giovedì 15 luglio 2010

Casillo, Pavone, Zeman: altro giro

Un passo avanti (di Casillo). E, forse, un passo indietro (di Capobianco e del suo gruppo). Ma l’accordo sboccia: e il Foggia riabbraccia la normalità. Cioè, un nuovo padrone motivato (impensabile pensare il contrario, del resto) e una serenità amministrativa che dovrebbe permettere al club di recuperare umore e colore. Pasquale Casillo torna in Capitanata salutato da eroe, o quasi. Per quello che l’ambiente si augura che faccia e per quello che è stato. Torna, particolare importante, sostenuto dall’opinione pubblica, dalla tifoseria. Non disporrà di molto tempo, per agire. Ma gode già di un vantaggio: non deve dimostrare nulla. Né chiedere fiducia alla piazza: quella c’è già. Il presidente che ariva ha pure un piano, un programma: e questo è fondamentale. E una scorta che lo accompagna: il diesse Pavone e un coach amatissimo come Zeman. Due soluzioni dettate dal cuore, che cercano di arrivare al cuore della gente. Che sollevano entusiasmo. Che guardano, innanzi tutto, ad un rilancio mediatico dell’immagine (sbrecciata) della società. Il calcio, però, è cultura del presente. E ogni momento storico è uguale a se stesso e basta. La squadra andrà ripensata, il lavoro va reimpostato: aggrapparsi unicamente ai ricordi è dolce, ma non basta. I retaggi di tempi andati servono ad accendere il motore, ma non a carburare. Casillo, Pavone e Zeman ripartono dal nulla, o quasi. E il pericolo di ritrovarsi schiavi di un passato felice e ormai lontano è alto. Anche da quello, ma soprattutto da quello, dovranno guardarsi. Immediatamente.

martedì 13 luglio 2010

Foggia, primo passo verso la normalità

Il martirio della radiazione sembra scongiurato. Il Foggia dovrebbe ripartire: dalla terza serie.Come l’epilogo dei playout da poco affrontati (e superati) consentirebbe. Se le prime operazioni di iscrizione al prossimo campionato erano imperfette, il successivo ricorso sarà - con ogni probabilità - accolto. Merito, malgrado tutti i problemi passati e presenti, del gruppo di comando uscente, capitanato da Tullio Capobianco. Uscente perché ha – da tempo – deciso di isolarsi dal pallone. E perché una vecchia conoscenza come Pasquale Casillo sembra ancora in pole position per rilevare la maggioranza delle quote azionarie del club. Ovvio, il Foggia che verrà dovrà tenere conto della penalizzazione certa che infiacchirà il cammino. Ma, almeno, il calcio dauno sopravviverà, tra i professionisti. Evidente che, poi, occorrerà riunirsi dietro un tavolo. E trattare. Dovranno trattare Casillo e Capobianco. Perché la situazione, a iscrizione completata, dovrà necessariamente essere disciplinata. E velocemente, pure. Il passaggio di consegne, per intenderci, non è affatto scontato. Anche se, nell’ambiente, già si ipotizzano i nomi di Peppino Pavone e Zdenek Zeman, che seguirebbero Casillo: giusto per riabbracciare i vecchi tempi e il sapore dei successi di quindici anni fa. Anzi, ascoltando le parole di Capobianco, la strada è persino tortuosa: «Casillo, se vuole il Foggia, tratti con me e non parli con la stampa. Si faccia vivo. Altrimenti, lasci perdere. E ci faccia lavorare con serenità». Sottoscriviamo. Anche se immaginiamo che un imprenditore esperto come Casillo sappia come e quando muoversi: contando, magari, sul tempo che si diluisce e sulle urgenze che si alimentano. Ma la piazza merita chiarezza, innanzi tutto. E le chiacchiere, se non suffragate dai fatti, rischiano di strangolare quel poco di fiducia popolare che resta. Rischiando di invalidare pure quegli sforzi che consentiranno al Foggia di ripartire al pari con le concorrenti. Se Casillo vuole il Foggia allora, faccia una proposta, il più presto possibile. E, se il gruppo di comando uscente vuole davvero disfarsi della srl, agevoli il passaggio, sorvolando sulla forma. A luglio inoltrato, è vietato scherzare.

lunedì 12 luglio 2010

Manfredonia, game over

Manfredonia come Monopoli. Come Gallipoli. Il calcio professionistico, sul golfo, si eclissa. L’agonia è stata lunga. E parte da lontano: da un paio di stagioni, per la precisione. Doveva finire così, è finita così. I segnali, del resto, ultimamente erano forti, inequivocabli: stipendi mai pagati e sciopero (sul campo del Brindisi, all’ultima giornata del campionato apena terminato) a salveggia già acquisita. Tutti sapevano. Anche la stampa cittadina, che ha protetto il club sperando di agevolare il processo di normalizzazione, mai avvenuto. E che, adesso, comincia a raccontare qualche particolare in più: polvere secca negli occhi che non potranno più posarsi sul torneo di quarta serie. Il Manfredonia, semmai, ripartirà dalla Promozione. Nulla ha potuto la sua dirigenza stanca e demotivata, ma soprattutto scopertasi sprovvista di argomenti forti. E nulla ha potuto l’ex patron Riccardi, sindaco della città. Nessuno ha risposto all’appello. Nessuno è venuto incontro al pallone, ricaricando il bancomat societario. E nessuno si è sorpreso più tanto, in fondo. Nemmeno la gente che tifa: che ha mugugnato, sommessamente. E che, prima di altri, aveva abbandonato la nave al suo mare agitato. Disertando gli spalti: con meno di cento spettatori per domenica, quando va bene, il fallimento è un destino abbastanza normale.

