domenica 30 giugno 2013

Moriero, un salentino sulla panca del Lecce

Salentino e orgoglioso di esserlo. Alla propria terra Checco Moriero è indissolubilmente legato. E non solo calcisticamente parlando. Nel Lecce, oltre tutto, ha giocato: ancora prima di tentare esperienze sportivamente più gratificanti e economicamente più redditizie. E di passare dall'altra parte della barricata, sulla panca: dove si sono rincorsi, sin qui, belle avventure e cattivi ricordi. Di poter allenare in Salento, peraltro, se lo sarà augurato spesso: confidando nell'occasione giusta. Poi, ad un tratto, la famiglia Tesoro liquida il breve interregno di Gustinetti, si prefigge di cercare un motivatore particolarmente motivato e lo contatta. C'è bisogno di dimenticare l'epilogo triste del campionato appena passato, di ritrovare stimoli e certezze, di rifondare il Lecce. E Moriero, appunto, potrebbe essere la persona giusta. A Grosseto, ultimamente, è andata male: ma l'uomo convince. E il tecnico anche. Allora, il nuovo Lecce che sta nascendo sarà suo. Soddisfazione a parte, però, non è impegno da poco. La piazza è afflitta. La proprietà è stizzita. La squadra va ripensata. E la pressione salirà ancora, vertiginosamente. Più di prima, il Lecce deve vincere. E non ci sono alternative. E dovrà convincere, anche. Il presidente ha resistito alla prima grande delusione di quest'avventura leccese, ma un altro fallimento potrebbe incrinare per sempre il suo rapporto con l'ambiente: anche per questo, non concederà salvacondotti a nessuno. Nemmeno a Moriero. Che dovrà corazzarsi e affrontare una battaglia in cui incontrerà un nemico in più, le sue stesse origini. Pronte ad aiutarlo, ma anche a condannarlo, se tutto dovesse complicarsi. Come, se vogliamo, è accaduto anche per Toma, uno dei suoi predecessori. Sinceramente, non lo invidiamo poi così tanto.

mercoledì 19 giugno 2013

Il Brindisi e le parole giuste

A Brindisi i dubbi non finiscono mai. Neppure quando la presidenza Flora interrompe la lunga crisi societaria, rifondando le speranze popolari. Oppure quando il club decide di ripartire per tempo, blindando il tecnico che ha accompagnato la squadra verso la salvezza, a ultimo campionato in corso, cioè Ciullo: meritatosi, per questo, stima ed affetto incondizionati. Neanche quando la nuova squadra sgomita per decollare. Qualche disguido di troppo, un confronto saltato nei misteri della comunicazione e, soprattutto, il difficile momento storico, che stringe chiunque: il progetto, ad un certo punto, rischia di sfaldarsi, ancora prima di prendere contorni e colore. Ninì Flora e l'amministrazione comunale, che ha garantito al nuovo patron adriatico sponsor e sostegno, si sfiorano, si allontanano e si perdono per un paio di giorni. Poi, anche sulla spinta dell'amarezza che agita la piazza, le parti si cercano e si ritrovano. Per sempre, magari. Il presidente, evidentemente, ottiene quel che chiede: un aiuto. Perchè, da solo, il suo impegno (quantificato a suo tempo in duecentocinquantamila euro) non basta per coprire le esigenze. Che sono - riportiamo fedelmente le dichiarazioni più recenti - quelle di un campionato, il prossimo, di livello elevato. Diciamo, per tradurre, con balcone sui playoff. Al di là delle acrobazie verbali, la realtà (sarebbero stati stanziati cinquecentomila euro) e i propositi potrebbero non incontrarsi: perchè, scriviamola tutta, in serie D certe cifre non garantiscono sogni robusti (e, a dire il vero, neppure esposizioni economiche persino più importanti assicurano i risultati). Vero è, tuttavia, che una starategia oculata è talvolta molto più gratificante del portafoglio pieno. E che la tendenza, in quinta serie, si è ultimamente avvicinata al concetto del contenimento dei costi: con pochissime eccezioni. Eppure, ancora oggi, cinquecentomila euro non possono autorizzare la tifoseria ad inseguire le fantasie: certi particolari non vanno sottovalutati. E un ambiente deluso da anni di pessime esperienze non merita di essere nuovamente circuito (o inconsapevolmente ingannato) con parole leggere o avventate. Le frasi da spendere, prima che cominci la nuova stagione, dovranno attraversare il setaccio dell'equilibrio, della saggezza: lo stesso Flora, che abitualmente si esprime con estrema chiarezza, converrà. Al di là dei nomi che la dirigenza adriatica saprà accoppiare a chi vorrà restare. Al di là del girone che sarà varato dalla Lega. E dello spessore degli avversari che il Brindisi incrocerà sulla strada.

