mercoledì 28 novembre 2012

Il Foggia e la memoria corta

Avevamo detto, più volte: questa è una stagione di passaggio, di consolidamento. Della società, innanzi tutto. E, di conseguenza, del progetto: che vuole essere credibile, ovvero longevo. E questo è un campionato da digerire, da capire, da studiare: per poter poi operare, con intelligenza e budget adeguato, la prossima estate. Un anno di transizione significa sacrificio, tolleranza, persino sopportazione: ma anche disciplina, davanti ad una situazione che non riconosce la storia e il blasone sportivo di una città. E il Foggia, infatti, è perfettamente immerso nel suo percorso di perlustrazione della serie D. Viaggiando tra piccole soddisfazioni e un po' di delusioni. Alternando buone prestazioni a recite oggettivamente scadenti. O, comunque, zoppe. Che non ci merivagliano. E che non possono sorprenderci. Intanto, a rimorchio delle cinque più forti del girone appulocampano (nell'ordine, Ischia e Gladiator, poi Matera, quindi Bisceglie e, infine, Monopoli) c'è un plotone ormai abbastanza distanziato. E, in mezzo al plotone, pure la formazione affidata a Pasquale Padalino. Discretamente protetta, per il momento, dagli assilli del quartiere playout. Eppure, il tecnico sta fronteggiando la crisi della frustrazione di un ambiente ulteriormente depresso dal pereggio interno conquistato al fotofinish di fronte al Nardò, domenica. E, probabilmente, anche qualche velata accusa partita direttamente dal cuore del club. E, peraltro, immediatamente smentita con un celere comunicato stampa. La turbolenza, che il coach sta palesemente avvertendo, non porta affatto bene. E, soprattutto, non rende merito agli intendimenti (e alle dichiarazioni) della vigilia del torneo. Anzi, non serve. E complica soltanto il processo di maturazione di un gruppo che, tra breve, sarà riveduto e corretto. E dal quale dovrebbe germogliare la squadra che, tra dieci mesi, punterà a recuperare il professionismo in Capitanata. Quella squadra che, nelle intenzioni d partenza, avrebbe dovuto essere plasmata proprio da Padalino, un foggiano che non nasconde le proprie ambizioni. E ingaggiato per lavorare nell'arco di un periodo più ampio, cioè in prospettiva.

lunedì 26 novembre 2012

Monopoli, occasione persa

La superiorità territoriale non basta. E neppure la più corposa cifra tecnica, oppure la quadratura più credibile. Il Monopoli è più solido, più continuo: in una sola fotografia, più collettivo. Ma, dal derby di Taranto, sgorga soltanto un pareggio. Che è per poco per la quantità spalmata sul campo nell'intero arco dell'incontro, ma anche abbastanza per gli ultimi dieci minuti del match, vissuti con qualche apprensione. Il campo pesante, certo, penalizza anche la squadra di Pettinicchio, ma - alla fine - pagano soprattutto i biancoverdi, che probabilmente spendono di più nella prima parte della gara. E la gioventù diffusa degli jonici (sei giovanissimi in campo, per quasi un'ora di gioco), probabilmente, finisce per combattere meglio la stanchezza. Lanzillotta e compagni, tuttavia, arrivano più vicino al successo e anche più spesso, come testimoniano i due legni timbrati nella prima frazione di gioco (il Taranto, nella ripresa, ne colpirà uno con il febbricitante Mignogna) e l'invalidamento di una marcatura (segna Pereyra, ma il direttore di gara ravvisa una situazione di offside). Eppure, da principio, la formazione di casa sembra aver guadagnato posizioni, dal punto di visto della personalità. Questione di una decina di minuti e il quadro cambia sostanzialmente: il Monopoli si muove con più autorevolezza, con più lucidità. E mostra anche più gamba. Il disegno tattico di De Luca è chiaro: tre punte più Strambelli in mezzo al campo. La pressione imbarazza palesemente la controparte, spesso obbligata a commettere fallo sulla trequarti. L'infortunio di De Tommaso, dopo appena mezz'ora, costringe però il tecnico a dotare lo scacchiere, almeno teoricamente, di maggior equilibrio: Strambelli avanza il proprio raggio d'azione ed entra Marini. Di contro, peraltro, la squadra perde contestualmente sul piano della propulsione. Ne approfitta, dunque, il largamente rimaneggiato Taranto (privato sùbito, oltre tutto, delle prestazioni di Fumai e Cordua), che si rianima. Per alcune modalità, poi, è simile anche lo sviluppo dei secondi quarantacinque minuti. In cui gli ospiti non si fanno trovare pronti nei frangenti decisivi, quando occorre essere risoluti (e più convinti) davanti alla porta avversaria e quando occorre addizionare un po' di brillantezza negli ultimi metri. Un punto, allora: che il Monopoli accetta, ben sapendo che nessuno può ragionevolmente chiedere a questo organico la leadership del girone. Ottenuto sul campo (importante) di una realtà ancora in evidente difficoltà come il Taranto, ma anche dotata di orgoglio: che il suo trainer, al novantesimo, definisce un gruppo unito, con evidente soddisfazione. Ma l'occasione sprecata dalla gente di De Luca è evidente: certe gare vanno vinte. E il dettaglio spiega certe differenze tra chi guida il campionato (ancora Ischia e Gladiator, in coabitazione, mentre il Matera si avvicina) e chi insegue.

