lunedì 31 marzo 2008

E se il Lecce fosse stanco?

Ancora quattro punti sotto. Sotto la soglia attuale della promozione diretta. Cioè dal Bologna, che in classifica segue il Chievo. Complessivamente, il Lecce può rallegrarsene. Sfruttando, è chiaro, l’esitazione finale dei felsinei, che impattano proprio in chiusura il match di Ascoli, praticamente già vinto. Quattro punti invece di sei, molto meglio così. Però, il Lecce di Grosseto è una squadra un po’ seduta. Non svogliata, ma acquietata. La prestazione imperfetta, tuttavia, lascia pensare e preoccupa: proprio adesso, quando sta per cominciare la corsa decisiva. No, quello di Grosseto non è il Lecce affamato a cui ci siamo abituati. E non è la formazione che si issa sul proprio potenziale balistico, largamente e puntualmente incensato sin qui. E’ un collettivo, invece, che non spinge, che non insiste, che deve accontentarsi del minimo (e il pari, faticoso, è oltre tutto frutto di un’autorete toscana). Sì, può essere solo un momento, un momento arduo. E la serie B, da sempre, offre spazio a chiunque, sino alla fine: l’augurio, comunque, è che la gente di Papadopulo non arrivi stanca al rush di primavera. Sarebbe grave, imperdonabile. Proprio ora, no.

domenica 30 marzo 2008

Ecco il Fasano di Ortega

Debutta il Fasano di Hector Albeto Ortega, argentino italianizzatosi in panchina. Debutta domani, a Matera. In un match troppo delicato per essere ignorato. E il Fasano versione Ortega incuriosisce un po’. Perché il nuovo trainer, che rileva dopo una sola gara di interregno il capitano Danilo Rufini, ma ereditando di fatto il vuoto lasciato da Pettinicchio, trova un ambiente confuso, appassito, impaurito. Forse anche un po’ depresso: persino il test amichevole di metà settimana conferma. Oltre tutto, conseguentemente al recupero tra Viribus e Lavello dello scorso mercoledì, la squadra è completamente (cioè aritmeticamente) assorbita nel quartiere meno nobile della classifica, quello dei playout. Da Ortega, intanto, ci si attende un’iniezione di determinazione, ancor prima che di coraggio, di orgoglio o di entusiasmo. Perché il Fasano, ultimamente, si è assentato spesso. Regalando all’avversario di turno intere porzioni di gara. E autocondannandosi ad un finale di stagione insospettabile per un collettivo che può contare su una forza lavoro di qualità oggettivamente superiore, rispetto alle concorrenti dirette. Lo attendiamo, il Fasano. E lo attende la tifoseria, ultimamente assai critica e appena acquietata da quel processo di rinnovamento societario partito prima della sosta del campionato che ha riportato nel club l’ex presidente D’Amico. Ortega, intanto, riparte dalla D sapendo di giocarsi molto a livello personale, dopo vicende non propriamente felici e un periodo di riposo forzato. E riparte con un obbligo: ricostruire il morale di chi è chiamato a combattere.

sabato 29 marzo 2008

L'esperienza consiglia

Gigi Blasi, adesso, utilizza parole più sobrie. E non si sbilancia più. Né argomenta apertamente di promozione e dintorni. Anche se il Taranto, improvvisamente, torna a competere per i playoff. E non solo, considerando i numeri e la classifica. Sfruttando, peraltro, le cortesie diffuse della concorrenza, dichiaratamente indecisa nelle operazioni finali d’assalto alle postazioni migliori. Il presidente fa sapere di non sognare più: delegando il piacere di farlo alla tifoseria. Tradendo, forse, l’antico motto: la B a giugno. In un modo (vittoria secca del campionato) o nell’altro (appendice degli spareggi). Ma dimostrando di aver imparato che viaggiare a fari spenti, nel calcio, è molto meglio. Oppure, certificando di non nutrire più eccessiva fiducia nella squadra. Una squadra che smentisce se stessa, nel bene e nel male, troppo spesso. E con rapidità imbarazzante. Una squadra che continua a esprimersi con riserve e che poi si rialza con forza, afflosciandosi sùbito dopo. Che continua a vivere dell’iniziativa dei singoli e che, talvolta, smarrisce le coordinate che dovrebbero animare un collettivo. Una squadra che non ha ancora assorbito un modulo duraturo, fluttuando da un’ipotesi all’altra: sorreggendosi su un camaleontismo che può costituire un vantaggio (la duttilità tattica è una dote), ma che può anche disorientare (i punti di riferimento, sul campo, servono). Una squadra che, se osa, ottiene e che, quando decide di osare, si arena. Che si perde di fronte alla benevolenza del pronostico e che, invece, si esalta nella difficoltà. Una squadra, il Taranto, che deve ancora capire se è destinata ad essere, oppure soltanto a comparire. E che però è lì, vicina alle più forti. Malgrado un campionato strano, discontinuo, anonimo. Ma che la formazione di Cari non ha ancora impregnato di sé. Intanto, Blasi non si sbilancia più. L’esperienza consiglia sempre.

venerdì 28 marzo 2008

Tre sensazioni e una certezza

La prima sensazione è che il pari ricco colto dal Foggia a Cremona, sabato passato, valga più di quanto sia stato valutato. Dall’opinione pubblica e dalla squadra stessa: probabilmente delusi dall’evoluzione di un risultato che, ad un certo punto, sorrideva apertamente. In realtà, la partita e – soprattutto – le pieghe piacevoli della prestazione complessiva (l’autorità nell’approccio al match, la personalità profusa sul campo) inducono a pensare positivo, incoraggiano, irrobustiscono la convinzione, arricchiscono il morale della truppa di Galderisi. La seconda sensazione è che, oggi, il Foggia – psicologicamente sollevato già da un po’ – sia orgogliosamente lucido e rampante. Motivato e fresco. Più del Padova, cioè il concorrente più diretto (e temibile) nella corsa alla quinta poltrona, che assicura il passaporto per l’appendice dei playoff. Molto più del Venezia o del Monza, che seguono con qualche punto di ritardo. E che appaiono affaticate, esitanti, incerte. La terza sensazione è che il Foggia, in silenzio e in serenità, stia seriamente provvedendo alla definizione dell’antico progetto, accantonato per mesi bui. E proprio questa serenità di fondo, insospettabile in un club che vive le atmosfere ostiche di una piazza tradizionalmente esigente, sembra l’ingrediente nuovo e più saporito. Il Foggia, e questa è una certezza, alla B crede più di quanto lasci trasparire. Più di quanto sospettiamo. E, dentro la certezza, il lavoro del tecnico salernitano si vede, si sente, si tocca. Quando il pallone corre, partita dopo partita. E anche all’interno dello spogliatoio. Dove la consapevolezza ha ospitato e sposato l’umiltà.

