martedì 31 agosto 2010

Bari, non è cambiato niente

Ranocchia, Bonucci, Kamata e Carobbio salutano. Arrivano Pulzetti, Ghezzal e qualche altro pezzo. Il Bari, in estate, si trasforma con cautela, senza cambiare tratti somatici e mentalità. E, all’alba del campionato, riprende a giocare come sapeva. Non sembra essere cambiato molto: e la Juve cade al San Nicola. Quel Bari di Ventura è sempre qui: si conosce benisssimo e giostra con sicurezza. Seguendo con attenzione i consigli del suo condottiero. Il successo (uno a zero, intuizione balistica di Donati) pare persino stretto, nello score. Tra gli avversari, Del Piero parla di squadra dotata di personalità. E il coach dice dei suoi: «La voglia di fare calcio e lo spirito sono gli stessi dello scorso anno». E’ il complimento più bello che può dedicare alla squadra e a se stesso. Il pericolo di imbattersi in una squadra sazia o, meglio, distratta dal passato recente pare sin da adesso scongiurato, anche se è opportuno attendere conferme. E, chissà, uno sparring partner con meno problemi. Il passaggio non è affatto marginale. La questione, piuttosto, è il punto nodale di una stagione intera: è dal concetto di continuità progettuale, del resto, che passa il futuro di tutti. E anche del club, ovviamente.

lunedì 30 agosto 2010

Grottaglie, vittoria e contestazione

Il primo atto della stagione è una vittoria. Di misura, dai contenuti non eccessivamente brillanti, ma sostanzialmente legittima: se non altro, in virtù di un possesso di palla più marcato e di un paio di raddoppi sciupati. Il Grottaglie assaggia la Coppa Italia e avanza, regolando sul terreno amico la Rossanese (uno a zero, decide l’acuto di Quaranta). Diciamola tutta: la squadra di Danza, largamente rinnovata nell’organico, spesso gestisce il pallone con scarsa lucidità, cercando il lancio lungo. E finendo, quindi, per sprecare diverse opportunità di gioco. Ma, oggi, è inutile pretendere troppo: dalla squadra e, in generale, dal campionato. Che non sarà, qualitativamente parlando, molto più godibile del precedente. Anche se è comprensibile attendersi, in prospettiva futura, un Ars et Labor più continuo e ancora più intenso. Fa pensare, piuttosto, quello che accade dopo il novantesimo: la contestazione di una frangia della tifoseria nei confronti del presidente Ciracì non promette proprio nulla di buono. E minaccia di destabilizzare nuovamente l’ambiente, già segnato in estate da polemiche corrosive. Difficile indovinare, adesso, cosa accadrà: ma la contestazione, in questo momento, appare inopportuna. Meglio ancora: inutile. Perché, piaccia o no, Ciracì è l’unica alternativa al nulla. In una città in cui, eclissatasi anche la figura di Settanni, non ci sono imprenditori disposti a investire nel pallone. A meno di future proposte: che, eventualmente, aspettiamo.

domenica 29 agosto 2010

Primo stop, i dubbi restano

Il Taranto, alla seconda uscita di campionato, conosce l’amaro della sconfitta. L’anticipo del Flaminio, casa dell’Atletico Roma, non sblocca qualche dubbio affiorato, al di là dei troppi commenti entusiasti, già nel match d’esordio, consumato contro la Ternana. Anzi, invece di spiegarci qualcosa, la prova nella capitale raduna nuove ombre. Che neppure il gol del pareggio di Innocenti, ingiustamente invalidato dal direttore di gara, su suggerimento del collaboratore di linea, riesce a scacciare. Chi attendeve risposte chiare, cioè, scopre un Taranto timido, mentalmente un po’ imballato, agonisticamente non propriamente reattivo. La gente di Brucato, magari, non va bacchettata né per l’approccio, né per la gestione complessiva della trasferta, ma viene a mancare l’aggressività nel momento del bisogno. Quel di più che serve a conservarsi. Quella capacità di navigare con personalità nel mare delle difficoltà. Davanti, cambia l’impostazione tattica, ma ricorrere il risultato senza sapersi districare nelle maglie avversarie è sempre compito particolarmente delicato. Anche per questo motivo, sarebbe necessario dedicarsi ad un modulo di riferimento. Lasciando per un attimo gli esperimenti. Il Taranto, come chiunque, ha bisogno di certezze. Soprattutto in avvio di avventura.

