sabato 30 maggio 2009

Attimonelli, problemi di tempistica

D’accordo, il vertice societario dell’Andria navigava nel malumore, già da tempo. Cioè dalla penultima domenica della regular season. Certo, i segnali erano chiari: avanti sino a giugno e poi via, lontano dalle gestione del club. Come già aveva ufficializzato la famiglia Fusiello, titolare di alcune quote azionarie. Giusto: la contestazione popolare non facilita la digestione e la recente sollevazione del tifo (al termine del match perso – male – con l’Aversa) non era passata inosservata. Anche perché, ad Andria, solitamente le parole si abbattono forti e il rumore che provocano è sempre alto. E’ vero: gestire un club di provincia, di questi tempi, è un’impresa e trovare il ricambio è operazione improba. E, magari, sarebbe conveniente pensare, prima di attaccare. Anche se chi governa l’Andria, probabilmente, in qualche occasione ha pure peccato, perché no. E, dunque, chi spende di proprio per la causa comune può ritenersi infastidito. Con diritto pieno, anche. Però, le dimissioni del presidente Attimonelli nell’immediata vigilia della doppia sfida al Gela (parliamo di playoff, non di un qualunque impegno di campionato) ci sembrano un po’ avventate. Meglio: inopportune. Nei tempi, non nella sostanza. Per le tensioni che la decisione potrebbe rovesciare sull’ambiente e sulla squadra. Chissà: tutto questo potrebbe anche non inficiare sulle imminenti prestazioni della formazione affidata a Loconte. E poi già il venti maggio Attimonelli aveva allertato con una lettera il sindaco della città, prospettando la soluzione estrema. Infine: i tempi sono ristretti e un eventuale passaggio di consegne, tecnicamente, implica un periodo di fermo biologico. Ma era proprio impossibile congelare la notizia del disimpegno e riproporlo più avanti?

giovedì 28 maggio 2009

Giannini e il Gallipoli, difetti di comunicazione

Giannini è un professionista (in ascesa) che cerca di individuare e quadrare il proprio futuro. E che può avvertire l’urgenza di velocizzare i tempi: perché deve vagliare eventuali proposte e scegliere la strada più conveniente. Normale, allora, che voglia conoscere – e anche sùbito – i programmi del Gallipoli che ha appena traghettato dalla terza serie alla B. Programmi che, peraltro, il presidente Barba non avrebbe ancora pianificato: malgrado la promozione sia ancora freschissima e la stagione non sia affatto conclusa (domenica si viaggia per Cesena: l’appuntamento è con il retour match della Supercoppa di C). Il tecnico - che nel pallone vanta sufficiente esperienza - non sbaglia, però. Non sbaglia a fremere, non sbaglia ad esigere un incontro chiarificatore con il club. Capire servirebbe a lui, chiaro. Ma anche alla società: che, ne siamo sicuri, possiede l’entusiasmo necessario per stilare un progetto interessante, ma che forse difetta di quell’esperienza fondamentale per congegnare una stagione – la prossima - ovviamente insidiosa, oltre che impegnativa dal punto di vista organizzativo. Intendiamoci: il tempo c’è tutto. Ma rinviare ulteriormente il disegno del progetto potrebbe devitalizzarlo e, soprattutto, rischierebbe di scoraggiare il coach, già ufficiosamente confermato. Sempre che Giannini sia davvero l’allenatore che il Gallipoli vuole scritturare anche per il prossimo campionato. Intanto, il trainer si è un po’ stizzito. Perché, forse, ha fiutato qualcosa. Oppure perché non si riconosce più all’interno del progetto. Oppure, ancora, perché nello smarrimento comune (ammesso che di smarrimento si tratti) si sente smarrito anche lui. Si è rabbuiato, Giannini. E sembra insofferente. Ma non sbaglia. Neppure quando sussurra che la serie B è un’altra storia. Dove non conta solo l’abilità e la solidità della squadra, ma anche lo spessore strutturale della società. Questo è un altro calcio. E occorre allinearsi. Il confine è superato: di là c’è una cavalcata eroica. Di qua la palestra delle idee, la managerialità.

martedì 26 maggio 2009

Lecce, non tutto è perduto

Il Lecce retrocede ufficialmente. Costringendo, però, la Fiorentina a cautelarsi e a temere, prima di lasciare sul prato la vittoria ormai confezionata. Il Lecce torna da dove era arrivato, un anno fa. E riavvolge il nastro di una stagione sbagliata: cominciata, peraltro, tra i sorrisi e abbruttitasi improvvisamente, a metà della manche di andata. Ovvero, avversata da episodi dolorosi (imprecisioni arbitrali, amnesie tattiche, limiti tecnici) e da polemiche intestine (tra la tifoseria e la società, tra la gente che tifa e la squadra), ingredienti puntualmente in grado di appesantire l’atmosfera. Il Lecce scende in B: ma il responso è nel destino dei club di provincia e non serve affliggersi oltre il consentito. La retrocessione non è un’infamia, ma una controindicazione possibile. Non è giusto, cioè, drammatizzare. Più logico, invece, è fermarsi a meditare. E provare a riorganizzarsi. Il club salentino può farlo: anzi, l’ha già fatto, in passato. Risorgendo dal vuoto psicologico in cui era caduto. E poi, malgrado le incomprensioni di percorso e gli attriti ambientali, quest’angolo di Puglia rimane una piazza nella quale si può lavorare con sufficiente tranquillità. E progettare. O riprogettare. Ripartendo dal patrimonio di esperienza accumulata, magari. E, sotto il profilo squisitamente calcistico, da qualche punto di riferimento dell’attuale organico. Tiribocchi o coach De Canio su tutti. Mettendo da parte, in ogni caso, il disfattismo. Cercando, soprattutto, di accorciare le distanze tra chi opera e chi frequenta gli spalti. Un passo all'indietro della torcida non guasterà. E poi non tutto va rivisto. Non tutto va ricostruito. E non tutto va sepolto. Anche se l’amarezza e la delusione nascondono le fondamenta su cui il Lecce potrà implacare il proprio futuro.

