sabato 31 maggio 2008

E il Barletta attende

Il Barletta va. L’universo dei playoff nazionali accoglie il collettivo di Chiricallo che, superati Grottaglie e Bitonto nell’appendice del girone, impatta con l’Alghero e vince in Abruzzo, a casa dell’Angolana. La costituzione robusta della squadra, se non altro, conferma l’alta potenzialità dispersa nel rush finale del campionato e, di conseguenza, amplifica il disappunto. Sembra riaffiorare, intanto, una parte di quella fiducia sprecata recentemente: malgrado gli spareggi continuino a non garantire nulla di più della semplice speranza. Che si chiama ripescaggio tra i professionisti. L’Alghero, però, domani non dovrà battere a domicilio l’Angolana: solo così il Barletta di questa stagione possiede ancora un futuro. Un futuro che si conserva in mani altrui. Meglio così, forse. Perché quello custodito nelle proprie è già evaporato sotto il sole dell’immaturità psicologica. E di fronte alle avance insistenti dell’Aversa.

Gallipoli, rialzarsi e ripartire

A Gallipoli l'epilogo del campionato fa soffrire ancora e l'imbarazzo è sempre denso. Non è semplice deglutire, dimenticare. E poi si agitano tante ombre. Ad esempio: nell'incertezza dello scoramento, qualche protagonista del campo avrebbe annusato odore d'impasse e chiesto lo svincolo. La preoccupazione popolare, anche per questo, fatica a restringersi. Il diesse Davide Pagni cerca un nuovo approdo. Patania, ultimo coach della stagione, proverà a trovare panchina altrove. E, soprattutto, i tempi della disponibilità temporanea dello stadio si sono esauriti: e occorrerà provvedere. Ci dovrà pensare l'amministrazione comunale (avviando i lavori di miglioria dell'impianto) oppure la società (emigrando a Lecce per i match ufficiali). Il presidente Barba, però, sembra che abbia liofilizzato la delusione e che non abbia congelato la voglia di vincere. E che, dunque, sia disposto a riannodare certi discorsi interrotti. Se la sensazione è confermata, è un'ottima notizia. Barba è il motore di tutta una situazione che non può sopravvivere senza l'apporto economico dell'unico titolare plausibile del progetto. Dopo, tuttavia, servira qualcos'altro. Sicuramente, anche una valutazione particolarmente attenta di un patrimonio, quello tecnico, che - al di là dello sventurato finale di stagione - non merita di essere azzerato. Modificare è opportuno; rivoluzionare indiscriminatamente può essere dannoso. Il Gallipoli deve solo ripartire. Con i giusti accorgimenti. Non dimenticando che i progetti possono fallire, ma anche evolversi. E migliorare. Nel tempo.

A margine. Ci ritroviamo puntualmente smentiti. Dall'evoluzione della storia e dai suoi accadimenti. Anzi, per essere precisi, dai manifesti fatti affiggere in città dal presidente Barba. Che comunica di voler abbandonare la guida del club: consigliando alla città di trovare un interlocutore serio che possa, entro il trenta giugno, rilevare il titolo sportivo. E, nell'attesa, invitandola a partecipare ad un pubblico incrontro (domenica 8 giugno). Il cliché è antico. E certi argomenti intorbidiscono sempre l'ambiente, privandolo di altre fette di sicurezza e serenità. Forse, è tutto vero: e Barba non bluffa. Forse, il presidente cerca alleanze, complicità. Per ripartire. Forse, è così che si deve operare: perchè un po' di rumore serve sempre. Alle coscienze e agli affari (non solo di cuore). Forse, il momento non è proprio così critico come sembra: anche perchè segue un apparente chiarore in fondo al tunnel. Che avevamo captato. Forse, ci sbagliamo: del resto, non siamo depositari nè della verità, nè della perfezione. Però l'impressione è che Barba abbia mirato alto per ottenere solidarietà. O chissà che altro. Tuttavia, alla smobilitazione del Gallipoli e, soprattutto, all'estinzione del progetto di Barba non crediamo compiutamente. E non crediamo che Barba si dichiari immediatamente sconfitto, alle prime difficoltà, arrivate al culmine di un ciclo di successi. In ogni caso, siamo qui per vedere, ascoltare e annotare.

giovedì 29 maggio 2008

La retrocessione annunciata

Ora c'è anche l'ufficialità. L'Andria è in D. Il decreto di retrocessione è vidimato dalla Vibonese, ai playout. Ma il verdetto è una situazione annunciata. Annunciata perchè tutto, dopo la cattiva gestione degli ultimi mesi di una stagione peraltro complicatasi immediatamente, lasciava presagire l'immersione verticale negli abissi della paura e dell'impotenza. Annunciata perchè, se la piazza preme e la dirigenza acuisce la crisi tecnica con lotte intestine e improbabili operazioni sottotraccia, nessun allenatore può pianificare in tranquillità il lavoro quotidiano e il consolidamento della classifica (Dellisanti) o credere sino in fondo nell'impresa (Palumbo). E annunciata perchè, neppure nel momento più delicato, la squadra riesce a scuotersi. E a nulla serve vincere l'ultimo match, quello di Vibo Valentia: che non può cancellare le colpe pregresse. L'Andria, adesso, è in D. E' una realtà triste e, contemporaneamente, può considerarsi un augurio. Perchè i venti della crisi soffiano ancora più forte, assorbendo l'intero apparato del club. Perchè l'iscrizione al prossimo torneo di C2, in caso di salvezza, sarebbe partita automaticamente. Mentre quella al campionato di quinta serie non sarebbe affatto scontata. Perchè lo scoramento potrebbe assommarsi alle difficoltà economiche e due problemi paralleli e convergenti potrebbero diventare indigeribili, se affrontati assieme. Perchè l'Andria potrebbe aver deciso di giocare esclusivamente su due tavoli estremi: sul primo c'è il proseguimento dell'avventura, tra i professionisti. E, sul secondo, il nulla. O quasi. Al di là del futuro del Monopoli: che, si dice, potrebbe eclissarsi e, dunque, favorire il ripescaggio postumo di una retrocessa. Ma questa è un'altra storia. E, in ogni caso, servirà tempo per conoscerla.