sabato 28 agosto 2010

Bari, dove la tessera è un piacere

Dati impietosi. E scollamento previsto. La tessera del tifoso non entra nell’immaginario collettivo della gente che varca i cancelli di uno stadio. Scavando un nuovo fossato tra la base (i clienti del pallone) e i vertici della piramide. Anche perché, così com’è, la novità non garantisce la certezza del viaggio, cioè della trasferta: esattamente il contrario di quanto era stato ipotizzato. Rimanendo, di fatto, un agglomerato di svantaggi. E uno strumento di schedatura. La tessera non passa e, di conseguenza, cala il contingente degli abbonati: perché, è giusto ricordarlo, essere abbonati significa essere prima tesserati. Ovunque. Non c’entra la categoria. Né l’area geografica. Dalla serie A alla C2. Dal Piemonte alla Sicilia. Anzi, quasi ovunque: perché, in realtà, resiste un’eccezione. E l’eccezione è Bari. Dove il numero degli abbonati, in riferimento alla stagione passata, è lievitato. Sensibilmente, pure. Controtendenza da euforia, potremmo dire. Proprio perché, in riva all’Adriatico, la voglia di Bari – di questo nuovo Bari – è palpabile. Palpabilissima. Merito della squadra che, ultimamente, ha fatto innamorare nuovamente la sua folla. E merito di una programmazione che la tifoseria sembra aver accettato incondizionatamente. Non c’è implicazione alcuna. E non ci sono attentati ai diritti di ciascun individuo che reggano: la voglia di Bari sembra più forte di tutto. Anche dell’orgoglio di sentirsi un po’ più liberi.

giovedì 26 agosto 2010

Andria, un punto per partire

Un punto non è tanta roba: però, in questo momento, conviene accontentarsi. L’Andria, del resto, non è ancora quella squadra che la gente e il suo stesso tecnico Papagni vorrebbero. La prima di Sibilano e soci è ostica: per il caldo, ma non solo. La manovra difetta di fluidità, l’approccio al match è tutt’altro che lucido. Il Viareggio non si industria troppo per resistere ed approfittarne: ma le occasioni migliori, probabilmente, sono proprio quelle imbastite dai toscani, in apertura di ripresa. E qualcosa significa pure. Il coach vara uno scacchiere ancora da rodare e, per obblighi regolamentari, sufficientemente giovane (dentro, dall’inizio, Nicolao, sùbito infortunatosi, Ceppitelli e l’ex materano Carretta) e, perciò, meritevole di crescere circondato da fiducia abbondante, con calma. Attorno, intanto, Papagni dovrà definire la quadratura tattica. Il cammino, si dice in certe occasioni, è lungo. E le ambizioni del nuovo assetto societario meritano di essere alimentate, concretamente.

mercoledì 25 agosto 2010

Il primo messaggio di Zeman

Il Foggia già piace. La prima esibizione che conta, a Cava de’ Tirreni, è suntuosa. Nel risultato (zero a tre) e nella forma (la gente di Zeman non nasconde tutta la propria superiorità e deve persino contenersi, per non infierire). Certo, il primo avversario non riesce a garantirsi, oggi, molte certezze. Nè tecniche (la paura del fallimento è troppo recente e la costruzione della squadra si è rivelata travagliata), nè societarie (le lotte intestine hanno minato il rapporto con il primo tecnico della stagione, Stringara, e rischiato di alterare quello con Marco Rossi, il secondo). Ma il Foggia convince e lascia intendere che ha fame. E che il progetto possiede delle fondamenta. La gente si riscopre felice. E, con lui, il suo condottiero. «Però siamo ancora al cinquanta per cento», racconta Zeman a match appena esaurito. Una dichiarazione di stima per il gruppo, che comincia a rispondere. Una frase ad effetto: per la tifoseria, che si affretta a sognare. Un messaggio ambizioso, consegnato ai naviganti. E, tra le righe, una promessa: impegnativa.