martedì 18 giugno 2013

Manfredonia, sprint di fine stagione

C'è anche il Manfredonia, nella serie D che sarà. Ci arriva dalla finestra degli spareggi nazionali di fine stagione, proprio in fondo alla corsa. Senza godere, almeno tra i confini regionali, dei favori del pronostico. Che non servono, nella lotteria dei playoff: dove la formazione allenata da Cinque scavalca prima il Cerignola (cioè la più titolata del lotto) e, sùbito dopo, il Terlizzi dei big. Poi, oltre confine, regola calabresi (il Rende) e siciliani (il Campofranco), riscuotendo il biglietto per il grande salto. Che abbellisce l'annata calcistica delle foggiane inserite nella Premier League di Puglia (il San Severo ottiene la promozione in prima battuta, il Cerignola vince la Coppa e cede in finale nazionale davanti alla Fermana), mitigando l'asprezza di quel mal digerito fallimento, ancora recente (il club sipontino si ritrovò dalla C all'Eccellenza nell'arco di una sola estate, per sopraggiunta debolezza economica). Gruppo solido, questo Manfredonia: partito a settembre con qualche languore e frettolosamente estromesso dal gruppo di comando, ma poi rinsaldatosi nella manche di ritorno e, innanzi tutto, in prossimità del rush finale. Squadra di categoria, ovviamente: con qualche singolo interessante. E guidata da un allenatore di carattere. Non sembrava il suo anno. Lo è diventato, però. Sullo sfondo, infine, la conferma della bontà media del pallone pugliese, a livello di prima serie regionale: malgrado un certo ridimensionamento generale dei budget di partenza. Non è, del resto, questo il punto: prima o poi, le realtà calcisticamente più rappresentative di questa terra sanno puntualmente evadere dall'anonimato del dilettantismo. Il problema, semmai, è mantenere il professionismo. Al quale, come raccontano le cronache, il calcio di queste latitudini si sta sempre più disabituando.  

lunedì 17 giugno 2013

Lecce, un anno buttato via

Certe cose si sentono. E non avremmo scommesso troppo volentieri sulla promozione del Lecce, arrivato davanti al traguardo con una zavorra di appannamento fisico e mentale. E con un obbligo imprescindibile: vincere (all'andata si era imposto il Carpi, a casa sua). A fronte, peraltro, di un avversario più tonico: almeno nel momento decisivo della stagione. Il successo, comunque, sembrava persino ipotizzabile, ad un quarto d'ora dalla fine del match. Certo, non inattaccabile: ma, se non altro, difendibile. E, invece, i calci da fermo sono episodi importanti, che spesso decidono le battaglie del campo. Come quello trasformato da Kabine, che annulla il precedente sigillo di Bogliacino: uno a uno, poche possibilità di ribattere. Serie B al Carpi, Lecce ancora nell'inferno della terza serie. Malgrado un campionato vissuto quasi sempre sul gradino più alto. E nonostante il miglior piazzamento da utilizzare nella griglia dei playoff. Pare impossibile, ma così è: l'organico ritenuto più forte e più blasonato fallisce anche la prova di appello. Aprendo un serio periodo di riflessione e, purtroppo, anche di depressione. L'ambiente, già elettrico di suo, si incattivisce di molto: e le immagini che, in diretta, tagliano l'Italia sono crude e inequivocabili. Invasione di campo, caccia all'uomo, sfondamenti, tentativi di penetrazione negli spogliatoi, guerriglia urbana, contenzioso acceso con le forze dell'ordine: c'è di tutto. Ma ci divincoliamo dalla cronaca (nera) e guardiamo oltre: ad una città calcisticamente ferita e ancora incredula. Ad una tifoseria abbruttita dai gesti sconsiderati di alcuni. Ad una società spiazzata e parecchio seccata. Ad una squadra già scarica e, ora, addirittura impaurita. Piaccia o no, se non accadrà altro, nella migliore delle ipotesi, sùbito dopo la riflessione, urgerà allora una rifondazione tecnica. Anche e soprattutto perchè, fatte poche eccezioni (una su tutte, Chevanton: in campo anche in condizioni di difficoltà, a match ormai compromesso), molti protagonisti del collettivo allestito prima da Lerda, poi da Toma e, infine, da Gustinetti hanno irrimediabilmente scavato un fossato tra di loro e la piazza. Perdendo credibilità e i benefici di quel feeling che ancora resisteva. Azzerare tutto o quasi: è proprio questo il problema. Perchè, nel pallone, azzerare e ripartire è un compito sempre abbastanza rischioso. Questa volta, però, resettare quasi tutto diventa addirittura necessario. Di più: chi dirige il club non potrà neppure perdere tropppo tempo. Cercare di capire dove operare per adottare le scelte migliori, velocemente: ecco quel che ci vuole. Utilizzando la testa, invece dei nervi: la nuova sfida si fa complicata.

