mercoledì 29 febbraio 2012

Violenza sul Foggia, la temperatura si alza

Casillo, presidente ruvido e sfastidiato, interrompe i rapporti con la città che respira calcio. Scegliendo attentamente i tempi, come sottolineavamo. La tifoseria, soprattutto quella organizzata, non gradisce. E, già sufficientemente insoddisfatta dal momento storico che vive il Foggia e da un campionato anonimo, insorge. Fischi, urla e cattive parole: dalle tribune, nel corso del match disputato (e regolarmente perso) di fronte alla Tritium, arriva di tutto. Lo Zaccheria sembra terra straniera. E infida: ma non solo per la scarsa produttività delle partite consumate sull'erba di casa. La contestazione avvolge il club, ma finisce per travolgere pure la squadra. Che, forse, si smonta. E, certamente, si rinzela. Molti protagonisti del campo, innanzi tutto i più giovani o i meno temprati (o, se preferite, quelli meno dotati di personalità) ascoltano, subiscono e soffrono in silenzio. Qualcun altro (il portiere Ginestra, che peraltro si addossa molti demeriti della sconfitta) si ritaglia qualche attenuante, dichiarando il disagio. Rigettando disapprovazione e insulti. Legittimamente, da un certo punto di vista. E ingiustamente, da un altro: perchè contestare non è sempre vietato, in questo Paese. Al di là del fatto che l'atmosfera creatasi attorno alla formazione di Stringara non accelera il processo di maturazione del gruppo: ostacolandolo, persino. Quello che accade tre giorni dopo il rovescio, però, è molto più grave. Gli allenamenti riprendono e, sul campo di Ordona, si riversano una quarantina di sostenitori particolarmente agitati. Questa volta partono schiaffi, calci, pugni: Ginestra, così, deve ricorrere alla cure sanitarie. Gesto vile, che racconta di una situazione abbondantemente incancrenita. E che rischia di corrodere definitivamente tutti gli equilibri precari sui quali il Foggia prova da tempo a muoversi. Così non va. Ed è il momento di risolvere gli attriti. Andandosene, chi può: e senza accusare la stampa, operazione di comodo. Perchè le premesse per ricucire lo strappo non ci sono più. E cominciando a separare fatti e situazioni, chi tifa. Anche perchè, alla fine, la cattiva gestione di certi passaggi finisce per abbattersi su chi resta. Cioè sull'ambiente, quindi sulla gente.

martedì 28 febbraio 2012

Taranto, l'onore è salvo

Riaprire la lotta per il vertice: un augurio, un dovere. Il Taranto, a Terni, inseguiva un obiettivo, obbligando se stesso a difendere il proprio onore. Una questione di principi, oltre che di classifica. Il pareggio che, alla fine, sgorga dal big match non acquieta la sete di risultato: il disavanzo (cinque punti) rimane. Ma, almeno, accresce la considerazione della gente che tifa nei confronti di chi scende in campo. E premia la personalità e la voglia di esserci, crederci e resistere della squadra di Dionigi. L'uno a uno di sabato è afferrato a partita morente (Di Bari replica a Sinigaglia): tanto che l'avversario s'infastidisce non poco, rivendicando maggior possesso di palla e pericolosità più marcata. Ma questo, per Bremec e soci, è il modo migliore di sversare la rabbia accumulata, di fortificare la propria presenza nella storia del torneo. Il punto, probabilmente, serve a poco: perchè sappiamo a cosa la società va incontro (una nuova penalizzazione). Ma è sufficiente a scaldare un ambiente che vuole vivere anche di sensazioni. Diciamolo pure, intanto: la Ternana, oggi, è più quadrata, più attendibile. Per una questione psicologica, ma anche in base ad un ragionamento che sconfina nel punto di vista tecnico. Giocano più sciolti e più tranquilli, gli umbri. Denunciano meno amnesie e, anche singolarmente, il collettivo offre più garanzie. Il Taranto, di contro, è usurato: da una quotidianità incerta, ma anche negli uomini. Sciaudone, Chiaretti, Rantier, Girardi, Guazzo, ad un certo punto del campionato, hanno saputo incidere: chi più, chi meno. Cosa che, non accade da un po'. La fatica si sente, lo scoramento anche. E lo scadimento è palese: al di là dei guizzi, della caparbietà, degli slanci. Che, talvolta, riemergono: come a Terni, appunto, negli ultimi scampoli della partita. Il tecnico se ne è accorto, lo sa: e, anche per questo, si sta lasciando travolgere dal nervosismo o, quanto meno, dalla tensione (difficile che termini una partita in panchina). La squadra, però, è unita. E si è raccomandata di non allentare la concentrazione. Sarà, allora, quel che sarà. Però, il Taranto ha poco, pochissimo da farsi perdonare. E la tifoseria gli è riconoscente.