martedì 24 agosto 2010

Barletta, esordio faticoso

Inesperienza, forse. Da governare, oltre tutto, in pochi giorni: quelli che separavano la certezza del ripescaggio in terza serie dall’esordio in campionato. Il Barletta, nella prima di Lucca, si ammutolisce (zero a due, verdetto secco e un po’ brutale), ma senza intristirsi. Malgrado i toscani debbano affrontare parte della seconda frazione di gara in dieci contro undici. Consapevole com’è di aver affrontato i pericoli del debutto con un organico per niente rifinito. Anzi, abbastanza debole: perchè congegnato per la C2 e non per il gradino appena più alto. Le pieghe del match, poi, arroventano il cammino: due minuti di gioco e il Barletta è già sotto di un gol. Il raddoppio lucchese, invece, arriva nella ripresa, in contropiede, mentre D’Allocco e compagni provano a rimediare un match nato male. Dove, come spesso accade, non basta amministrare il pallone per pungere e realizzare. Non sarà, però, la prima esperienza ad orientare una stagione oggettivamente impegnativa. Saranno, piuttosto, decisive le operazioni di mercato suplettive che la società vorra (e potrà) ratificare. Accelerando i tempi, possibilmente. Il presidente Sfrecola, tuttavia, non dribbla e non sottovaluta la questione, riconoscendo il problema. Promettendo qualche ingaggio di categoria. Adesso, Sciannimanico ci conta.

lunedì 23 agosto 2010

Taranto, il risultato c'è

La partenza in campionato del Taranto è apprezzabile nella sostanza. Tre punti (guadagnati contro la Ternana, allo Iacovone) sono beneauguranti e incoraggianti. Quello che gravita attorno, invece, merita di essere approfondito più avanti. La formazione allestita da Brucato, cioè, va rivista e riconsiderata: quando i muscoli si faranno più tonici e il caldo si dileguerà (giocare nel pomeriggio di agosto è sempre un azzardo: la Lega ci pensi, in prospettiva futura). E quando, soprattutto, il motore della squadra si lubrificherà. Il passo pesante, le difficoltà nel pressare, la lentezza nell’accorciare e, talvolta, nell’allungarsi parlano chiaramente, pur non influendo sul risultato. Ottenuto su un avversario tatticamente più ordinato, più lucido e corto, ma anche un po’ sciagurato, dalla propria trequarti in avanti. Il Taranto si accende sùbito e sprinta, ma il furore si esaurisce presto. Il gol che decide arriva prima della metà della ripresa su calcio da fermo (Visi, guardasigilli ospite, non fa troppo per rimediare), ma il merito più evidente di Bremec e soci è quello di saper gestire la gara sino alla sua conclusione, sacrificandosi e facendo fruttare pienamente il primo acuto di Rantier. Buono per rallegrarsi, ma non ancora per esprimere giudizi netti. In attesa, se non altro, di gambe più decise e di fiato abbondante.