domenica 24 maggio 2009

Blasi, messaggi interlocutori

«Le mie sono condizioni, non ricatti. Chiedo la normalità. Non parliamo più del passato, non mi interessa. Piuttosto, Blasi e il Taranto hanno bisogno del conforto dell’ambiente. Ma, purtroppo, per la gente chi sbaglia è solo il sottoscritto. Io? Certo, ho commesso degli errori. E mi sono già scusato». L’intervento televisivo (ampiamente pubblicizzato e molto atteso) di Gigi Blasi, il presidente del club jonico, si è consumato in poco più di mezz’ora, ieri. In diretta telefonica, peraltro: che ha privato l’appuntamento dell’immediatezza della presenza in studio. Senza aggiungere novità e neppure indicazioni: lasciando sul tavolo quello che sapevamo. Niente di più e niente di meno. Tra una frase e l’altra, solo messaggi interlocutori. Blasi, tuttavia, sembra emozionalmente disposto a ricucire, piuttosto che a lacerare ulteriormente i rapporti con la città e la tifoseria. Ma questo, ovviamente, non è sufficiente. Come insegna la storia recente. Perché l’equilibrio della convivenza è labile, da due anni in qua. Detto questo, dall’incontro mediatico sulla televisione di famiglia non attendevamo la comunicazione del progretto (se un progetto esiste), ma una dichiarazione d’intenti sì. Pretesa vana. Così come ci attendevamo, tra gli ospiti dello studio, una controanalisi più corposa (o coraggiosa). E, allora, è tutto da rifare. Lo scirocco del sabato, sui due Mari, ha portato quello che voleva: il caldo e la leggerezza delle chiacchiere da bar.

sabato 23 maggio 2009

Barletta, spazio al futuro

La salvezza agile aiuta a pensare meglio. E il Barletta, adesso, ci penserà. A migliorarsi, per esempio. Anche se arde la polemica sull’utilizzazione futura dello Stadio Puttilli, che sta stizzendo il numero uno del club e pure la gente. La stagione del ritorno tra i professionisti, però, è già un tassello del passato. E il campionato appena archiviato (anonimo per i più esigenti; cooroborante per chi, come il tecnico Sanderra, operava dal di dentro) è un’esperienza da cui trarre giovamento. Ecco, la società emette segnali interessanti. Ragionando – sembra – con prospettive più ampie: che il blasone e la gente pretendono. La squadra che verrà, si sente dire, verrà fortificata. E anche l’area tecnica. Anzi, si parla del nuovo diesse, del barlettano Pavone. E, di conseguenza, si sussurra un nome ammaliante: Zeman, valore aggiunto in panchina. Chiacchiere, forse. Oppure desideri urlati ad alta voce. L’estate serve anche a distrarsi, a sognare. E a immagazzinare ottimismo. Ma Barletta è una piazza esigente. Che può persino drogarsi di fervore. E risvegliarsi senza l’oggetto del desiderio potrebbe infastidire. Intanto, Sanderra pare allontanarsi, verso Cassino. Evidentemente, anche il presidente Sfrecola e i suoi più stretti collaboratori, quest’anno, attendevano dal tecnico e dalla squadra qualcosa in più. Un ruggito, uno slancio: almeno nell’ultima parte del torneo, quando davanti la concorrenza zoppicava. E, allora, le nostre impressioni si rafforzano: qualcosa è mancato, al momento opportuno. Il carattere, un calcio più aggressivo, un pizzico di intraprendenza. Non che il Barletta dovesse aggrapparsi necessariamente al vagone dei playoff: ma la sensazione che non tutto è stato perseguito sino in fondo rimane. Oggi più di ieri.

venerdì 22 maggio 2009

Il campionato (vinto) del Foggia. E di Novelli

Novelli, ad un certo punto di questo campionato, sembrava destinato ad allontanarsi dalla sua stessa panchina. Non una, ma forse anche due volte, come giurano gli osservatori più attenti alle cose del Foggia. Il rapporto con l’ambiente faticava a sbocciare: il carattere del tecnico salernitano non è eccessivamente morbido e la gente di Capitanata, quando si tratta di pallone, pretende. Non aiutava neppure il rendimento della squadra: intraprendente in casa e remissiva fuori. E, comunque, mai affidabile sotto il profilo della continuità. Quindi, vicina al quartiere dei playoff, ma sempre al di qua della soglia della soddisfazione: tranne in pochissime circostanze. Non soccorreva neppure il target al quale il club aveva affidato l’organico: ringiovanito, ma ancora vincolato a qualche cognome più robusto (Salgado, Pecchia e Del Core su tutti). Eppure, Novelli ha resistito. Con qualche apprensione. Mordendosi la lingua, talvolta. Fingendo di non ascoltare. E sbottando spesso. Rifinendo, tuttavia, il progetto abbozzato: offrendo stabilmente, cioè, la maglia a gente armata di appetito. Come Germinale, Troianello, D’Andrea e altri ancora. Uomini con il quale il Foggia è arrivato sino in fondo. Ovvero agli spareggi per la B, cammino sabbioso sul quale incrocerà i tacchetti con il Benevento, la formazione più attrezzata in assoluto. Novelli, dunque, ha saputo guadagnarsi un po’ di rispetto, se non di stima. E, con lui, la società. Che, magari, ad un determinato momento della stagione, avrebbe potuto rammaricarsi di se stessa e delle sue idee programmatiche. Ma che, però, non ha vacillato, riuscendo a garantirsi la ragione. La ragione che, ogni tanto, può surrogare il sentimento, se questo evapora presto. Intanto, comunque vada (serie B o no: ma vale sottolineare che i favori del pronostico non si fermano in Puglia) il Foggia ha già vinto il suo campionato. Il campionato della credibilità. Sopravvivendo ai suoi stessi dubbi, innanzi tutto. E il suo campionato l’ha vinto, ovviamente, pure Novelli. Malgrado un calcio non sempre esauriente e certi atteggiamenti pubblici abbastanza insofferenti. Novelli, cioè l’unico allenatore del Foggia ad aver conservato, negli ultimi anni, l’incarico per l’intero torneo. Nessuno ci avrebbe giurato.

