la distrazione (quella va perdonata), ma per l’incapacità di volervi rimediare. Sentite: a Gioia del Colle, un paio di domeniche addietro, la squadra di casa (campionato di Prima Categoria) sostituisce un under con un altro under. Rispettando la norma. Il direttore di gara, tuttavia, trascrive male, ratificando la sostituzione dell’under con un senior. E, dunque, regalando la vittoria a tavolino all’incolpevole (e neanche tanto felice) Casamassima. Il reclamo è inoltrato, prontamente. Ma la Commissione Disciplinare non può modificare nella sostanza la prima decisione del giudice sportivo: perché l’arbitro conferma la propria versione. Azzerando, di fatto, le riprese filmate allegate dalla società gioiese. E aprendo un nuovo caso, che inquieta. Non fosse altro perché stabilisce una volta di più l’impotenza degli organi giudicanti, anche di fronte ad una prova provata. Il Gioia, dunque, perde il ricorso e un punto in classifica: che, magari, non inficerà sulla classifica finale. Ma che abbruttisce il concetto di regolarità del torneo e di trasparenza delle normative. Certo, il punto sottratto al Gioia e i due accollati al Casamassima non turberanno neppure troppe coscienze: la Prima Categoria è una cosa piccola e interessa pochi. E’ calcio da scantinati, tanto peggio per chi ci vive dentro. Non meravigliamoci, però, se gli addetti ai lavori e la gente della strada restano sempre più diffidenti nei confronti della categoria arbitrale e delle modalità con cui amministra l’espletamento della propria funzione. Avversata, nel dilettantismo pugliese, in questa stagione, da sussurri antipatici e poco edificanti. E non meravigliamoci del malanimo che alberga e, talvolta, divampa sui campi di casa nostra. Contro il quale le frasi didascaliche e le parole sensate si sbricionano inutili. Scontrandosi col vento.

giovedì 12 marzo 2009

Casarano, prima tappa del progetto

Era solo questione di tempo. Era già tutto chiaro, da un po’. Il Casarano si riaffaccia in serie D: la Liberty Bari è un concorrente alla promozione che non sa arrivare in fondo. Che, in fondo, arriva senza fiato e senza tono. Il salto di categoria della squadra di Bianchetti viene pianificato sin dall’estate: e arriva con tre settimane di anticipo. Tutto esatto: festeggia il più forte, il più attrezzato. Malgrado qualche accusa arrivata dal capoluogo regionale, che però non può cancellare la sostanzialità di numeri. I numeri di un torneo assalito sin dall’avvio e osteggiato da qualche incidente di percorso, sùbito riparato. Perché, alla distanza, emergono i valori. I valori veri. Quelli di un organico qualitativamente superiore. E, almeno per una volta, compatibile alle esigfenze (particolari) di una stagione in Eccellenza: dove non conta solo la tecnica e il blasone dei singoli. Il Casarano torna in D: dopo anni bui e investimenti importanti. Come quelli (vani) dell’anno scorso. E come quelli (vincenti) di oggi. Con un entusiasmo contagioso (la tifoseria, tradizionalmente calda, si sta riabituando ai risultati felici: la parallela affermazione in Coppa Italia va inserita nel conto) e con una società forte. Che è, sempre e comunque, il motore migliore di una macchina di successo. Torna in D, il Casarano: perché, con questi presupposti, era giusto ed è giusto così. Ma torna in D, ne siamo consapevoli sin da adesso, non per partecipare soltanto. Ma per avvicinarsi alle antiche postazioni perdute: è questo il senso vero del progetto della famiglia De Masi, che amministra i pruriti del sentimento popolare. Ed è questo l’obiettivo: che, recentemente, ha animato piazze di prestigio come Monopoli e Brindisi: puntualmente premiate. In D, ma solo di passaggio: questa è la volontà. Ci sono anche i precedenti, a confortare. Evidentemente, si può: programmando. E investendo, è ovvio. Il momento storico consiglia di provarci.