venerdì 20 agosto 2010

Fortis, la nuova serie D di Altamura

Da Irsina a Matera. E poi ad Altamura. La Fortis Murgia inseguiva un indirizzo definitivo. Che, finalmente, sembra aver trovato. La sua casa non possedeva fondamenta durature: ma, forse, la rincorsa ad un’identità è finita. Adesso, federalmente, è una formazione pugliese, dal primo luglio. Con domicilio in una città ormai abituata a ritrovare il calcio interregionale malamente perduto: qualche anno fa con il titolo del San Paolo Bari e, questa volta, con quello della formazione che ha appena conquistato la serie D in terra straniera, dalla porta confinante, dalla Lucania. Percorso tortuoso, quella della Fortis: allestita per vincere in Basilicata con capitali (e giocatori e tecnici) pugliesi, passata attraverso polemiche scottanti e condannata ad imporsi nel silenzio di uno stadio deserto, lo Scirea di Matera. Senza essere, di fatto, radicata sul territorio. E senza poter contare sull’appoggio popolare: di qualsiasi provenienza. Adesso, però, Altamura torna a godersi una squadra in quinta serie. Il progetto sembra aver attecchito al di qua dei confini regionali: proprio al momento giusto. Quando, cioè, la Promozione aveva inghiottito il Real, l’erede di una tradizione calcistica niente affatto trascurabile. Una tradizione sfarinatasi spesso in conflitti di quartiere utili soltanto a sottrarre molte energie e a moltiplicare il numero di club sul territorio. Ora, però, la Fortis può vantare un campo sufficientemente sgombro: perché il Real è lontano (due gradini sotto) e perché la Leonessa non c’è più, emigrata altrove. Per la città, cioè, è un’opportunità importante. L’ennesima. Da non sprecare. E da condividere, perché no, con il comprensorio: al di là delle dichiarazioni di circostanza. Ovvero, da difendere: questa volta, sul serio. E a lungo. Come se fosse (ma potrebbe esserlo davvero) l’ultima possibilità.

mercoledì 18 agosto 2010

Diciassette, numero imperfetto

Non ce ne vogliano, a Maruggio. Ma il discorso è concettuale. La bontà dl lavoro del club, appena ripescato dal campionato di Promozione a quello di Eccellenza, e le aspirazioni genuine della propria tifoseria non c’entrano. Perché, evidentemente, il salto di categoria decretato a tavolino è, sotto molti punti di vista, legittimo. Niente di personale, dunque: ma la distonia di fondo resiste. Ricapitoliamo gli eventi, però: il primo torneo dilettantistico regionale, con il format fondato sulle diciotto squadre, cominciava a indispettire. La Federcaclcio di Puglia, più che le società. Obbligate, tuttavia, a sobbarcarsi qualche turno infrasettimanale, nel corso della stagione. E un paio di trasferte per ciascuna in più, complessivamente. Ecco, allora, il taglio di due partecipanti e la conseguente retrocessione di sei formazioni: appena ieri, cioè a maggio. In estate, però, accadono molte cose. Tra le altre, la mancata iscrizione del Bitonto (sostituito dall’appena retrocesso – e, quindi, ripescato – Locorotondo), la promozione in seconda battuta del Trani (rimpiazzato dal Martina) e il ripescaggio in D del Francavilla (surrogato dalla seconda formazione di Bari, il San Paolo). E, fin qui, ci siamo. Ma accade pure dell’altro: il Manfredonia non si iscrive alla C2 e riesce a guadagnarsi un posto tra i dilettanti. Proprio in Eccellenza. Il campionato, allora, lievita: a diciassette squadre. Soluzione che non piace alla Federcalcio di casa nostra. Il calendario zoppo, certo, possiede tratti somatici indelicati (ogni domenica, una squadra dovrebbe riposare, a turno): ma, talvolta, è una soluzione equa. Innanzi tutto per Massafra, Maglie, Corato e Real Altamura (il Taurisano è, ormai, una società inattiva), tutti obbligati a ripartire dal campionato di Promozione, dopo la retrocessione maturata sul campo. Quattro club che – è giusto ricordarlo – non hanno neppure formulato (colpevolmente, a questo punto) domanda di ripescaggio. Dunque, il format delle diciassette squadre non passa. A questo punto, occorre provvedere. E tornare alla vecchia formula, quella con diciotto partenti. Inutile aggiungere, allora, che il diciottesimo posto è del Maruggio. Ma il problema, se di problema reale si trattava, non è risolto: e non vorremmo che, l’anno prossimo, diventi di nuovo necessario svuotare (pesantemente) la Priemer League pugliese. Possibile (probabile) che succeda, invece: anche per questo, il format a diciassette squadre (invece di diciotto) avrebbe alleviato l’atmosfera di nuova mattanza che, prima o poi, si configurerà.