giovedì 21 maggio 2009

Andria, il cammino continua

Resistere a Gela (e ad un ambiente erroneamente creduto più ostile) vuol dire playoff. L’Andria difende il vantaggio accumulato sul Cassino e guadagna il diritto di continuare a giocare. E a riconfrontarsi proprio con la formazione siciliana, la più tosta del raggruppamento, Cosenza a parte. Come conferma la classifica finale, del resto. L’ultima fatica della stagione regolare è sufficientemente soffice, malgrado galleggi in un caldo aggressivo. E premia una squadra prudente e una società che ha perseguito fortemente la qualificazione alla seconda fase: costata un discreto investimento economico e tre avvicendamenti di panchina. Qualificazione, peraltro, seriamente osteggiata da un rendimento talvolta irritante (per le modalità di calcio espresso, ancor prima che per i risultati ottenuti, sui quali inficiano le parallele esitazioni altrui) e da cali di tensione assolutamente evitabili. L’Andria, tuttavia, è dentro il club dei quattro. Con rinnovata fiducia in se stesso (lo immaginiamo, almeno) e con la prospettiva di reggersi su un potenziale tecnico tuttora largamente inespresso (lo pensiamo ancora). La nuova avventura, è ovvio, presenta molti rischi. E un avversario già sofferto nel corso del campionato, che oltre tutto ricorda gli spiacevoli incidenti diplomatici che costarono quattro turni di squalifica allo stadio. Di sicuro, però, il traguardo di partenza già raggiunto potrà allentare uno spicchio di pressione. Quella pressione che Cavaliere e compagni hanno più volte dimostrato di non saper digerire, nelle occasioni importanti. E ci piace sospettare che lo sfavore del pronostico, sul campo, possa decongestionare la mente dell’Andria. Che, a questo punto, dispone di un profilo psicologico appena più rilassato. Poco da perdere, tanto da guadagnare. E una settimana di tempo per prepararsi a capire i playoff e l’effetto che fanno.

mercoledì 20 maggio 2009

Gallipoli, promessa mantenuta

Promessa mantenuta: il Gallipoli è in B. Con una settimana di ritardo, oppure due. Niente, però, di fronte alla ferocia del club, passato in pochi anni dal dilettantismo dell’Eccellenza al secondo gradino nazionale. Dove Barba - mecenate, presidente e motivatore, ma soprattutto ideologo della costruzione del sogno – difficilmente vorrà rassegnarsi ad un lungo anonimato. Anche e soprattutto in previsione di un rafforzamento del progetto, allora, diventa immediatamente necessario cominciare a dedicarsi – mentalmente e materialmente – alla ristrutturazione dello stadio, assolutamente avulso dal contesto in cui si andrà ad operare e già scomodissimo palcoscenico in terza serie. Il patron, però, sembra aver già incassato riscontri favorevoli e l’amministrazione comunale pare essersi calata velocemente nel problema, promettendo di risolvere la questione legata al piano regolatore, che ostacolerebbe – così com’è – l’adeguamento dela struttura. A seguire, dunque, Barba potrà concentrarsi sul potenziamento dell’organico. Un dettaglio da gestire assieme all’allenatore: Giannini o chi per lui. Il coach della promozione non ha ancora espresso un gradimento chiaro al prolungamento dell’avventura sullo Jonio, ma neppure ha deprezzato l’ipotesi. Indicando la consistenza numerica dell’eventuale programma di rafforzamento: quattro o cinque elementi utili a conquistare l’obiettivo minimo, quasi il doppio per ambire alla fascia medio-alta del prossimo torneo. Barba avrà annotato. E, probabilmente, non si nasconderà: è uomo che naviga sull’onda dell’entusiasmo e questo è il momento migliore per strappargli qualche promessa. Purchè, da qui in avanti, la città e l’imprenditoria locale si stringano attorno a lui: più (molto di più) di quanto abbiano fatto sinora. L’entusiasmo è un bene prezioso che va rifocillato, non prosciugato. E il Gallipoli, senza l’entusiasmo (e l’impegno economico) di Barba non avrebbe senso. Anzi, non avrebbe futuro. Né in B, né altrove.

martedì 19 maggio 2009

Taranto, tra salvezza e futuro

L’ultima trasferta del Taranto è quella che porta punti e, soprattutto, la salvezza immediata. Con Stringara in panchina, il successo esterno è una novità assoluta, ma anche un episodio decisivo. Materializzatosi proprio quando il risultato pieno è assolutamente necessario. E quando lo sparring-partner (il Sorrento) non deve chiedere nient’altro a se stesso e al torneo. Cioè, quando il calendario si dimostra compiacente. Scende, dunque, il sipario su un’altra stagione dura e travagliata. Sipario capiente: buono per occultare tensioni, litigi, contrasti, incertezze, contestazioni, ripensamenti, esoneri, dimissioni, epurazioni e malanimi insanati di nove mesi tesi e grigi. Il Taranto arriva sino in fondo e ci arriva faticosamente. Stanco e avvilito. Neppure la soddisfazione della permanenza è immacolata. Perché, a fine gara, la squadra corre a festeggiare sotto la curva e i cinquecento tifosi al sèguito rispondono con fischi e cattive parole. C’è, probabibilmente, davvero poco da festeggiare. E una salvezza risicata non è un vanto, per una tifoseria che aveva auspicato qualcosa in più, malgrado le pessime indicazioni tratte alla vigilia del campionato e un organico male assortito. Ma la contestazione che investe i protagonisti del campo punta, in realtà, un bersaglio storico, il presidente Blasi. Che, offeso, spende nuovamente frasi stizzite e ruvide. Che non occorre neanche interpretare e che addensano nuove ombre sul futuro prossimo della società. Frasi alle quali, peraltro, siamo abbondantemente abituati. Così come siamo abituati al contenzioso infinito tra la frangia più calda del tifo e il numero uno del club. Uno che si smarrisce spesso nell’umoralità del proprio pensiero e che, proprio per questo, continua a pagare un prezzo assai alto. Eppure, l’esperienza accumulata potrebbe consigliarlo, ormai. Indirizzandolo sulla strada corretta. Che non è affatto quella dell’esposizione economica obbligatoria. Se Blasi non può (o non vuole) spendere, ne ha il diritto. E ha il diritto di gestire la strategia che preferisce. Oppure di cercare nuovi compratori. Ovvero, il dovere di farsi da parte, se esiste una soluzione migliore. E, comunque, non possiede il diritto di disconoscere quello che afferma una settimana prima. Non servono, cioè, grandi promesse da sacrificare sull’altare del consenso, che si è già estinto. E non servono neppure le sciabolate che difendono il castello. Servono, piuttosto, concetti semplici e chiari. Che non si burlino della realtà e che non illudano chi è disposto a farlo. Che durino una stagione, almeno. Serve un programma, anche modesto. Ma un programma: agile, duraturo. Che non si pieghi al vento degli umori. Della piazza o del presidente. Nessuno potrà condannare Blasi, se Blasi non può. Ma Blasi non si mimetizzi nelle situazioni, non si nasconda nelle attenuanti, vere o presunte. Disegni, invece, il nuovo Taranto - qualunque esso sia - con equilibrio e managerialità. Curando i rapporti con il mondo e limando le distonie che continuano a fagocitare la società. Il gioco delle lusinghe e delle minacce è logoro, inutile. Il calcio tarantino, prima o poi, dovrà abituarsi all’idea di cambiare pagina. E l’augurio è che Blasi compia il primo passo.