A margine. Niente slogan ("RespiriAMO Taranto") sullo casacche: ne abbiamo già parlato. Forse, però, è meglio così. Spieghiamo. Fosse transitato dalle maglie (e dalla censura) della Lega, probabilmente il messaggio avrebbe varcato la dogana dei confini cittadini quasi inosservato. Invece, in giro, il caso ha finito per essere ampiamente trattato: anche da firme importanti, da organi di stampa ad alta diffusione, persino da programmi di solida popolarità. La costrizione è diventata notizia. Il divieto ha suscitato curiosità. L'imposizione del silenzio ha solleticato l'approfondimento del fatto. Il Palazzo, infine, ha regalato alla questione ambientale sui due Mari molto più spazio di quello che avrebbe voluto ostruire. Senza volerlo. O senza prevederlo. Il re, adesso, è nudo. Colpito. E affondato.

lunedì 27 febbraio 2012

Più Brindisi, meno Martina

Il derby rivaluta il Brindisi. Motivato, aggressivo, anche generoso. Lo spiega il gol che sigilla il match, arrivato poco prima della fine dei giochi. Merito di Mignogna, uno che alla manovra offre qualità e che, ultimamente, era un po' ignorato dagli apprezzamenti popolari. Ma lo spiega anche la prestazione, evidentemente pungolata dall'antipatico e pesante rovescio patito nel match di andata: mal digerito, pare. Una prestazione che punta a riavvicinare la squadra alla tifoseria: non troppo tenera con un collettivo che spesso, dice, rinuncia ad osare. Dall'altra parte, il Martina: mai brillante, come talvolta gli capita lontano da casa. Capace di rimediare al primo svantaggio, ma impossibilitato a inseguire per la seconda volta. Quel Martina un po' ingrigito, che lamenta l'assenza della sua unica pedina davvero irrinunciabile, De Tommaso. Molto spesso decisivo: più di Picci, che pure è l'artigliere migliore. Quel Martina che, negli ultimi centottanta minuti, finisce per rallentare (raccoglie, infatti, solo un punto: poco, considerato il momento storico). E che legittima un po' di rabbia: e non solo perchè, ultimamente, la formazione di Bitetto aveva ritrovato un calcio interessante, oltre che pratico e redditizio. Ma soprattutto perchè la concorrenza finisce per rianimarsi: pur senza abbagliare. Come dimostrano il gran numero di gol che l'Ischia continua a incassare (quattro a Torre del Greco, proprio ieri: contro i cinque realizzati, peraltro). O lo scadimento progressivo della Sarnese, che da qualche tempo fatica a ritrovarsi. Oppure la nuova flessione della Casertana, cioè di una delle protagoniste più brillanti delle ultime settimane. La sensazione, del resto, è sempre più forte: questo Martina, cioè, il campionato può perderlo per negligenze proprie, innanzi tutto. E questa è un'ipotesi che immalinconisce.