mercoledì 28 maggio 2008

Monopoli, ipotesi inquietanti

Dai playoff acquisiti, il Monopoli avrebbe estratto vigore e motivazioni suppletive. A playoff mancati, il Monopoli è confuso, svilito, intontito. Anzi, peggio: azzerato. La famiglia Ladisa, proprietaria del club, abbandona: alle voci (datate) di una soluzione di continuità societaria, si aggancia un comunicato ufficiale sufficientemente eloquente. Dunque, niente playoff, nessun altro stimolo e, di conseguenza, saturazione della passione. Semplice, no? Traducendo, sull’Adriatico il calcio sta (starebbe) per morire un’altra volta. Come vent’anni fa, o poco meno. Davanti, l’orizzonte non è propriamente invidiabile, del resto. E già si tracciano tre ipotesi. La prima: i Ladisa potrebbero ricavare qualcosa dalla cessione delle quote di maggioranza e favorirne il passaggio ad un gruppo emergente (ma il momento storico non è accattivante per nessuno: e anche la gente comincia a capirlo). La seconda: la famiglia potrebbe trasportare il titolo sportivo altrove, più o meno lontano da Monopoli. La terza: il sodalizio potrebbe sciogliersi, uscire dalla geografia calcistica. Strangolando così due campionati importanti: gli ultimi, di C2, una serie D di gran livello (con promozione al sèguito) e un campionato memorabile di Eccellenza. E, ovviamente, vanificando gli ingenti investimenti sacrificati sin qui. Ma, soprattutto, lasciano pensare (se non sorridere) le cause dello scollamento tra il vertice societario e l’intero ambiente. Avrebbero cioè cominciato a difettare, spiegano i Ladisa, il feeling con la tifoseria e con la locale amministrazione comunale. Che, oggi, non garantirebbero più, rispettivamente, il sostegno morale e quello materiale al progetto. Esattamente i requisiti che spinsero la famiglia ad abbandonare, pochi anni addietro, Locorotondo per Monopoli. Evidentemente, tutto scorre: ma sempre nella stessa direzione.

martedì 27 maggio 2008

Lacrime e rimpianti

Il progetto si accartoccia proprio quando sembra rafforzare le propria fondamenta. Il Foggia, a Cremona, è in vantaggio. Nel risultato (zero a uno) e nell’espressione numerica delle forze dispiegate sul campo (Bianchi, portiere errante dei lombardi, ha catturato un cartellino rosso al minuto trentuno). E l’auspicabile successo significa passaporto sicuro per la gara decisiva dei playoff. Ma la Cremonese è solidità, reazione, qualità diffusa. Ed è perizia balistica dei suoi artiglieri. Uno di questi, Temelin, firma il pareggio che annulla il sigillo iniziale di Del Core. E, dentro l’azione che lo genera, c’è probabilmente anche un vizio di forma. Finisce così: con la divisione equa delle marcature e con l’intera fetta di amarezza da trasportare sino in Puglia. Non è sufficiente l’interpretazione corretta della gara. Non basta passare per primo, a primo tempo morente. Il Foggia difetta in zona di ricezione e non difende la dote. Forse, la sicurezza è cattiva consigliera. Forse, la tensione agonistica cala nel momento meno indicato. Forse, la gente di Galderisi non possiede l’istinto di terminare un avversario in difficoltà oggettiva. Sicuramente, dopo, si fa tutto tremendamente più complicato. Sicuramente, dopo, le lacrime del coach realizzano con compiutezza l’occasione persa. Certificando anche il dispendio psichico, oltre che fisico, di tutto un gruppo costretto a correre disperatamente per recuperare il tempo sprecato prima e per fronteggiare gli assalti del Padova poi. La corsa, del resto, comporta un prezzo da pagare, sempre. E il Foggia paga il suo tributo, puntualmente. E lo paga alla fine, com’è ovvio che sia. Resta, però, un dubbio. Un dubbio che, se non rallegra, un po’ solleva. La Cremonese in finale non è e non può essere la bestemmia del duemilaotto: un campionato vissuto sempre al vertice della graduatoria significherà pure qualcosa. Il problema, magari, è spiegarlo alla società del Foggia, alla tifoseria, alla squadra e al suo tecnico. Intanto, quelle lacrime restano. E fotografano una stagione di sudore e di rimpianti.

lunedì 26 maggio 2008

Il Taranto si riprende se stesso

Gara due di playoff premia (giudiziosamente) il Taranto. Cioè la formazione che scrive la partita, che interpreta meglio lo spartito. Quella che trova l’ispirazione dei singoli, che sa come e quando graffiare, che sa anche governare il doppio vantaggio, senza mai piegarsi. Autorevolmente. Quella che, a sette giorni dai dubbi riaffiorati all’improvviso, recupera se stessa, il suo modo di essere, di apparire. Piegando il Crotone, avversario temuto che abdica con onore, ma senza mai regalare l’impressione di poter scuotere il cliché di una partita dai tratti somatici chiarissimi. Sin dall’avvio. Il Taranto si fa preferire per lucidità e rapidità d’esecuzione, per una manovra più radicata, più penetrante. Indirizzando la partita, diventando padrone del proprio destino. Il risultato del campo non entra mai nell’esercizio delle discussioni. Anche se la formazione di Indiani si scioglie solo dopo il raddoppio di Cutolo e non prima. Anche se all’avversario non difettano i tempi e neppure i modi per azzerare il valore della prima marcatura del Taranto, firmata da Mancini. Ma il verdetto, alla fine, non mente. E non solo perché gli uomini di Cari, nell’ultima porzione di gara, legittimano ampiamente il successo e la qualificazione alla finale. Dove si incrocia il cammino dell’Ancona. Ancona o Perugia, però, non fa differenza. Se il Taranto è questo. Perché questo Taranto fa sperare. Parole di Blasi, presidente agitato e felice. Parole da condividere.

domenica 25 maggio 2008

Uno sponsor per il buon umore

Il Brindisi non vive (ancora) momenti disperati, ma il suo vertice continua a pubblicizzare tutto il proprio disagio: verso le istituzioni e la città. Cioè, accusando l’apatia dell’ambiente tutto nei confronti del pallone che ha appena smesso di rotolare (regalando pochissimi sorrisi), ma che – sùbito dopo l’estate – dovrà pure tornare a viaggiare sull’erba . I fratelli Barretta non lo nascondono affatto: l’intenzione è quella di continuare a credere nel progetto-calcio, puntando però a rinsaldare la base societaria, approfittando della convenienza delle sinergie. Che, intanto, non emergono. Il disagio della società, allora, diventa il disagio della tifoseria, che ottiene un incontro dal sindaco Domenico Mennitti. Tra parole e promesse di sostegno, però, occorre aggrapparsi ad altro: serve denaro. E, perché no, anche uno sponsor: un dettaglio che i Barretta gradirebbero. Per recuperare il buon umore. Arrivato quello, il disagio si stemperebbe almeno un po’. Scommettiamo?