giovedì 27 marzo 2008

Il derby che rivaluta il Monopoli

Il derby di Noicttaro rivaluta il Monopoli e il Monopoli riaccede nel quartiere dei playoff. E’ pure abbastanza, considerate le ultime involuzioni. E anche se l’avversario facilita il compito, il match restituisce al campionato una protagonista. Che, fuori casa, non realizzava così tanto da tempo. Troppo tempo. Non che fosse impossibile, tutt’altro: la cifra tecnica complesiva della squadra era e resta di spessore sufficiente a garantirsi le aspirazioni migliori. Piuttosto, cominciava a preoccupare l’affanno, l’irrigidimento delle idee, la prospettiva di fallire le risposte utili. Non che tutto sia improvvisamente rifiorito: servono ulteriori iniezioni di fiducia. E il rasserenamento definitivo degli animi. Non che sia eccessivamente importante, ma la revoca del silenzio stampa, in questo senso, saprebbe diventare vagamente indicativo. I destini di chiunque, peraltro, cominciano a delinearsi proprio adesso. E il Monopoli dovrebbe avvertire l’obbligo di recuperare una delle qualità più importanti, se non la preferita, in certe situazioni: la regolarità, che - malgrado le flessioni cadenzate - ha caratterizzato sin qui il passo della formazione prima affidata a Trillini, poi a Sciannimanico e poi ancora a Trillini.

mercoledì 26 marzo 2008

Certezze nuove sullo Jonio

Il lavoro di nove mesi non è ancora vano. E, forse, anche qualche scampolo di brillantezza continua ad animare il Gallipoli. Il cambio di panchina, poi, sembra essersi compiuto senza arrecare troppi traumi. E l’orgoglio, infine, è tornato ad affiancare la tecnica. Tre gol al Perugia significano un calcio alle paure e una risposta forte agli interrogativi di marzo. La squadra che era di Bonetti e che ora è affidata a Patania si ritaglia, allora, una domenica di certezze, in fondo a qualche insicurezza e a qualche segnale di scollamento. Tradotti in almeno un paio di risultati al di sotto delle attese e non troppo rispettosi delle esigenze del campionato. Così come sette giorni prima, anche l’ultimo impegno restituisce un Gallipoli più reattivo e risoluto, più incisivo e solido. Il Perugia che Cuccureddu ha rivitalizzato si spezza e affonda: e sullo Jonio riemerge il sorriso. Si rafforza, anzi, anche il sacro fuoco dell’ambizione: il presidente Barba riacquista fiato, energie, belle parole e buon umore. E’ tutto dimenticato: una certa flessione del gioco e dell’intensità, le polemiche incrociate, le accuse striscianti. O quasi. Difetta ancora, magari, quella tranquillità interiore che può e deve sostenere il gruppo. Il saluto mancato, a fine gara, della squadra al pubblico possiede una sua chiave di lettura: ed è espressione diretta degli attriti recenti. Qualcuno non avrà dimenticato o digerito certe frasi e determinati atteggiamenti. E quella patina di freddezza ha finito per scavare un solco. Che andrà colmato, con altre prestazioni convincenti. Poi, il broncio passerà.

martedì 25 marzo 2008

Noicattaro, sconfitto e rassegnato

La partenza è scabrosa. E non c’è un arrivo. Il Noicattaro frana a casa propria. Meglio, frana ancora. Questa è una squadra che, troppo spesso, non reagisce alle avversità. E neppure il fervore di un derby riesce a scuoterla. Il Monopoli passa immediatamente e poi passeggia, raddoppiando sùbito dopo e triplicando più tardi. La notte cala ostinata sulla formazione di Bitetto e Loseto, che chiude pure con un Zotti in meno, espulso per un fallo di frustrazione. E non si intravedono margini di fiducia spendibili in breve tempo. Perché, evidentemente, il nervosismo si appropria di una squadra apparsa svuotata: esattamente come nella precedente gestione di Giusto. Mentalmente, il Noicattaro sembra crollato. E rassegnato. Condizione, questa, sposata anche dal presidente Tatò, che detta così: «Sicuramente andremo a disputare i playoff». Una frase che può condensare un incubo ma che, in questo momento, appare più che altro un augurio. Detto per inciso, i playout non sono ancora assolutamente certi. L’ultima della classe si chiama Valdisangro e possiede soltanto cinque punti in meno. Sufficienti a ritenerla non troppo vicina, ma ancora insufficienti a sventare il pericolo. Perché, al contrario del Noicattaro, gli abruzzesi sono ancora vivi e battagliano fieri. Reagendo alla classifica e alla rassegnazione. Mostrando gli attributi: la dote più preziosa, in questi casi.

lunedì 24 marzo 2008

La combine secondo Capuano

Ezio Capuano ama parlare. E non si preoccupa di sparlare, se lo ritiene opportuno. E, comunque, riesce spesso a esprimere quel che pensa. Anche se il suo pensiero può disturbare. Talvolta, oltrepassa la misura. Ed emerge il personaggio vero: leggermente diverso da quello che si sforza di apparire. Ma il carattere è quello. E può non piacere. O non piacere del tutto. Il trainer della Juve Stabia, alla sfida (persa) contro il Taranto ci teneva: per la classifica, ma anche a titolo strettamente personale. Il passato è passato, ma non cancellato. In fondo al match, denuncia un supposta combine tra il club bimare e il direttore di gara, che annulla in pieno recupero il pareggio campano, non apparso effettivamente limpido e regolare. E aggiunge di sapere qualcosa. Qualcosa di losco, ovviamente. Rabbia del novantesimo a parte, se davvero sa, è bene che continui a parlare, fornendo cognomi ed eventuali situazioni. Perché la semplice protesta è già abbondantemente superata. Intanto, riteniamo che il Taranto non abbia gradito. E, nel contempo, commemorato un successo che lo rilancia (o che dovrebbe rilanciarlo) in area playoff (ma la squadra possiede il temperamento per ripetersi e arrivare al rush finale con le prospettive intatte? Onestamente, nutriamo dei dubbi). Benedicendo, ovviamente, l’equilibrio del campionato: pensate, la Salernitana - capolista da sempre o quasi - viaggia solo sei punti avanti, così come l’Ancona. Le accuse forti di Capuano, però, probabilmente priveranno il clan di Cari di qualche sorriso, pur non modificando la sostanza delle cose. Anche perché, del Taranto, potremmo scrivere pagine intere, spigolando su mille argomenti, non tutti propriamente edificanti. Ma il Taranto, ne siamo certi, non possiede molto credito nel Palazzo del calcio. Anzi. E non riscuote neppure troppe simpatie: inutile spiegare le motivazioni. Dunque, non crediamo né a complotti, né a favori. Pur sapendo che, nel pallone di questo Paese, il malaffare viaggia spedito. Tuttavia, Capuano sembrava sicuro, davanti ai microfoni. Ne apprezziamo il coraggio: ma, adesso, continui a raccontarci.

