giovedì 31 gennaio 2013

Taranto, le barricate restano

La rissa sfiorata domenica davanti alle telecamere e l'astio incrociato, distribuito da una buona fetta della dirigenza del Taranto in sala stampa, sono transitate anche sugli schermi del web. E, ovviamente, sulle pagine dei giornali. Il pallone bimare, da questa storia già raccontata pure su queste colonne, esce ulteriormente ammaccato e svilito. Come se non bastassero le storture del passato: recente e prossimo. Evidenti, peraltro, le responsabilità di tutti. Di chi, come il presidente Zelatore, si sistema lontano, dall'altra parte della tribuna, intrattenendosi con dirigenti senza contratto (l'ex diesse Pagni), scavando altra distanza con il gruppo concorrente, niente affatto tenero nelle recenti dichiarazioni ufficiali. Di chi, come i luogotenenti della cordata che fa riferimento al vicepresidente Nardoni, prova a confondere la realtà, traendo in inganno (o, magari, spiazzando semplicemente) l'addetto stampa del club: che annuncia un silenzio stampa che non c'è. E che, comunque, non appare concordato con chi, alla fine, rappresenta la società.  Di chi, come il direttore generale Pellegrini, si ammutina davanti alla pubblica opinione, trattando ruvidamente il massimo responsabile societario. E di chi, come la squadra - rappresentata dal suo allenatore - prova a tenersi fuori dalla contesa, finendo per parteggiare (inconsapevolmente o meno) con l'opposizione che avanza. Immediatamente dopo, peraltro, la situazione non migliora affatto. Anzi. Sistemate su barricate opposte, le fazioni rimangono sostanzialmente dov'erano. In attesa della prossima battaglia (il consiglio d'amministrazione): che non sarà quella definitiva: è bene prevederlo. Anche l'ultimo capitolo, poi, convince poco: Pellegrini, come avevano già fatto i responsabili dell'ufficio stampa (che, di fatto, esce dalla vicenda discretamente bene) si dimette dall'incarico, dopo aver riflettuto. Ma le dimissioni non sono immediate: arriveranno, piuttosto, a ridosso del prossimo vertice. E verranno, dunque, valutate dal presidente che verrà: presumibilmente proprio l'uomo più vicino al direttore generale. Che, magari, le respingerà. Una manovra, questa, che Zelatore ha già fiutato, bollandola con scarsa considerazione. E che, assieme a tutte le altre, potrebbe contribuire ad allontanare nuovamente la gente dal Taranto. Quello stesso Taranto che, prima o poi, non potrà sottrarsi all'esigenza di chiedere sostegno alla città. Nel migliore dei casi, infatti, accadrà proprio questo.