mercoledì 21 novembre 2012

I dolori della Fortis

Il Trani e una stagione creduta diversa. Qualche buona contrattazione sul mercato (Vicentin e Santaniello su tutti), l'alleanza strategica con operatori che conoscono il girone e, soprattutto, la sua componente campana, un progetto teoricamente più arioso e profondo: le fondamenta, almeno, sembravano sufficientemente solide. I risultati, però, condizionano tutto. Anche i propositi migliori. Ed i risultati, sin da principio, hanno remato in senso contrario. Quattro cadute di fila, poi l'allontanamento del primo tecnico (Pensabene), quindi la sfortunata esperienza del secondo trainer (Squicciarini, già svincolatosi dal rapporto con il club), le problematiche tecniche mai davvero risolte: così si fa dura. Nel mezzo, poi, la querelle tra il presidente Abruzzese e l'amministrazione comunale: sul piatto, soprattutto, la mal digerita questione della gestione dello stadio affidata ad un altro club di Trani. E tante altre cose: tra le quali il disagio di non possedere uno spazio, all'interno della struttura, per poter ospitare la sala stampa. La miscela, dunque, diventa indigesta. E, in coda all'ultima sconfitta (due a zero poco edificante sul campo della formazione ritenuta più debole dell'intero campionato, il Grottaglie), il presidente sbotta. E annuncia di lasciare. Abruzzese, si sa, è persona appassionata, ma anche umorale. Alla fine, cioè, pare persino ripensarci. O meglio: l'impegno (la corresponsione di rimborsi spesa e stipendi) è garantito sino a dicembre, ovvero sino alla riapertura delle liste di trasferimento. Poi si vedra. Ovviamente, però, le porte a nuovi imprenditori sono aperte. Un classico. Tecnici e giocatori, tutti a rapporto, non riprendono neppure la preparazione, fissata il martedì. Situazione in stand-by, quindi. Ma che denuncia un malessere ormai ramificato. Oltre tutto, il rapporto tra la Fortis e la casa comunale, al di là della volontà di riallacciare il colloquio, sembra abbastanza compromesso. E, dal punto di vista squisitamente calcistico, l'organico appena affidato al quarto allenatore (è Gino Loconte, che arriva dopo l'interregno di  Giancarlo Maggio) necessita di una revisione sostanziale (già cominciata, del resto: in sei, Santaniello compreso, sono ormai tagliati). Eppure la città, negli ultimi tempi, non ha offerto molte forze imprenditoriali in grado di assicurare il ricambio fisiologico ad una società che si avvale di un blasone importante. Ed è difficile pensare, soprattutto a torneo in corso, ad un avvicendamento soddisfacente dietro la poltrona di comando. L'impressione, allora, è che Abruzzese resterà dov'è. O che, almeno, sarà costretto a rimanere al suo posto. Con i mezzi di cui dispone e con gli assilli di sempre. Questa, tuttavia, è - egoisticamente parlando - anche la migliore soluzione per il calcio tranese. Davanti all'oscurità dell'incognità, meglio il minimo garantito. Altre volte, davanti all'Adriatico, è finita peggio. Molto peggio.