domenica 23 marzo 2008

Bari, c'è fermento

Soffia ancora il vento che spinge il Bari. E se, contemporaneamente, continua a frenare il presente del Messina, meglio ancora. La terza partita in sei giorni, intanto, chiarisce definitivamente la collocazione di competenza della squadra gestita da Conte (un centroclassifica sereno) e sottoscrive i progressi psicologici della truppa: ora finalmente determinata, affamata, più sicura, più opportunista. E più regolare. Anche in Sicilia, poi, brilla il profilo di Lanzafame, match winner che il trainer vorrebbe conservare nell’intelaiatura del prossimo campionato, in previsione del quale si sta già lavorando (ma Conte dovrà sensibilizzare la Juventus, proprietaria del cartellino). Le prove tecniche applicate all’organico, però, sono già abbondantemente avviate: e proprio l’ultima parte di questa stagione, liberata dai vincoli del risultato, potrà rivelarsi propedeutica al progetto. Il club e il responsabile tecnico, da qui in poi, proveranno a chiarire chi merita la riconferma e chi no. Le condizioni per operare, adesso, sono ideali. Di più: in giro, c’è il fermento che troppi anni di malcontento popolare avevano evaporato. E anche i numeri raccontano: sugli spalti del “San Nicola”, l’ultima volta, erano in settemila. Praticamente il doppio (o quasi) delle presenze del recente passato. Numeri, scommettiamo, destinati ad ampliarsi. E da tutelare, difendere, proteggere.

sabato 22 marzo 2008

Il progetto continua. Parola di Pavone

Pavone, diesse del Manfredonia e ispiratore massimo della politica rampante del club sipontino, resterà sull’Adriatico. Anche la prossima stagione. Comunque vada. In C1 (a salvezza ottenuta, anche se il rischio è robusto e i playout sono una certezza già consolidata) oppure in C2. Con le motivazioni di sempre, assicura. E con attenzione immutata alla valorizzazione del patrimonio giovane. La notizia è stata rilanciata ieri. E fa piacere. Se non altro, perché il sacrificio coraggioso di questo torneo non sarà stato speso invano. E perché la continuità gestionale potrà giustificarlo (e sostenerlo). Il rischio, che possiede un proprio prezzo, avrà cioè il conforto della finalità. E, nel caso peggiore (è stato calcolato, va oggettivamente considerato), il calcio di questo spicchio di Puglia potrà consolarsi con la prosecuzione del progetto. Che è serio, responsabile, intelligente. Anche se scomodo (per chi l’ha disegnato e anche per chi è stato costretto a sposarlo, cioè la tifoseria). Oltre che lungimirante. Il progetto che non si ferma alle prime oggettive difficoltà e che, invece, procede ostinato è una soluzione sana. E, di questi tempi, meritevole di un attestato suppletivo di stima. Lasciarlo a metà, avrebbe significato azzerare il pallone sul golfo. Molto di più di una retrocessione. O di una salvezza senza futuro.

venerdì 21 marzo 2008

La protesta e la solidarietà

La protesta stizzita e vibrante di Attimonelli, principale responsabile del calcio ad Andria, si assicura i riflessi mediatici e un po’ di solidarietà: anche quella del primo cittadino, al quale – provocatoriamente – il presidente aveva lasciato le chiavi del club sùbito dopo il pareggio nel quasiderby di Melfi, disturbato da diverse decisioni arbitrali niente affatto condivise. Che poi sono il pretesto delle dimissioni fittizie, praticamente cancellate da qualche ora di maggior lucidità e dal buon senso. Utili, tuttavia, a stringere – in nome del concetto di apparetenenza, così caro alla gente, e della complicità emozionale – la tifoseria e l’ambiente tutto attorno alla squadra di Palumbo. Che, al di là dei supposti giochi di potere e di un organico che teoricamente autorizzerebbe a non soffrire, non riesce a sganciarsi ancora dal girone infernale dei playout. Cioè, un po’ di polvere, certe volte, non guasta. Perché raccoglie i consensi della piazza, fortificandola e caricandola, deviando – magari per qualche tempo – la critica e le critiche. Malgrado, va detto, in Lucania l’Andria non sia dispiaciuta. Anzi. Ovvio, però, che la polvere delle parole e delle accuse (anche forti), pur sollevando il problema (gli arbitraggi ripetutamente ostili), non lo risolvono: quando urlano tutti o quasi tutti, le grida si perdono nel nulla. E’ storia. Restano, piuttosto, le preoccupazioni. Da lenire, perché no, sabato: si torna sul campo di casa e c’è il Cassino. E, forse, Palumbo si gioca più di qualcosa. Anche a titolo personale.

giovedì 20 marzo 2008

Lecce, protagonista pentito

Il Lecce, a Brescia, sceglie di essere protagonista. Disponendo di se stesso e della partita, soffocando l’avversario nella sua stessa casa, risalendo rapidamente nelle classifiche di gradimento. E scoprendo, infine, che un punto, quello guadagnato, è un premio misero per la quantità di lavoro prodotta e per il numero di occasioni procurate (e sperperate, oppure invalidate dalla prestazione personale di Viviano, il portiere lombardo). Tuttavia, Valdes e compagni si incamminano per la strada giusta: pur non approfittando sino in fondo del cattivo martedì di quasi tutte le concorrenti dirette (vince solo il Bologna). Brescia-Lecce, però, è anche il match di Papadopulo, che imprime il suo marchio tattico. Anche per questo, al “Rigamonti” il Lecce riscuote ammirazione e incute rispetto. Pur sapendo che non posso considerarsi attributi sufficienti. E che i punti persi a Brescia, di qui alla fine del torneo, potrebbero pesare. Parecchio.

E adesso non ci crede più nessuno

Puntualmente, tutti i buoni propositi del Martina si liquefano a Pescara, dove arriva l’ennesima sconfitta: anche questa pesante nel risultato. E la salvezza (ma qualcuno ci crede ancora per davvero?) si allontana sempre più. La speranza si chiama matematica: teoricamente, l’impresa è ancora possibile. La realtà e la logica (sette punti dalla penultima, a sette giornate dalla fine della regular-season) consigliano, invece, valutazioni diverse. E a nulla serve resistere, come in Abruzzo, per trenta minuti: perché resistere non basta. Perché, per scalare i gradini della classifica, è fondamentale proporsi, imporsi, vincere. E, per vincere, occorre possedere regolarità, mezzi tecnici, agonismo, lucidità, quadratura tattica consolidata e corsa collaudata. Requisiti che il Martina non ha trovato in un mese di lavoro. E che, prevedibilmente, non riuscirà a trovare mai. Senza che il dato susciti scandalo: è questa la logica. La logica di un campionato arruginitosi troppo presto e stritolato dagli accadimenti di novembre, dicembre e gennaio. E’ stato giusto tentare, provare ad illudersi. E’ doveroso continuare a lottare. Ma il Martina (osservando in superficie, senza addentrarsi nei particolari) non ha gli uomini per pungere. Cioè, per procurare danni seri all’avversario. Ed è eccessivamente fragile dietro. Nel calcio non si inventa nulla. Piuttosto, si può creare qualcosa, lavorando: sin dall’estate, confidando in un periodo di rodaggio, appoggiandosi ad un progetto, nutrendosi di organizzazione. Dentro e fuori dal campo. Tutti ingredienti che sono mancati. Sappiamo anche perché. Così come conosciamo i fatti: che ci vietano di sparare liberarmente sulla società, comunque responsabile (ad esempio) di mancata vigilanza ai tempi della gestione tecnica Pitino-Pellegrino. Quella, cioè, apertamente contestata dai principali attori del club di via D’Annunzio, perché responsabile di una situazione finanziaria deterioratasi nel tempo. Quella stessa società che, magari, avrebbe dovuto verificare più attentamente (con un sacrificio, certo) la possibilità di salvaguardare quel patrimonio di doti morali assemblato – ad un certo punto della stagione – da Camplone: patrimonio che, sia chiaro, da solo non avrebbe comunque garantito un altro torneo di C1. Ma queste, ora, sono soltanto parole. E il tempo, intanto, è scaduto. Adesso, alla salvezza, non ci crede più nessuno, realmente. Al di là dei concetti di circostanza.