Martina, silenzio assordante

Il silenzio, a Martina, si fa assordante. E anche gli operatori dell’informazione si arrampicano sul nulla, riutilizzando cronologie, fatti, frasi e situazioni già abbondantemente abusate. Semplicemente, perché non ci sono notizie. Notizie nuove, cioè. Resiste, piuttosto, l’antica deicione delle proprietà: quella di abbandonare il prodotto calcio. Dunque, non ci siamo persi niente: il Martina è sempre in vendita, ma il compratore non c’è. E dubitiamo ancora che ci sarà. Chiaramente, l’iscrizione al prossimo campionato di competenza, quello di C2, è gravemente minacciata. Anzi, no. Una novità, che proprio novità non è, in fondo esiste. Il comitato pugliese della Lega Dilettanti sarbbe stato interessato di un eventuale inserimento d’ufficio del club di via D’Annunzio negli organici del prossimo campionato di Eccellenza. Come dire: degradarsi per non morire. Intanto, chi prospettava quest’alternativa, tra la rabbia, la delusione e i messaggi diffusi nei talk show televisivi, rimarrà soddisfatto. E, magari, se l’ipotesi dovesse concretizzarsi, se ne pentirà velocemente. Per adesso, però, il silenzio corrode e infiacchisce. E la festa sembra davvero abbastanza finita.

sabato 24 maggio 2008

Liberty, esperimento fallito. Ufficialmente

Il Liberty saluta Bari. Ancora una volta. Appena un anno dopo esservi rientrato. Non c’è spazio e non c’è storia per il dilettantismo (mascherato) nelle piazze di grande tradizione. Non c’è il radicamento, non c’è la passione, non c’è il pubblico. E l’ennesimo tentativo fallisce. Com’è ovvio. Il fatto non sorprende. Sorprende, piuttosto che il presidente Flora, l’estate scorsa, abbia creduto nel progetto, estrapolando l’Eccellenza da Capurso per servirla nell’immensa e inutile platea del “Della Vittoria”. Il Liberty, intanto, torna a Palo del Colle, come quarant’anni addietro, o quasi. Il destino, talvolta, bussa due volte. A Bari, però, la premier league di Puglia resta ugualmente, garantita dalla promozione ottenuta La settimana scorsa da una squadra di quartiere, lo Japigia. Forse il quoziente di radicamento, in questo caso, potrebbe lievitare: se non altro, perché la circoscrizione è particolarmente popolata. Ma lo scetticismo già speso per salutare la nuova avventura del Liberty è ancora ben saldo. Si è solo trasferito: di pochissimi chilometri.

giovedì 22 maggio 2008

Amici come prima. Sino al prossimo derby

Contraddizioni d'Italia. Dove non esiste il peccato. Oppure c'è sempre. E dove persino l'assenza d'impegno, a campionati ormai consumati, è (finalmente) diventata una soluzione scomoda. E censurabile. Anche se, di fronte a chi deve ancora conquistarsi un passaporto per il titolo, la promozione o la salvezza si oppone la rilassatezza altrui. E dove, di contro, l'impegno di chi non deve chiedere nulla è ancora salutato (dagli sconfitti) con sospetto, deglutito a fatica, bollato con ruvide parole. Dopo il derby di Puglia anche Semeraro, patron del Lecce e uomo di maniere garbate, cade nella fossa degli equivoci, stigmatizzando la fiera prestazione e lo spessore ritrovato del Bari. Malgrado la classifica tranquilla degli adriatici. Il rovescio salentino, è ovvio, brucia. E chissà per quanto brucerà: lo capiamo. Qualche parola, però, avrebbe meritato di essere limata. Intanto, coach Conte - leccese sulla panca del Bari più vivo di questo ultimo scorcio di stagione - non si conserva nulla e replica. Questa volta con ragione piena. Cogliendo il bersaglio. E riscuotendo, ventiquattr'ore dopo, anche il consenso di Semeraro. Che, nel frattempo, ci avrà pensato: decidendo di chiudere il caso con tatto, intelligenza. E stendendo la mano. Amici come prima, dunque: non c'è dolo, è tutto a posto. Sino al prossimo derby.

Molto Agazzi, poco Foggia

Più Cremonese, meno Foggia. Quando la battaglia si fa tremendamente seria, la squadra di Galderisi un po' si sgonfia, si inaridisce, si defila. Non solo, però: il passo dell'avversario è più sicuro, intraprendente. La truppa di Mondonico c'è ancora e svilisce le opinioni dei suoi detrattori. O di quanti ne ipotizzavano il calo inarrestabile. Il suo tecnico, poi costruisce una macchina dichiaratamente offensiva, che forse sorprende (e sicuramente irretisce) le convinzioni daune. Ed è il Foggia a tremare. E, con il Foggia, Agazzi, difensore estremo a cui vanno tributate felicitazioni sincere. Chiaro: la scala dei valori espressa dal campionato possiede un fondo di verità. Perchè Del Core e soci arrivano ai playoff doppiando curve tortuose e recuperando il terreno perso in tempi brevi. E la Cremonese, invece, li raggiunge dopo aver sperato in qualcosa di più per nove mesi. Dunque, il primo responso degli spareggi non scandalizza e non stride. Togliendo al Foggia, però, la comodità di affidarsi - in gara due - alle ripartenze, peculiarità sempre ben utilizzata neli ultimi tempi. No, a Cremona occorrerà fare la partita, esattamente come domenica passata. Contro un avversario che, oltre tutto, sa difendersi bene. Il punto principale è questo. Oppure un altro: magari, ai playoff, la gente di Galderisi ci arriva un po' stanca. Pagando, chissà, il pedaggio di una rincorsa avida, veloce. Quella che, da sola, merita encomi e considerazione. E, se la Cremonese resta la favorita in prospettiva serie B, non può trattarsi di un caso fortuito.

martedì 20 maggio 2008

Andria, recriminare è arduo

Adesso è dura. Durissima. La via della salvezza si restringe. La stagione, cominciata male, sta scrivendo il collasso dell’Andria, superato negli ultimi secondi del primo round dei playout e aspramente contestato, sùbito dopo, dalla sua stessa gente. Una volta di più. Inutile nascondere la verità: la Vibonese, avversario che si batte con mestiere, possiede una mentalità più radicata nel problema e sa approfittare delle situazioni. La squadra di Loconte, quarto trainer del campionato, mantiene solo palla, senza addizionare personalità. Senza saper determinare il proprio destino. E’ una pellicola già visionata e patita. E’ il film di nove mesi zoppicanti e oscuri. E’ il prodotto di una partita decisiva che l’Andria non sa decidere. E che il tecnico affronta senza due pedine dello scacchiere come De Santis e Vadacca. «Due in grado di fare la differenza», annota. Che, però, sin qui non hanno mai saputo orientare il collettivo in mezzo al naufragio: è giusto sottolinearlo. Come non hanno saputo orientarla gli altri big, reclutati per un torneo di spessore e ritrovatisi presto svuotati, sempre in bilico tra la speranza e l’ingrata realtà. La realtà di un Andria che – va ribadito - ha creduto di essere e poi di recuperare il disavanzo maturato. E che, nel suo periodo più fresco, ha pensato di poter azzerare il gap e di riappropriarsi dei progetti di partenza: tranciando, invece, ogni progresso. Pagando le pressioni partorite dal suo stesso ambiente. Anche se le cronache raccontano un’altra verità, più semplice da spiegare ed ascoltare, calcisticamente più pertinente. Anche contro la Vibonese, la squadra non ha mai mirato alla porta calabrese. E, in questi casi, recriminare sul risultato è proprio arduo.