martedì 20 novembre 2012

Martina, questione di prospettive

Il tempo del Martina, ogni tanto accade, diventa il secondo. Quasi fosse l'eccezione che conferma la regola. E, proprio nella ripresa, di fronte al Gavorrrano, la formazione di Di Meo riconquista coordinate, ritmo, metri, orgoglio, sostanza e risultato, piegando la resistenza ostica di un avversario sufficientemente tecnico e disposto in campo più che bene. Ma che, al contrario di Marsili e compagni, fa molto nella prima frazione di gioco e molto poco in quella successiva. Tutto inversamente proporzionale: ma, in un torneo equilibrato come questo di C2, sono i dettagli che scavano il solco. E i dettagli sono, nel caso specifico, la deviazione di Miano sul traversone di Ancora, entrato neanche un quarto d'ora prima per avvicendare Anaclerio, decisiva a cinque minuti dalla conclusione di un match sodo. Oppure il forcing finale del Martina, che imprime un indirizzo diverso ad una partita che sembra doversi adagiare sul terreno di un pareggio che non scandalizzerebbe nessuno. Malgrado, appena prima della marcatura che scolpisce lo score, un fallo di mani in area toscana venga tranquillamente snobbato dalla terna arbitrale. Eppure, il nuovo appuntamento del Tursi sorride da sùbito: come ci ha ormai abituati, il Martina sprinta in avvio, trovando il vantaggio alla prima conclusione nello specchio della porta, a due minuti dallo start. Buon segno. Anche perchè, se fa gol immediatamente, questa squadra ottiene il risultato, puntualmente: lo dice la storia di questo torneo, lo dice la cabala. E, di contro, se non lo fa sono guai. Niente affatto, invece: il Gavorrano fa viaggiare il pallone, giostra di prima, taglia con grazia la difesa di casa, ancora una volta in affanno palese (non è più un caso: in questo reparto urgono puntelli, lo confermiamo). E, quindi, pareggia. Muovendosi, almeno sino all'intervallo, con discreta autorità. Il Martina si schiaccia, prova ad avanzare, ma la manovra sbrigativa è sintomo di subalternità. Anaclerio, ancora debilitato dallo stop e dal recente infortunio, pensa da play alto, ma non assicura continuità, lasciando Gambino un po' più solo. E senza colmare tatticamente il vuoto creato dalla rescissione del contratto tra la società e Del Core. Cambia tutto più tardi, però: il Gavorrano sparisce e si rianima il Martina. Spunta il carattere, ma anche una certa foga costruttiva (quando si ripropone di costruire, la gente di Di Meo crea sempre qualcosa: questo è un dato appurato). Infine, arriva il successo che blinda il terzo posto per un'altra settimana. Intanto, la società cerca di rimpiazzare numericamente Del Core. E, nel frattempo, studia il comportamento della squadra: è già il momento di nuove scelte ed è necessario capire se conviene rafforzare l'organico (è una questione di prospettive, ormai). Tagliando qualche pedina in esubero, potrebbe essere tecnicamente possibile operare in questa direzione. Con un altro paio di innesti (meglio tre: due dietro e uno più avanti), si può concorrere alla promozione, anche in seconda battuta (si legge play off), con le big. Che, peraltro, stanno per sbarrare la strada. Sì, domenica si va ad Aprilia. E poi, il nove dicembre, a Salerno. Il futuro, cioè anche il mercato suplettivo, passa da quelle contrade.