mercoledì 19 marzo 2008

Barletta, dichiarazione di resistenza

La risposta è chiara, netta, incoraggiante. Il Barletta c’è ancora e spegne le buone intenzioni del Brindisi, rilanciando il proprio progetto, respingendo il nuovo assalto dell’Aversa. Giocando da leader del girone, imponendo la forza e la personalità di un organico che continua a credere in se stesso, nonostante quell’antipatica flessione degli ultimissimi tempi: di forma, più che di sostanza. Del resto, ci crede ancora la gente che tifa. E che ha captato, in settimana, lo spessore delle insidie del percorso e la necessità della squadra di nutrirsi di fiducia. Accogliendo con simpatia Daleno e soci sin dal martedì, sugli spalti, prima dell’allenamento. Sùbito dopo la caduta di Torre Annunziata. Proprio quando l’illogicità avrebbe potuto consigliare una contestazione devastante: che avrebbe stonato, ma non sorpreso. Perché il calcio è tensione, lo sappiamo. La tifoseria, invece, ha speso le valutazioni migliori, giocando la carta più conveniente. E ricevendo, in cambio, una dichiarazione rassicurante. Una dichiarazione di resistenza fiera.

martedì 18 marzo 2008

Il bivio del Lecce

Inutile nascondersi. Se le corsa alla promozione naviga nell’alta qualità, è la qualità stessa a dettare le situazioni e a determinare la differenza. E la concorrenza del Lecce si chiama Bologna, Chievo, Brescia, Pisa. E Albinoleffe, ovviamente. Cioè qualità indiscutibile, a questo punto del torneo. Anche la produzione balistica è un discorso di qualità. E la squadra di Papadopulo, adesso, sembra pagare una vena realizzativa un po’ raggrinzita. Ecco, la differenza, ora, abita proprio lì.. Eppure, il disavanzo dalla vetta resta sempre sostenibile. Anche e soprattutto in considerazione del fatto che il Lecce, ultimamente, ha dovuto sostenere un paio di sfide dirette (contro veronesi e felsinei) e un’altra (match di Brescia, domani) sta arrivando. Chiaro, se il problema del gol dovesse accentuarsi, potrebbero sorgere controindicazioni pesanti. Oltre tutto, il Brescia è in rapida e decisa ascesa. E la gara della Spezia, dove il reparto avanzato ha specato troppo spesso, da questo punto di vista non rassicura. Ma è giusto continuare a confidare sella graniticità del gruppo, nelle sua solidità di fondo. In attesa, almeno, dell’imminente trasferta lombarda, che saprà rivelarsi particolarmente indicativa sulle virtù morali del Lecce. Un Lecce che, sin qui, non ha mai seriamente perso i contatti con la vetta della graduatoria. Un Lecce che sa, perciò, di trovarsi davanti a un bivio: di qui si continua a sorvegliare la concorrenza, aspettando il momento migliore per aggredire il campionato; di là si coltiva l’amara incognita di rincorrere.

lunedì 17 marzo 2008

Bari, nuova strategia?

La settimana del Bari finisce bene: la vittoria sul Frosinone restituisce il buon umore sottratto dalle ultime due prestazioni un po’ così. E torna a premiare la volontà recentemente riscoperta in una squadra sempre accusata, sin qui, di insufficiente animosità. Ma la partita migliore la gioca la società, qualche ora prima. Inaugurando, forse, un nuovo corso. Comunque, lanciando un messaggio preciso. Affidandosi a un’operazione di immagine, innanzi tutto. Provando a limare qualche attrito antico con la piazza. Restituendo spessore ad un progetto più che trentennale. Sottoponendo, cioè, il rinnovo del contratto a uno dei suoi uomini più rappresentativi, il portiere Gillet. Un rinnovo che segue il prolungamento del contratto del tecnico Conte. E che sembra la premessa di una nuova strategia societaria. L’ambiente, certo, necessitava di scuotersi. E si sta scuotendo. E l’ottimismo non può nuocere. Sì, il messaggio è preciso, mirato. Ed è stato apprezzato.

I problemi del Fasano restano

L’ultima versione del Fasano è vicina alla precedente: l’atteggiamento è morbido e remissivo, le idee si confondono, l’involuzione tattica e mentale si ramifica. E le imperfezioni di giornata (questa volta Fortunato battezza alto un pallone che si infila alle sue spalle) cercano di amplificare i meriti dell’Ischia, che si ritrova a condurre un match affaticato. Il calcio anticipato al sabato non sembra premiare le rettifiche della settimana (dimissioni di Pettinicchio, squadra affidata a Danilo Rufini, nel doppio ruolo di caudillo sul campo e di coach). E riesce a scollare ancora di più il rapporto tra tifoseria e società (uno striscione appeso sugli spalti e molti cori sono eloquenti). La reazione, però, è più convinta che in certi angoli del passato più o meno recente. E arriva il primo pareggio e, quindi, la seconda rincorsa al risultato minimo. Che non aggiusta troppo la classifica. Va bene, c’è la rabbia. Spunta anche un pizzico di orgoglio. E Rufini, a fine gara, si dice pronto a digrignare i denti e a lottare. Ma la sensazione è che proprio Rufini, per poter leggere la gara e guidare la squadra, debba limitarsi alle operazioni di filtro, rinunciando a proporre qualcosa in una linea mediana che necessita, invece, di personalità. Che il leader possiede. E, allora, i problemi restano. E il lavoro per annientarli è duro.