Taranto, problemi di gestione

Gestire il risultato: questo è il problema della versione più aggiornata del Taranto. Manca pochissimo all’interruzione delle ostilità e gara uno di semifinale playoff accondiscende le intenzioni joniche: il due a due di Crotone è un parziale che invoglia e il retour-match si avvicina tollerante. Poi, accade quel che non deve: un contrasto ai limiti dell’area ospite, l’espulsione di Cejas (la squalifica dell’argentino infastidisce) e il calcio franco di Galardo che diventa gol. Traducendo, tre a due per i calabresi: responso che trascina modalità diverse da quelle maturate recentemente ad Ancona. Dove, però, il rovescio affiora ancora a partita praticamente consumata. Questa, volta, tuttavia, il peccato sembra più vincolante. Se non altro, perché gli equilibri mutano sensibilmente all’improvviso e, tra sette giorni, diventa necessario vincere. Malgrado il Taranto, a Crotone, passi per primo ed illuda, confermando di poter spendere e intuizioni e coraggio. E poi rimedi alla reazione avversaria. Gestire il risultato: questo è il problema che emerge in fondo al cammino, con il volto della coincidenza inopportuna. Nella speranza che di coincidenza si tratti davvero. Ben sapendo che, a questo punto, non resta più nulla da gestire. E, forse, è meglio così. Il Taranto, evidentemente, è davvero il Taranto quando fa il Taranto: una squadra obbligata dalle proprie caratteristiche ad assaltare, ad imporsi. E a inseguire l’obiettivo. Non a conservarlo.

domenica 18 maggio 2008

Il derby indigesto del Lecce

Altro sabato, altra rivoluzione. E’ il campionato di B, gente. E ci stiamo abituando volentieri. Puntualmente, appena una settimana dopo, tutto quello che appare - in realtà - non è. Adesso, pensate, sorride il Bologna. Mentre si mortificano l’Albinoleffe e il Lecce. Anche se, sembra di capire, ancora niente è definito. E, probabilmente, così sarà, sino in fondo. Intanto, chi diffidava del derby e del Bari, temendo controindicazioni di natura squisitamente emozionale (e non solo), non bluffava. La sfida di ieri, diciamolo pure, restava lo scoglio più periglioso rimasto nel tragitto imboccato dal Lecce. Al di là degli impegni che verranno (solo due, a questo punto: trasferta a Messina prima e gara interna con il Vicenza poi), ostici come tutti i match che separano la speranza dalla vittoria del campionato. E, per la gente di Papadopulo, il confronto regionale si rivela davvero indigesto. Perché di caduta rovinosa, in effetti, si tratta. Caduta pianificata da un primo tempo di pulizia tattica e di motivazioni (ritrovate) dal Bari, ma anche da qualche nodo in fase di possesso salentino. E ratificata da una ripresa immediatamente frizzante (due gol ospiti in pochi minuti): in cui il Lecce, neppure con l’ingresso di Valdes, sa poi totalmente rimediare. Inciampando nella rete predisposta da Conte, nocchiero leccese dall’altra parte della barricata. Nelle maglie della foga, o della paura. E nel labirinto dell’incompiutezza della manovra. Esatto, quando l’artiglieria del Lecce non produce, il danno è sempre ampio. Perché la squadra, tendenzialmente, preferisce farsi rimorchiare dalla potenza e dalla personalità della propria prima linea. Pagando, però, ogni calo realizzativo. E’ successo, in passato. Ed è accaduto ancora. Proprio nel derby. Anzi, nel momento decisivo. E la delusione scotta. Ferocemente.

sabato 17 maggio 2008

L'anima del commercio

Il mare, il sole. Il fascino antico delle masserie, degli ulivi secolari. E, adesso, anche il calcio. Tutti ambasciatori di Puglia. Dove transitano uomini facoltosi e progetti. Sembra la moda del momento. Si vociferava di Sanz, ex plenipotenziario del Real Madrid, e di un suo accostamento al Bari: ma non sappiamo quanto la natura della notizia fosse (o sia) affidabile. Poi, ecco l’ipotesi-Zamparini, patron del Palermo e navigatore ormai stagionato dei mari del pallone. Rapportata, questa volta, a Cerignola e, di conseguenza, al Cerignola. Che, l’anno prossimo, disputerà – senza troppa allegria – il campionato regionale di Promozione, in cui è appena precipitato (fatali, nell’occasione, i centottanta minuti dei playout ingaggiati con il Molfetta). Abbruttendo (meglio: tornando ad abbruttire) un passato calcistico niente male, come dimostra la robusta militanza sui campi di serie D, in diversi periodi. E sconfessando le ambizioni storiche di una città di cinquantacinquemila residenti. L’avvicinamento tra Zamparini e la Puglia non è confermato e neppure scontato. Ma, al di là di tutto, sembra oggettivamente più credibile della soluzione-Sanz. Perché, a Cerignola, l’imprenditore milanese (ex presidente dell’Udinese, del Venezia e del Brescia, oltre tutto) potrebbe costruire il suo ennesimo centro commerciale: che, poi, rivenderebbe, come abitudine consolidata. Se c’è il businness, quindi, potremmo anche crederci. Come, magari, qualcuno comincerà a fare, oltre Ofanto. E poi c’è il precedente-Fasano: proprio lì Zamparini, qualche anno addietro, costruì un centro commerciale, coinvolgendo Ghirelli, il presidente della locale formazione. Che, in breve, toccò anche la C2. Prima del fallimento e dell’Eccellenza, ovviamente. E proprio al Fasano Zamparini assicurò qualche comodo sostegno: non ultimo, dal punto di vista del materiale primo (contributi) e dell’assistenza tecnica (giocatori). Ben conoscendo come si muove il mondo: investire (anche) nel calcio significa aprire le porte della città. Tutte. Perché anche il calcio è l’anima del commercio.

Beghe di provincia

Tensioni rampanti. Tensioni vecchie come ruggine. Barletta e Bintonto si guardano, si scrutano, sgomitano. I playoff dal riscontro più incerto di sempre si riscaldano, bollono. E si incrociano le accuse, ancora prima che si giochi. Gli ambienti che circondano la seconda e la terza forza del torneo sembrano molto più effervescenti delle squadre che li rappresentano. Ma tant’è. E la tensione fa sempre notizia. E la notizia esce sempre sul giornale. Magari, il momento storico fa golosamente gonfiare la notizia. E le parole scritte assumono un peso che, in altre occasioni, non avrebbero. C’è confusione e troppo malumore. E il malumore, spesso, ingigantisce i fatti ed i concetti. Offrendo sfumature che non dovrebbero affiorare. O che non dovrebbero crescere sul dorso della fantasia. Càpita che, da Bitonto, non gradiscano certe interviste e, soprattutto, certe chiavi di lettura. Certe parole dette e non dette: ma troppo duttili da modellare. E che, sempre da Bitonto, si chiedano un particolare dispositivo di sicurezza prima e durante il match e anche tre commissari di campo. A Barletta, ovviamente, non gradiscono. E lo fanno sapere. Poi, magari, tutto rientra nei limiti del buon senso. In ritardo, certo. E anche di quest’altra storia ne avremmo fatto volentieri a meno. Soprattutto perché, sotto la tensione, non c’è un fatto compiuto. E alla fine, sotto la notizia, non troviamo il reato. Ma solo le beghe del calcio di provincia.