martedì 17 agosto 2010

Eccellenza, il Manfredonia c'è. Con Zeman junior

L’incertezza, sino in fondo. Ma, alla fine, il Manfredonia c’è. In Eccellenza. Non senza fatica. E non senza ulteriori dubbi. Del professionismo, resta solo il ricordo e molta cenere. Ma il futuro non è ancora ben delineato. La prova è nella parole della nuova dirigenza, che reclama un aiuto dalla città, rimasta a guardare. Cioè: il titolo è salvo, ma sotto il vestito c’è molto poco. O quasi niente. La ricostruzione sarà faticosa, garantito. Perché nulla ci vieta di pensare che la ripartenza nasce tra le nubi di troppe insicurezze. Dietro la scrivania e, se è per questo, anche nelle facende di campo: come la gestione della pratica legata al nuovo allenatore conferma. L’allenatore, ecco: sembrava suggellato l’accordo tra la società e Chiricallo, ex Monopoli, ex Barletta. E, invece, al fotofinish spunta il profilo di Karel Zeman, erede naturale di Zdenek, appena sedutosi sulla panca geograficamente vicinissima del Foggia di Casillo. Il figlio del boemo, così, riparte dalla Puglia, dopo l’infruttuosa esperienza di Maglie del torneo passato. Dovrà inventarsi molte cose, Zeman junior: proprio perché il nuovo Manfredonia risorge dal niente. E con idee confuse. E, prima ancora, dovrà vincere un po’ di scetticismo, anche naturale. O, se preferite, il sospetto di trovarsi dov’è per determinate contingenze. Sospetto che la società, peraltro, ha anticipato. E cercato di cancellare alla radice. Anche se, talvolta, non basta un comunicato stampa per convincere la gente.

venerdì 6 agosto 2010

Chi scende, chi sale

Recessione significa anche fallimento. O più fallimenti. E, dietro a ogni fallimento, si accende la speranza altrui. Nel pallone, la speranza si chiama ripescaggio. E il ripescaggio è un vortice strano, un mercato semiclandestino, una lotteria regolata da qualche norma e, talvolta, da diverse convenienze. E’ la finestra da cui si riemerge, se la porta si è socchiusa. Questa volta, però, premia il calcio di Puglia. Quel calcio di Puglia che, però, solo qualche tempo prima, ha duramente pagato: perdendo dal palcoscenico nazionale il Gallipoli, il Monopoli e il Manfredonia. Lo sconforto di alcuni, allora, diventa la festa di altri. E si festeggia a Barletta (accesso in terza serie, seconda promozione a tavolino, ma quello che era stato perduto in passato è stato recuperato in tempi sostanzialmente ragionevoli: e per merito esclusivo, è giusto ricordarlo, della solidità economica del gruppo di comando del club, avveduto e sempre credibile). E si festeggia pure a Francavilla (il rientro in serie D, dopo la retrocessione cocente, è velocissimo: graduatorie di merito a parte, l’impressione è che i tradizionali buoni uffici di patron Distante con il Palazzo siano serviti a qualcosa). Non si festeggia, invece, a Trani (il doppio salto, riuscito a Pisa e Sanremese, sembrava sinceramente azzardato) e a Brindisi: e solo perché, in riva all’Adriatico, la confusione nata a ridosso delle pratiche di compravendita della società aveva bloccato l’iter burocratico nel momento meno opportuno. La catena, peraltro, non si interrompe: perché guadagnano un gradino altre realtà, seppur in ambito regionale. Dove, adesso, sgomiteranno i già citati Gallipoli (Promozione), Monopoli (Promozione) e Noicattaro (Promozione). Il calcio, quello vero, ha invece taciuto a lungo dalle parti di Manfredonia. Dove la gente che tifa non aveva dissimilato la propria delusione per la mancata iscrizione in serie D, peraltro accarezzata a lungo. Decodificando il veto del presidente federale Abete come un insulto o quasi. E archiviando il fatto come un’occasione persa. A torto: perché, l’iscrizione al campionato di Eccellenza è arrivata (anzi, sta arrivando) solo in queste ore. E un motivo, al di là dei facili ottimismi, ci sarà pure. Certo, il ripesaggio è una pratica semiclandestina, è un vortice strano, una lotteria di inizio stagione: ma lo spazio per inventarsi qualcosa dal nulla si riduce. Sempre di più, per tutti.