domenica 16 marzo 2008

Il messaggio ambiguo della Leonessa

Duecentoquaranta reti. Sono quelle che una squadra di livelli europei può mediamente timbrare in quatto campionati e anche qualcosa in più. O quelli che una qualsiasi formazione di basso profilo, a qualsiasi latitudine, può accusare in tre tornei particolarmente sfortunati. E avanza pure qualcosa. Duecentoquaranta reti (subite) sono anche il prezzo che la Leonessa Altamura sta pagando al campionato di Eccellenza pugliese, inaugurato (e proseguito) senza una società solida, senza forza economica, senza un progetto tecnico, senza una squadra che possiede i requisiti per difendersi, senza prospettive. Allestita per caso, improvvisata: reclutando giovani e meno giovani senza pedigrée e privi di esperienza, ma assistiti da molta passione, sicure doti morali e infinita pazienza. Che è la pazienza di chi, ogni domenica, raccoglie una sconfitta scontata, attesa, sonora: in cui il disavanzo è alto, altissimo. Diciamo pure di sei o sette gol, almeno. Duecentoquaranta reti (subite) in ventinove partite sono il prezzo che la Leonessa Altamura (zero punti totalizzati, cinque sole marcature realizzate) sta pagando per assolvere il compito: che, poi, è quello di conservare il titolo dell’ormai secondo club cittadino. Autorizzato, l’anno prossimo, a ripartire dalla Promnozione. Oppure a cedere l’affiliazione a chiunque la voglia: eventualità, questa, peraltro ventilata (e arenatasi) già agli albori di questa stagione. La storia della Leonessa Altamura, intanto, ha già varcato i confini mediatici regionali, interessando (meglio, incuriosendo) pure la stampa nazionale e persino talk show e trasmissioni di intrattenimento. Anche ieri. Tanto che la società e, soprattutto, gli attori principali (i suoi ragazzi volenterosi) hanno guadagnando attestazioni di simpatia inequivocabili e, supponiamo, sincere. Nel nome del dilettantismo più puro: quello che difficilmente fa notizia e che non vince i campionati. Nel nome di quello spirito un po’ eroico con cui avvicinarsi allo sport: che il tempo e le convenzioni della convenienza hanno cancellato. Va tutto bene, anche così. Onesti innamorati del pallone trovano una vetrina che, altrimenti, non avrebbero ottenuto mai. E poi – dicono - queste sono favole moderne che possono riavvicinare idealmente la gente al calcio. Va un po’ meno bene, però, all’intero movimento calcistico pugliese. Che, probabilmente, da questa storia ne escirà un poco indebolito: nell’immagine, evidentemente. Perché il messaggio che filtra dal tormentato cammino della Leonessa, rilanciato nei talk show, dipingere un football pioneristico e svincolato da certe logiche di rendimento, ma anche avventato, disorganizzato, semplicistico. E inaffidabile.

sabato 15 marzo 2008

L'ultimo inutile sussulto

La soluzione estrema, talvolta, è la separazione della disperazione. E la separazione può essere una cura tardiva. Il Bitonto e Giacomo Zunico si lasciano qui, quando è già troppo tardi per sperare ancora e per rincorrere il Barletta e l’Aversa, che si giocano il passaporto per i professionisti. Mentre il Bitonto, ormai, è fuori dalla sfida, schiacciato da un solo risultato pieno ottenuto nelle ultime cinque partite. E mentre il suo trainer esprime tutta la propria delusione rinunciando a chiudere il campionato in panchina. Ma il nuovo corso (c’è Antonello Altamura) servirà a poco, supponiamo: difficile credere che in sette settimane le due protagoniste del torneo si affloscino contemporaneamente, favorendo il rilancio delle aspirazioni di Iannini e soci. No, il Bitonto può solo rammaricarsi e rimpiangere il calo tecnico e mentale piovuto nel momento meno opportuno. Quando, in campo, si riaffacciava persino Pignatta, tradito da un lungo infortunio. Al quale, peraltro, la squadra era riuscita a sopravvivere, sbuffando e sgomitando. No, il Bitonto svela i suoi peccati (rintuzzare l’avversario e accontentarsi del pareggio, lasciarsi assorbire da un nervosismo strisciante, che è sinonimo di potenza stordita) prima del rush primaverile. Quando non servirà più il miglior Buttazzoni. Né reggere il passo altrui. No, il Bitonto partito benissimo arriva zoppicando. E arriva senza il suo nocchiero, defilatosi o – come succede in questi casi, ovunque – costretto a defilarsi. La separazione, allora, è l’atto finale, la resa, la conclusione del sogno, il tramonto del progetto, la parentesi che si chiude. L’ultimo inutile sussulto.

venerdì 14 marzo 2008

Basta Júnior Bahia

L’altalena delle emozioni e la giostra degli stati d’animo abitano a Brindisi. Dove è facile felicitarsi e ancora più semplice deprimersi. Dove basta un risultato convincente per rialzare lo sguardo. O un disagio maligno per disperare. Questa volta, però, torna l’euforia: appena sette giorni dopo la riapertura della crisi. E’ sufficiente aggrapparsi alla tecnica un po’ arrogante e alla fantasia brasiliana di Júnior Bahia, attaccante assoldato da tempo, ma sin qui bloccato da infinite difficoltà burocratiche. Uno che si presenta segnando sùbito. Una volta, due volte, tre. Anche se l’ultimo sigillo viene invalidato dal direttore di gara. Uno che conosce la porta. Uno che solleva curiosità e approvazione: perché arriva da quel Paese lì, solare e magico. Nello specchietto retrovisore dell’artilheiro c'è la selezione Under 20 oroverde, suadente e lontana. Davanti, un campionato da onorare ancora, in riva all’Adriatrico. E, chissà, un futuro tutto nuovo da scrivere. Il ragazzo ha inseguito e ritrovato la palla che scorre, l’odore della porta, il gol. Restituendosi il sorriso. Riannodando un discorso interrotto, più volte. E riaprendo una porta al Brindisi. Che prova a crederci nuovamente, ripromettendosi di battagliare, di pensare positivo. Perché in quell’angolo di Puglia basta poco per sollevare la saracinesca. Perché lì il calcio è umorale. Perché lì è di nuovo carnevale. E i playoff sono una posizione di prestigio riacquisita. Perché lì si sveglia nuovamente la speranza. E’ bastato poco, in fondo. E’ bastato qualche ritaglio di Brasile, è bastato Júnior Bahia. E, intanto, ci chiediamo: il sorriso durerà?

mercoledì 12 marzo 2008

Il Fasano gira pagina

La collaborazione tra Giacomo Pettinicchio e il Fasano ha vacillato e resistito più volte. Subendo e respingendo gli assalti di troppe partite spente e sofferenti, di una tifoseria mai pienamente convinta sulla bontà delle argomentazioni della squadra, di una classifica perennemente sistemata ai limiti del rischio. Alla fine, però, il rapporto si è spezzato: è bastato scivolare anche in casa del Venosa, che è oggettivamente tra le formazioni più modeste del girone H di serie D. E confermare gli ultimi regressi: dal punto di vista tecnico, tattico e comportamentale. Del resto, il Fasano di questi tempi ha fallito sistematicamente l’approccio al match, smarrendo la mentalità, concedendosi all’avversario con grazia eccessiva. Quanto basta per essere riassorbito dal magma del quartiere dei playout. Di più: è opinione largamente comune, ormai, che la truppa avesse smemorizzato i concetti del tecnico tarantino. Che non seguisse più il trainer. Vero o falso, Pettinicchio ha preferito rinunciare all’incarico: una decisione che, al di là dei torti e delle ragioni, produce onore a chi l’assume. E che la società ha immediatamente sottoscritto. Proponendo la panchina a Rufini, il giocatore più rappresentativo. Ma dopo aver difeso, in passato, il proprio dipendente: anche con coraggio, sfidando l’impopolarità. Questa volta, invece, è andata diversamente. Perché le valutazioni, nel frattempo, si sono modificate. Oppure perché l’alone del timore si è allargato. Penetrando nel cuore e nella mente.