Stazione di Bologna, si scende

E, adesso, è proprio finita. L’ottimismo estremo del Lecce si disintrega a Bologna, in uno scontro diretto perso sui titoli di coda, senza neppure concedersi alla disperazione. Pareggio (ormai confezionato) oppure sconfitta (sferzante, ma non decisiva), cambia poco. Serviva vincere e serviva anche la vittoria del Napoli, sul Torino. Non arriva il primo risultato, manca anche il secondo: dunque, la retrocessione – anche se non ancora aritmetica – è già scritta. Sul libro nero delle occasioni perdute. E anche di quelle sottratte da molti episodi equivoci. Dove si incrociano deficienze proprie ed errori altrui. L’ultimo proprio ieri. Il momentaneo pareggio felsineo brilla oltre la linea dell’offside, ma il direttore di gara non se ne avvede. E non se ne avvede neanche il Lecce, che non reclama, non protesta. O, almeno, il clan salentino finge di non accorgersene. Per non cadere nella frustrazione, oppure per abitudine. O, ancora, per non prendere atto che certe puntualizzazioni, alla vigilia, si dimostrano inutili. Inutili come la rabbia emersa tante volte e quella crociata contro i poteri forti vanificata dall’indifferenza del sistema. Che non fa audience e, perciò, neppure notizia. Così come non fa notizia la retrocessione stessa di Tiribocchi e compagni: nell’ordine delle cose, nella casistica più ampia di un torneo come quello di A. Complicato anche da molte sitazioni oscure. Che non allevieranno il dolore, né saneranno le colpe della squadra. Ma che, alla fine, fanno sempre classifica. Anche se è difficile spiegarlo alla gente. E, in fondo, anche a se stessi.

domenica 17 maggio 2009

Bitonto, un'emergenza in più

Ci sono tempi e modi, per complicarsi il cammino. E il Bitonto li sta rispettando, per intero. Prima, suicidandosi sul campo. Sciupando, cioè, una buona quantità di possibilità di emigrare dalla zona di rischio. E consegnandosi più o meno teneramente ai playout. E poi appesantendo il clima. Il club non paga (da tre mesi, si sussurra) e la squadra sciopera. Prima dell’ultima giornata di campionato, quando andrebbe difesa almeno la posizione di classifica, che garantisce qualche vantaggio logistico sul Grottaglie in prospettiva spareggi. E prima, soprattutto, della fase più delicata della stagione: quando si compieranno i destini. L’azione, assicurano i protagonisti, è squisitamente dimostrativa. E non implica nessun altro sviluppo antipatico. Da qui in poi Infantino e compagni penseranno sempre e solo all’obiettivo da conseguire, al di là delle rivendicazioni. Ma la causa del problema è un dato oggettivo e, in questi casi, gli effetti sono sempre subdoli. Adesso, poi, si capiscono molte cose. Come il progressivo impoverimento caratteriale di un gruppo che ritenevamo più solido, più permeabile alle insidie del torneo. Che avevamo creduto capace di esaltarsi nella battaglia, di fortificarsi nella difficoltà. Un gruppo privo di grandi risorse tecniche, ma fecondo di mestiere e di senso pratico. La realtà, invece, ha bocciato le nostre previsioni e il calcio del Bitonto, fatalmente sgualcitosi. E adesso condannato ai playout: con l’inquietudine di dover gestire un’emergenza in più.

sabato 16 maggio 2009

La guerra dei pezzenti

Se la classifica scotta e il quoziente di apprensione lievita, urlare conviene. E rivendicare può aiutare a recuperare spessore politico e posizioni. Lo sanno tutti. E tutti mostrano i crediti – veri o presunti – vantati. Anche negli scantinati del campionato. Dove lottano le squadre più permeabili, che sono anche quelle più bistrattate. Come il Bologna, che prova a corteggiare qualche arbitraggio meno malevolo e a condizionare l’atmosfera proprio alla vigilia dello scontro diretto con il Lecce. Cioè la formazione che, assieme alla Reggina e ancora più del Bologna o del Toro, può lamentarsi del maggior numero di valutazioni avverse sofferte nell’arco di una stagione intera. Si chiama guerra dei pezzenti. Chiunque tenta il suo gioco, è chiaro. E, davanti alle risicate prospettive di salvezza, sembra persino tutto lecito. Però il Lecce - e più precisamente il numero uno del club, Semeraro - sussultano. E fanno bene a puntualizzare. A spigolare sulla questione. A invocare una direzione di gara serena. Attenta. Credibile: per tutti. Prevenire, fuori dal campo, è assolutamente legittimo. Perché domani, dentro del campo, potrebbe diventare tutto più difficile. E anche l’ultimo miraggio potrebbe liquefarsi. Per demeriti propri, ma anche per colpe altrui. Il club salentino ha già abbondantemente pagato il tributo alla propria debolezza mediatica. Ed è un tributo corposo. Che non lava i difetti dell’organico. Ma che ha già affossato molte speranze. Trasformando la trasferta di Bologna nell’ultima chiamata.