venerdì 24 febbraio 2012

Quando il potere non distingue. E non rispetta

Se il club non può stipendiare i suoi dipendenti o sovvenzionare una trasferta molto particolare come quella di domani, a Terni, oppure un ritiro un po' più lungo del solito, può persino accadere che ci pensi la gente. La gente comune, il tifoso. O un'associazione che raggruppa un po' di incrollabili appassionati, di inguaribili malati. A Taranto è andata proprio così. Dalla colletta di Tarantosupporters sono sgocciolati undicimila euro. Girati prontamente alla squadra, rifugiatasi a Pomezia per preparare lo scontro diretto con la capolista (vincendo il match, il discorso si riapre, nonostante tutte le penalizzazioni, passate e future). In cambio, però, patron D'Addario rinuncia ad esibire sulle maglie il marchio dello sponsor ufficiale (se stesso), piazzando al suo posto il logo RespiriAMO Taranto. Lo slogan possiede un messaggio doppio: d'amore, per l'espressione calcistica della città, ma anche per il territorio, storicamente angustiato dalla cattiva politica ambientale. Ma, quando è tutto deciso, arriva lo stop della Lega Pro: vietato esibire contenuti a sfondo politico, dice il regolamento. In teoria, pensandoci bene, la restrizione non giunge inattesa. Ma, in pratica, il divieto non regge. Perchè, se la politica c'entra (e c'entra), il discorso si fa più propriamente sociale. E va al di là delle prime apparenze. A noi, onestamente, sembrava una buona idea. Una di quelle che non risolvono la questione e che, di fatto, non smuovono le coscienze (ci vuole altro, purtroppo). Ma che aiuta, se non altro, a pensare. A riflettere. Un esercizio che non piace a chi non è abituato. E a chi detiene un potere. Che, proprio dal pensiero, è sempre osteggiato. E, talvolta, rovesciato. Il Taranto, a Terni, non potrà vestirsi con quella maglia. Ma è un'occasione persa. Per la città, ovviamente. Per chi ci vive. Per la stessa tifoseria bimare: una buona frangia della quale è attenta al concetto di qualità della vita in un'area aggredita dalla grande industria. Per Tarantosupporters, che aveva partorito l'iniziativa. Ma non per la Lega Pro, evidentemente. Che ha interpretato il regolamento: senza guardare oltre. Senza approfondire. Schivando ogni responsabilità, ma anche qualsiasi criterio di buon senso. E' quello che succede puntualmente quando chi detiene un potere o esercita un controllo non raccoglie, non decodifica, non comprende. Quando la visione più ottusa delle cose offusca il sentimento di solidarietà sociale. Quando il vertice non distingue, non analizza, non si sofferma sui dettagli. Quando l'intelligenza tramonta nel mare delle convenzioni, delle regole scritte e delle norme da interpretare. Quando il Palazzo (del calcio o della politica) si conferma per quello è: un generale che non conosce i problemi della base. Un re che non rispetta le esigenze dei suoi sudditi.

giovedì 23 febbraio 2012

Grottaglie, il gap resta

Teoricamente, il risultato (uno a uno) potrebbe persino passare attraverso le maglie della legittima soddisfazione. Perchè l'avversario (la Casertana) è pur sempre una big: sostanzialmente rivalutata dalle ultime giornate del campionato di quinta serie, seppur sminuita da una condotta di gara controversa (partenza sicura, molto mestiere, discrete geometrie e sufficiente fluidità di manovra, poi sostituite da amnesie difensive, scarso filtro nel mezzo, timori crescenti, scadimento fisico). Ma anche perchè, dopo tante cadute, un punto fa bene al morale e all'autostima, come si dice in casi come questo: malgrado il pareggio arrivi in casa, sull'erba gibbosa del D'Amuri. Il Grottaglie, tuttavia, non può giore neanche un po'. Perchè il disavanzo da chi la precede in classifica non si liofilizza e soprattutto perchè dietro, ormai, fanno punti tutti, molto spesso. E' il caso del Matera, della Viribus (che, comunque, nel turno infrasettimanale cade), del Gaeta. Addirittura dell'Oppido. Peraltro, l'atteggiamento della formazione di Pizzonia è quello di sempre: un po' morbido, quando serve sostanza. Nonostante la reazione, ieri, ci sia stata. E malgrado, nella seconda parte di match, la squadra non si sia comportata affatto male: giostrando con più ritmo e con le motivazioni giuste. Con coraggio, pure. Uno degli ultimi arrivi, Scalese, si è mosso: tanto e anche bene. Cristofaro, riemerso dopo un lungo periodo di stop, sembra recuperato. Ma questi sono argomenti che, riteniamo, non bastano per recuperare il gap. Dal mercato invernale, in realtà, occorreva accumulare più qualità, ma anche più personalità. Operazione che lo stato di crisi del club non ha evidentemente permesso. Ora, ci sembra tutto abbastanza compromesso: onestamente. E i playout sono alla porta. E', questo, un secondo torneo nel quale, psicologicamente, l'Ars et Labor deve cominciare a calarsi sin da adesso. Giusto per non arrivare impreparati nel momento decisivo. Perseguendo un irrobustimento graduale del collettivo, ma anche provvedendo ad allenare la mente in prospettiva spareggi: dove arrivano sparring partner ammaccati, però sempre ben disposti a sgomitare. E provando, infine, a conservare il miglior piazzamento possibile. Ci sembra una necessità.