mercoledì 30 gennaio 2013

Ciullo e la crescita del Brindisi

Laboragine è quello di una volta: pensa, imposta, incide. Anche Albano è più presente, nell'area nemica. E, lentamente, comincia a riconoscere il profumo della porta. Pellecchia, poi, è un acquisto (recente) indovinatissimo: si spende, cerca i compagni, irrobustisce la manovra, svicola e segna: come a Nardò, l'altra settimana, in due occasioni. Tedesco, un'altra novità sbucata dalla sessione invernale di mercato, è sempre una minaccia incombente. E l'orgoglio della propria brindisinità lo carica. E pure gli altri, malgrado una situazione societaria sempre preoccupante, sono individualmente più tonici, assolutamente motivati. Un nome per tutti, Sireno. E, se il singolo carbura, ne beneficia pure il complesso. Il Brindisi del nuovo anno è una squadra in crescita evidente: più solida, reattiva. Assolutamente in grado, adesso, di opporsi alla minaccia di un ennesimo fallimento del club e, di conseguenza, di un progetto ancora giovane, ma mai seriamente decollato. E di contrastare il decadimento coinciso con la parte finale del girone di andata e con l'ultima fase della gestione-Francioso (otto sconfitte in nove gare). Ora c'è grinta, attorno alla formazione consegnata a lavori in corso a Totò Ciullo. E anche più coesione. Il tecnico salentino può pubblicizzare tutta la propria soddisfazione: con lui in panca, il collettivo ha riguadagnato considerazione di se stesso. E posizioni in graduatoria (negli ultimi due mesi, escluso l'Ischia, il Brindisi ha totalizzato più punti di chiunque, nel girone). Il domani sembra meno arido: e le ultime prestazioni aiutano a riconsiderare un campionato incubatosi all'improvviso. O quasi. Oltre tutto, anche nel derby del D'Amuri (terzo successo di fila, sempre dopo aver ribaltato il parziale sfavorevole) il Brindisi denuncia quel carattere disperso chissà dove tra ottobre e novembre. Tornando a creare un discreto numero di occasioni da gol: sintomo evidente di una vivacità ritrovata. Non tutto, intanto, può considerarsi risolto. Ed è evidente che tanto dipenderà dal reperimento di nuove risorse finanziarie: senza le quali i probemi ripiomberebbero in tutta la loro gravità. Un po' di fondi, ad esempio, serviranno a tappare alcune falle apertesi già nella scorsa stagione. E, quindi, ad allontanare la possibilità di una penalizzazione in classifica. Quella di quest'anno, si intende. Per il resto, invece, probabilmente basta il gruppo. Questo gruppo.

martedì 29 gennaio 2013

Il derby, il rilancio, la rissa

Il derby di Foggia. E, sette giorni dopo, un altro derby (battuto l'ormai ex vicecapolista Bisceglie). In una settimana, due successi di fila rilanciano il Taranto. Che raggiunge la linea mediana della classifica, progettando la scalata verso posizioni esteticamente più godibili e fiutando addirittura il sesto posto, ovvero una piattaforma insperata, appena un mese addietro. Dalla quale ripartire, almeno teoricamente, in vista della stagione che verrà. Ma anche un obiettivo doveroso, per un organico decisamente potenziato in corso d'opera. E che, probabilmente, comincia a carburare con qualche partita di ritardo. Spinto, ancora una volta, da Mignogna: il cui sigillo, al tramonto del match, sembra definitivamente bruciare tutte le ambizioni del Bisceglie di Ragno. Nessuno si entusiasmi, però. Si due Mari è espressamente vietato. La soddisfazione sfuma presto, nel segreto degli spogliatoi. Appena fuori, invece, è già guerra. Guerra intestina. Tra le due fazioni di una società che si sta sfibrando al vento dei rancori. Tutto comincia nella settimana appena trascorsa: riassumendo, due consigli d'amministrazione saltano per l'assenza del presidente Zelatore, la Fondazione Taras insorge, il vicepresidente Nardoni pensa concretamente alla scalata verso la poltrona più importante. Dietro, dicono i più maligni, si intravede un problema di liquidità. Se ne riparlerà il quattro febbraio, data già fissata per quello che appare un regolamento di conti: in quella data, il socio forte (Bongiovanni) potrebbe ritrovarsi in posizione di subalternità. Nel frattempo, i rapporti tra la presidenza e il suo entourage e il direttore generale Pellegrini, fortemente legato a Nardoni, si complicano. E, a derby appena consumato, proprio ieri, accade il fattaccio. In breve: Nardoni concede un'intervista, Zelatore non gradisce e non lo nasconde, promettendo resistenza e attaccando gli avversari. Intanto, l'addetto stampa rivela che la squadra e il tecnico non parleranno: per la presidenza è una prevaricazione, una decisione autonoma, non concordata con la reggenza del club. Il numero uno si eclissa, ma in sala stampa compaiono immediatamente dopo il tecnico Pettinicchio e Pellegrini, che smentisce l'ordine di rimanere in silenzio. La presidentessa ritorna sulla scena, la tensione sale. Frizioni assortite, prima tra il digì e l'addetto stampa, poi tra lo stesso Pellegrini e Zelatore. Interviene Bongiovanni, quindi si rischia la rissa. Tutto davanti alla telecamere, in diretta. Fine delle trasmissioni. Ovviamente, non finirà qui. Prossimo round, se non accade nient'altro prima, il prossimo lunedì. Dove, magari, cambieranno le cariche, ma non i personaggi: obbligati a convivere ancora, ma senza reciproca soddisfazione. Perché, ci sembra chiaro, nessuno si farà da parte. Domanda: al di là del peso specifico delle quote di ciascuno e della liquidità che le parti sapranno garantire, una società fortemente divisa potrà assicurare al Taranto un futuro tranquillo? Conosciamo già la risposta: no.