Gallipoli, da Bonetti a Patania. Ruvidamente

Sinceramente, da Gallipoli attendevamo decisioni drastiche. E non da ieri. Ma da un paio di settimane. Attendevamo l’esonero (o le dimissioni: è lo stesso) di Dario Bonetti. Il cui feeling con l’ambiente si era infranto da un po’. E non solo con l’ambiente: ma anche con la società. La lite verbale, non troppo lontana, con il diesse Pagni era un segnale, un avertimento: che avevamo raccolto. Poi, al termine della gara disputata (e pareggiata) di fronte all’Ancona sul sintetico di casa (a proposito: il Gallipoli non sa più vincere: esattamente da quando si è candidato ufficialmente alla prima piazza) il trainer bresciano scaglia con stizza un pallone all’interno della curva, rispondendo ai cori di scherno e di insulto. Provocando l’episodio che sancisce la rottura. Ma che, forse, non la determina: a quello, piuttosto, ci pensa il risultato del campo. Comunque, si chiude un ciclo. E se ne apre un altro: quello firmato da Enzo Patania. Un altro carattere, per intenderci, niente male. Un personaggio per nulla più duttile di Bonetti: è bene sottolinearlo. Un altro coach ruvido e un po’ cupo. E mai troppo disposto ad accettare la critica. Quella che Bonetti ha patito, lasciando trasparire un nervosismo sempre crescente. Quel nervosismo che, lentamente, ha contribuito a minare le fondamenta del progetto. Un progetto che, malgrado tutto, sopravvive: ringraziando le disavventure comuni delle aspiranti alla promozione. Un progetto che, da ieri, fa a meno di un tecnico algido e poco amato. Ma anche poco comunicativo: esattamente come il suo successore.

Designazioni pericolose

Il gesto, ovviamente, è inqualificabile. E allarmante. Un arbitro (il leccese Capilungo) viene seguito (o inseguito) a fine gara, bloccato nella sua auto, a diversi chilometri dallo stadio, e accerchiato. Fuggirà, dopo aver rischiato la propria incolumità. La partità è Manduria-Tricase, la più attesa della giornata. Il campionato è quello di Promozione, girone B. Il risultato, per la cronaca, spegne le speranze degli jonici, nuovamente distanziati dal leader del torneo, il Sogliano. Tra le pieghe della storia c’è la rabbia, parecchie briciole di follia e, soprattutto, premeditazione. E non importa da che parte alberghino le ragioni. E se l’arbitraggio può definirsi soddisfacente oppure no. Dopo, rimangono soprattutto per le preoccupazioni. Per lo spessore simbolico di una vicenda criminale che alimenta la lista degli episodi scabrosi dentro e fuori gli stadi di Puglia. La regione che, in Italia, dopo la Campania, genera il maggior numero di aggressioni e fattacci: un dato che – da tempo - sta giustamente assorbendo le attenzioni di Vito Tisci, presidente regionale della Lega Dilettanti. In un momento storico particolarmente difficile, però, non comprendiamo certe designazioni arbitrali. Perché, ad esempio, il direttore di gara bloccato e accerchiato è leccese. E le due concorrenti dirette del Manduria (cioè Sogliano e Tricase) sono club salentini. Sappiamo benissimo che il territorio di Sogliano e Tricase appartiene federalmente al comitato di Maglie e alla sezione arbitrale di Casarano e che, perciò, un giudice di gara che arriva da Lecce garantisce, a tutti gli effetti, trasparenza e imparzialità. Il problema, però, è spiegarlo alla gente. E non si tratta di dubitare dell’onestà intellettuale di nessuno. No, il problema è il buon senso che evapora. Un caso come questo, piaccia o non piaccia, conduce al sospetto. Erronamente, ma inevitabilmente. Perché la cultura del sospetto, qui e altrove, è profondamente radicata. E, quindi, va ostacolata e combattuta: con pazienza. E, appunto, buon senso. E non con designazioni tecnicamente ineccepibili, ma pericolose. A prescindere dalla prestazione arbitrale. E dal crimine.

A margine. Certe notizie vengono smentite, giorni dopo: dai fatti (i rapporti delle forze dell'ordine e dello stesso direttore di gara). E i toni smorzati: non c'è accerchiamento, non c'è aggressione. Ma solo l'inseguimento e la cattive parole. Meglio così. Le valutazioni di fondo, però, resistono.

martedì 11 marzo 2008

Qualcosa in più. Ma non abbastanza

Luca Evangelisti è attento ai dettagli. E sa che il profilo psicologico, adeguatamente solleticato, può stimolare e fortificare il gruppo, creare amalgama, rinsaldare il processo di conquista dell’obiettivo. Il diesse, oltre tutto, riesce anche a coniugare la sostanza (l’imperativo è sempre quello: il Martina si è prefisso di agganciare la penultima piazza ed evitare la retrocessione diretta, anche se l’impresa appare sempre più disperata) con la forma (squadra e dirigenza sono stati invitati, venerdì sera, a cena: l’armonia e la compattezza, talvolta, si possono raggiungere anche così). E due giorni dopo, sul campo, l’undici di Florimbj ha ringhiato un po’ di più: mostrando meno imbarazzi caratteriali, più voglia. Sembrando più volitivo, concentrato. Le indecisioni individuali e i limiti collettivi, tuttavia, hanno consegnato al Martina solo un punto. Arrivato in fondo ad una gara, quella con il Potenza, disegnata da imbarazzi tecnici diffusi e contraddistinta da una pochezza tecnica allarmante: anche e soprattutto, va detto, per demerito dei deludenti lucani, inguardabili in fase di presidio e forse anche irretiti dall’atteggiamento tattico (eccessivamente timoroso) del loro trainer. Ma dicevamo del Martina: che assicura qualcosa in più, dunque. Ma non abbastanza per continuare a confidare. Perché, innanzi tutto, si è eclissata una possibilità di guadagnare terreno sulle dirette concorrenti: battere un Potenza piccolo piccolo si poteva, si doveva. E poi perché continua a mancare la prospettiva: che anche l’eventuale vittoria, ieri, non avrebbe incoraggiato. Sì, il divario con il resto del torneo sembra oggettivamente incolmabile.

lunedì 10 marzo 2008

Il punto che può bastare

Un punto può bastare, deve bastare. Se, di fronte, c’è il Bologna.E non un avversario qualsiasi. E se il gol, per una volta, non arriva proprio. Anche se il passo del Lecce rallenta. Come rallenta quello del Pisa, ad esempio. L’ultima di campionato non sorride alla formazione di Papadopulo, ma non la mortifica neppure. Promuovendo, di fatto, l’Albinoleffe, il Chievo e il Brescia, che ha liofilizzato il disavanzo di un tempo. Del resto, tante concorrenti dal rendimento alto non si vedevano da un po’, in serie B. Anzi, l’eccezionalità del caso è invadente. E l’unica contromisura seria al problema, per chiunque, resta la regolarità. Che il Lecce ancora possiede. Si va avanti, allora: e la battaglia si fa sempre più tesa. Il compito sempre più faticoso. La tifoseria, peraltro, dovrebbe averlo capito e si sta adeguando, percependo e apprezzando gli sforzi dei protagonisti del campo. Settimana dopo settimana. Anche perché il Lecce c’è sempre e crede in se stesso: al di là di quello che potrà accadere da qui in avanti. Ma, comunque vada, se non arriverà la promozione diretta (non è un’ipotesi avventurosa, ma possibile) i playoff non saranno un’infamia o un insuccesso. Chiarirlo e stabilirlo sin da ora non è una testimonianza di debolezza, di sazietà o di paura, ma un tributo al buon senso.