martedì 21 febbraio 2012

Il mondo sommerso del vivaio

Attese tradite. E nuove complicazioni da sdoganare. Il quattordici febbraio è passato invano: il contante è sempre scarso e quello che c'era in cassa è servito appena a tamponare la crisi. Qualche acconto sugli stipendi e nient'altro. Lo sforzo del Taranto si è rivelato insufficiente ad allontanare il disagio e i timori. Non placando le preoccupazioni della squadra, non assolvendo i quesiti della piazza, non aggirando le norme federali. Risultato: lo scoramento degli uomini di Dionigi, secondi in classifica, ma adesso un po' più distanziati dalla Ternana, si allarga. Le polemica, in città, si alimenta: anche se la tifoseria percepisce lo spessore delle difficoltà e non infierisce sul presidente D'Addario. Che però resta arroccato sui propri silenzi. E, soprattutto, la nuova penalizzazione che si abbatterà sul club e sulla graduatoria (due, tre, quattro punti?) rischia di disintegrare un patrimonio di ottimismo e lucidità. Invitando, per la verità, i naviganti a preoccuparsi di salvaguardare la seconda posizione, che ormai sembra il traguardo più facilmente perseguibile. E che Carpi e Pro Vercelli, teoricamente, possono assaltare. Poche notizie liete per la prima squadra, dunque. Figuriamoci, allora, per il settore giovanile. I cui tecnici, proprio nelle ultime ore, hanno lamentato il completo disinteresse (nessun assegno, neppure un acconto) della società nei confronti di professionisti che, però, vivono in un mondo sommerso. Quale, appunto, il vivaio. Del quale le società (non solo il Taranto: il discorso vale per molti) si ricordano solo nelle occasioni di propaganda. Spacciando, spesso, la normalità per inenarrabili meriti. E la sufficienza dei risultati per grandi imprese. Oppure, quando è arrivato il momento di contenere i costi. Magari, prima di un inevitabile fallimento. Dal quale, (è anche una speranza ed un augurio) il sodalizio di via Martellotta è probabilmente lontano. Di certo, però, non è affatto escluso che, prima o poi, il club jonico proprio al settore giovanile sia obbligata a ricorrere, più o meno abbondantemente: soprattutto se la situzione economica dovesse precipitare. Con quali pretese, però, non sapremmo.

lunedì 20 febbraio 2012

Il Lecce e la chimica di Cosmi

Il Lecce accelera. Dopo aver sbandato. E prende tra le mani il campionato, cercando finalmente di determinare il proprio destino. La sfida a chi lo precede in classifica è definitivamente lanciata. Match dopo match, la formazione di Cosmi comincia seriamente a crederci: la salvezza è lì, poco oltre lo steccato. Adesso, anzi, Di Michele e soci fanno punti persino in casa. Il Siena, nello scontro diretto, è abbattuto da quattro gol e da un secondo tempo vigoroso. Meno due dalla quart'ultima piazza, si ragiona sempre di più e sempre meglio. Anche perchè, all'interno del gruppo, ora c'è la consapevolezza di certe potenzialità sin qui dimenticate. Chissà dove. Questo Lecce, psicologicamente, è carico. Addirittura troppo carico, secondo il coach: tanto da appesantirsi le idee, in avvio di gara. Il Siena, infatti, è meno teso e passa. Poi, però, non c'è troppa storia. Muriel e Cuadrado trascinano la squadra, ma è il collettivo che comincia a rispondere. Difficile pensare, in questo momento, che nel Lecce attuale ci sia poco di Cosmi, un tecnico che ha saputo rivitalizzare e rimotivare la sua gente: senza magie particolari, ma con sano realismo, buon senso e grinta. Pungolando, agitandosi, mordendo. Esigendo raddoppi di marcatura, pretendendo maggior cura nei particolari in fase di non possesso. Ma offrendo allo scacchiere anche un calcio che calza meglio alle caratteristiche di ciascuno. E alla classifica dodici punti (in nove partite). Che non risolvono niente, ma che servono a crederci e, possibilmente, a crescere ancora. E a ingigantire il partito di chi osteggiava Di Francesco, il primo trainer della stagione. Uno mai entrato, si dice, nel cuore del problema e neppure in quello della gente che tifa, della piazza. Rimanendo, cioè, esattamente agli antipodi di Cosmi. Che, al di là del responso finale, si fa e si farà amare. Questione di carattere. E, molto spesso, di chimica.