lunedì 28 gennaio 2013

La domenica triste di Di Meo

Tutto, o quasi, in discussione. Il Martina si gioca assai: credibilità e futuro prossimo, prima di ogni altra cosa. Questa è la domenica delle controprove. Ed è la domenica di Di Meo, coach in difficoltà, eppure appena salvato dalla voracità una settimana partita male, malissimo (problemi squisitamente extracalcistici, epurazione forzata di Leuci e sconfitta amara, a Teramo). La scelta del tecnico di rinunciare ad un under, del resto, è indicativa: anche perchè neppure un pareggio, di fronte alla Vigor Lamezia, potrebbe blindarlo. La squadra deve scrollarsi problemi e tensioni, ma la strada è tortuosa. Non è un match semplice, non può neppure diventarlo: la verve di Petrilli si scontra con la staticità altrui. E solo Mangiacasale, per un po', prova ad adeguarsi. La supremazia territoriale e la remissività dell'avverasrio non bastano, anche se la volontà non difetta. Con il tempo, la quantità del gioco lievita un po', così come l'intensità di gioco. Però, il terminale offensivo (Gambino) si ritrova praticamente isolato, tagliato dalla manovra. E la finalizzazione resta un desiderio inespresso. Sono esattamente questi i momenti in cui tecnico, protagonisti del campo e gente che tifa capiscono quanto maligna si sia rivelata la rescissione del contratto di Del Core: uno, cioè, che sa dialogare con la prima punta e, contemporaneamente, spingere gli uomini della mediana alla conclusione. In novanta minuti, è sempre il Martina a dirigere le operazioni: mai, tuttavia, Gambuzza e compagni offronto l'impressione di poter colpire. E di poter afferrare il risultato. Alla fine, è la Vigor a potersi lamentare di un palo, colto al tramonto della prima frazione di gioco. La sostituzione dopo un'ora del più frizzante, ovvero Petrilli, e il cartellino rosso guadagnato da Dispoto sono uteriori segnali contrari. Zero a zero, allora: e lo stato di crisi persiste. Mentre Di Meo, contestatissimo appena finisce la partita, deve solo scegliere: dimissioni, oppure esonero. Pronto a riappropriarsi della panca, già da giorni, Francesco Bitetto, il traghettatore dalla D ai professionisti. Vince, così, la linea dettata da Adriano Favia, vicepresidente con delega sugli affari di mercato, che avrebbe voluto confermare l'allenatore barese già in estate. Trovando, invece, la strada sbarrata. Come sbarrato, adesso, sembra il cammino verso i playoff. Anzi, gli spazi con chi è più indietro si riducono: sarebbe anche il caso di voltarsi per dare un'occhiata.  