martedì 4 giugno 2013

Barletta salvo, Andria giù

Il Barletta resta in terza serie. E l'Andria casca. Un po' era scritto. Succede spesso così, quando una squadra arriva al punto nodale della stagione nelle condizioni mentali, tecniche e atletiche migliori e un'altra, come quella di Cosco, all'ombra degli affanni, un po' scarica e infiacchita dai timori. Nello spareggio consumato in appena dieci chilometri, la gente di Orlandi si impone con sufficiente autorità: quella che serve a spiazzare ogni pronostico contrario e a trovare la strada giusta proprio negli ultimi minuti del match di andata (due a zero maturato attorno al novantesimo) e quella che sorregge il gruppo quando è opportuno salvaguardare il doppio vantaggio senza soffrire (anzi, la seconda manche si chiude con un altro successo: uno a zero). Nei centottanta minuti, il Barletta si dimostra, cioè, più e meglio inserito nel contesto, decisamente più credibile. Assicurando l'impressione opposta di quella offerta per tanti mesi: quella di una formazione fragile, incompleta e destinata a subire, sempre e comunque. Gli ultimi capitoli della stagione, intanto, promuovono il lavoro del terzo tecnico stagionale. Orlandi sembra aver compreso abbastanza presto il meccanismo di questo ingranaggio affaticato, riuscendo a distillare dal gruppo certe qualità comportamentali (la continuità e la capacità di gestire determinate situazoni, ma non solo) che nè Novelli (in due distinti periodi) e nè Stringara erano riusciti ad ottenere. L'Andria, di contro, paga quella patina di apatia che l'ha accompagnata negli ultimi due mesi: un'apatia cresciuta nella consapevolezza di non poter ambire compiutamente alla salvezza senza passare dai playout, nella certezza di aver dribblato in forte anticipo la retrocessione diretta e nell'attesa degli spareggi. Ma anche ingigantita dall'infinita querelle societaria che si è fatta, nel tempo, fastidiosa e per niente solleticata dallo scampato pericolo della maxipenalizzazione. Ecco, sì: l'Andria non ha saputo scrollarsi il proprio torpore, ha dimenticato di rinnovarsi nello spirito e nella mente. Rimanendo dov'era, tra le sue contraddizioni e i suoi enigmi, tra i propri problemi e le proprie ansie. Con rassegnazione.    

lunedì 3 giugno 2013

Lecce, ora la finale

Il primo ostacolo, sulla strada della B, si chiamava Entella. Il secondo si chiama Carpi. Il Lecce mantiene gli onori e gli oneri del pronostico, obbidisce agli obblighi del blasone e va avanti nei playoff. E' ancora il favorito. Ed è ancora padrone del proprio destino. Certo: tentare la promozione in seconda battuta sa un po' di ripiego. Ma, dopo tutto, l'obiettivo di partenza è sempre lì, in fondo al traguardo: e, dunque, è ben concreto. La formazione appena affidata a Gustinetti, tuttavia, conferma di aver dimenticato la brillantezza di inizio stagione. Quella è storia passata, ormai: e brillante il Lecce non può esserlo, adesso. Nel match di andata della semifinale, in Liguria, si è persino spaventato. Riscuotendo, alla fine, un pareggio comodissimo. E, sette giorni dopo, cioè ieri, sull'erba di casa, si è imposto di misura (due a uno): senza però offrire di sé un'immagine irreprensibile. La squadra, a tratti, sembra usurata. Infiacchita nel morale e, forse, anche nel fisico. Da un campionato strano e dispersivo, ma anche da un'appendice alla quale Giacomazzi e compagni, mentalmente, non erano e non si sono probabilmente ancora abituati. Riteniamo che il nuovo coach si sia concentrato, negli ultimi giorni, sui risvolti psicologici del gruppo, piuttosto che sull'aspetto tattico. E immaginiamo che debba continuare a farlo, in prossimità della doppia sfida finale (prima si va in Emilia, quindi si replica in casa). Se il Lecce, come sembra, è abbastanza cotto, il tecnico deve semplicemente esigere, da chi va in campo, gli ultimi scampoli di energia e determinazione: svuotando completamente quello che c'è da svuotare. E basta. Gustinetti, cioè, non potrà ragionevolmente fidarsi troppo della superiore qualità tecnica e del più alto tasso d'esperienza del suo organico. Serviranno di più la risolutezza, la rabbia e, se volete, anche la dignità. Perchè, inutile girare attorno al problema, il Lecce arriva alla finale un po' ammaccato. E il Carpi discretamente bene.