domenica 19 febbraio 2012

Bari, ottava trasferta felice

Non sbaglia più neppure una trasferta, il Bari. A Livorno coglie l'ottavo alloro del torneo: roba da promozione. In realtà, però, la truppa di Torrente veleggia al di qua della soglia playoff, qualche punto (sette) dietro al Varese, sesto in graduatoria. E non solo, ovviamente, a causa della penalizzazione subita di recente (alla quale, peraltro, se ne potrebbe aggiungere presto un'altra). Ma, soprattutto, per quelle esitazioni puntualmente collezionate sull'erba di casa: che, di fatto, sono riuscite a ingrigire una stagione già sconvolta da minacce più serie (rischio di fallimento e l'affaire calcioscommesse). Lontano dalla Puglia, comunque, la squadra è più sciolta, più viva, più fluida. Non deve necessariamente costruire la partita e, quindi, concede meno spazi all'avversario. E, invece di cadere in difetto, approfitta degli impacci altrui. Gente come Stoian e Caputo, in piena lievitazione caratteriale e calcistica, fuori casa incide di più, sfruttando agilità e maggior serenità. Forestieri, letale in Toscana, sembra indirizzato al recupero. L'apporto di Romizi, arrivato a gennaio, è determinante: tanto da aver attenuato l'amarezza dettata dalla partenza di Donati. E l'assetto complessivo appare più saldo, più sicuro. Già, la sicurezza, ovvero la componente psicologica: perchè la differenza tra le prestazioni offerte al San Nicola e quelle disputate oltre regione, probabilmente, non alberga esclusivamente nel discorso tattico. Al di là delle frequenti modifiche imposte dal tecnico, gara dopo gara. Il Bari di questi tempi, tuttavia, è un collettivo che ha saputo irrobustirsi: malgrado qualche incidente di percorso. E che, nonostante la tempesta infuri attorno, sta acquisendo una certa impronta. Provando a guadagnarsi un minimo di consenso. Perchè, oggi come oggi, questa squadra deve innanzi tutto sforzarsi di riavvicinare il calcio alla città, la maglia alla tifoseria. Recuperando quella credibilità che altri, pochi mesi fa, avrebbero sperperato. Reimpossessandosi di quella fiducia popolare che altri, nel passato più recente, avrebbero tradito.

sabato 18 febbraio 2012

E, alla fine, parlò Casillo

E, alla fine, parlò Casillo. Con veemente franchezza. Colpendo qua e là, anche duramente. E scegliendo i tempi: perchè le parole non piovono sempre a caso. Ma, talvolta, in coda ad una fase di studio. Parole che, a Foggia, finiscono per deflagrare. E anche per deturpare l'apparente armonia recuperata dall'ambiente con l'ultimo successo, quello di domenica a Viareggio. Rischiando, oltre tutto, di aggredire alle radici pure la serenità della squadra, che della solidità di un club e di certi equilibri vive. Il risultato minimo (la salvezza) è, però, virtualmente raggiunto: questo Casillo lo sa. E il coltraccolpo eventuale può essere attutito. Quindi, sbotta in conferenza stampa. Proprio perchè le parole, certe volte, non piovono a caso. Allora: la città è fredda, insensibile agli sforzi di chi gestisce oggi il pallone. E Zeman è un traditore. Il progetto, partito con lui, si è svilito con la partenza del tecnico verso Pescara, in estate. E, senza il boemo, che fa guadagnare tanti soldi con la valorizzazione dei più giovani, è praticamente impossibile rifinire la programmazione. Cioè, continuare. Anche perchè, da solo, il patron non potrebbe garantire la sopravvivenza della società per molto tempo ancora. Eppure, dice, il Foggia è sano. Dunque, appetibile. E vanterebbe persino dei crediti, reali (contributi federali) e ipotetici (indennizzi). Come a dire: prima che tutto peggiori, ecco il Foggia senza ombre. Basterebbe, così, l'intervento di qualche imprenditore. Una ventina, non di più. Ognuno dei quali sarebbe chiamato a erogare un contributo sostenibile: diciamo cinquantamila euro. Evidentemente, al di là delle argomentazioni brusche, questa è la prova che al progetto Casillo continua a crederci, nonostante tutto. Venti volontari, comunque, sono parecchi: a Foggia e, soprattutto, di questi tempi. Con Casillo ancora dentro, poi. Perche, detto per inciso, il presidente non riscuote unanime simpatia, in Capitanata. Già da un po'. Contemporaneamente, però, l'intervento del numero uno finisce per sminuire il lavoro di Peppino Pavone. Se, senza Zeman è un'altra cosa, a poco è dunque servito l'impegno del diesse. Uno che, da sempre, crede nei giovani e opera con i giovani. Casillo, è chiaro, non lo dice: ma il messaggio che passa è questo. Anzi: a pensarci bene, la conferenza stampa è l'ammissione implicita di una sconfitta. Di un fallimento. Il fallimento di un progetto nato poco più di un anno addietro: un progetto che, solitamente, deve poter prescindere dai nomi e dai cognomi. Affidandosi unicamente alle idee.

