mercoledì 29 giugno 2011

Brindisi, è contdown

Contdown. Sta per sgretolarsi anche l’immagine del Brindisi. La società, invece, è trapassata già da tempo. Non esiste soluzione: il diritto di cittadinanza alla C2 è inesigibile. Non esistono compratori. Compratori veri: australiani o brindisini che siano. La gestione-Pupino è l’ultima. Le voci raccolte sin qui valgono per quel che sono: niente. La piazza le ha inseguite per un paio di mesi, accorgendosi dell’infondatezza o della labilità delle parole. Risvegliandosi assai presto dall’eccesso di ottimismo. I debiti cospicui accentuano la scarsa appetibilità del club. La radiazione dai ranghi federali è, oggettivamente, l’unica alternativa logica. I precedenti, peraltro, confermano: in riva all’Adriatico, una situazione come questa è stata vissuta già due volte: con risultati nefasti. Finirà come previsto: a campionato (scorso) già in corso. Certi segnali, certi cognomi e certi avvenimenti vanno decodificati, tradotti. Operazione che, talvolta, riesce con facilità infinita. L’amministrazione comunale, negli ultimi tempi, si è pure attivata, arrivando a sedersi di fronte alle autorità del Palazzo. E pianificando la creazione di un nuovo soggetto calcistico, quindi la collocazione del pallone brindisino nella prossima serie D. Se ne parlerà ancora, ma invitiamo a non crederci. Oggi, non esistono i presupposti per un’eventualità del genere. Punto. E crediamo che nulla cambierà, da qui ad agosto. L’Eccellenza sembra una destinazione più credibile: ma niente affatto scontata. Servirà, piuttosto, lavorare attorno questa possibilità. Chi può, ci provi.

sabato 25 giugno 2011

Dellisanti, ritorno alle origini

A volte ritornano. Da dove sono partiti. Dalla serie D, in questo caso. Franco Dellisanti, una vita spesa per il pallone, firma per il Trani, recentemente riaffidato alla gestione di Paolo Abruzzese, il presidente dell’interessante esperienza in C2, a metà degli anni novanta. Il patron, detto per inciso, ritrova stimoli e coraggio. E, immaginiamo, un interlocutore a Palazzo di Città. Rituffandosi in un ambiente che l’aveva fortemente deluso, ultimamente: non solo a Trani, ma anche a Ruvo. E concedendosi ai ricordi felici: come, appunto, Dellisanti. Il tecnico, cioè, che seppe condurre il Trani di un tempo da una retrocessione annunciata alle soglie dei playoff, in metà campionato. Con Dellisanti, peraltro, torna sull’Adriatico anche Tonino Borsci, il diesse: e, questa volta, con il beneficio dell’ufficialità (allora, il dirigente monteparanese operò nell’ombra). Foggia e Casillo insegnano: non si sa mai. Anche se l’assunzione di Dellisanti sacrifica la figura di Giacomo Pettinicchio, il timoniere della salvezza recentemente raggiunta dalla Fortis: una salvezza niente affatto agevole. Dalla C1 di Cava (giusto il tempo di arrivare, provare a riparare i guasti e retrocedere) o di Taranto alla quinta serie di Trani: sono tempi, questi, in cui è impossibile sottovalutare le proposte di lavoro, da qualsiasi parte arrivino. E poi il calcio di Lega Pro è, ormai, assolutamente inaffidabile. Meglio ritrovare vecchi amici e un programma già ben delineato: che non sottintende la promozione. Di sicuro, poi, il nuovo coach racconta una verità, in conferenza stampa: il dislivello tra gli ultimi gradini del professionismo e il primo campionato dei Dilettanti si è fortemente appiattito. Lo sosteniamo da tempo, del resto. E cominciano a farlo anche gli addetti ai lavori. Fa tristezza, però, vedere un tecnico dalle vaste potenzialità, alcune delle quali persino ancora inespresse, come Dellisanti riaccontentarsi del palcoscenico della serie D. Ma la realtà rende giustizia pure a chi, su queste colonne, ha già scritto di lui. E della sua incapacità di gestire una carriera che avrebbe potuto offrirgli molto di più. E i conti, allora, tornano.

mercoledì 15 giugno 2011

Bari, ripartenza ad ostacoli

Nuovo plenipotenziario (il già direttore generale Claudio Garzelli, cioè l’esecutore che tradurrà i voleri della proprietà). E nuovo tecnico (Vincenzo Torrente, emergente che si pregia di due promozioni consecutive, sulla panchina del Gubbio, nuova realtà di B). Il Bari volta pagina. Mettendo da parte il buon lavoro e il bagaglio di serietà offerto dall’ormai ex caudillo Bortolo Mutti e cercando di navigare con sicurezza nelle acque ingiallite della recessione. Che, al di là dello sdoganamento di nuove figure dirigenziali, resiste. Come, del resto, resisteranno Matarrese e la sua famiglia: allontanatisi dal timone del club, ma ancora i padroni del giocattolo: è bene ricordarlo. Soprattutto perché non c’è ricambio. Malgrado il recente (ma debole) interesse di una o più cordate, in realtà mai seriamente vicine al passaggio di consegne. Che il presidente, evidentemente, avrebbe potuto anche incoraggiare con qualche rinuncia: eventualità neppure configurata. Garzelli, dunque, si è accollato un compito niente affatto invidiato: rispondere alle pretese della piazza, per nulla rassegnata ad assistere ad un campionato anonimo o, peggio, pericoloso. Potendo disporre di un budget limitato, utile a comporre un organico giovane e sperimentale. E, soprattutto, ritrovandosi a mediare tra Matarrese e l’ambiente in un momento storico particolare, corroso dalla delusione di una retrocessione amarissima. L’individuazione del nuovo condottiero di una squadra da rifondare, così, è solo il primo passo di un percorso lastricato di incertezze e, probabilmente, di imminenti dissapori. E va salutato per quello che è: il primo mattone della nuova casa. Le priorità, però, restano altre. La questione gestionale calamiterà su di sé molte attenzioni, da qui in poi. Avremo occasione di riparlarne: ne siamo certi.