mercoledì 11 marzo 2009

Beretta, tutto previsto

Tutto previsto. Il Lecce si fa male pure con la Reggina e Beretta paga i limiti altrui (di chi scende in campo) e, ovviamente, quelli propri (le numerose variazioni tattiche adottate negli ultimi tempi, ad esempio, lasciano pensare). Scontando, se volete, anche la volontà della tifoseria: e, perciò, l’ormai larga impopolarità. Via Beretta, ecco De Canio. Punto e a capo. Verso l’obiettivo minimo, che è poi quello massimo: la salvezza. Avversata, oggi, da uno scoramento dilagante, che male si coniuga con la reale posizione di classifica, tutt’altro che irrimediabile (la soglia di sicurezza è sempre vicinissima, dopo tutto). Preoccupa, piuttosto, quell’atmosfera mesta che stagna attorno all’ambiente. E preoccupa quell’aria da resa quasi incondizionata che avvolge la squadra, ormai da parecchio. Non ci sono progressi: tecnicamente e non solo tecnicamente, nell’ultimo mese il Lecce si è progressivamente impoverito. De Canio, allora, eredita una classifica fastidiosa, ma non ancora compromessa. Ma anche una condizione psicologica da risanare: una verità che, più di ogni altra, ha defenestrato Beretta, allenatore di una squadra moribonda (parole di patron Semeraro). Un’accusa precisa, un verdetto già scritto.

martedì 10 marzo 2009

Brindisi, dieci giorni in controtendenza

Due punti in duecentosettanta minuti. E nessun gol realizzato in dieci giorni, ovvero in tre partite, le ultime. Cifre da squadra in difficoltà. Cifre che fanno riflettere, se parliamo del Brindisi. Cioè del collettivo più forte del campionato. Della formazione più credibile del torneo. Di quella che, appena un paio di settimane fa, aveva sigillato la promozione, annientando la Nocerina. E scavato un solco profondo dalle inseguitrici: dodici punti. Dodici punti diventati, in pochi giorni, sette. E, da domenica, otto. Solo perché i campani, a Venafro, in casa dell’ultima forza del girone, cadono. Proprio mentre il Brindisi impatta a casa sua con il laborioso Grottaglie. Impatta senza segnare, oltre tutto: condizione anormale, per le potenzialità dell’undici di Silva. Al di là delle assenze (pesanti) di artiglieri come Moscelli e Galetti. Ricondurre tutti i problemi alle defezioni, però, sembra eccessivo. Perché è l’onda d’urto tradizionalmente prodotta il miglior alleato del Brindisi. Che, per esempio, a Francavilla si è consegnato troppo. E, ad Angri, si è un po’ imborghesito. Faticando, di fronte al Grottaglie, anche in fase d’impostazione. Difettando, come ha sottolineato il suo stesso tecnico a fine gara, pure sul piano della corsa. Il problema, evidentemente, è più profondo. E, anche se il vantaggio sulla Nocerina è addirittura incrementato, non va sottovalutato. Innanzi tutto, sarà lecito capire se il malanno nasce da un calo atletico o fisico e, dunque, fisiologico. Sul quale occorrerà lavorare: non esistono terapie alternative. Oppure se il rallentamento nasconde una natura emotiva. Se, cioè, il Brindisi si è adagiato psicologicamente, dopo aver praticamente seppellito la Nocerina. Fosse questa la motivazione, Silva dovrà riparare in fretta, con nerbo. Un campionato finito e poi riaperto è un assillo esclusivo di chi è inseguito. Perrchè chi insegue non ha più niente da perdere. Ed è un assillo che può essere devastante: perché può trasformarsi in paura. E la paura, davanti al traguardo, è un sentimento difficile da governare.

lunedì 9 marzo 2009

Noicattaro: poca fame?