lunedì 19 novembre 2012

Brindisi, due alternative

Il derby (vinto bene) con il Monopoli e, poi, tanto grigiore. Non il buio, ma quasi. Il Brindisi, da allora, si è sgranato, si è piegato. Improvvisamente. Involuzione veloce, implacabile. Cinque sconfitte in sei match, equamente divise tra impegni casalinghi e trasferte, non lasciano troppi dubbi. Tutto attorno, molte ombre e qualche voce di troppo. Ma la questione societaria, non ancora definitivamente consolidata, incide poco. No, il problema, ancor prima che tecnico e tattico, sembra di vivibilità all'interno del gruppo. La storia sembra cominciare con la risoluzione del rapporto tra il club adriatico e la punta Palmiteri, tornato in Sicilia (per esigenze personali, si è detto: sarà). E continua con le due settimane di black out in cui scompare misteriosamente l'argentino Villa, peraltro ritrovato proprio alla vigilia dell'ultima gara, un altro derby (perso, al Fanuzzi, di fronte al Taranto). Mentre, nel mezzo, danzano prestazioni incerte e gravide di nervosismo (la squadra di Francioso si ritrova talvolta in inferiorità numerica). Infine, proprio in coda alla partita, appena ieri, il tecnico ammette certe difficoltà di dialogo con parte degli effettivi a propria disposizione, auspicando l'intervento della società. Che, dice, già conosce dettagliatamente il caso e le eventuali contromisure: ovvero, immaginiamo, l'allontanamento di qualcuno. Di più: Francioso prova a spiegare il derby (il Brindisi passa per primo, si ritrova in dieci, si sfalda e subisce la reazione del Taranto, che rovescia lo score), preoccupandosi di stabilire le distanze tra di sè e la squadra. Chiaramente, limpidamente: sottraendosi da qualsiasi responsabilità e addossandole a chi scende in campo. A questo punto, pare di capire che la situazione sia arrivata al punto di non ritorno. Anche perchè, tra le righe, la tifoseria potrebbe essere persino portata a pensare che la squadra viaggia in direzione opposta e contraria a quella dell'allenatore (magari, così non è: ma i sospetti si alimentano, in certe occasioni). Di conseguenza, allora, alla proprietà rimangono solo un paio di soluzioni, una alternativa all'altra: ascoltare i consigli del trainer, mettendolo così nelle condizioni di lavorare tranquillo sino in fondo. Anche a costo di rivedere largamente le scelte dell'estate. Oppure, sollevarlo dall'incarico per resettare un po' di cose. La zona play out è già una realtà.   

domenica 18 novembre 2012

Il Bari sa reagire

L'inferno del quartiere malfamato dei play out sembrava vicino. Due o tre risultati di fila non proprio positivi, del resto, incidono sempre: particolarmente in B. Riuscendo a limitare persino i benefici di un avvio di campionato assolutamente soddisfacente: sotto il profilo del gioco e persino nei numeri, se non pesasse quella penalizzazione maledetta di punti sette. Sì, a Bari l'euforia si era un attimo liquefatta, quasi all'improvviso: dodici punti reali, quindi preoccupazioni assicurate. Invece, a Lanciano, di fronte ad una formazione in oggettiva difficoltà ed evidentemente non troppo corazzata alle insidie di un torneo come questo, la gente di Torrente ritrova un pizzico di quella brillantezza perduta, i gol di un attaccante importante (Caputo, peraltro, ne fa due) e, di conseguenza, il successo. Rotondo, pure. Tre a zero: e, ora, si respira meglio. Il tecnico e i suoi, così, rispondono tangibilmente alle critiche piovute ultimamente e ritenute sostanzialmente ingiuste. Critiche effettivamente sproporzionate agli ultimi accadimenti, per dire la verità. Ma che, magari, avranno aiutato il gruppo a perseguire il calcio praticato nei primi due mesi della stagione e a ritrovare quella concentrazione e quella lucidità riconosciute sino ad ottobre. Ovvio: lo spettro della C fa paura all'ambiente e il livello di tensione va salvaguardato il più possibile. Ma, inevitabilmente, una squadra nel pieno processo di crescita non può sottrarsi ai cali di rendimento, assolutamente fisiologici. Che, proprio perchè fisiologici, vanno messi sul conto. Più volte. Quest'anno, più di altri, è lecito attendersi difficoltà assortite. Peraltro, sin qui, soltanto abbozzate da una competizione che si sta lentamente svelando. Francamente, ci attendiamo momenti più difficili di quello appena vissuto: che, prima o poi, si abbatteranno. Chi tifa e chi, più semplicemente, osserva e commenta, dovrà farsene una ragione. Meglio prepararsi ad ogni situazione: senza lasciarsi fuorviare da quello che, oggi, appare. Pur riconoscendo a questo Bari una qualità: quella di saper reagire. Che, per un collettivo giovane, è già abbastanza.      

