martedì 24 giugno 2014

Gallipoli, ritorno al passato

Torneo faticoso, quello di Eccellenza. Ma, al culmine della fatica, ecco la firma del Gallipoli. Cioè, la formazione più continua del lotto. E quella meglio aggrappata al mai superato concetto di solidità, abbinato ad una più che discreta cifra tecnica complessiva. Assemblata per competere sino in fondo e scopertasi pienamente affidabile nel segmento decisivo della stagione: quando, ad esempio, l’Andria spingeva, recuperando il tempo perduto nel primo mese e mezzo del cammino. Mentre il Casarano si lasciava confondere dalle sue stesse esitazioni e da un percorso parallelo (la Coppa Italia) assai allettante. E mentre il Mola, prima del cambio tecnico, si spegneva di fronte alla possibilità di staccarsi dal gruppo. La serie D recuperata in riva allo Jonio, così, appariva da sùbito come un premio alla programmazione intelligente architettata dal presidente Barone e dal diesse Manta. E gestita anche sul filo dei nervi, tra una polemica e un’altra: che la concorrenza pativa e che il Gallipoli, invece, cavalcava sicuro. Quel Gallipoli che, un mese dopo, si sforza di decifrare il proprio futuro. Lo stadio, che si rifiuta di assicurare determinate garanzie, sembra il cruccio principale. E la freddezza degli imprenditori del posto acuisce il disagio. Roba vecchia, verrebbe da dire. Esatto: in questo spicchio di Salento il tempo sembra essere passato inutilmente. Il presidente, in tempi di iscrizione al prossimo campionato di quarta serie, non ha ancora deciso se saltare la barricata oppure no. O meglio: le dimissioni sono formalmente rassegnate. E il titolo sportivo è ufficialmente in pericolo. Anche se le cronache di ogni giorno ci raccontano che il club, sul mercato, è vigile e particolarmente attivo. Particolare, questo, che ovviamente si scontra con certe dichiarazioni e con i comunicati diffusi. Di più: il Gallipoli appare disposto a investire quanto serve per tutelare la categoria appena conquistata e per puntare anche a qualcosa di meglio. Si rafforza, anzi, anche l’organigramma societario, con l’assunzione in segreteria di Fernando Venneri: che, arrivando, lancia un messaggio. Barone, dice, potrebbe rimanere dov’è. Basterebbe che qualcuno si avvicini al progetto, con buone intenzioni. In pratica, quanto pochi anni fa, ai tempi della B, aspettava Giovanni Barba. Sappiamo tutti come finì: male, malissimo. E, se il passato insegna qualcosa, il consiglio è di non costruirsi attorno troppe illusioni. E di augurarsi un bluff di Barone. .

lunedì 23 giugno 2014

Taranto, chi viene e chi va

All’improvviso, ma con prevista puntualità, la situazione societaria del Taranto si ingarbuglia, si intorpidisce. Ma, contemporaneamente, si evolve. Abbastanza velocemente, pure. La vecchia struttura societaria, quella che - in sostanza – ha traghettato il pallone dei due Mari dal momento dell’ammissione alla serie D sin qui, sarebbe stata disposta a perseguire il proprio progetto di consolidamento delle fondamenta del club, che passava attraverso due punti fondamentali: il ripianamento dei conti (mancano, si dice, duecentocinquantamila euro per saldare le vecchie pendenze) e l’alimentazione delle ambizioni. Per la quale, va aggiunto, avrebbe gradito nuovi contributi, nuove energie: quindi, ulteriori investitori. Parallelamente, peraltro, altri soggetti si sarebbero (anzi, si sono) avvicinati: da Cerruti, attuale patron dell’Agropoli, ai fratelli Campitiello. Nomi, questi, che hanno finito per ingolosire la piazza. Irruviditasi, così, nei confronti del presidente Nardoni e del suo vice (e socio forte) Petrelli: perché, forse, simboli di un passato prossimo senza risultati sportivi tangibili. O perché prudentemente lontani dall’idea di presentare la fidejussione che dovrebbe accompagnare l’ipotetica richiesta di ripescaggio in terza serie (niente affatto certa, per la cronaca). Di fatto, però, parte dell’ambiente jonico avrebbe ultimamente delegittimato e sfiduciato i due dirigenti. Che, un po’ offesi, si sono praticamente disimpegnati, in attesa di ulteriori novità. Accelerando il processo di rinnovamento. Ma, nel contempo, aprendo un’eventuale crisi societaria, se la trattativa con la famiglia Campitiello – oggi considerata molto avviata e destinata a soluzione felice - dovesse saltare, per un motivo o per un altro. Fermiamoci, tuttavia, alle certezze. E una certezza è questa: il maggior investitore del gruppo uscente, ovvero Petrelli, ha dribblato ogni problema presente e futuro e qualsiasi complicazione, cedendo (gratuitamente, giura) le sue quote alla Fondazione Taras. Scendendo, in questa maniera, dalla giostra delle possibilità. E trascinandosi emotivamente Nardoni. Il primo e il secondo, intanto, potranno non piacere (o non piacere più) alla Taranto che tifa: ci può stare. Però, sarà anche giusto ricordare che proprio Petrelli e Nardoni hanno saputo garantire il minimo indispensabile: cioè la dignità e la sopravvivenza del club. Che, poco più di un anno fa, non possedeva neppure la casa, ovvero un campionato a cui partecipare. Spingerli ad abdicare non è stato un gesto di grande riconoscenza, da parte di qualcuno (e la Fondazione Taras non c’entra, per essere chiari): e pure questo va sottolineato. Così come va sottolineato che, a queste condizioni, Petrelli e Nardoni lasciano con eleganza. Rimediando un figurone, prima che la questione si delinei del tutto. Ma, se qualcosa non dovesse funzionare, da qui alla prossima settimana, nessuno potrà permettersi di rinfacciare qualcosa a chi si, garbatamente, si è fatto da parte. Questo deve essere abbastanza chiaro.