lunedì 6 giugno 2011

Taranto, maledetto novantesimo

Il Taranto migliore prova a riparare i danni del Taranto peggiore. Sette giorni dopo, è un’altra partita, un altro approccio, un’altra autorevolezza, un altro passo. E’ anche un altro risultato: ma il successo di Roma non abbatte la precedente sconfitta allo Iacovone, di fronte all’Atletico. Ma la gente di Dionigi va vicina, troppo vicina, alla qualificazione per la finale dei playoff. Il desiderio massimo si arresta al novantesimo, prima che partano gli inutili minuti di recupero. Il tre a uno sin lì maturato basta: basta all’orgoglio dell’appartenenza dei duemilacinquecento fedelissimi accorsi al Flaminio, basta ad una squadra che sa forzare il risultato (sùbito, con Prosperi) e, poi, persino trovare il sigillo del raddoppio con Di Deo e, a otto minuti dalla fine dei giochi, triplicare con Guazzo. Il tre a due, invece, non serve:¨Padella, il più giovane dei laziali, trova il varco e archivia la pratica. Con grande dolore del Taranto, che già immaginano le scene conclusive con la Juve Stabia, l’altra finalista. Mazzata, mazzata durissima. Che la società sembra accogliere con realismo e filosofia. Così come la folla sulle tribune, che dedica ai suoi l’applauso di riconoscenza e rispetto, a fine match. Sul campionato, cala il sapario. Ed è un sipario triste. La fantasia è rabbuiata, sullo Jonio. Proprio adesso, però, chi può deve trovare stimoli ed energie per ripartire. E’ necessario ritentarci. Bisogna rialzarsi e operare. Rafforzare il progetto. Da sùbito. Prima che il disfattismo dei due Mari si risvegli.

domenica 5 giugno 2011

Le nubi e il boemo

Dribblare la cronaca (nera) del pallone italico non è onesto, ma eviteremo di avventurarci in profondità negli angoli più oscuri di questa nuova puntata del calcioscommesse, che sta rischiando di stritolare la Lega di Serie C e, probabilmente, anche le categorie più aristocratiche. Lo fanno tutti: non ci accodiamo. Registriamo soltanto, per rimanere a casa nostra, che il Taranto e il Lecce sono interessate di striscio e che il Foggia si appassiona sempre più alla vicenda: reclamando giustizia, cioè un inserimento burocratico nella lottteria dei playoff, peraltro già in corso di svolgimento. A svantaggio, evidentemente, del Benevento: abbastanza invischiato nel fango, al momento. E, intanto, prendiamo atto della fondatezza di mille voci, di diecimila sospetti raccolti negli anni un po’ dovunque. Anche dal vivo, nelle tribune, durante qualche match. Voci e sospetti che, in Italia, si annidano nella facilità di reato (le organizzazioni legate al volume delle scommesse proliferano e molte società di terza e quarta serie non pagano, obbligando talvolta i propri tesserati a modificare il destino del match per mero interesse economico) e nell’abbruttimento dello stato sociale. Il danno (di immagine, soprattutto) è ingente e le prospettive non incoraggiano. E, oltre tutto, nessuna ricetta appare infallibile. Riavvolgendo il nastro dei campionati, intanto, capiamo di essere stati raggirati, tante volte. Senza saperlo, ma pur sempre immaginandolo. Anche per questo motivo, continueremo a frequentare gli stadi o i salotti, sedendoci davanti alla pay tv. E a raccontare, per quel che ci riguarda, il pallone che ci viene sdoganato. E’ la forza del calcio: che, piaccia o no, riesce sempre a reinventarsi, riciclarsi. A mantenere appeal e consensi. Forse perché a noi, a tutti noi, il calcio – il nostro calcio – piace così. O, forse, perché non possiamo fare a meno del suo indotto, delle sue forzature, delle sue magagne. Delle sue implicazioni. Forse perché siamo schiavi del sistema. O, meglio ancora, schiavi delle contingenze, della quotidianità. Costretti a digerire tutto, ad obbedire ai vincoli che ci siamo imposti o che ci hanno imposto. Passerà la bufera e tutto ritornerà come prima. O quasi. Ma non ci importerà: lo spettacolo dve pur continuare. Lo sappiamo e non ci lamenteremo. Ma, almeno, lasciateci guardare con simpatia, ancora una volta, a un purista come Zeman: l’unico, probabilmente, ad aver dettato frasi inequivocabili. Dure. Che molti, magari, pensano. E che però non divulgano: per mancanza di coraggio o per rassegnazione. Certo, sparare è facile, certe volte. E, talvolta, sparare nel mucchio significa ammiccare al populismo. Zeman, però, populista non lo sarà mai. Ora, disgustato, minaccia di lasciare la panchina, per sempre: e, magari, tra un po’ ritratterà il proposito estremo. Consapevole che la guerra è faccenda di masse, non di singoli. Ma siamo pronti a scommettere che ci avrà pensato e ci starà pensando ancora, per davvero. Nessun altro ha fatto altrettanto.