venerdì 16 novembre 2012

Il Lecce e l'incidente diplomatico

Un pareggio con gol (a Pavia, due a due) e una caduta (a Lumezzane, nel recupero). E, a Lecce, il germe della polemica avvelena l'humus di euforia e sicurezza. Basta davvero poco per rovinarsi l'umore. La doppia uscita lombarda sembra incrinare qualche equilibrio: perchè, prima, la formazione di Lerda sciupa dal dischetto l'occasione del tre a uno e, quindi, si fa raggiungere dagli undici metri, frenando. E poi, a metà settimana, si piega con poco carattere, rimediando il primo stop della stagione. Il presidente Tesoro non gradisce e lo dice chiaramente, con parole dure, aspre. Che il tecnico non condivide, risentendosi. Il lavoro di mediazione di Tesoro junior e la scaltrezza (ma anche la sensibilità, così pure come la furbizia) del padre arrivano a sostegno del progetto: e il presidente si acquieta, cercando formalmente il perdono per un paio di conclusioni eccessive. O, comunque, troppo pericolose in un momento in cui la squadra incontra le prime difficoltà del percorso. E che, dunque, si ritrova ad affrontare senza conoscere le proprie capacità di reazione. Vincono, cioè, il concetto di bene comune, la ragione di stato, l'esigenza di non arroventare il presente, l'accondiscendenza che ripara le fratture. Lerda non può non aver apprezzato: anche se, nell'immaginario collettivo, lo screzio rimane con tutta la sua atmosfera grigia. L'episodio, però, conferma quanto alto sia il livello di attesa della società in un campionato mal sopportato e quanto ogni minimo indugio possa viaggiare contro un gruppo dimostratosi, sin qui, sicuro e attento. Ad eccezione dell'ultima settimana, ovviamente. Peraltro, il malanimo non aiuta: e l'azzeramento del dissidio verbale è l'operazione migliore che il club abbia potuto adottare. E il Lecce, del resto, è ancora saldamente davanti a tutti, nonostante l'unico punto guadagnato negli ultimi due match. Incuriosisce, piuttosto, capire con quali argomenti il gruppo saprà rispondere, sul campo, agli assilli di metà novembre. E, soprattutto, conoscere lo spessore della tenuta psicologica di una formazione pensata per dominare il torneo di terza serie e non per essere criticata. Ma questa, evidentemente, è una questione sulla quale si sarà corposamente soffermato Lerda: ovvero chi, alla fine della storia, ne esce rafforzato, dopo essere stato sminuito.

lunedì 12 novembre 2012

Taranto, la società si agita

Il Taranto chiede al campionato un successo, il terzo della stagione, per acquistare colore e dignità. E il successo, infine, arriva. Occorre, però, attendere allo Iacovone il Grottaglie, formazione che si conferma strutturalmente inadeguata per garantirsi la salvezza, malgrado i due recenti innesti (Rebecca e Vitagliano), eppure sostanzialmente in gara prima del tre a uno griffato Stigliano (finirà quattro a uno, ma ad un certo punto Radicchio sciupa un paio di volte l'occasione del due pari, prima che gli ospiti si ritrovino in inferiorità numerica). Traducendo, ecco tre punti di fiducia per la gente di Pettinicchio, ma il lavoro è ancora assicurato: prima e anche dopo la seconda sessione di mercato. Alla quale, è chiaro, il club jonico dovrà ricorrere: per fortificare le sue fondamenta, ma anche per avvicendare un po' di pedine verbalmente esautorate già da un po' e, comunque, ormai ai margini del progetto. Nel quale, palesemente, hanno faticato ad incastrarsi. Ecco, appunto: proprio ieri, nel corso del match, davanti alla telecamere, il socio forte del Taranto (Bongiovanni) ha dettato con la sua tradizionale enfasi e con una manciata di doppi sensi il proprio disagio, scavando una nuova distanza tra la società e i nomi più rappresentativi del gruppo (facile, peraltro, capire anche i destinatari del messaggio: basterebbe ripassare la formazione schierata nel derby di terra jonica e soffermarsi su chi non c'era). Ufficialmente, il plenipotenziario rossoblu avrebbe invitato i più distratti a correggere atteggiamenti e rendimento. Di fatto, però, il club sembra aver creato una nuova barriera tra sè e parte dell'organico: provando, lo pensiamo sommessamente, ad avvicinarsi a certe correnti di pensiero popolare. O, meglio, ad allontanarsi da certe scelte del passato. Rinnegandole. Non vorremmo, però, che certe dichiarazioni possano infervorare ancora i più oltranzisti del tifo: del resto, la notizia del raid punitivo di alcuni ignoti sulle auto personali di sei tesserati è ancora fresca (i fatti sono della settimana scorsa). Se non altro perchè, è noto, a Taranto il pallone è spesso vissuto ancora troppo visceralmente. E, dunque, è sempre una pratica intelligente mostrare attenzione pure alla parole che si utilizzano nei periodi più cupi. Ma non è tutto: il club bimare (pensieri, questa volta, del presidente Zelatore) scopre di possedere molti nemici. E pubblicizza l'avvinemnto candidamente. Pensiamo, tuttavia, che in un momento storico particolarmente delicato e ombroso come quello che sta vivendo la società (inesperta, calcisticamente parlando, ed umorale), gestire l'attualità il più seranamente possibile potrebbe alleviare il peso dei giorni. Accentrare volutamente su di sè i riflettori, invece, è esattamente quello che non serve, quando si naviga in acque particolarmente mosse.