L’Igea è giudiziosa: sa dove può arrivare e cosa vuole ottenere. Per questo, si costruisce una partita su misura, dove è necessario cautelarsi e allontanare il pericolo. Esprimendosi con pratico realismo, senza esigere troppo. L’Igea gioca il suo calcio semplice e silenzioso, magari anche un po’ scontato: ma cattura l’obiettivo che si è prefisso, cioè il pareggio. Il Noicattaro, settantacinque minuti su novanta, è anonimo. Non capisce dove può arrivare (alla vittoria: basterebbe qualcosa in più) e, soprattutto, non si spreme per raggiungerla. Si sveglia in ritardo e, quando si sveglia, si riaddormenta immediatamente. Gioca il suo calcio quieto, compatibile più con le ultime battute del torneo, che con un appuntamento utile a definire il discorso della salvezza, ancora da affrancare. E, puntualmente, non ottiene quello che dovrebbe e potrebbe raccogliere. La somma è un match sgualcito e povero di contenuti: che lo score finale (zero a zero) sintetizza con efficacia. Il punto guadagnato, intanto, soddisfa ugualmente, perché mantiene Zotti e compagni a distanza di sicurezza sui limiti del pericolo. E non offusca troppo l’umore di Sciannimanico: che, dopo il novantesimo, coglie pure l’occasione di chiarire che il recentissimo azzeramento del contratto di Deflorio non nasce dai sussurrati dissidi tra il tecnico e il giocatore. Non avevamo dubbi, del resto: conosciamo i fatti e quanto c’è dietro. E conosciamo il momento di bassa pressione che sembra avvolgere la piazza, deturpando un momento storico complessivamente felice. Come confermano i cori di scherno della curva nei confronti del resto del pubblico e un nuovo capitolo nel processo di scollamento tra la gente e il club (poche presenze sulle tribune, ancora una volta). Ma così è. E con questi argomenti occorre andare avanti. Confidando in una squadra sempre affamata. E, da questo punto di vista, ieri, la partita del Noicattaro ha insinuato un dubbio.

domenica 8 marzo 2009

La storia scalfita dal vento

Giocherà a Nardò, oggi. Come previsto dal calenadrio del campionato regionale di Promozione. Ma non sul proprio campo, domenica prossima. Per quella data, il Novoli sarà costretto ad emigrare: a Trepuzzi, pare. Il suo stadio, ora, è inagibile. Le mura perimetrali dell’antico Totò Cezzi si sono accartocciate su se stesse in una difficile alba di questa settimana. Aggredite e violentate dalle raffiche di un vento insensibile ai miti e alla storia del calcio di provincia. Perché il Cezzi è parte integrante della storia del pallone di queste contrade. E non solo per avere vissuto da protagonista la quarta serie, quando la quarta serie era un torneo di livello tecnico rispettabilissimo, paragonabile a quello che oggi è la C1. O, forse, di più. O per aver inseguito la corsa, i contrasti e le emozioni di un calcio che ha ormai perso l’appeal, i tratti somatici e la magia di un tempo. Sì, il Cezzi, nel Salento, era (e, sempre di più, sarà) la fotografia collettiva di una pagina ingiallita, dov’è passato un pezzo di storia sportiva di Puglia. Forse, è anche merito di quell’ingresso monumentale, che raccoglieva e selezionava i ricordi. E, forse, dobbiamo silenziosamente abituarci al postulato secondo cui niente più sarà come prima. Sì, forse dobbiamo rassegnarci, velocemente. Dopo aver subito gli assalti della contemporaneità ottusa e dopo aver perso la numerazione progressiva sulle maglie, troppe consuetudini credute superate, diversi spicchi di libertà e parecchi sogni, dobbiamo evidentemente prepararci a perdere anche gli ultimi simboli di un calcio che è stato e che non tornerà più. Per demerito di chi controlla il traffico e, dunque, anche della collettività che – consapevolmente o no – approva e ratifica. O dimentica, quando va bene. E che, se non dimentica, soprassiede. Contribuendo a distruggere. Il Cezzi era malato da tempo. E chiedeva urgentemente soccorso. Non l’ha ottenuto. E il vento, in un’alba amara di marzo, l’ha sfregiato. Per sempre.

sabato 7 marzo 2009

Manfredonia: e se il problema fosse davvero serio?