giovedì 15 maggio 2008

Patti chiari. Per prassi

Il momento delicato, il più delicato, si avvicina e sentiamo parlare di patti. Tra il presidente (Blasi) e la squadra (il Taranto). L’incontro infrasettimanale, opportunamente (e logicamente) consumatosi a tavola, si chiama più semplicemente riunione conviviale. Utile a rafforzare i concetti, fortificare il morale, a stringersi tutti assieme – appassionatamente – in prossimità dell’obiettivo: in questo caso, la promozione in B. E, magari, propedeutico all’intesa sul capitolo-premi: un passo necessario (da una parte) e infinitamente gradito (dall’altra). Niente di più e niente di meno. Nel rispetto pieno della prassi. Perché questo accade, da sempre. E ovunque. Anche a Taranto: dove l’ambiente, la squadra e anche il suo presidente vivono un periodo storico più vivace e gratificante. Iniziato, vale sottolinearlo, parallelamente alla rivisitazione dell’organico di gennaio e a diverse altre congiunzioni felici, ma anche al processo di distensione (con la squadra stessa, con l’opinione pubblica, con la stampa, con l’amministrazione comunale, con il mondo intero) voluto dal club e, principalmente, del suo rappresentante di riferimento. Meglio non dimenticarlo: perché, nel calcio, non si inventa niente.

mercoledì 14 maggio 2008

E, alla fine, il Bitonto è scarico

Barletta-Bitonto è la decisione del capitolo playoff più scontata, più prevedibile. Perché dalle squadre di Chiricallo e di Altamura (adesso: prima c’era Zunico), Aversa a a parte, il campionato è stato sempre e comunque influenzato, condizionato. Senza dubbio alcuno. Questione di organico. Di potenzialità (non totalmente espresse: è un’opinione). Di contenuti, anche. Barletta-Bitonto, domenica, sarà l’ultimo atto di un girone troncato in tre porzioni, dall’inizio alla fine: dove, da una parte, tre club hanno discusso la leadership, altre dieci si sono scambiate le posizioni di classifica più scomode e dove il resto del gruppo ha inseguito il miraggio indefinibile e vaporoso dei playoff. Un girone di ruvida gestazione e corroso anche dai cattivi pensieri. Opportunamente distribuiti in coda al cammino. Il derby, però, accoglie due squadre indebolite nella testa, psicologicamente minate. Il Barletta ancora scosso e sempre un po’ nervoso che ha appena eliminato il Grottaglie, può approfittare del fattore-campo e delle ultime briciole di freschezza. Il Bitonto, forse anche demotivato, neppure di quelle. La semifinale di domenica passata racconta di un collettivo distratto, svagato, scarsamente assistito dai riflessi. «Qualcuno, dietro, si muoveva prima; altri dopo»: la disamina, a fine gara, di coach Altamura non tranquillizza. E sembra l’anticamera della resa. Solo l’orgoglio e la prospettiva della supremazia regionale potrebbero sovvertire certe sensazioni. Purchè le finali nazionali interessino davvero, sino in fondo: del resto, così com’è, il premio finale è poco appetibile. Anche se, in serie C, soffiano i venti della recessione e dei fallimenti. Di sicuro, però, questo Bitonto appare scarico. Esattamente quello che il Barletta spera. E, un po’, si aspetta.

martedì 13 maggio 2008

Sul Grottaglie cala il sipario

Cala il sipario e il Grottaglie è soddisfatto. Ma non felice. Non può esserlo. Perché, nel riscontro positivo dei playoff, evidentemente, l’ambiente ci credeva. E neppure troppo segretamente. Ma il Barletta sancisce la superiorità espressa in campionato e ratifica la seconda posizione della regular-season. Con una prova, magari,non eccessivamente brillante. O, probabilmente, solo macchiata dall’inequivocabile supremazia territoriale della formazione di Del Rosso, così cristallina nella seconda frazione di gara e anche nei due tempi supplementari. Esattamente nel periodo in cui Chiricallo deve rinunciare ad un effettivo (Laviano si fa espellere a fine primo tempo). Diciamo pure, allora, che il Barletta approfitta del vantaggio di giocare a casa propria e per due risultati su tre e che, forse, non sembra aver ancora metabolizzato la delusione grande di una serie C lungamente inseguita, accarezzata e poi perduta. E diciamo anche che il Grottaglie si dota di discreta autorevolezza, provando a sovvertire il pronostico e la scala dei valori. Sognando per un certo periodo e ritrovandosi, invece, con l’eliminazione. Punto e a capo, dunque. La stagione finisce qui. In attesa di quel che dovrà essere. E di quello che la società jonica dovrà dimostrare di volere. E sì: è logico attendersi, di qui a poco, un’evoluzione delle strategie del club. Chiamato, adesso, a dare compiutezza al progetto. I mesi che verranno, cioè, serviranno a capire se il Grottaglie vuole (e può) decollare. E’ chiaro, serviranno investimenti: perché il progetto va sostenuto. E non può semplicemente autoalimentarsi. Davanti, il presidente Ciraci (o chi per lui) ora trova un bivio: di qua c’è il rampantismo un po’ incosciente che tanto ci piace e che sa regalare una buona scorta di soddisfazioni, ma non la felicità. E di là c’è il rivolo delle ambizioni, che non è affatto obbligatorio cullare. Ma che, di contro, non potranno essere neppure solleticate dalle dichiarazioni più ottimistiche: perché, altrimenti, il rischio di abbagliare e illudere potrebbe diffondersi. Ingiustamente. Quelle ambizioni forse incautamente pubblicizzate (e immediatamente ritrattate) agli albori di questo campionato. Ambizioni che, parlando seriamente, la logica non avrebbe potuto supportare troppo a lungo. E che, in assenza di una rivisitazione dell’organico, non potrà sostenere neanche nel campionato che verrà.