mercoledì 7 novembre 2012

Il Barletta è senza grinta. Parola di Stringara

Il derby dell'uktima domenica conferma: l'Andria è in pieno processo di crescita. Ed è oggettivamente competitivo, correttamente sintonizzato sul proprio obiettivo, quello minimo. Il Barletta, invece, no. Ed è, anzi, ancora più confuso dal recentissimo cambio di panca (Stringara per Novelli). Il match di Pane e compagni è affaticato, sin da sùbito. La squadra tarda ad organizzarsi e, una volta sofferta la marcatura di Arini (quella che, poi, decide), interpreta la seconda frazione di gioco senza determinazione, senza carattere. Non è sufficiente neppure rimescolare lo scacchiere (una punta in più, centrocampo più esile) e riaffidarsi alla vena realizzativa di Lamantia, partito dalla panchina. Lo dice chiaramente il nuovo coach dopo il novantesimo: una squadra come il Barletta, che deve conquistarsi una salvezza già ardimentosa, non può soccombere anche sotto il punto di vista agonistico. In una gara, oltre tutto, attesa e sentita come quella con l'Andria. Constatazione pertinente, critica feroce. Ma anche un impegno che il tecnico toscano, automaticamente, si assume: quello, cioè, di rafforzare mentalmente il collettivo. E di garantirgli, al di fuori delle pieghe squisitamente tattiche e dei requisiti tecnici, le ragioni della sopravvivenza.

lunedì 5 novembre 2012

Il Martina sceglie la praticità

Ossequio alla praticità. Il Martina tralascia la forma e bada alla sostanza. Non si fa bello, ma fa fruttare il gol trovato in apertura, gestendolo sino alla fine. Facendosi bastare la propria superiorità tecnica, la sua migliore condizione strutturale e la supremazia territoriale esercitata da inizio a fine match: che l'ospite di turno, un Hinterreggio modesto e neanche troppo focoso, non riesce mai a contrastare. Sette giorni dopo il pareggio dell'Aquila, la formazione di Di Meo allontana definitivamente lo spettro del Fondi: ed è questa la questione fondamentale. Eppure, sotto il profilo stilistico, il Martina di certe situazioni passate è ancora lontano. La manovra è meno pulita, meno fluida di altre volte. Le occasioni da gol arrivano, ma sono numericamente più contenute. La marcatura decisiva, che porta la doppia firma di Gambuzza (che conclude) e Gambino (che devia), spacca la partita dopo solo quattro minuti di gioco. Anzi, la condiziona. Poi, la preoccupazione principale è quella di amministrare il vantaggio: operazione niente affatto problematica. Anche perchè la fase di non possesso è più efficace di quindici giorni prima. E pure le prestazioni dei singoli protagonisti della difesa sono più rassicuranti, al di là dello spessore dei calabresi. Il risultato, alla fine, è inattaccabile. La brillantezza, tuttavia, è un'altra cosa. Ma, ad un certo punto della stagione, contano innanzi tutto i punti. Quelli che Del Core e soci utilizzano per recuperare la terza piazza. In attesa, come sottolinea il tecnico, di capire quanto potrà (e, eventualmente, vorrà) fare la società a dicembre. Per puntare decisamente alla promozione, Di Meo è tentato dal consigliare un rinforzo per reparto. Ci sembra una richiesta corretta.