venerdì 15 maggio 2009

Il primo round di Matarrese

Deturpare la felicità è un reato. E il Bari si affretta a colmare il vuoto che rischia di propagarsi. Meglio ancora: Vincenzo Matarrese spegne il fuoco che potrebbe propagarsi. Muovendosi in prima persona, dialogando, cercando di capire. In una sola parola, risanando le lacerazioni che pulsano. Conte lascia, oppure raddoppia: il problema rischia di dventare serio. Forse perché qualcosa stava incrinando il rapporto tra il tecnico e il responsabile di mercato, Perinetti. Forse perché le filosofie di ciascuno, con il tempo, hanno rischiato (e rischiano ancora?) di non convergere più. E poco importa se, dalle stanze segrete del club, poco sia trapelato, sin qui. Senza travolgere - dettaglio importante - il progetto divenuto, nel frattempo, vincente. E, allora, il presidente interviene. Con tatto, ma pure con decisione. Bypassando il diesse che, in verità, comprende la natura dell’ostacolo e si apparta per un po’: giusto il tempo per lasciar evolvere la situazione. Ma ventilando pure l'ipotesi di abbandonare l'incarico. E la situazione, effettivamente si evolve. Conte, sembra proprio vero, resta. Ed è persino logico, del resto: la Juve avrebbe individuato in Gasperini (o in un altro nome) il sostituto di Ranieri. E la concorrenza dell’Atalanta non è poi così forte: serie A di provincia per serie A di provincia, è normale che il Bari possieda un vantaggio, nel ventaglio delle preferenze. Certo, la Juve potrebbe ripensarci. E, dunque, anche Conte sarà libero di ripensarci: un patto è un patto. Altrimenti, c’è una programmazione da proseguire e rifinire: sulle sponde dell’Adriatico. Dove il trainer ha saputo (e potuto) lavorare con profitto. E dove, soprattutto, sa di potersi sorreggere su un certo appeal e su un certo potere contrattuale. Che, più volgarmente, significa carta bianca. Con la quale gestire da vicino la nuova avventura: proprio come piace a lui. Perinetti (che rimarà), dovrà dunque farsene una ragione, se la ragione fondamentale del contrasto era questa. Eppure, non crediamo che il suo peso specifico all’interno della società possa deprezzarsi. Del resto, il diesse è uomo navigato e diplomatico esperto. E resisterà saldamente. Al fianco di Conte, che all’inizio di questa stagione ha chiesto ed ha ottenuto. E che, alla vigilia della prossima, chiederà ancora e di più: perché, da adesso in poi, non si può proprio sbagliare. Deturpare la felicità è davvero un reato. E lo sa anche Matarrese, lo stratega di questi giorni convulsi. Il vero vincitore del primo round. Probabilmente, quello più importante.

giovedì 14 maggio 2009

E il Foggia si scopre favorito

Ecco che significa presidiare gli spazi della classifica. Ruotare attorno all’obiettivo: pur senza ricoprire il ruolo principale. Limitandosi, magari, a circumnavigare le posizioni che gratificano. In questo caso, il quartiere playoff. Ecco cosa vuol dire gestirsi e amministrare il traffico. Senza amareggiarsi prima del tempo. Osservando e affondando, al momento opportuno. Anche se il pédigrée non è sempre pulito. Anche se il passo, talvolta, si affatica. Anche se le esitazioni vanno e poi, puntualmente, ritornano. Come nel campionato del Foggia. Ma qui parliamo di terza serie. Dove nessuno è perfetto. E dove i disagi e le incertezze di uno si bilanciano, prima o poi, con gli errori delle concorrenti. Dove il calo di tensione è un problema comune: che può affiorare a metà del cammino o, peggio, quando è partito l’assalto alle poltrone. Ecco che significa esserci e crederci, sempre. Guardate, appunto, il Foggia: che, a novanta minuti dalla fine della stagione regolare, dopo il pari conseguito a Terni, si ritrova a dichiararsi per un posto tra le formazioni che si contenderanno la seconda promozione del girone. Confrontandosi sullo stesso livello delle concorrenti. Anzi: appoggiandosi sul vantaggio di dover esclusivamente vincere, per garantirsi gli spareggi. E’ il regalo prezioso che la formula volubile della classifica avulsa offre ai ragazzi Novelli, ad un certo punto del torneo abbastanza distanti dalla quinta piazza per demoralizarsi, ma non troppo lontani per arrendersi. Proprio così: oggi, alla vigilia dell’ultimo capitolo della regular season, il Foggia è virtualmente favorito nella corsa ai playoff. Come mai era accaduto, nelle trentatre puntate precedenti. Strano, ma vero. Ovviamente, il diritto agli spareggi andrà guadagnato: e il Crotone non è un cliente semplice. Tutt’altro. Malgrado il suo terzo posto inattaccabile lo privi delle sufficienti motivazioni e il raggiungimento della seconda poltrona sia oggettivamente improbabile. Quello che conta, tuttavia, è che il Foggia possa essere proprietario del proprio destino. E depositario di un entusiasmo tutto nuovo, recuperato con pazienza e lavoro, lontano da occhi indiscreti. E poi il tecnico, recentemente, parlava del momento del suo Foggia: del momento giusto. Cioè dell’atmosfera ideale creatasi attorno alla squadra. E se Novelli, tradizionalemnte ermetico, si sbilancia così, evidentemente qualcosa lo spinge a forzare le parole. E’ un buon segnale. In attesa di quello che accadrà.