domenica 11 luglio 2010

Le scelte, la simpatia, il senso

La scelta ha un senso. E rientra in quella serie di operazioni nate per catturare simpatia. La simpatia della piazza, innanzi tutto. E che, per questo, vanno salutate come meritano: con rispetto. La scelta è il cambio di denominazione sociale: da Taranto Sport ad A.S. Taranto. Ovvero, l’antico che sostituisce il nuovo. La tradizione che soppianta le esigenze della contemporaneità e le disavventure di un vecchio fallimento. Chiaro: il vecchio timbro non presuppone sconvolgimenti storici, dal punto di vista squisitamente pratico. Ma certe idee incontrano la soddisfazione della gente. Cioè dei clienti dell’universo calcio. Altrettanto evidente, poi, che le opinioni della tifoseria continueranno a ruotare attorno ai fatti. E ai risultati. Ecco, i risultati. Il primo, in riva ai due Mari, è già arrivato. Anche se se ne saranno accorti in pochi. Il Taranto è iscritto al prossimo campionato: non è poco, di questi tempi. Basta guardarsi attorno, per capire: e chiedere in giro. A Foggia, Manfredonia, Gallipoli e Monopoli, giusto per rimanere dentro i confini regionali. E, di questo, va dato atto alla presidenza D’Addario. Che, intanto, sembra aver capito gli errori di mesi addietro. Inaugurando, così, un nuovo capitolo. Meno spazio a contratti lunghi e lunghissimi, minore attrazione per i cognomi famosi e più fiducia verso chi non possiede pedigrée, ma ha fame. La campagna di rafforzamento (la prima parte, almeno: quella degli scorsi giorni) ha portato sullo Jonio giocatori forse anche sconosciuti a tanti, ma presumibilmente abbastanza motivati. La strada, questa strada - al di là dei risultati che poi appalteranno le opinioni - ci sembra corretta. E pure lei rientra in quella serie di operazioni nate per catturare simpatia. Anche se, dopo un primo e fugace sguardo, non sembrerebbe. Ma, appunto, sarebbe sufficiente guardarsi attorno, per comprendere. L’augurio è che la città che tifa sappia cogliere il senso. Eppure, capire non è troppo difficile. Basta volerlo.

martedì 6 luglio 2010

Gallipoli, ritorno al passato

Tutto azzerato. Bastano pochi mesi per cancellare anni impetuosi. Il Gallipoli retrocesso e fallito torna da dove era arrivato. Nella migliore delle ipotesi. Riparte dall’Eccellenza: o, almeno, così sembra. O, male che vada, dalla Promozione. Da quei quartieri sommersi nei quali ha navigato un paio di decenni lunghi e bui, prima della scommessa (vinta) da Barba. E’ un ritorno al passato. A quel limbo in cui il calcio di quest’angolo di Jonio potrà rintanarsi pensando al sapore dolce dei ricordi e del professionismo perso troppo in fretta, universo esagerato per le potenzialità effettive della città. Che, adesso, prova a riavvicinarsi al pallone. Faticosamente. L’augurio è che, ora, la storia recente non obblighi (o non spinga) la società che verrà a recuperare il tempo perduto con la leggerezza e la foga cieca che portano inesorabilmente al fallimento degli obiettivi. E la tifoseria a riscaldarsi alla prime difficoltà. Quel che è andato, è andato. E il blasone, ormai, non conta più tanto. Velocizzare i tempi di risalita senza un progetto dotato di fondamenta non servirà. Anzi, prima o poi il conto da pagare diventerà troppo oneroso. Riorganizzarsi con lucidità e saldezza, invece, converrà di più. E’ questa l’unica strada percorribile. Anche se largamente impopolare.

venerdì 2 luglio 2010

Monopoli, morte improvvisa

Sulla storia del Monopoli cala la saracinesca. Per la seconda volta. Non decide il Palazzo, però. La società sceglie l’eutanasia. Poche possibilità finanziarie, spiega la famiglia Laudisa: il problema, tuttavia, è che la decisione (e l’annesso comunicato ufficiale) della società arriva a ridosso della chiusura dei termini di iscrizione. Quando, cioè, non esiste margine alcuno per tamponare, rimediare. O, almeno, adoperarsi. E pensare un’eventuale soluzione. La morte del Monopoli, diciamolo tranquillamente, si abbatte sulla città e sulla tifoseria improvvisamente. Come un uragano inatteso. Vero, già in passato i Ladisa avevano allertato l’ambiente delle difficoltà sparse sul selciato. Ma senza mai entrare per davvero nello specifico. Senza, comunque, stabilire i tempi della gestione della crisi. Reale, ma sotterranea. Il calcio (quello professionistico, almeno) scompare: e l’impressione è che il club non abbia governato con saggezza il momento storico. Gli stessi tesserati (il diesse Manzari, ad esempio) non nascondono la sorpresa, che vanifica anche i primi approcci: con il tecnico che avrebbe dovuto sostituire Chiricallo e con qualche giocatore. Il gioco degli equivoci deflagra nella peggiore delle alternative. Diventando una sentenza senza appello: che profuma tanto di vendetta: nei confronti della piazza, dell’imprenditoria locale e della politica cittadina. Anzi, di vendetta pilotata. Che la Monopoli calcistica dovrà metabolizzare. Perché, da quelle parti, all’epilogo più amaro non ci crede ancora nessuno.