martedì 22 gennaio 2013

Ciao Lerda, ecco Toma

La leadership è una faccenda complicata, sempre e comunque. Concorrono troppi dettagli: anche se, spesso, il leader è artefice massimo del proprio destino. Talvolta, però, dipende anche dagli altri. Prendete, ad esempio, il Lecce di questi tempi: arranca, strappa qualche risultato, si rialza appena e si sgonfia di nuovo. Perdendo un primato assoluto apparso, ad un certo punto, inattaccabile (è successo di recente) e, magari, riconquistandolo immediatamente dopo: solo perchè, a tratti, l'orgoglio carbura la classifica. Oppure perchè la concorrenza non ne approfitta (anche il Carpi è apparso in difficoltà, ultimamente). La caduta dei salentini a San Marino (tre a uno, domenica scorsa), rilancia però le ambizioni altrui: ma, questa volta, ne approfitta il Trapani, formazione che vive - al contrario - un periodo felice e un processo evolutivo chiaro. Al di là del gioco degli equilibri in cui il girone A della terza serie si è incasellato, sembra cioè che qualcosa stia cambiando, nell'economia del campionato. Il Lecce ha perso la poltrona più importante, che adesso dispone di un proprietario psicologicamente più forte e mentalmente più tranquillo. Traducendo, il cambio della guardia al vertice della graduatoria appare una questione seria:. anche perchè, in quest'angolo di Puglia, ci si riscopre un po' più fragili e nudi. Detto tra noi, non è più tempo di discutere di ripegamento passeggero, di scadimento temporaneo. Il Lecce è in recessione netta: due mesi di calcio incerto sono una fetta di stagione, non più un momento fugace. Ovviamente, la prima vittima si chiama Franco Lerda, professione allenatore. L'esonero, maturato immediatamente dopo il match disputato nella Repubblica, scaturisce dalla delusione e dall'inadeguatezza dei numeri, ma si accoda anche a qualche disguido verbale stemperato nel tempo, ad un rapporto interpersonale (con la presidenza) già lesionato e faticosamente puntellato e a troppe voci incontrollate (una per tutte, la guerra intestina tra il coach piemontese e qualche big del gruppo). Traducendo ancora, ce lo aspettavamo. Come, probabilmente, se l'aspettava pure Antonio Toma, il successore già designato: accreditato, da diverse settimane, della pole position nella corsa alla panchina. E pronto a rientrare dalla porta principale, dopo anni vissuti nell'ombra. Un tecnico a cui piace scommettere sull'impronta aggressiva delle proprie squadre: evidentemente, la qualità che dovrebbe aver convinto la famiglia Tesoro e, in particolare, il numero uno dl club, troppo esigente per sopportare lo stato di crisi. Che c'è e che resta, al di là del modulo, tra gli uomini che lo disegnano.

lunedì 21 gennaio 2013

Il Foggia tradisce i playoff

Non è cambiato poi molto. Non appena costruisce qualcosa di interessante, il Foggia distrugge: con caparbia puntualità. Illogiche emozioni: sono il segno distintivo di una squadra che, evidentemente, non è ancora matura per l'obiettivo - faticoso, a prescidere - che si è autoimposto, ovvero l'aggancio alla quinta poltrona del girone, che promuoverebbe Agnelli e compagni alla lotteria di fine stagione, i playoff. Quinto posto ancora saldamente proprietà del Monopoli: che, in questo momento della stagione, non abbaglia. Ma che, almeno, si lascia premiare dalla continuità dei risultati (vittoria in casa, pareggio fuori: basta e avanza). La domenica appena consumata, intanto, è di gala: arriva il Taranto e il derby è assolutamente inedito, per la quinta serie. Tanto inedito da far rabbia, ecco. Il vantaggio del Foggia arriva: però, alla fine, gioisce la gente di Pettinicchio, capace di risollevare la partita, di reindirizzarla, di capovolgerne il senso. E Micale, portiere under, guadagna persino convinti consensi. Coach Padalino, in sala stampa, non perde l'aplomb e rivendica l'equità del pareggio, malgrado la cattiva gestione della seconda parte della gara. Ma il presidente Pelusi bacchetta l'abitudine del tecnico, ormai consolidata, di rimestare domenicalmente modulo e giocatori. Gli esperimenti, cioè, disturberebbero la lievitazione del gruppo, la digestione di un torneo ormai compromesso. Il traguardo playoff sembra, del resto, essere chiaramente diventato la chiave d'accesso al concetto di credibilità, al futuro prossimo. Spieghiamoci: il prossimo anno, il Foggia punta a vincere, senza indugi. E, per farlo, necessita di investimenti: che una buona manche di ritorno, in questo campionato, potrebbe teoricamente attirare. Di contro, è anche logico che l'allenatore sondi e prepari il terreno: cominciando a capire chi merita di far parte del progetto che verrà e chi no. In mezzo, tuttavia, c'è il presente, che non può essere facilmente svenduto. E un piazzamento di prestigio che si allontana, più o meno irrimediabilmente: nonostante gli sforzi di ottimismo del club. Bel problema. L'impressione, la nostra impressione, è che Padalino dovrà sbrigarsi a decidere. Rinunciando, magari, a qualche verifica. Prediligendo le esigenze della quotidianità. Prima che il futuro, sulla panchina del Foggia, appartenga a qualcun altro. Sconti non se ne fanno più, per nessuno. Figuriamoci in un ambiente lungamente sfigurato dalle delusioni. E ancora troppo passionale per immaginarne altre.