Lecce, il campionato è cambiato

Ignorare questa serie B non è un reato, ma – calcisticamente - potrebbe non convenire. Anche se assecondarla, dal punto di vista commerciale, può pagare relativamente. E disertare le aste per l’acquisizione dei diritti di diffusione dei playoff può persino sembrare un’ipotesi dannosa: che i network televisivi sembrano peraltro condividere. Perchè questa serie B si svela avvincente: se non altro, nei piani alti. Guardate quel che è successo, quel che sta accadendo. E, dal momento che ci siamo, guardate il Lecce, divenuto improvvisamente la formazione da aggredire e da abbattere. I vantaggi dello scontro diretto vinto sabato a Bergamo (sponda Albinoleffe) si incrociano con la contemporanea (e inattesa, per la verità) caduta del Chievo a Mantova e con la disfatta del Bologna, che si sbriciola a Grosseto, ufficializzando uno stato di crisi già annotato da qualche settimana. Sono, intanto, tre i match che restano per definire la regular-season. E, sorpresa, nove punti e nessun favore altrui basterebbero al team di Papadopulo per assicurarsi la promozione senza passare dagli spareggi: i salentini recuperano in meno di due ore quel che sembrava perduto appena una settimana fa. E, probabilmente, ci guadagnano anche qualcosa. Merito di una conduzione di gara pulita, cosciente, cerebrale, muscolare, tatticamente ineccepibile. Di attesa e offesa. La mentalità, sembra di capire, c’è. Le gambe, evidentemente, rispondono ancora. E non è sempre vero che il Lecce fallisce le occasioni più importanti: questa volta, almeno, non è affatto così. L’orizzonte che sorge di fronte, allora, piace. Malgrado, sulla strada, si pari un ostacolo che, in Salento – ne siamo convinti – , avrebbero preferito evitare. Soprattutto adesso. Sì, adesso tra il Lecce e la promozione si intromette il Bari: che sarà pure psicologicamente svuotato e destinato ad una graduale smobilitazione, come l’ultimo score (maturato con il Treviso) sembra confermare. Ma il Bari significa derby e il derby non può rappresentare un capitolo scontato. E poco importa se la formazione del leccese Conte lascia trasparire qualche venatura di nervosismo e chissà che altro. Un derby resta sempre un derby. E, dunque, riteniamo che il calendario dell’Albinoleffe, il concorrente principale, sia sostanzialmente più ragionevole, in teoria. Anche se la teoria, è chiaro, non porta soluzioni. La soluzione, piuttosto, è nella testa del Lecce. E’ nella sua capacità di interpretazione del rush finale e, soprattutto, di una partita al di fuori di un contesto che rispetta sempre e comunque la logica. E’ nella sua abilità di confermare fame, coraggio e attenzione. Perché, ad un tratto, il campionato è cambiato. E il Lecce non insegue più, ma è inseguito. Perché il Lecce non è più un aspirante che si fa rimorchiare, ma il candidato principale. E non crediamo che, per questo, potrà ritenersi minacciato. Né che potrà disperarsi.

domenica 11 maggio 2008

Quel timore che stimola il Fasano

Quando la gratificazione della permanenza arriva al foto-finish, il sollievo è ancora più ampio. E il ricordo del timore si stempera lento. Lo sanno a Fasano, dove difendere la serie D ha significato dover mutare guida tecnica in un periodo decisamente delicato, dover consegnare le chiavi dello spogliatoio ad un tecnico (l’argentino Ortega) ormai lontano dalle tematiche di quel campionato, dover ridisegnare l’organigramma societario (il ritorno dell’ex presidente D’Amico, se non altro, ha iniettato serenità) e, soprattutto, dover industriarsi in qualche sfida contro avversari assillati dallo stesso problema, ovvero la ricerca della salvezza. E, anche, ha significato dover benedire la tranquillità già raggiunta dal Sapri, ultimo scoglio della regular-season. Alla fine, però, il Fasano evita i playout, radunando le forze e digrignando i denti. Il sapore acre delle difficoltà appena oltrevarcate, tuttavia, consiglia strategie nuove, in prospettiva futura. E anche immediate. Il club, cioè, si scuote: cominciando seriamente a pensare al consolidameto della base societaria, che poi è la base del buon governo e delle buone intenzioni. Ipotizzando, è notizia di questi giorni, la realizzazione di una srl. Con D’Amico, ovviamente. E con qualcun altro, possibilmente. Intanto, piace l’urgenza spesa a campionato appena concluso. Perché il futuro sembra cominciare sùbito. E bene. La paura, talvolta, sa essere amica delle decisioni puntuali. E, se sa stimolare, venga pure.

Un riconoscimento, un segnale

A Terni il pareggio è ampiamente scritto prima del match e furbescamente gestito durante i novanta minuti aridi: del resto, anche gli umbri non chiedono di più e di meglio. Sconfitta l’ingombrante concorrenza del Padova, il Foggia guadagna il passaporto per i playoff. Il quinto posto della regular-season significa dover incrociare la Cremonese, espressione incostante e protagonista mancata del torneo. E vuol dire, innanzi tutto, far riferimento a tutti gli stimoli vaganti nel mercato della speranza. Un’altra motivazione, poi, l’aggiunge la società, preannunciand di voler confermare anche per la prossima stagione Galderisi in panchina. Qualunque sia il responso dell’appendice di maggio. E qualunque sia la valutazione (e la risposta) del trainer. E’ il riconoscimento ufficiale del lavoro svolto dal tecnico salernitano sin qui. E’ una scelta logica, ma anche lungimirante. Aprrezzata, oltre tutto, per i tempi con cui viene partorita e per l’occasione in cui viene pubblicizzata. Ed è, infine, un segnale che distribuisce serenità. Non càpita spesso, nel calcio spigoloso di questi tempi distratti e nevrotici.

sabato 10 maggio 2008

Il bivio del Manfredonia

«Ho bisogno di stare tranquillo per un po’ di giorni, prima di prendere le opportune decisioni in merito al mio futuro e a quello della società». Parole di Angelo Riccardi, presidente deluso del Manfredonia affogato in C2. «Ma, al di là di quello che decideranno i soci, non è detto che io possa continuare a fare il presidente. Non ho altro da aggiungere, siamo retrocessi e basta». I primi concetti dopo l’inutile vittoria conquistata sul Verona, nell’ultima fatica di campionato, fotografano l’umore e i sentimenti anneriti del massimo responsabile del club sipontino: i cui rapporti con il calcio, peraltro, apparivano già da tempo raffreddati. Difficile, del resto, attendersi reazioni diverse. O, soltanto, più leggere. Il progetto (già avviato e sposato) del contenimento dei costi e il perseguimento di una politica giovane – quella che può garantire un futuro, alla distanza, e che tuttavia necessita di tempi ragionevolmente dilatati – meriterebbero però maggior convinzione proprio da chi li ha disegnati. O, se non altro, sottoscritti. Una convinzione incondizionata. Cioè, la continuità: che non può frenare davanti ad una permanenza fallita. Al di là della realtà scabrosa, corrotta da una retrocessione cocente: che la società, ad inizio della stagione, avrà inserito (o avrebbe dovuto inserire) nel ventaglio delle alternative possibili. Altrimenti, non ci spiegheremmo neppure l’inaugurazione del progetto stesso: avviato per lenire le sofferenze economiche del presente, ma non supportato dala prospettiva di edificare fondamenta solide per il futuro. Così, la retrocessione avrebbe pianificato soltanto la fine di un ciclo. E, probabilmente, anche l’estinzione del calcio professionistico su questa fetta di Adriatico.

