lunedì 30 novembre 2009

Il miglior Taranto non basta

Tra il Taranto e la vittoria di pregio c’è un gol (di Scarpa) al limite dell’offside, che – però- fuorigioco non è. Il direttore di gara cade nell’equivoco e il Verona scansa il primo dispiacere esterno. E, infine, c’è anche una traversa, a partita praticamente consumata: che disperde la maggiore applicazione della formazione di Brucato, finalmente competitiva (è, probabilmente, la migliore versione stagionale). Sfugge il risultato massimo, resta la prestazione: rassicurante, nel complesso. Perché il Taranto assume la fisionomia di un collettivo: dettaglio che è, poi, un obiettivo datato. Malgrado un avvio generoso, eppure affaticato in fase di realizzazione. E sì: Migliaccio e compagni spingono, ma faticano ad arrivare in fondo (difettano l’ultimo passaggio e l’affondo vincente). Ma il Taranto è podismo e dinamismo: spende tanto, obbligando tuttavia la formazione di Remondina a rincorrerlo. Il Verona punta ad una gara di presidio vigile, imbastisce qualche ripartenza acuta, si mantiene sufficientemente alto: però, in fase di possesso, offre meno di quello che la posizione di classifica occupata dovrebbe promettere. La pressione jonica, inequivocabile, si attenua nella ripresa: quando i veneti cominciano ad occupare meglio gli spazi, sottraendoli all’avversario. E quando, comunque, sgorgano le occasioni più succose. Il successo, alla fine, non stonerebbe affatto. Ma non arriva: e il quartiere dei playoff si allontana un altro po’. Patron D’Addario, comunque, al novantesimo è ugualmente soddisfatto. E lo è anche Brucato (questa però, non è una novità). Se non altro perché il nome di Bortolo Mutti smetterà di circolare. Per qualche giorno, nella peggiore delle ipotesi.

domenica 29 novembre 2009

Lecce, rincorsa di carattere

Due a zero, sùbito. E il Grosseto sogna. Ma il Lecce ruggisce. E ribalta il punteggio. Com’era già accaduto in passato, peraltro. Riacquisendo la leadership di B, al fianco dell’Ancona. Leadership che la gente di De Canio dimostra di poter gestire e di voler meritare. Con un seconda frazione di gioco dinamicante corretta (il ritorno sul campo di Munari non passa inosservato) e caratterialmente robusta. Con quella forza di reazione che dribbla le oscurità di inzio partita, devitalizzando le leggerezze di un assetto di presidio non sempre convincente. E che si lascia tagliare troppo spesso. Ma rimediare è una scienza che accompagna la conquista e questa squadra possiede la capacità di rigenerarsi, anche tra le avversità: un particolare che, nel pallone di oggi, vale più delle qualità tecniche e delle modalità tattiche. Il messaggio inviato, intanto, è chiaro: adesso, il Lecce sembra davvero maturo per affrontare tutte le insidie del torneo. E questa maturità si è sviluppata con il lavoro, nel tempo. Questo collettivo, oggi, è combattivo, credibile. Si è armato, come si dice, anche della mentalità migliore. E sembra essersi calato definitivamente nella realtà della seconda serie.

sabato 28 novembre 2009

Dodici milioni per sentirsi dire no

Venticinque milioni di euro: così parlò Tim Barton, l’americano che inseguiva senza fretta il Bari e, soprattutto, il business più o meno nascosto del fotovoltaico. E Matarrese decise di trattare. Anzi, di chiudere la trattativa. Prima della conclusione grottesca, tra sospetti, fraintendimenti, mezze frasi e disimpegni. Venticinque milioni: e il passaggio di consegne avrebbe potuto mutare il destino del club, chissà. Rimasto, come sappiamo, nelle mani della famiglia che cura il calcio in riva all’Adriatico da oltre trent’anni. Neppure il tempo di acquietarsi ed ecco una nuova proposta: la Meleam, recentemente accostata al Gallipoli, vorrebbe rilevare onori e oneri della società di via Torrebella. Con un’offerta dimezzata: dodici milioni di euro. Che Matarrese ha prontamente rifiutato. Dodici milioni, invece di venticinque o giù di lì. Un modo come un altro per vedere l’effetto che fa. E per sentirsi rispondere che sarà per un’altra volta. Attorno, resta solo un po’ di rumore. E l’omba di un’alternativa: aumentare la posta. Sempre che Vincenzo Matarrese non si sia offeso.