mercoledì 16 gennaio 2013

Il Barletta si rianima a Perugia

Certi accadimenti inattesi sviluppano la speranza. E sì che il Perugia non è più quello della primissima parte del campionato di terza serie. E che non è obbligatorio trovarsi, sempre e comunque, nel pieno di un vortice contrario. Ma la vittoria del Barletta, in Umbria, ha squarciato l'immobilismo di un'atmosfera tetra. La gente di Novelli, una volta tanto, si difende con efficacia, fa fruttare l'ordine tattico, decuplica il quoziente d'attenzione e, poco prima che la parita si chiuda, graffia con Meduri. Guadagnando l'ottavo punto (degli undici complessivamente ottenuti) fuori casa e scavalcando, almeno questo, la Carrarese: che, adesso, chiude il girone centromeridionale. Onestamente, era da un po' che Allegretti e compagni sembravano abbastanza lontani dalla realtà del torneo: e, soprattutto chi abita al di dentro del gruppo, sa quanto potrà rivelarsi preziosa l'ultima tappa del campionato: non tanto per la classifica (sempre abbastanza complicata), ma per il profilo psicologico. Il campo, sottolinea il coach a microfoni aperti, premia peraltro l'impegno: che, da solo, evidentemente non basta. Ma, se è lecito confidare nel domani, l'operazione si fa più facile sotto la pressione di una buona notizia. Al resto, invece, dovrà contribuire il nuovo diesse Martino, incaricatosi di offrire nuova sostanza all'organico (è già arrivato, proprio la settima scorsa, un uomo di esperienza come Pippa, però non è sufficiente). Un organico che, così com'è, non può probabilmente offrire molto di più: un intero girone di andata, del resto, parla a sufficienza. E che non può ovviamente cullarsi su un exploit isolato e, anzi, persino pericoloso, se si ritenesse di aver risolto quasi tutti i problemi in un unico match. Dalle modalità inaspettate e dall'incerta sincerità.