giovedì 5 agosto 2010

Regola prima: resistere

La normalità, nell’anormalità che dilaga, potrebbe fare notizia. E perseguire gli obiettivi con coerenza e prudenza è un dettaglio che potrebbe sembrare una resa. Ma la resa non è incondizionata: è solo calcolata. Con lungimiranza. E la notizia, in fondo, non c’è: perché il palcoscenico è in una provincia lontana, in un calcio trascurato. Carapelle è un centro di neppure duemila abitanti, tra Cerignola e Foggia. E la sua squadra di pallone, recentemente, ha navigato con agio nella Prima Categoria di Puglia. Conquistando una posizione di privilegio in sede di eventuale ripescaggio in Promozione. Puntualmente arrivato in questi giorni: effetto automatico della cancellazione di diverse società, anche pugliesi, dal panorama professionistico. Ma il club dauno rinuncia al salto, consapevole dei rischi connessi: avvantaggiando, di fatto, il Fragagnano, appena un gradino dietro in graduatoria. «La Promozione – spiega il presidente del Carapelle – comporta costi di gestione e sacrifici organizzativi non indifferenti. Non fa per noi: almeno, per ora». Chiaro, semplice. E onesto. La decisione non passerà alla storia: la Prima Categoria è quello che è. E la Promozione, in fondo, anche. Resta, però, il sospetto (la speranza?) che qualcosa stia cambiando. Nella mentalità di chi produce calcio. E che, lentamente, stia transitando il concetto fondamentale: resistere è meglio che scalare.

lunedì 2 agosto 2010

Brindisi, cambio al vertice. E la gente aspetta

Per i Barretta che vanno, un gruppo sostanzialmente sconosciuto (nessuno indaga a fondo e, se qualcuno l’ha fatto, tace: perché le ragioni stato comportano obblighi severi, talvolta) che arriva. Un gruppo formatosi sullo Jonio, pare: notizia buona per rischiare qualche allusione, per lasciar germogliare qualche indizio. Il Brindisi, però, cambia proprietà, identità, indirizzo: e questa è l’unica certezza. Una certezza che, al momento, sembra garantire la sopravvivenza. E un domani. Non il ripescaggio in terza serie: quello, ormai, si è dissolto nell'attesa. Ma, almeno, una C2 più che dignitosa. Se la natura della società è occultata dagli eventi, il presidente è tuttavia un viso conosciuto: è Vittorio Galigani, uno che, solitamente, rientra nel giro abbastanza in fretta. Proviene dalle fatiche di Potenza e rappresenta gente, si dice, abbastanza motivata. Come, del resto, lascerebbe pensare la veloce transazione con la famiglia Barretta: una transazione niente affatto indolore (ottocento mila euro, la contropartita). Galigani, peraltro, si muove sùbito: rintracciando un allenatore di sostanza, a lui legato da saldi vincoli di amicizia (Florimbj) e un po’ di gente per cominciare la preparazione (cognomi niente affatto male: come Cejas, ad esempio). L’approccio è giusto. Tonificato da un po’ di concetti pratici: chi vuole restare, cioè, deve approssimarsi alle esigenze del club. Ovvero, ridiscutere l’ingaggio. Nessuna stranezza: sono cose di questi tempi. Nel frattempo, l’ambiente osserva e rimane abbastanza tiepido. Attendendo i primi riscontri. Persino normale: dopo l’eperienza-Salucci, a Brindisi lo straniero è un sorvegliato speciale.