giovedì 8 maggio 2008

La disillusione e l'ansia di ripartire

Il Brindisi si riconosce sùbito. Perché disfa puntualmente quel che costruisce. Dimenticando all'improvviso quanto sembra aver lentamente capito. E il suo campionato, domenica passata, si esaurisce sul solco di un cliché già visto (e sofferto) troppe volte. La squadra si accartoccia sotto la pressione discreta del Pomigliano, rinunciando ad una vittoria larga, consentendo il recupero anormale dell’avversario, mortificando (un'altra voilta) la propria gente sugli spalti. Quattro a quattro e contestazioni sonore: il tempo delle illusioni, già corrotto dall’assenza di continuità e dalla realtà (i playoff, va detto, non sarebbero arrivati neppure con il successo), si liquefa nel malumore. E nei quesiti: che scorrono già come un fiume. Senza riscontri (i costi di gestione si sono susseguiti; i risultati mai) e senza sostegno (il club non dispone di sovvenzionamenti esterni e non si appoggia ad uno sponsor), i fratelli Barretta confermano quel che sapevamo già. A queste condizioni, fanno sapere, meglio fuggire dal calcio brindisino. Lo stato di crisi è formalmente riaperto. O, se preferite, confermato: perché il vertice societario, già nel corso dell’inverno, si era presentato dimissionario. Per poi continuare il progetto. Anzi, rilanciarlo. La città, però, non poteva (e non può) permettersi di perdere chi possiede ancora il coraggio di fare calcio sull’Adriatico. Perché difettava (così come continua a difettare) il ricambio. L’opinione pubblica lo sapeva. E lo sa ancora. E lo sanno anche i Barretta. Che, peraltro, a metà del percorso sono rimasti a remare nel mare delle difficoltà. Detto tra noi, siamo convinti che i massimi responsabili del Brindisi siano ancora sufficientemente appassionati per rinnovare - sin da oggi - il proprio impegno anche nel prossimo futuro. E che le minacce, alla fine, resteranno quel che sono: minacce, appunto. Finalizzate, ipotizziamo, ad attirare e coinvolgere la collettività attorno al progetto. Cioè, a fortificare una programmazione più razionale e gratificante. Lo stato di agitazione della presidenza, dunque, era abbondantemente previsto. Non è previsto, piuttosto, che qualcuno risponda. E, allora, resta l’augurio che qualcuno lo faccia. Sfidando un ambiente fortemente demoralizzato. E tradito sino in fondo da una squadra inadatta a decollare. Inadatta caratterialmente, forse. Perché il materiale tecnico, riveduto e corretto a gennaio, c’era e c’è ancora. Da questo punto di vista, anzi, il diesse Pietroforte spende un paio di concetti sensati: da questa squadra, in pratica, si può ripartire. E la stagione appena consumata non va completamente cancellata. Purchè, in città, si cominci a respirare aria nuova: esigenza che, del resto, riemerge con frequenza. Una volta ogni due anni, più o meno. Ma i Barretta sapranno apprezzare il gesto. In fondo, sono ansiosi di ripartire.

mercoledì 7 maggio 2008

Il Martina e la rinuncia che irrita

Il Martina che rinuncia ad onorare l’ultimo match di campionato infastidisce. Il Pescara, innanzi tutto. E anche comprensibilmente: gli abruzzesi perdono le ultime speranze di agganciare i playoff, dove invece arriva il Perugia, beneficiando dello zero a tre guadagnato senza giocare al “Tursi”. La delusione altrui va contemplata e rispettata. Così come l'irritazione. Soglia, il presidente del club adriatico, non si ferma qui, però. E, al Martina, chiederà la copertura dei danni economici: come da comunicato stampa diffuso. Difficile, però, quantificarli: soprattutto perché non sapremo mai se il Perugia, in valle d’Itria, avrebbe perso o paggiato, disperdendo così l’ultima chance. E, se è vero che le diverse motivazioni edificano la differenza, è anche arduo pensare a queste due eventualità. Con tutto il rispetto che tributiamo al Martina: oltre tutto, ancora più triste abbacchiato dalla vicenda-Lanciano. Il forfait di domenica deciso da Chiarelli, poi, solleva la reazione piccata di Abete, numero uno della Federcalcio: «Non è il club pugliese – detta il presidente – a essere stato danneggiato dalla presenza in campionato del Lanciano. Semmai lo sono quelle società che, ad inizio della stagione tuttora in corso, avrebbero potuto approfittare del ripescaggio a seguito dell’eventuale esclusione degli abruzzesi». Sbagliato: l’illecito amministrativo (perché di questo si tratta) del Lanciano è stato svelato a campionati partiti e, dunque, abbondantemente oltre la composizione dei gironi. E, se così non fosse, l’intera vicenda assumerebbe contorni ancora più foschi. Scoprendo retroscena ancora più gravi. Significherebbe, cioè, aver ammesso al campionato il Lanciano (ma anche la Torres, ad esempio) pur conoscendo la natura illegale della pratica di iscrizione. E, a questo punto, non confessiamo neppure quello che ci piacerebbe non voler credere.

martedì 6 maggio 2008

Il Taranto e la cabala

Terzo posto, invece del secondo. Forse è uguale. O forse no. Lo scopriremo vivendo i playoff ai quali il Taranto, al di là del rovescio di Ancona nello scontro diretto per il raggiungimento della poltrona migliore nell’appendice di maggio, arriva assistito da morale robusto e sanità atletica. Probabilmente, però, il nuovo aggiornamento del modulo tattico (un trequartista dietro Plasmati e davanti a quattro centrocampisti) influisce – almeno parzialmente – sullo score sofferto nel capoluogo marchigiano, ma il problema è relativo. Anche perché non può essere provato. Ma l’ambiente jonico dimostra di prestare attenzione alla cabala: e i fatti dicono che i migliori risultati ottenuti sin qui dalla formazione condotta da Cari si trascinano a un modulo che contempla due e persino tre uomini di possesso alto a ridosso dell’artigliere principale. Che, innanzi tutto, garantisce la manovra nella metà campo altrui. Quel che conta maggiormente, tuttavia, è che il Taranto risponde, reagisce, graffia. Anche ad Ancona rincorre e sorpassa, corre e combatte. Anche se certe sbavature del reparto arretrato ammoniscono. Eppure, la squadra, così com’è, convince e autorizza a confidare. Anzi, a questo punto saremmo pronti a scommettere su Cutolo e soci: molto spesso l’ultima arrivata (in zona promozione) si issa sull’entusiasmo e sulle condizioni psicofisiche, vincendo lo sprint. E poi, a proposito, riemerge la cabala: per due volte – in pochi anni - il Taranto si è arreso agli spareggi-promozione. E non è scritto che debba girare sempre male.

Lecce, ultima chance

Il Lecce si ferisce nuovamente. E sanguina forte. Complicandosi il percorso: con quelle espulsioni (prima di Diamoutene e poi del portiere Benussi, che blocca un avversario appena fuori area), con quel gol del pareggio permesso a Godeas, uno che nel Mantova segna assai spesso, e con quell’atteggiamento un po’ indolente che limita la fame della formazione di Papadopulo e che, più o meno direttamente, minaccia una gara già sbloccata, ma non ancora archiviata. Di più: rischiando il peggio (Rosati neutralizza un penalty). Il pareggio che fiorisce dalla gara consumata contro i virgiliani, alla fine, possiede vagamente il sapore della resa: la resa alla lotteria dei playoff. Accade, nel frattempo, che l’Albinoleffe confermi la seconda piazza e che il Bologna, contestualmente, recuperi la terza posizione. Scavalcando proprio i salentini. Che, a questo punto, possono rivalersi soltanto vincendo sabato prossimo, in casa della vicecapolista nell’ultima sfida diretta. Non è detto, però, che sia sufficiente. Anzi, è persino faticoso crederlo. Il calendario, però, concede l’ultima chance. E, al di là di ogni considerazione, è una chance seria. Non tutto, cioè, è perduto. Anche se qualcosa è svanita: un pizzico di sicurezza, innanzi tutto. E poi quella scia felice sulla quale il Lecce sembrava essersi ultimamente aggrappato. Il sogno, tuttavia, non è ancora del tutto sconfitto, questo no. La B, del resto, è la solita fonte di emozioni che non si esauriscono facilmente. E il coach ci crede ancora. A lui, peraltro, spetterà il compito più impegnativo: rimotivare il gruppo. Generalmente, ci riesce. E, sin qui, alle sollecitazioni il collettivo ha sempre risposto. Il problema è che l’imminente trasferta lombarda sembra l’ultimo appello. Anche il cammino della seconda serie si sta riducendo: strano, ma è così.