domenica 9 marzo 2008

Andria, quando il problema non è in panchina

Il ritiro. Gli stipendi congelati. E l’immancabile silenzio stampa. L’Andria si arrocca. Si difende. Come si dice ai giorni nostri, si concentra. Provando le soluzioni estreme: tutte. E cerca di blindarsi dagli spifferi malevoli, dalle malvagità del momento. Protesta, anche: contro l’arbitraggio dell’ultima domenica, giudicato assolutamente contundente (ma ne siamo proprio sicuri? Oppure è utile deviare il discorso, allontanre quanto più possibile lo spirito critico dell’opinione pubblica? La sensazione nostra è che il pareggio del Catanzaro possa considerarsi limpido, per nulla viziato da un fallo sul portiere: ma tant’è). E attende sentieri migliori. Domani, però, è di nuovo campionato: si gioca a Roma, tana della Cisco. Nel frattempo, la squadra non carbura. Cioè, offende poco. Non segna. Il dato principale è questo. Malgrado l’affidabilità dell’impianto tattico gestito da una persona puntigliosa e rigorosa come Peppino Palumbo, un trainer che non rinuncia mai a far circolare la palla. E chiamato a disciplinare le virtù annacquate di un collettivo che zoppica dall’inizio della stagione e che, però, continua a poter contare sulle prestazioni di gente unanimemente considerata, in C2, di qualità. Palumbo, nel frattempo, si è industriato. Come, prima di lui, Osvaldo Iaconi e Franco Dellisanti: cioè, quanto di meglio possa offrire la categoria degli allenatori in quarta serie. E ha capito che il malessere è profondo. Più di quanto sia lecito sospettare. Senza aver trovato una soluzione vera, duratura: esattamente come i suoi predecessori. Che, non a caso, avevano chiesto investimenti suplettivi. Investimenti puntualmente arrivati, a gennaio: e che, forse, non si sono rivelati sufficienti. Anche a fronte di diverse traversie (leggasi infortuni). Malgrado tutto, comunque, le potenzialità dell’Andria restano (o dovrebbero restare) intatte. Ma la classifica non migliora affatto. Giornata dopo giornata. Ed è difficile credere che i problemi si annidino sempre e solo in panchina. Forse, invece, l’organico è stato sopravvalutato: anche dalla critica. E, forse, la società dovrebbe dovuto spendere parole (e, soprattutto, atteggiamenti) più prudenti, nel recente passato. Anche nei confronti di chi ha già abbandonato la panchina. Forse, questa stagione è destinata a scivolare un po’ così. Forse, ancora, la squadra non ha il carattere per affrontare le insidie peggiori. L’espressione di disarmo palesata ultimamente da Palumbo, intanto, è indicativa. Ed è, più o meno, la stessa di Dellisanti. La stessa di Iaconi. Gente, cioè, che non ha potuto ultimare il lavoro. E che paga colpe proprie e, soprattutto, altrui.

sabato 8 marzo 2008

Monopoli, obiettivo credibilità

Il Monopoli è ancora impacciato. Sicuro, a casa del Pescina (che in Abruzzo chiamano Valle del Giovenco e che, l’anno prossimo, diventerà Avezzano) il compito era impegnativo. E, anzi, la gente di Trillini è anche riuscita a riequilibrare il passivo, prima di arrendersi definitivamente. Ma la seconda manche della gara racconta di un collettivo svagato (particolarmente nelle retrovie) e, probabilmente, tuttora debilitato dalle ultime vicende (scadimento psicologico, sopraggiunte difficoltà dentro e fuori dal campo, depauperamento del robusto vantaggio sulla sesta in classifica, playoff sorprendentemente a rischio, cambio di panchina). Lo scollamento emerso negli ultimi due mesi resta evidente ed è inutile nasconderlo. E solo le contemporanee (e sincronizzate) disavventure altrui (l’ultima è del Celano) riescono a proteggere ancora la quinta piazza: minacciata, adesso, dal Melfi. Dunque, la risposta ferma della squadra è necessaria, sùbito. Mentre il calendario sottopone due match interni di seguito: dove il Monopoli affronterà prima il Catanzaro (avversario alla portata) e il più ostico, regolare e attrezzato Benevento. L’impressione è che De Sanzo e soci, a febbraio, si giochino la credibilità: cioè molto più di quanto siano costretti a fare le altre formazioni che ambiscono all’appendice finale che regala la seconda promozione in C1. E, partendo dal presupposto (non propriamente invidiabile) che il profilo emotivo, quando si arriva in fondo al campionato, diventa uno degli ingredienti determinanti, è facile sospettare che il Monopoli in questa lotteria abbia tutto da perdere.

venerdì 7 marzo 2008

Il Brindisi e gli esami mancati

Adesso su, dopo giù. E viceversa. Il tempo (passato) e la rivoluzione tecnica non sono bastati ad accreditare stabilmente il Brindisi nel club dei potenti della quinta serie. Eppure, sembrava risorto l’entusiasmo. Eppure, sembrava che Massimo Silva, guida tecnica esperta, avesse localizzato l’antidoto all’eterna sofferenza. Eppure, sembrava che il nuovo corso (e i nuovi tasselli) avessero consegnato alla squadra sicurezza, personalità duratura, ambizione, fame. E cattiveria. Ne avevamo parlato: siamo stati smentiti. Tutti, dai fatti. Il Brindisi che aveva riconosciuto l’area dei playoff (portando via, oltre tutto, anche un punto da Aversa, non troppo tempo addietro) si è nuovamente sgranato, ritrovandosi al di qua dello steccato. Frutto di qualche prestazione non esattamente convincente e, proprio domenica scorsa, dell’inguardabile recita confezionata a Giugliano, sul campo di un avversario povero di prospettive e ricco di gioventù volenterosa. Il treno, ovviamente, non è ancora perso. Anzi, è sul binario vicino. Ma, se il trainer e la società sono già intervenuti duramente, vuol dire che il disagio è particolarmente fastidioso. Cioè insopportabile. Detto per inciso, è ormai evidente che il Brindisi soffra puntualmente gli esami più importanti, le occasioni determinanti. E che fatichi ad accelerare quando la situazione si sta alleggerendo e tutto appare più naturale. Che pecchi sotto il profilo della maturità: condizione impensabile, considerando il materiale (e l’esperienza degli uomini) a disposizione del coach. Anzi, pensandoci bene, è un po’ che il Brindisi si sgonfia appena occorre offrire qualcosa di più. Esattamente da quando la società adriatica si è riaffacciata in D, dopo la cavalcata felice in Eccellenza. E il dettaglio comincia ad allarmare.