lunedì 13 febbraio 2012

Il derby breve di Martina e Nardò

Il confronto si esaurisce troppo presto: il Martina è più tecnico, più scafato e più industrioso. E, come spesso gli accade, dilaga. Basta farlo esprimere come sa. Il Nardò sacrifica se stesso sulla piattaforma del dialogo, che diventa in fretta un monologo altrui: dopo cinque minuti appena. La formazione di Longo, in realtà, si blocca e si arrende troppo presto. Non reagisce alla prima disavventura (è Gambuzza a inaugurare il sei a zero finale) e lascia fare, sino ad inabissarsi. L'atteggiamento dei salentini, alla fine, più che remissivo, sembra bagnato di rassegnazione. Non è il Nardò che la logica impone di attendere. Anche se l'avversario torna a praticare quel calcio largo, fluido e ispirato della prima parte della stagione. Forse, l'avvicinarsi della quota salvezza toglie ai granata un po' di determinazione, ma il crollo è verticale. Intanto, nel derby che resiste ad una domenica segnata dalle cattive condizioni metereologiche capaci, di fatto, di ammanettare il campionato, il Martina sprinta e fugge. La manovra, dicevamo, piace. Lo smalto è nitido. E le soluzioni a disposizione sono parecchie. Gli esterni sgroppano, in mezzo la densità sposa la qualità, davanti Picci e Amodeo segnano ancora. E dietro, questa volta, non si verificano disagi. La prova di forza è l'ennesima mail chiara e precisa inviata al torneo. Che prosegue sabato, a Piscinola, sul terreno sabbioso e stretto del Campania, che ha già giurato vendetta sin dala fine del match di andata. La serenità di espressione e il bel calcio, a questo punto, meritano il supporto del profilo nervoso e dell'ostentazione degli attributi. E' da partite come la prossima che dipende molto futuro di questa squadra e di questa società, che neppure negli ultimi giorni di mercato ha saputo trattenersi, regalando al tecnico altre due pedine che arricchiscono un organico già esuberante. Ed è in partite come questa che il passaporto per la C viene vistato.