Si può perdere con discreto onore (domenica, in casa, di fronte al Gela, al termine di una prestazione non totalmente negativa: ma l’invalidamento avventato di una marcatura di Marchano lascia discuetere e incupire). E si può perdere male (anzi, malissimo: il recupero del mercoledì, a Melfi, consegna una squadra confusa, vicina alla resa). Al di là delle modalità, però, in tre giorni il Manfredonia sprofonda, vanificando anche quelle motivazioni suplettive che, solitamente, animano gli organici che si ritrovano una guida tecnica nuova (Mancano per D’Arrigo). Il cielo, cioè, era plumbeo: e adesso è nerissimo. E non si vede l’orizzonte: forse perché la squadra non crede più in se stessa. Forse perché tutto transita contromano ed è scritto che così deve essere, più o meno sino in fondo. Forse perché gli ultimi acquisti (più che discreti, tecnicamente parlando) non hanno saputo supportare il nucleo originario con la freschezza e la mentalità necessarie. O forse perché questo Manfredonia vive di mali profondi, ormai radicati e incurabili. Lorenzo Mancano l’ha capito sùbito, però: facendosi da parte, appena una settima dopo. E tornando al settore giovanile, da cui proveniva. E favorendo il ritorno in panchina di D’Arrigo: uno che conosce il gruppo e che, adesso, dovrà tornare a cercare quelle soluzioni spendibili sfuggite sino ad ora. La società, allora, davanti alla realtà torna indietro. E rilancia la vecchia sfida: sostenuta, forse, da un ravvedimento valoce. Oppure stritolata dalla paura che annebbia le idee. Se l’ipotesi giusta è la prima, ben venga. Se è la seconda, il problema è davverio serio.

venerdì 6 marzo 2009

Monopoli, la salvezza deve bastare

Chi l’ha seguito, racconta di un Monopoli un po’ affaticato, discretamente stanco. Devitalizzato dall’ancora receente rincorsa ad una classifica più rassicurante (e ormai salda, pare di capire), prima ancora che dai vani assalti dedicati al Cassino, appena domenica scorsa. Nella partita che, di fatto, rappresentava l’ultima porta d’accesso al club dei grandi del girone. Un consorzio che, a questo punto, sembra aver definitivamente rinunciato ad accogliere la squadra di Geretto e, contestualmente, anche i laziali diretti da Patania: che, al Veneziani, catturano il punto senza fibrillare, resistendo con lode. Fine del progetto di grandeur, dunque: ma senza disperarsene. Non è il caso. Né esiste una motivazione ragionevole: anche in virtù dell’avvenuto arricchimento tecnico di diverse concorrenti, che stride con la seconda sessione di mercato monopolitana, modellata dalla politica del contenimento delle spese e sintetizzata, peraltro, nella perdita di Pugliese. Alla quale, peraltro (e provvidenzialmente) non si è aggiunta quella di Ceccarelli, tuttora leader degli artiglieri del campionato. Malgrado un’efficacia vagamente raffreddata, da qualche tempo. Fine del progetto playoff, ufficialmente: sempre che il Monopoli l’abbia voluto o potuto davvero inseguire. Come ammette candidamente coach Geretto, alla fine dell’ultimo impegno. Prima di osservare la graduatoria e di comprendere come, invece, sia oggettivamente prossima la conquista della quota salvezza. L’unico obiettivo di partenza. E l’unico obiettivo reale: sin dal principio. Cioè, quanto basta per rallegrarsi immensamente, pensando alle difficoltà dell’estate.