mercoledì 13 maggio 2009

Tra un penalty e il timore

Sembra tutto scontato: da più di una settimana. Prima, però, la vittoria conseguita contro il Taranto non basta a disarmare il Benevento che insegue. E, sette giorni dopo, il Gallipoli che si piega a Lanciano disgrega un vantaggio rassicurante. Assottigliatosi, adesso, a due punti. Quanto basta, comunque, per gestire con lucidità l’ultima fatica della regular season. Tanto più che il Marcianise, prossimo avversario della capolista, è lontano da sogni e sospiri. E, dal campionato, non può esigere più nulla. Ginestra e compagni, allora, confidano nel secondo match ball. Il primo si è liquefatto in Abruzzo: anche e soprattutto, va detto, per responsabilità altrui. Sì, scriviamolo pure: quel penalty concesso ai frentani e poi diventato decisivo ai fini del risultato è frutto della fantasia del direttore di gara, malgrado un tuffo un po’ goffo all’ingresso dell’area. Però, non vorremmo che cominciasse a serpeggiare nell’inconscio della squadra quella strana alchimia che si chiama timore di vincere. Onestamente, crediamo tuttora con fermezza nella qualità complessiva e nell’affermazione finale della squadra di Giannini. Ma non è giusto sottovalutare il pericolo psicologico che, probabilmente, il tecnico e la società avranno anche sospettato e valutato. Il lavoro di gruppo infrasettimanale, perciò, dovrà preoccuparsi di sottrarre il Gallipoli dal vortice dell’ansia. La lettura tattica, questa volta, non è il primo problema. E neppure il secondo. Non è giusto sciupare una dote così. E’ giusto, invece, allontanare il dubbio. E festeggiare: la città aspetta proprio quello, da due settimane. E, anche per questo, adesso è un po’ confusa.

martedì 12 maggio 2009

Manfredonia, rush finale col rischio

Il Manfredonia di questi tempi è una formazione affidabile. Che, cioè, riesce a imporre le sue idee con discreta continuità. Che è maturata. O, meglio, che si è assestata. Con colpevole ritardo, va detto. Ma che, proprio nella fase più delicata del torneo, ha saputo restituire ampia dignità alle scelte della società e alle esigenze della gente. E che ha saputo anche dimenticare il recente e antipatico stop di Monopoli, respingendo con discreta personalità – domenica passata – le insidie presentate dal Pescina, sparring partner non ancora demotivato dalla realtà della classifica. Eppure, questo Manfredonia potrebbe non bastare a se stesso. Soprattutto perché l’Andria scivola a domicilio con l’Aversa, concorrente diretta dei sipontini nella corsa per evitare l’appendice dei playout. Ma anche perché la rincorsa non offre sempre garanzie di impunità. Tuttavia, non sembra ancora tutto perso. Perché il Melfi, adesso, precede gli uomini guidati da D’Arrigo di un solo punto e, con l’Igea Virtus, nell’ultimo turno della regular season, dovrà necessariamente imporsi. A patto, è ovvio, che l’undici dauno, regoli l’ormai spensierata Scafatese. Mentre i dubbi sul prossimo successo dell’Aversa (affronta la Vibonese) non sussistono. Comunque vada, è chiaro, il Manfredonia ci avrà provato. Riconsengnandosi, innanzi tutto, quel po’ di autostima sperperata in tanti mesi. E restituendola alla sua tifoseria. Autostima che verrà utile in futuro, magari. In proiezione spareggi, nel peggiore dei casi. Un’eventualità che va inserita nel preventivo. E che incombe anche a causa di quella penalizzazione (un punto, vale ricordarlo) che potrebbe assumere spessore decisivo, alla chiusura dei conti. Una penalizzazione annunciata, quando arrivò. E accettata serenamente. Ma, ora, troppo asfissiante per essere digerita come se nulla fosse accaduto.

lunedì 11 maggio 2009

Tatò e la gratitudine di scorta

Il sipario è già calato sul campionato del Noicattaro, già tranquillo e assorbito dai progetti che verranno. Non su quello del Catanzaro, quasi aritmeticamente affrancato all’appendice dei playoff, ma tuttora alla ricerca dell’identità perduta. E, allora, il penultimo impegno imposto dal calendario è un confronto di motivazioni impari, suffragate pure dalla formazione inedita disegnata da.Sciannimanico (fuori De Giorgi, Sassanelli e Di Muro, oltre allo squalificato Rana e all’infortunato Siclari; dentro gente tradizionalmente meno utilizzata come Cilli, Ladogana e Colluto). Il risultato che scaturisce al termine del match (zero a uno per i calabresi), oltre tutto, non modifica né le gerarchie della classifica, né le sensazioni complessive già metabolizzate: quelle, cioè, che - tra momenti più felici e situazioni più ostiche – sottotitolano il cammino soddisfacente della squadra, matematicamente salva con tre settimane di anticipo. Un dettaglio che, magari, non avrà rallegrato qualcuno. Tanto da acuire certi attriti: perché, altrimenti, non si spiegherebbe l’assenza di tecnico, dirigenti e giocatori in sala stampa, dopo il novantesimo. Ma, forse, il raggiungimento del traguardo avrà incentivato il disimpegno, fuori dal campo. E, certamente, l’ambiente tutto del Noicattaro sarà emotivamente catturato dal futuro che si sta disegnando. E che la società – parole del direttore generale Caldarulo – farà conoscere dopo la fine del torneo. Quindi, presto. Peraltro, sappiamo già che Tatò si dileguerà. Mentre Canonico, il nuovo proprietario delle quote di maggioranza del club, deciderà se dirottare il titolo altrove (si alimenta l’ipotesi che conduce a Molfetta), oppure se lasciarlo dov’è. A proposito dell’ormai ex presidente: a gara in corso, proprio ieri, è apparso in gradinata uno striscione grondante di gratitudine. “Tatò presidente perfetto, degno di onore e rispetto”. Bel pensiero e bel gesto. Ma, probabilmente, un po’ tardivo. Che offusca, ma non cancella totalmente, qualche malanimo popolare infondato. Tardivo e neppure riparatore, purtroppo. Perché la pagina sembra già girata. E la perdita di Tatò è una perdita grave.