martedì 15 gennaio 2013

E il Taranto è ancora lì, sul fondo

Il campionato brucia domeniche ed energie. E il tempo passa, accorciandolo. Non è ancora il momento di affrettare i tempi (di manovra e di giudizio), nè quello di esigere il bilancio consuntivo. Però, l'indicatore principale (il nuovo anno ormai inaugurato, che coincide con l'esatta metà del percorso) racconta una verità: i margini di movimento, soprattutto per chi soffre, si restringono sempre più. Soprattutto se (ed è il caso del Taranto) la campagna di rafforzamento può essere definita robusta e concreta. Ecco: il club ha totalmente rinnovato i ranghi: pochi, tra quelli che hanno cominciato il torneo di serie D, a settembre, sono rimasti. L'intelaiatura è stata destrutturata e ricomposta, fortemente. Il materiale umano a disposizine di Pettinicchio, oltre tutto, è stato arricchito: di qualità (pensiamo a Mignogna, tanto per fare un nome), di quantità (si dice persino che adesso, in avanti, siano in sovrannumero, dopo l'arrivo di El Ouazni, Gatto e, prima ancora, Molinari) e di opzioni (l'elenco degli under è corposo, ormai). Persino il manto dello Iacovone sta lentamente migliorando. Senza contare che due (quasi tre) mesi di rodaggio possono bastare: malgrado sia giusto sottolineare come l'opera di consolidamento dell'organico è stata completata gradualmente, passo dopo passo (gli ultimissimi arrivi non godono di troppi allenamenti nelle gambe). Eppure, il Taranto è sempre lì, in coda al girone: nonostante lo spessore tecnico della squadra sia, di questi tempi, decisamente allettante (nelle retrovie del raggruppamento appulocampano, è assolutamente il migliore: e di questo non si può neppure discutere). E, oggi come oggi, il verdetto sarebbero i playout. Ma, soprattutto, la gente di Pettinicchio non riesce a convincere pienamente per due volte di fila: segno tangibile della scia di disagio che continua ad ostacolare la rincorsa alla salvezza. Cioè, l'unico obiettivo ragionevolmente possibile. C'è sempre qualcosa che non va come dovrebbe: la prestazione di quello o di quell'altro singolo, che intacca il risultato; l'atteggiamento remissivo della squadra o, talvolta, la mancanza di coraggio; le disattenzioni di reparto; la discontinuità di rendimento; i periodici difetti di intensità; l'impalpabilità offensiva. E, probabilmente, altro ancora. Anche domenica, in casa del Gladiator (certo, la seconda della classe, imbattuta), la sconfitta è arrivata puntuale, quasi ineluttabile: malgrado un atteggiamento neanche male e un dispositivo tattico abbastanza alto. E la stessa auspicabile reazione si è sbriciolata facilmente. Annientando il facile e sontuoso successo ottenuto sul Trani, sette giorni prima. Ovvio: è doveroso concedere ancora fiducia, a questo Taranto, partito in fretta e male. E reinventato mentre gli altri solidificavano schemi e postura. Tuttavia, Cordua e compagni non possono continuare a pensare di restare per sempre sotto il tetto dell'attenuante. Il momento è serio: e, anche se la classifica resta assai corta, il processo evolutivo non può tardare troppo. Anche la società, a quel punto, non capirebbe.    

lunedì 14 gennaio 2013

Martina, un piccolo passo

Quattro sconfitte e un pareggio dopo, il Martina si interroga. Presentando al pubblico amico le energie nuove della seconda sessione di mercato, Rana e Petrilli (Di Dio rimane, invece, in panca) e provando a risollevare morale e classifica. I segni di un difficile passato recente, tuttavia, si vedono. E si sentono. L'involuzione di dicembre pesa ancora e la patina di ruggine svilisce l'approccio alla partita. Il Poggibonsi, di contro, non sveltisce i tempi, osserva, si difende ordinatamente e rende il compito più taficoso. La squadra di Di Meo tradisce problemi psicologici e pure fisici (richiamo di preparazione robusto, confessa il trainer: se gli uomini sono un po' imballati, ci sta). E anche in mezzo al campo la palla viaggia meno di altre volte (la gara di Marsili è meno efficace; Scarsella giostrerà per un tempo e lascerà il posto a Provenzano). Anche Gambino è più pesante del solito. E, se Petrilli sembra già inserito negli schemi offensivi, Rana deve lavorare ancora per entrarci. Tante volte, infine, la manovra si fa prevedibile. Dunque, servirebbe un Martina più intenso, più convinto. I toscani approfittanno della situazione, fallendo un paio di occasioni, andando in vantaggio nella ripresa e, più tardi, fallendo il raddoppio. Nel mezzo, comunque, il Martina colpisce due volte il legno, con Gambino e con Marsili. E rimanendo, sino al novantaseiesimo, con poche forze fresche: tanto da consigliare il tecnico a sganciare in avanti un centrale di difesa, Gambuzza. Però, il pareggio riparatore arriva solo nella fase di recupero, quando Ancora diventa nuovamente decisivo, immediatamente dopo il suo ingresso a partita avviata (era successo già contro il Gavorrano, in casa: si trattò, nell'occasione, dell'ultima vittoria ottenuta in un campionato diventato scorbutico). Cioè, il processo evolutivo non è ancora partito. Occorre prenderne atto: anche se il coach prosegue a non preoccuparsi affatto. Mentre la disaffezione al successo resiste: non si vince da metà novembre e questo è pur sempre un problema, per chi nutre speranze di playoff. Anche se, in un girone in cui le zoppie colpiscono ciclicamente tutti, non è impossibile continuare a galleggiare a ridosso delle prime cinque. Operazione, questa, assolutamente imprescindibile. E generalmente utilissima, malgrado possa sembrare il contrario.    