giovedì 12 giugno 2014

Bari, il successo oltre l'eliminazione

La piazza è esuberante. Di fede, gente e colore. Il Bari attrae. Il Bari infervora gli animi. Il Bari lotta lontano da casa, a Crotone. E il maxischermo, di fronte alla Prefettura, dribbla la distanza. Dentro o fuori, in novanta minuti. O centoventi: dipende. Ma il collettivo di Alberti e Zavettieri sa inquadrare il match, carpirne l’essenza, scovare il momento giusto per schiodare lo zero a zero che lo condannerebbe. Tre gol (a zero) fuori casa raccontano il magic moment della squadra, promuovendola alla seconda fase dei playoff. E, per strada, la folla sente i traguardo, quello della A, infinitamente vicino. Ma, di fronte, adesso c’è il Latina. Doppia sfida: prima al San Nicola, poi lontano dall’erba amica. Il primo round si consuma in uno stadio ribollente: siamo vicini alle sessantamila presenze, per una gara di B. Qui non si scherza. Ma non scherzano neppure i pontini, sùbito pronti e in vantaggio per primi. Ma il cuore del Bari è grande. E la reazione di Sabelli e soci ribalta il punteggio, che solo l’ex Ristovski, poco prima del novantesimo, riesce a riequilibrare. A campi invertiti, ieri, il match del responso definitivo. Che sorride al Latina. Un altro due a due: e la corsa del Bari, imbattuto nei playoff, si interrompe alle porte della finalissima. La generosità della ripresa non basta. E non è sufficiente neppure il gol di Polenta, quello del vantaggio in dirittura d’arrivo. L’avversario si procura un penalty contestato e poi completa il sorpasso. Galano, tuttavia, ci crede ancora e pareggia: ma, ormai, è tardi. Tardi per sognare, ma non per esigere il rispetto della sua gente e per pretendere gli onori del caso. Manca il premo finale, ma l’impresa resta ugualmente. Salta la promozione, eppure lo spessore dell’obiettivo centrato è incancellabile. Con l’energia della freschezza e la forza della spavalderia, con molto orgoglio e parecchia dignità, questo Bari ottiene lo stesso un traguardo preziosissimo: quello di riavvicinare la città al calcio. Foraggiando motivazioni nuove, che verranno buone più avanti. Al di là del risultato del campo, questo è un successo. Il suo successo.  

domenica 8 giugno 2014

Lecce, sarà ancora C

Lecce e Frosinone, di nuovo di fronte. Questa volta, però, la sfida (doppia) è decisiva. Alla quale la gente di Lerda non arriva con la lucidità dei giorni migliori. Eppure, essere in fondo alla strada è un distintivo di merito, considerate le premesse. I ciociari, intanto, si prendono i favori del pronostico e si presentano davanti al traguardo più tonici. Meglio strutturati. La finale dei playoff è una storia che, tuttavia, la formazione salentina sembra poter scalare: passando a condurre il match di andata, in Puglia (finirà uno a uno) e pure quello di ritorno (i laziali si impongono tre a uno, conquistando la B). Alla distanza, cioè, il Frosinone si fa preferire: per la migliore gestione delle situazioni, per la preferibile condizione mentale e per un miglior approccio con le tensioni tipiche di un incontro così delicato. Il Lecce, invece, si perde troppo presto: sull’erba di via del Mare come al Matusa. Dove finisce il match in inferiorità numerica. E dove, dopo il novantesimo, si lascia tradire dalla rabbia e dalla frustrazione. Onestamente, l’avversario produce di meglio e di più. E, nell’arco delle due partite, legittima la propria superiorità. La botta, così, è ancora più dura. Soprattutto in prospettiva futura. Dunque: il Lecce fallisce la promozione per la seconda volta di seguito. Scoprendo quanto è arduo risalire. E quanto è scomodo combattere con il dovere di imporsi. Aprendo, in un certo senso, una crisi tecnica e societaria. Mancati introiti a parte, la famiglia Tesoro dovrà, per esempio,  cominciare a mettere in conto il peso di qualche vecchia critica sopita che, vedrete, affiorerà nuovamente. E a considerare il malcontento della piazza. Badando, contemporaneamente, a rifondare l’organico. Che, tra partenze scontate oppure no (Miccoli sta salutando, altri hanno ragionevolmente concluso l’avventura) e pedine da restituire al mittente, dovrà necessariamente essere rivisitato con intelligenza e perizia. Non sarà un’estate semplice, per capirci. Occorreranno scelte nette, convincenti. In tempi brevi, ovviamente. Senza contare che andrà risolto velocemente anche il problema legato alla panchina: Lerda potrebbe rimanere, ma la conferma non sembra, al momento, neppure automatica. Ma, innanzi tutto, si sta creando attorno al Lecce una certa atmosfera di prostrazione, di pessimismo. La risalita, creduta un atto dovuto o una pura formalità, rischia di diventare un gioco perverso, una maledizione. E Lecce, ormai disabituata alle logiche della terza serie, rischia di perdersi dietro la delusione, attorno alle difficoltà che pochi avevano previsto. O che tanti avevano trovato normale evitare.