sabato 3 novembre 2012

Lecce, marcia impressionante

Neppure la neve smonta il Lecce. Che, a Lumezzane, domenica scorsa, è stato costretto a ripiegare sulla strada del ritorno, senza giocare. E che, dunque, dovrà recuperare il match. Il vantaggio sulle avversarie  rimane ugualmente cospicuo. Rinsaldandosi, anzi, nell'anticipo di ieri: quando, sull'erba di casa, la gente di Lerda regola pure il Portogruaro in una partita che si sviluppa con modalità diverse (questa volta, i salentini si ritrovano sotto e spingono per recuperare, riuscendoci con garbo, grazia e forza). Facendo i conti, prima del completamento del calendario (le altre scendono in campo regolarmente domani), il Lecce possiede lo stesso mumero di match giocati, ad esempio, dal Carpi e dall'Entella (nove). Ma anche, rspettivamente, otto e dieci punti in più. Numeri che continuano a non nascondono il divario tecnico e strutturale. Nello stesso momento in cui la tranquillità societaria (i Tesoro hanno definitivamente rilevato la vecchia proprietà Semeraro) è diventata il nuovo puntello di una programmazione che vuole rivelarsi pluriennale. Tutto gira bene, dunque. E il livello di concentrazione appare ottimale. Non sembra difettare neppure il carattere, che conta sempre parecchio. Allora, magari, non ce ne sarà bisogno. Ma la prima raccomandazione che ci viene in mente è di non credere di aver già archiviato il torneo, nè di doverlo gestire con nonchalance o, peggio, con supponenza. Le apparenze possono ingannare: anche se la differenza di status tra il Lecce e il resto del gruppo, oggi, sembra incolmabile. 

giovedì 1 novembre 2012

Foggia, managerialità e simpatia

Il Foggia, dicevamo, deve convivere con quello che ha: un organico discreto, non certo di valore assoluto. Numericamente, niente affatto esuberante. Ma con qualche individalità di pregio. Perchè no, di un tecnico (Padalino) animato dalla sua stessa foggianità. Comunque, rampante: cioè, motivato. E, infine, di una società che non custodisce un portafogli infinito, ma pure ricca di iniziative. In due parole, il Foggia deve accontentarsi di quello che è: una squadra sulla strada della maturazione e del completamento. Sotto tutti i punti di vista (la seconda sessione di mercato, ormai, sta arrivando). Alla ricerca degli strumenti necessari per programmare, quello sì, l'assalto al professionismo: la prossima stagione. Nulla, tuttavia, vieta ad Agnelli e soci di impossessarsi di qualche soddisfazione, mentre si procede. Il successo rimediato domenica su una big come il Matera, ad esempio, è una di quelle. E vuol dire poco che i lucani, da un mese a questa parte, stiano zoppicando: almeno, giudicando i risultati (tre sconfitte su quattro match). La gara intensa e sufficientemente ispirata viene premiata: e serve a vivere meglio il presente, a migliorare certi automatismi, a garantirsi l'autostima. Non è detto, però, che il Foggia non caschi ancora. Anzi. Il pericolo esiste. Quasi certamente accadrà. Ma l'eventualità fa parte delle condizioni di questo campionato. In cui anche il club sta imparando a districarsi. Anche con qualche idea che sottintende un cero istinto manageriale: è il caso della vendita on line dei pixel di una foto del suo capitano, Agnelli. L'operazione potrebbe far sorridere: invece è un tocco di modernità che potrebbe fruttare il cash per agire a dicembre. Non conosciamo, sin d'ora, il riscontro: ma il presidente Pelusi sembra sintonizzato sui canali giusti. Del resto, la sua maniera di muoversi, improntata sul marketing e il merchandising, ma anche diretta al cuore della gente (il numero uno, qualche tempo fa, si prestò personalmente ai tornelli di un varco dello Zaccheria, non lo dimentichiamo. E, in un'altra occasione, solidarizzò con la tifoseria, fuori dallo stadio), genera simpatia. Ecco, managerialità e simpatia: due cose che, negli ultimi tempi, sono mancate alle cordate che hanno preceduto l'attuale proprietà. Non è un cattivo modo di presentarsi. Proprio no. Anche perchè aiuta ad organizzarsi e a pianificare meglio.