lunedì 5 maggio 2008

Monopoli, cede anche l'immagine

Prima cede il morale (la strada si è complicata da un po’ e certi segnali, evidentemente, non andavano sottovalutati). Poi cede l’ingranaggio (la sconfitta di domenica, di fronte al Valdisangro, è uno smottamento devastante, una resa maturata nel tempo e ufficializzata in dirittura d’arrivo). Quindi, cede la classifica (il Monopoli, novanta su cento, è tagliato dalla sessione suplettiva dei playoff: e non basterà neppure vincere l’ultimo match della regular-season, oggi, per riconquistarla). A seguire, cede la panchina di Trillini, esonerato per la seconda volta in una stagione. Infine, cedono i nervi (un incontro ravvicinato tra un protagonista del campo e un operatore dell’informazione sfocia in un litigio acre). E, con i nervi, anche una buona porzione d’immagine: perché sulla squadra calano le ombre del malaffare e si arrampica il tarlo del dubbio. Perché l’ultimo risultato negativo ha incrociato troppi riscontri in sede di pronostico, lì dove il calcio e le scommesse si inseguono e si sposano. Insospettendo la società. E, quindi, chi dovrà indagare. Il campionato del Monopoli finisce male, malissimo. Ancor prima di concludersi. E l’atmosfera, attorno, appare sin troppo deteriorata. A conferma di certe sensazioni ormai antiche: l’ambiente paga qualche rancore e molte distonie. Quelle che abbiamo raccolto. E anche quelle occultate durante il percorso dalle ragioni della convenienza comune. Inutilmente, ci sembra.

sabato 3 maggio 2008

La ritorsione del Martina

Ancora sul Martina. Lo dobbiamo. Perché il club continua a ritenersi (giustamente, dicevamo) mortificato dalle decisioni della Commissione Disciplinare prima e della Corte di Giustizia Federale dopo: che mantengono, di fatto, il Lanciano in terza serie. Confermando alla formazione diretta da Florimbj la gogna della C2: arrivata, peraltro, sul campo. Il presidente Chiarelli, allora, con una nota, ha assicurato l’indisponibilità della squadra ad onorare l’ultimo capitolo della regular-season (domenica, al “Tursi”, dovrebbe scendere il Perugia). Per ritorsione, ovviamente. Mentre scriviamo non sappiamo se il vertice societario ha già ufficializzato la rinuncia alla gara in Lega. O se la minaccia, con il passare delle ore, si ammorbidirà. Né se il gesto è ostativo al concetto di partecipazione sportiva oppure no. Riteniamo, però, che quasta formula di protesta sia la più sensata: perché civile. E, forse, anche infruttuosa. Come qualsiasi altra, del resto. Come troppi discorsi spesi in passato. Come la pazienza dimostrata da una piazza già abbondantemente bistrattata dal Palazzo. Questa volta, il vittimismo non c’entra. E non c’entra neppure il verdetto emesso dal torneo. E’, piuttosto, una questione di regolamenti inevasi. Al di là degli errori della squadra in un anno orribile. E anche della società che la dirige.

Il Noicattaro e le coincidenze di percorso

Bene così. Il Noicattaro è salvo. Ragionevolmente salvo. Purchè non si suicidi proprio domenica prossima, proprio in casa, proprio contro una formazione – il Cisco di Roma – che null’altro ha da chiedere ancora al suo grigio e insoluto campionato che avrebbe dovuto invece consacrarlo. Ma il calcio sa essere assai strano. E, talvolta, è cattivo: e, allora, meglio accreditare la formazione di Bitetto e Loseto di grandi chances. E basta. Il Noicattaro, dunque, è quasi salvo. Perché vince (con personalità, va detto) a Benevento una gara essenziale: ma non per i sanniti, già paghi della promozione. Perché si ricompatta nell’ora delle decisioni. Perché ritrova la tranquillità troppe volte perduta in una stagione abbastanza ruvida: al rush finale, cioè quando serve. Perché il suo potenziale tecnico (niente male, davanti: non era e non è un mistero) produce quel che deve, sbocciando all’ingresso della primavera. Ma, soprattutto, il Noicattaro ringrazia gli incroci imposti da un calendario ammiccante e comprensivo. E quelle due gare – difficilissime da scalare, ma solo teoricamente – contro il già tranquillo Pescina e, appunto, il Benevento: che fruttano sei punti fondamentali, improponibili in un qualsiasi altro periodo dell’anno. E ringrazia anche quella penalizzazione inflitta ultimamente dalla Commissione Disciplinare al Catanzaro, che obbliga i calabresi a giocarsi sino in fondo, domenica scorsa, il derby con la Vibonese, bloccata così da un pareggio che ai nojani va magnificamente. Bene così, perciò. Ma sarà bene ricordarsi di queste verità: non si sa mai.

venerdì 2 maggio 2008

Chi paga sbaglia

La Corte di Giustizia Federale conferma: il Lanciano è colpevole. E, per questo, va sanzionato. Non con l’esclusione dal torneo in corso e nemmeno con la retrocessione a tavolino. Anche se l’iscrizione al campionato è viziata da manovre documentali oscure. Anche se, senza l’inganno, il Lanciano non avrebbe potuto accedere all’iscrizione. Il club abruzzese paga con la penalizzazione: otto punti. Esattamente la stessa comminata in prima sede di giudizio dalla Commissione Disciplinare: decisione che aveva palesemente penalizzato il Martina (il ripescaggio ai playout svanisce) e largamente irritato il suo legale rappresentante, il presidente Chiarelli. A cui, evidentemente, non serve alzare il tono della protesta, né rivangare il passato (il ripescaggio della Fiorentina in B e lo sbarramento burocratico imposto al club di via D'Annunzio, pochi anni addietro, brucia ancora). Forse, però, basta l’intervento accorato del sindaco di Lanciano, che aggredisce la lega spontanea delle società in regola, soffocando un comunicato comune tecnicamente perfetto. Svolgendo con efficacia il proprio ruolo, quello di primo cittadino: spingendosi, tuttavia, oltre. Arrampicandosi, cioè, su un problema che non può mascherare la realtà: il Lanciano ha peccato, avvantaggiandosi sino in fondo di una condotta contabile particolarmente leggera. Piaccia o non piaccia. Ma siamo in Italia: dove l’anomalia diventa norma e la normalità destabilizza l’armonia del caos. Chi sbaglia, dunque, paga. Quando va bene: non abbastanza, però. E chi paga, evidentemente, sbaglia.