giovedì 5 marzo 2009

Pareggiare e godere: un segnale per il Gallipoli

No, non è giusto parlare di un Gallipoli distratto. Anche se il pareggio di domenica un po’ lo frena. No, il Gallipoli è vivo. E ancora saldo. Il derby, piuttosto, descrive un bel Foggia. Un Foggia tonico, reattivo. Che, all’improvviso, impara a realizzare pure nelle sfide esterne: proprio quando, sempre più spesso, l’efficacia latita nei match disputati sul campo di casa, lasciando presagire una radicale inversione di tendenza. No, non è giusto lamentarsi del Gallipoli: e non solo perché la stessa squadra di Giannini non ha il coraggio di lamentarsi di se stessa, malgrado un vantaggio recuperato (e perso) due volte. E nonostante una prova di personalità, per larghi tratti: che tampona qualche leggerezza e un po’ di nebbia materializzatesi nella prima parte di gara. Del resto, sarà bene rassegnarsi ad una realtà: non esiste, in tutta la terza serie, una forza così tenace da determinare il divario, sempre e comunque. Come, peraltro, raccontano le storie parallele di chi concorre per un posto in B. E sì: accade di nuovo, per esempio, che il Gallipoli inciampi e, contemporaneamente, le inseguitrici si distraggano (il Crotone perde a Potenza). Incrementando il vantaggio. Accade ancora: e, allora, si scopre persino che Ginestra e soci escano complessivamente fortificati da una domenica senza successo. Un segnale?

mercoledì 4 marzo 2009

Beretta, lo spazio si restringe

Beretta non ci sta. E grida il proprio malumore. Soprattutto perché il tecnico milanese si rende conto che gli spazi, attorno a lui, si restringono fatalmente, inevitabilmente. E che la saldezza della panca del Lecce è assolutamente precaria. Malgrado le dichiarazioni di circostanza e il pensiero ufficiale del club: che va apprezzato, per la serietà e per la sobrietà con cui il vertice vive il momento storico. Beretta protesta. A ragione, anche: il Lecce, ad Udine, è penalizzato dalle interpretazioni arbitrali (manca un penalty evidentissimo, ma non solo), che pregiudicano il risultato finale. Interagendo, peraltro, con i limiti antichi del collettivo. Che, costretto a rimediare allo svantaggio, s’impantana e affonda regolarmente. Beretta urla e ne ha facoltà. Anche se i problemi restano: insoluti. Tanto da allargare la frattura tra la squadra e la tifoseria. Adesso, persino, si muove chi rappresenta la città: e un consigliere comunale spedisce al patron Semeraro una lettera aperta che caldeggia la riassunzione di Papadopulo, il trainer liquidato al termine della passata stagione e chiaramente dissociato dalle posizioni del diesse Angelozzi. Pankiewicz, amministratore locale dal nome che tradisce origini polacche, assicura di parlare in rappresentanza di un gruppo di supporters e non a titolo personale. E crederlo è facile: in Salento, ormai, le quotazioni di Beretta scendono progressivamente. Ed è facile pensare che, prima o poi, la società dovrà prendere atto del sentimento popolare. Che non sarà sovrano: ma che, alla fine, condiziona. Soprattutto se la protesta si arricchisce di sollecitazioni più o meno istituzionali. Che potranno essere combattute, già domenica prossima (perché Beretta, per il momento, resta dov’è), con la vittoria (allo stadio di via del Mare sale la Reggina). Vittoria che, da sola, però, non basterà: il Lecce, contestualmente, dovrà cominciare a convincere. Perché tre punti isolati non risolveranno molto. Allungando soltanto i tempi di attesa dentro uno stato di disagio.

martedì 3 marzo 2009

Quella frase infelice di Ruisi

Il Bitonto, lo sappiamo, è squadra di ruvida praticità. Non è un caso, allora, che oggi sia (appena) fuori dal quartiere dei playoff e che la squadra di Riusi sia riuscita, domenica, a risolvere un’altra situazione intricata. Cioè a forzare il dispositivo arretrato della Gelbison di Longo, in coda ad un match un po’ sporco, tecnicamente parlando. E a recuperare la strada del successo, al culmine di una prestazione costata sudore e fatica e, a tratti, slabbrata. Ma rispettare gli obblighi dettati dal fattore campo, di questi tempi, è essenziale: e Infantino e soci si stanno adattando (nove punti nelle ultime tre gare interne). Potendo contare, oltre tutto, su un ambiente sempre caldo. A proposito: c’è frizione tra un parte del pubblico bitontino e l’allenatore. Che non è frutto di motivazioni tattiche, questa volta. Anzi. E’ una storia un po’ antipatica di sospetti e accuse di delazione. Lo stesso Ruisi, a fine match, ha voluto puntualizzare: non è lui ad aver smascherato una frangia di tifoseria, ritenuta responsabile di recenti e poco raccomandabili comportamenti . Aggiungendo che la sua estrazione geografica (è di Palermo) gli vieterebbe moralmente di sentire e denunciare. «Non sono una spia, sono siciliano», fa sapere dai microfoni di un’antenna locale. Qualcuno, a Bitonto, adesso potrà anche ritenersi sollevato e qualcun altro, magari, non sarà ancora soddisfatto. Ma la frase, pubblicamente divulgata, è assai infelice. E scomoda, da ascoltare.