sabato 12 gennaio 2013

Brindisi, corsa contro il tempo

In fondo alla strada, i difetti di costruzione emergono tutti. E la struttura implode. Lascinado macerie e trascinando polemiche rumorose. Il Brindisi, un anno e mezzo dopo la ricostruzione, sta per annegare di nuovo. In mezzo al campionato, oltre tutto. Anche se, di fronte alla crisi che mina il futuro del club, i fatti della domenica sono un problema secondario. Dunque: Roberto Galluzzo, l'amministratore delegato, si è defilato. L'assemblea dei soci, convocata nel frattempo, ha nominato un successore (l'imprenditore Enrico Sciacca, peraltro assente: farà sapere se accettare l'incarico oppure no), ma non ha saputo sanare la questione nella sua intierezza. L'armonia, all'interno del gruppo di comando, è utopia pura: la proposta di Giuseppe Roma (ricompattare il fronte per permettere alla squadra di completare il percorso e, possibilmente, salvarsi) finisce per scontrarsi con i pensieri altrui. E, intanto, un altro socio (Annino De Finis) pensa al complotto e incrimina la vecchia amministrazione comunale di non aver mantenuto quanto promesso. Attaccando anche Galluzzo (gestione incauta). Risultato: la porta del Tribunale è dietro l'angolo. Tanto da farci ricredere su quanto avevamo scritto, nel recente passato (cioe: Brindisi, oggi, non è nelle possibilità di mantenere il professionismo). Sbagliato: conservare anche la serie D è già un'impresa disperata.

domenica 6 gennaio 2013

Il Foggia riparte con un punto

Anno nuovo, campionato vecchio. Il Foggia riparte un giorno prima degli altri: l'anticipo con il Gladiator si stempera tra le gradinate deserte dello Zaccheria e il presidio sapiente dei campani, che stoppano la più soddisfacente supremazia territoriale degli uomini di Padalino e aggirano un paio di occasioni di peso avversaria. Zero a zero e un solo punto, inutile per sovvertire l'indirizzo della classifica, ma gratificante in ottica squisitamente calcistica: perchè non difetta la rincorsa al risultato, ovvero l'impegno. In un momento in cui, lo sappiamo, Agnelli e soci tentano, una volta per tutte, di capire se stessi e di focalizzare il proprio obiettivo da perseguire nel prossimo futuro. Proprio mentre le prospettive della squadra si sdoppiano nella necessità di guardare ai playoff (traguardo già lontano) e, contemporaneamente, alla stagione che verrà. Particolare che, ovviamente, impone sin d'ora determinate valutazioni che porteranno alle scelte di domani. Intanto, il Foggia non si inchina alla vicecapolista del girone e dimostra di saper conservare concentrazione, stimoli e dignità. E se Maiellaro, estremo difensore dei casertani, guadagna un po' di complimenti, vuol dire che i dauni fanno la partita e continuano a ritagliarsi un ruolo all'interno del campionato. Per il momento, è giusto accontentarsi di questo: del resto, solo la continuità e, soprattutto, qualche incertezza di chi naviga davanti potrà sovvertire l'ordine delle cose. Anche se non è lecito alimentarsi di troppe illusioni. E' triste ammetterlo, soltanto alla metà del cammino: ma è così.