domenica 10 maggio 2009

Grottaglie, la preoccupazione si allarga

Le dimissioni (l’esonero?) di Dino Orlando, condottiero del Grottaglie ferito e sfiduciato, piovute alla soglia dell’imminente (e mal digerita) appendice dei playout scuotono l’ambiente – già elettrico – e lasciano pensare abbastanza. Sulla condizione mentale e psicologica dell’Ars et Labor e, soprattutto, sull’opportunità del cambio di panca in questo punto della stagione. Ovvero, sulla tempistica della soluzione estrema e sulla gestione del momento, assolutamente delicata. E, paradossalmente, la smentita societaria della notizia incupisce ancora di più. Perchè il caos sembra essersi sposato al disagio grondato in coda ad un mese di prestazioni incerte e di risultati penalizzanti. Intanto, mentre scriviamo, ancora non sappiamo se oggi (e anche in sèguito) guiderà la squadra Enzo Pizzonia, trainer che non difetta di esperienza e neppure della conoscenza degli uomini a sua disposizione (il trainer della Berretti ha diretto il lavoro di rifinitura del sabato), oppure se Orlando conserverà il proprio posto. In ogni caso, tuttavia, il Grottaglie sembra sbriciolarsi, giorno dopo giorno. E arriva agli spareggi inquieto, impaurito, nervoso. Sfilacciato, forse. Prigioniero della propria debolezza. Ma, soprattutto, al di là delle verità nascoste e del litigio vero o presunto tra Orlando e il presidente Ciracì , l'allenatore (chiunque esso sia) dispone di due settimane per capire ed operare chirurgicamente: sulla testa, piuttosto che sul modulo. Sull’aspetto caratteriale del collettivo, piuttosto che sulla strategia. Due settimane, non di più. E la preoccupazione si allarga.

sabato 9 maggio 2009

Bari, riecco la A. Matematica

Non deve neppure pensare, sudare o industriarsi. Il Bari ritrova la serie A senza neppure giocare, venti ore prima di giocarsi il match a Piacenza: quello che diventerà un semplice happening felice. E’ sufficiente che il Livorno cada nell'anticipo del venerdì contro la Triestina: e la festa parte. Festa nella festa: quella per il santo più amato in riva all’Adriatico. Festa annunciata. Ma non per questo inapprezzata. Anzi. Festa di liberazione: da una categoria angusta, alla quale la città si era rabbiosamente abituata. Ma il tempo passa ed è più semplice dimenticare gli anni vanificati sull’altare della discordia. O fingere che nulla sia accaduto. Punto e a capo, allora. Verso il consolidamento di un progetto appena ripartito. Dove Matarrese, evidentemente, ora potrà beneficiare di maggior spazio nel cuore della gente e dove la gente dovrà riporre più fiducia nei confronti della proprietà. Anche perché non esiste un’alternativa credibile. Il successo, peraltro, contribuirà ad appianare certi disguidi. E, immaginiamo, anche a raffreddare certe (sotterrate?) rivendicazioni popolari. Punto e a capo, sì. Forse ancora con Antonio Conte al timone della squadra. O forse no. Lo scopriremo abbastanza presto: la Juve, se vorrà davvero il tecnico più emergente della B sulla propria panca, lo farà sapere immediatamente. Al di là dei nomi e dei cognomi, tuttavia, l’unico punto di riferimento di Matarrese e dei suoi collaboratori più stretti dovrà diventare solo ed esclusivamente il progetto stesso del club di via Torrebella. La programmazione, già avviata, potrà solidificarsi e continuare a fruttare: approfittando della valorizzazione futura di nuove risorse umane, tecnicamente interessanti. Al di là dell’allenatore che lo guiderà nel prossimo campionato, il Bari sarà obbligato a perseguire il selciato già conosciuto: affidandosi a molti vecchi protagonisti, ma anche alle gambe delle nuove proposte. Tecnicamente dotate, appunto. E non importa, certe volte, neppure la categoria: salvarsi in serie A, ormai, è come primeggiare in seconda serie: oltre alla fame e all’esperienza, serve gente che sappia giocare al calcio. Il dato, di questi tempi, non è più in discussione. Guardate il massimo campionato che si sta concludendo e osservate gli organici di chi sta per soccombere. Il principio della qualità spiega molto, assolve e condanna.

mercoledì 6 maggio 2009

Lecce, ora è il momento

Disgregata e svilita. Cotta, come sottolineava Gigi De Canio ai suoi, a svantaggio ancora da recuperare. La Juve era quella che immaginavamo alla vigilia. Niente di più e niente di meno. Psicologicamente vulnerabile. Pure da un Lecce povero, ma di nuovo combattivo. E, almeno, motivato. Un Lecce che è ancora nel vivo della battaglia. Quella battaglia strana in cui nessuno trova l’energia o il guizzo per allontanarsi dalla porta della retrocessione. Né il Bologna, né il Torino. Né lo stesso Chievo. E dove rientra per intero la Reggina. Il punto guadagnato nell'ultima fatica, intanto, offre solo speranze da cullare. Che conviene coltivare, sino in fondo. Nessuno si illuda: però, se non altro, la squadra esibisce nuovamente la rabbia smarrita. E un’organizzazione tattica fruibile, sulla quale addossare la disperazione e la sete del risultato. Nessuno si inganni: però la salvezza, nonostante tutto, è addirittura ancora possibile. E il Lecce, probabilmente, può disputarsela finlla fine. Vale crederci: e poi non costa nulla. A condizione che, domenica, Castillo e compagni superino il Napoli, a domicilio. Anche per questo, il club salentino decide di incentivare la gente, ribassando sensibilmente il costo dei tagliandi d’ingresso. Si usa, in questi casi. E, dall’altra parte, in certe situazioni, si usa anche rispondere. Congelando le polemiche, gli screzi e la contestazione. Ora è il momento.