lunedì 2 marzo 2009

Il Grottaglie non si aiuta

Resistere (cioè salvarsi) significa anche doversi aiutare. E il Grottaglie, di fronte al Pianura, non si aiuta. Fallendo (con De Angelis) l’occasione da tre punti, travestita da penalty a metà ripresa. E uscendo dal match sùbito dopo, psicologicamente provato. Non cambia niente, ovvio: la battaglia prosegue. E la classifica resta quella che è: precaria. O, forse, sempre più esplicita: perché – ormai è chiaro e limpido - sono solo Bitonto (ora virtualmente salvo), Angri, lo stesso Grottaglie e (probabilmente) anche Genzano a doversi giocare l’unica poltrona della tranquillità, quella che esclude la lotteria dei playoff. A meno di improbabili sconvolgimenti, almeno. Al D’Amuri, la gente di Dino Orlando parte un po’ lenta e sembra imballata. Ma l’avversario gioca e lascia giocare: e, allora, si può persino proporre qualcosa, rischiando qualche ripartenza insidiosa. L’iniziativa, quando c’è, è però sterile. E l’appassimento, a calcio di rigore sprecato, è evidente. A gara conclusa, peraltro, ci si accorge che le azioni più pericolose dell'ultima mezz'ora sono state scritte dalla formazione napoletana, che poi vanta singoli di qualità certa. E che, senza una cifra agonistica elevata da spendere sul campo, il futuro di Latartara e compagni è più complicato del previsto. Come sottolinea un calendario orribile: adesso si va a Brindisi e, più tardi, occorrerà presentarsi, per esempio, anche a Nocera e Pomigliano. Ma non solo: perché i due scontri più attesi e, chissà, anche decisivi (contro Bitonto e Angri) sono programmati lontani dall’erba amica. Abbastanza per tremare. E per rimpiangere quello che, in casa, sfugge allegramente.

domenica 1 marzo 2009

Guberti, l'uomo in più

Il Bari non tradisce, a Mantova. Colpisce, raddoppia e si stringe al Livorno, in vetta. Issandosi, sempre di più, su una qualità di fabbrica che, evidentemente, ha imparato a sfruttare con frequenza matematica: la personalità. E, perché no, approfittando delle indecisioni altrui (del direttore di gara: onestamente, il primo sigillo – quello di Guberti - è viziato da un movimento in offside e poi, magari, c’è anche dell’altro). I numeri, però, cominciano a riconoscere senza ombre lo spessore di certe argomentazioni. Dunque: la formazione affidata alle cure di Antonio Conte passa in trasferta per la sesta volta, dall’inizio del torneo. E undici risultati positivi di fila (sporcati da solo quattro pareggi) sono dettagli aggressivi. Oltre che impegnativi. Altro dato: ieri, il Bari coglie il primo successo senza Barreto. Consacrando, nel contempo, il profilo di Guberti, regolarmente decisivo. Il ragazzo arrivato dall’Ascoli nel mercato-bis scrive il suo nome nel tabellino per la terza volta, assicurando soprattutto praticità e cambi di passo. E’ lui l’uomo nuovo. Sembra proprio Stefano Guberti quel qualcuno in grado di garantire il supplemento di intuizioni e di motivazioni necessarie. L’acquisto si è rivelato sùbito giusto. E il ragazzo, linfa nuova al momento più opportuno, possiede il pregio di essersi saputo inserire velocemente nello scacchiere. Prenderne atto è semplice. Prevedere tutto, un po’ più difficile.