giovedì 9 febbraio 2012

Tra una penalizzazione e l'altra

La prima penalizzazione, attesa da tempo e già metabolizzata, sta arrivando. Questione di ore. Due punti in meno, però, non intralceranno i progetti e i desideri del Taranto: la squadra è concentrata verso l'obiettivo dichiarato, malgrado tutto. Un obiettivo che si chiama serie B. Non mancheranno impegno e grinta: lo garantisce chi scende in campo, davanti e pure lontano dai microfoni. L'assalto alla Ternana e, quindi, alla promozione diretta continua. Anche se l'ultima trasferta, quella di Viareggio, sembra aver contenuto un po' di entusiasmi. Perchè il risultato (zero a zero) si trascina irritazione e quesiti (il gol, annullato, di Guazzo era regolare, oltre che scenograficamente interessante). E perchè, di fatto, la frenata degli umbri, a Carpi, non è stata monetizzata al meglio. Pazienza, si guarda avanti. Anzi, un gradino dietro. Anche se, poi, dopo la penalizzazione il disavanzo si amplierà, attestandosi sui tre punti. Quella che, invece, faticherà a essere digerita è l'eventuale seconda penalizzazione: la società ha tempo fino al quattordici febbraio, per coprire costi di gestione e soddisfare le scadenze amministrative. Pochi giorni, a fronte della difficoltà di reperire contante. Lo scenario si fa, ora dopo ora, sempre più inquietante: soprattutto perchè neppure il coinvolgimento dell'amministrazione comunale e, in seconda battuta, della realtà industriale ed imprenditoriale cittadina, sembrano aver assicurato la tranquillità. La cifra delle donazioni (ottocentomila euro, se tutto va bene) e quella utile ad appianare la questione (un milione e mezzo) sono lontane. Oltre tutto, lo scambio (i soldi per la qualità delle vita) o l'indennizzo alla base della trattativa tra il comune e la locale raffineria è un'operazione che (giustamente) non convince quanti sono capaci di guardare al di là delle cose. E delle facili convenienze. Circumnavigando il punto di vista più puramente calcistico, invece, il silenzio del club un po' stupisce e molto infastidisce. Ma certi silenzi, da via Martellotta, sono ormai un'abitudine tra le tante, in riva ai due Mari. Dove si rschia di svendere, per il pallone, anche i diritti sociali: obbligando una comunità a cedere un futuro ambientale più sostenibile per sovvenzionare un bene pubblico (l'AS Taranto) che è pur sempre gestito da privati. Scusateci, ma qualcosa non quadra.

lunedì 6 febbraio 2012

Barletta, un punto di transizione

Ci sono un po' di novità, in organico. Sono il frutto della rivisitazione di metà stagione. E la digestione delle novità chiede tempo. Il Barletta, intanto, viaggia a Latina e raccoglie un pari. Non propriamente prezioso, ma niente affatto inutile. La classifica si muove, con lentezza. E le scorie del derby (con l'Andria) perduto di recente o di qualche risultato indigesto si allontanano di un po' di centimetri. La manovra, certo, è ancora incompleta: alla porta si punta ancora con esitazione, con discontinuità. L'ultima prestazione non va censurata, ma neppure esaltata: tuttavia, considerate le premesse, può andare. Prima di rituffarsi sul lavoro, dal quale la gente che tifa attende risposte, a breve termine. Del resto, l'ambiente vuole essere stimolato, trascinato, liberato da quella patina di insoddisfazione che vola bassa da qualche mese. Chiaro, non ci si reinventa all'improvviso: però, da adesso in poi il Barletta sarà obbligato a dotarsi di un calcio più propositivo, più incisivo, più credibile. In una parola, più produttivo. Senza del quale difficilmente si persegue l'obiettivo. Perchè, se è vero che la formazione di Cari continua a gravitare nell'orbita del gruppo di testa, è altrettanto vero che si avvicina l'ora dello sprint. In cui è lecito offrire qualcosa di meglio ed è necessario moltiplicare gli sforzi. Vivacchiare, ad un certo punto, potrebbe non bastare. Il traguardo non può passare esclusivamente attraverso le potenzialità del collettivo: piuttosto, serve la qualità. Non da sùbito, ma quasi. Due settimane, diciamo: vanno bene?

mercoledì 1 febbraio 2012

Foggia, ritorno alle origini

Il Foggia ritorna alle origini: almeno per novanta minuti, quelli di Monza. E il processo di sodificazione si arresta di nuovo. Va in vantaggio, spreca quello che c'è da sprecare, si muove con un po' di sufficienza, apre le porte all'avversario e, ovviamente, cede: per due volte, nella seconda frazione di gioco. L'avversario non è il peggiore da affrontare, ma questo significa poco. Agodirin (ancora in gol) e compagni, ad un certo punto, si fermano: contenti di un match ancora in corso, non anora archiviato. Stringara non nasconde la delusione, nè cerca giustificazioni. Fa rabbia, piuttosto, pensare all'approccio felice e a uno sviluppo della manovra lacunoso. Errori e presunzione a parte, emerge la sostanza di un concetto: i difetti di maturità, puntualmente, riafforano. E non possono supportare la speranza di ancorarsi alla parte più nobile della classifica: eventualità sulla quale, peraltro, eravamo e restiamo scettici. Malgrado una disciplina globalmente più rassicurante, da un paio di mesi a questa parte. Ancora insufficiente, però, a rivalutare una stagione nata e cresciuta nel disagio: su cui, evidentemente, non è logico fare troppo affidamento. Detto per inciso: e senza voler sembrare disfattisti. Ma questi sono i fatti.