giovedì 6 marzo 2008

La guerra dei nervi

Davanti, vincono tutte. Il Barletta, che sbuffa e si adatta alle difficoltà, districandosi infine dalle attenzioni della Viribus Unitis. L’Aversa, che sigilla il derby con il Pomigliano, macchiato da polemiche roventi. E il Bitonto, che trafigge il Grottaglie dopo nemmeno trenta secondi, lasciandosi trasportare poi dall’entusiasmo ritrovato e dalla grazia di Buttazzoni. Il girone H di serie D riconosce le sue protagoniste principali ed entra nel tunnel della battaglia: calcistica e verbale. Succede, infatti, che l’Aversa editi un (ambiguo) comunicato stampa che, innanzi tutto, si contrappone alle feroci insinuazioni del Pomigliano, portando però a immaginare qualche pensiero espressamente dedicato al Barletta: toccando le note della corregionalità. E che l’entourage barlettano lo cavalchi, rispondendo piccato. E rilanciando. Ma il segnale, al di là dei torti, delle ragioni e della sensibilità di ciascuno, è già abbastanza nitido. Comincia qui l’ultimo atto, quello decisivo. Comincia qui la lotta più dura. E comincia qui la guerra dei nervi.

mercoledì 5 marzo 2008

Noicattaro: gambe e testa

E, infine, il Noicattaro si permette di dilagare. Quattro gol (a zero) al Celano valgono semplicemente tre punti, come un qualsiasi altro successo meno robusto, ma divengono un argomento spendibile sulla quadratura della manovra, sulla semplificazione delle idee di gioco e sull’acquisizione di quelle coordinate propedeutiche al progetto di salvezza. Sembra di capire, oltre tutto, che la formazione di Bitetto sia progredita in regolarità, applicazione: assicurando a se stessa maggior volume di gioco e incisività più profonda. Dotandosi, come garantiscono i detrattori dell’ex condottiero Pino Giusto, anche di una preparazione fisica e atletica confortante, affidata ad un professionista navigato come Agostino Marras. Sicuramente, però, oggi il Noicattaro possiede la testa per resistere e combattere. E, se la gambe funzionano devvero di più, il dettaglio diventa uno dei punti nodali del discorso. Ma, al di là di tutto, sembra diversa l’atmosfera che circumnaviga Zotti e soci: che, adesso, credono concretamente al ripianamento della classifica. Intanto, la crescita - graduale ma costante - è innegabile: malgrado non possa considerarsi ancora sufficiente. E la crisi è allontanata. Anzi, la convinzione popolare comincia a rincorrere il concetto secondo il quale un torneo più lungo avrebbe agevolato il Noicattaro: destinato, altrimenti, a qualche soddisfazione maggiore della semplice salvezza. Difficile sottoscriverlo: anche se in C2, dove l’equilibrio è immenso, abbastanza spesso è la tranquillità a trascinare. Prima di dissolversi nelle ansie minacciose. Come rivelano i continui cambi di passo di tante avversarie: pensiamo al Melfi, al Celano, alla Cisco Roma, al Catanzaro, alla Vibonese, al Lamezia, all’Igea, al Gela, al Marcianise. E anche se la primavera che sta arrivando potrebbe premiare il più che discreto tasso tecnico di gente come Moscelli, Caputo, Menolascina, Linardi e, ovviamente, Zotti. Sognare, però, è inutile. E resta la realtà: quella di una permanenza ancora da inseguire. Con il buon umore al fianco, comunque: e questa è una notizia interessante.

martedì 4 marzo 2008

I due volti del Fasano

Un po’ arrugginito e anche preoccupato. E’ la prima versione del Fasano che subisce e rincorre il Francavilla. Preoccupato e teso: e non solo per lo svantaggio immediato. Il suo calcio non è fluido e la manovra si intristisce spesso di imperfezioni sempre vincolanti. E, se anche si Rufini rifiata e si acquieta, viene a mancare persino il carattere migliore, il sacro furore. Eppure, basta semplicemnente maggiore personalità e una circolazione di palla più puntuale e salda per riequilibrare lo score (con D’Aniello) e rischiare pure il sorpasso (che non avrebbe neppure stonato). Ma il Fasano è ancora un po’ discontinuo, se non confuso: dunque, non ancora pienamente affidabile. E la sua classifica non è, del resto, ancora troppo rassicurante. Forse perchè il suo destino sta scritto: e dovrà soffrire. Sino in fondo.

lunedì 3 marzo 2008

L'accordo tardivo

Il buon senso non guasta mai. Anche se sboccia in ritardo. Il sito ufficiale del Taranto Calcio riporta che «a seguito di incontro avvenuto in data odierna (ieri, ndr) tra il nostro Sindaco, Dott. Ippazio Stefàno (…) ed il Presidente Luigi Blasi (…), si è concordato che il Presidente della Taranto Sport, aderendo con entusiasmo (testuale, ndr) ad invito del Dott. Stefàno, onde favorire l'ingresso allo Stadio per le prossime gare degli abbonati di curva nord, qualora l'osservatorio del ministero degli interni revocasse la decisione assunta della chiusura totale dello “Iacovone” fino al 30 Marzo 2008, ha disposto che la Taranto Sport, metta in vendita dei biglietti al costo simbolico di 1 euro che potranno essere acquistati esclusivamente dai menzionati abbonati di curva nord». Chissà, forse le frizioni (e quell’atmosfera da tutti contro tutti) potranno allentarsi. Sempre che l’Osservatorio del Viminale si fidi ancora. Dunque, l’accordo più logico arriva, ma con troppe settimane di ritardo. Nel frattempo si sono esasperati gli animi e la situazione dello stadio “Iacovone” si è deteriorata: sotto tutti i punti di vista. Fosse arrivato prima, invece, la città avrebbe risparmiato l’ennesima brutta figura, qualche intemperanza fuori e dentro la struttura e la conseguente gara (il derby con il Martina) a porte completamente chiuse.

domenica 2 marzo 2008

Undici metri di regolarità

La novità non sarà rivoluzionaria, ma è interessante. E dimostra che i regolamenti possono evolversi. E reggere il passo dei tempi che sfuggono. Vediamo: nella seconda metà di marzo la Liguria e la Toscana ospiteranno la nuova edizione del “Torneo delle Regioni”, dove si incroceranno le rappresentative juniores di ciascun girone della serie D (a proposito, quella del raggruppamento H, dove sono inserite le formazioni di casa nostra, è affidata al grottagliese Ottavio Annicchiarico). La prima fase prevede una formula a gironi: che, nella precedente edizione, ha generato qualche distonia (considerando il ripescaggio delle migliori seconde classificate, era possibile trovare un accordo più o meno tacito che garantisse la qualificazione di due selezioni a svantaggio di una terza). Allora, ecco l’idea: concludere il match – ogni match, anche se c’è un vincitore – ai calci di rigore. La lotteria dagli undici metri garantirà un punto in più: automaticamente. Restringendo le possibilità di (oscure) manovre. E obbligando chiunque a produrre il massimo. Se ne discuterà ancora, ma sembra proprio che il nuovo regolamento passerà. Creando il precedente che apre una strada nuova. Il progetto, detto per inciso, ha paternità pugliese: perché l’idea è di Luigi Barbiero, martinese, componente del Consiglio Direttivo del Comitato Interregionale. E nuovo garante della regolarità di un torneo nato (e cresciuto) per offrire una vetrina agli under del calcio sommerso. Dove è necessario apparire, cioè partecipare. Ma dove, evidentemente, vincere non dispiace. A nessuno.