martedì 5 maggio 2009

Tra il torto e la ragione

Un punto, al Grottaglie, non serve affatto. E il derby, l’ultimo derby del campionato, certifica quello che immaginavamo già da sette giorni: l’obbligo della squadra di Dino Orlando alla partecipazione alla sessione dei playout. Con quante probabilità di riuscita è difficile prevedere, onestamente. Ma un punto, purtroppo, non serve neppure al Bitonto, che sciupa – in casa – l’ultima chance della regular season. Sprecando più del consentito, oltre il lecito. Liofilizzando nel secondo tempo una vittoria costruita con sapienza nella prima parte della gara. E finendo per essere risucchiato – non ancora matematicamente, ma virtualmente – nello stesso girone dei dannati in cui verrà inserito il Grottaglie. Anzi: tutto, oggi, lascerebbe pensare ad un nuovo scontro diretto. Questa volta senza appello, per chi perde. Innanzi tutto perché è difficile credere ad un Angri disattento, negli ultimi centottanta minuti. Spareggi, dunque: che, comunque vada, potrebbero bocciare una pugliese. Eventualità che il tecnico grottagliese vorrebbe evitare. Ma che Ruisi, coach del Bitonto, ha già invocato. Con stizza. Sbagliando, dal punto di vista formale: perché non è sportivo contestare (e censurare) la serietà concettuale di chi (il Grottaglie, appunto) ha disputato il proprio match sino in fondo, pur conoscendo in anticipo il suo destino. Ma sottolinenado, di contro, una verità indelebile: la sacra alleanza delle formazioni campane, prima o poi, produce effetti e vantaggi tangibili. Alleanza che i club pugliesi non sono soliti coltivare. Ed esprimendo, in fondo, un pensiero condivisibile, nella sostanza. Che ci lascia nel mezzo della questione. In una posizione scomoda. Dove sono i torti e dove è la ragione?

lunedì 4 maggio 2009

L'appuntamento con la storia è solo rinviato

Non si stempera, il sorriso del Gallipoli. Anche se la strada del derby è di pietra. Anche se il Benevento rintuzza. Anche se un altro passo non è quello decisivo. Anche se l’appuntamento con la B è ufficialmente rinviato: di una sola settimana, magari. Ma sì: perché rabbuiarsi. La promozione verrà. Dubitarne è illogico. Per un motivo semplice: pure tra le difficoltà, la squadra di Giannini non si lascia ingannare dall’ansia. E, tessendo la propria trama, prima o poi risolve la questione. Utilizzando quella qualità di fondo sulla quale si appoggia. Come ieri, appunto. Di fronte, c’è un Taranto che, dietro, si sistema a quattro e gli riduce gli spazi. Un Taranto ordinato, che sa ripartire e che, palla al piede, si ritrova con discreta puntualità. Che contiene, limitando i danni e, anzi, guadagnandosi metri di autonomia. Un Taranto stranamente credibile, anche in trasferta. Dove il coach Stringara, sin qui, ha sempre perso. Certo, il Gallipoli smarrisce la verve di altre occasioni e si incarta. Sembra che la sfida possa cancellare vizi (rossoblu) e virtù (giallorosse) di un campionato intero. E poi, forse, il peso dell’attesa intralcia le migliori intenzioni della capolista, ormai alla soglia della storia. Chiaro: il Gallipoli del derby non è il miglior Gallipoli possibile. Basta un dato, per capire: la linea di mèta avversaria è distante e, a parte un tentativo spentosi sul palo, la formazione leader del campionato non conclude mai nello specchio della porta. Del resto, la circolazione di palla (più gratificante nella prima frazione di gara, meno convincente nella ripresa) non allevia la sofferenza. E il match di Antonioli e compagni, con il tempo, si appesantisce, si affatica. Arrivano, però, buone notizie: la Cavese crolla ad Arezzo e il Benevento non passa a Castellammare. Notizie utili per non affannarsi troppo e per confidare in ciò che può accadere. Ad esempio: un’infortunio (di Barasso, guardasigilli ospite) e un’intuizione (l’acuto di Di Gennaro, che estirpa l’equilibrio dello score). E poco importa se il Benevento, a gara praticamente conclusa, supera la Juve Stabia, gelando l’euforia di una vittoria recuperata a nove minuti dalla fine. Basta saper attendere, adesso. E non lasciarsi coinvolgere da sicurezze eccessive. Interpretando con coscienza l’impegno di Lanciano (domenica prossima) e quello successivo con il Marcianise, già libero da impegni. Ma, onestamente, questo sembra un piccolo problema.

venerdì 1 maggio 2009

Il Lecce, il coraggio e l'incoscienza

La farsa è finita. Juve-Lecce, dopodomani, si giocherà con il contorno di pubblico. Perché il potere contrattuale dei più nobili è sempre un concetto saldo. O perché è sempre più difficile lasciar coincidere il calcio e la coerenza. Poco male, tuttavia: il problema, per la gente di De Canio, non è sugli spalti altrui, ma sul campo. Sì, l’ultimo successo, appena domenica scorsa, somministra ossigeno. Ancora insufficiente a respirare, peraltro. Ma continuare a sperare (e a lottare) si deve: altrimenti, è meglio smobilitare, da sùbito. Che dire: il pronostico, questa volta più di altre, è irrimediabilmente chiuso: il divario di qualità è chiaro, evidente. A Torino, il Lecce potrà aggrapparsi all’orgoglio. Al bisogno. E al cattivo momento dell’avversario, che si sta immalinconendo. E, probabilmente, a nient’altro. Eppure, è già qualcosa. La squadra, allora, faccia buon uso delle sue ultime possibilità. E provi a graffiare. Difendersi e basta, del resto, non servirebbe. Oltre tutto, il due a uno imposto al Catania, più che la classifica, dovrebbe aver alimentato l’autostima del collettivo. Da tempo, è vero, attendiamo un atto di coraggio del Lecce. Ma questo è il momento migliore per aspettarselo. Un atto di coraggio, esatto. O di incoscienza. Che plachi un poco l’agonia. E i malanimi: con il mondo arbitrale e con il mondo intero. Anche se ci rendiamo perfettamente conto che questa trasferta è la meno indicata per riappacificarsi con il microcosmo dei direttori di gara. Il potere contrattuale, dicevamo, è un concetto sempre saldo. Non resta, duqnue, che affidarsi al coraggio e all’incoscienza. Il tempo, purtroppo, scivola. E non torna più.