venerdì 27 novembre 2009

Ostuni, cambia qualcosa. O quasi niente

Il calcio non possiede formule esatte. E neppure orizzonti sempre chiari. Il caso dell’Ostuni, a suo modo, è emblematico. Perché la società, immediatamente dopo la promozione ottenuta nella fase degli spareggi interregionali, a maggio scorso, dichiara la propria inattendibilità economica, complicando le pratiche di iscrizione al torneo di serie D e il processo di rinnovamento tecico. E perché, Carbonella si ritrova ad affrontare il campionato con un organico niente affatto completo e, oltre tutto, mal carburato da un ritiro cominciato tardi. Ma qualcosa succede e il club si rinnova: la nuova dirigenza promette nuovi argomenti e cambia guida tecnica (in panca arriva Lombardo). E, invece, sembra proprio Carbonella l’uomo giusto al posto giusto: se non altro, perché conosce la piazza, i giocatori e le insidie del percorso. La storia recente ci racconta però delle difficoltà non superate dal tecnico emiliano e del nuovo travaso societario: dentro la vecchia gestione, che riporta al comando della squadra Carbonella. Alla fine, cambia poco. Perché la società naviga nel mare del disagio e perché il vecchio allenatore si ritrova esattamente al punto di partenza: con una formazione infastidita dalla classifica e un futuro incerto. Ma qualcosa cambia ugualmente, tuttavia: perché l’Ostuni sembra recuperare un po’ di manovra e un po’ di personalità, sempre buone sul campo. E utilissime per collezionare qualche punto: la trasferta felice di Pisticci, proprio domenica passata, rinvigorisce anche il morale. Spiegando che questa squadra può diventare competitiva con un paio di puntelli. Ed è proprio questo, il problema: i puntelli, quindi un ulteriore sacrificio finanziario. Che non sembra facilmente ipotizzabile. Perché, appunto, la vecchia gestione è ancora lì a galleggiare, nella speranza di sopravvivere il più a lungo possibile. Mentre la gente si chiede se è davvero cambiato qualcosa. E se la lievitazione dell’undici di Carbonella diventerà un rimpianto in più.

giovedì 26 novembre 2009

Casarano, l'aria è cambiata

Cinque partite vinte, una dopo l’altra, aiutano chiunque. Anche il Casarano, sin qui bisognoso di parecchia rabbia spendibile e, adesso, un po’ più ispirato sull’erba di casa e pure su quella altrui. Una quindicina di punti in tempi brevi cambiano la classifica: è lapalissiano, sin troppo ovvio. Quasi alla metà del cammino, così, la squadra affidata al chiacchieratissimo Salvo Bianchetti muta i suoi orizzonti e comincia a riconsiderare certi argomenti accantonati per un po’. Il successo di Caserta, domenica scorsa, fortifica la bontà del momento storico e restituisce alla truppa il piacere di sentirsi nuovamente padrona del proprio destino. La Virtus autoritaria del Pinto, anzi, raccoglie tanti consensi e si ritrova a navigare nella zona playoff. Niente di meraviglioso, sia chiaro: ma, considerate le premesse, è già molta roba. Soprattutto se confrontiamo le differenze numeriche tra i salentini (ventidue punti, malgrado la partenza pessima) e il Neapolis, vice capolista a quota trenta. O il leader Sant’Antonio Abate (trentadue). Lo svantaggio - sembra strano, ma è vero – è complessivamente contenuto. Merito di un livellamento deludente e di una diffusa sofferenza: due elementi che aiutano a rilanciare una squadra - il Casarano, appunto – ritrovatasi nelle difficoltà e, ora, finalmente sostenuta dalla lievitazione di alcuni suoi singoli (D’Anna, Leopizzi, Bonaffini, lo stesso Villa ed altri ancora). Oggettivamente, però, questa Virtus non sorprende: soprprendeva, semmai, quella del recente passato. Ma a questo gruppo è giusto, prima di sbilanciarsi troppo, chiedere conferme. Ovvero, è giusto sincerarsi di un dettaglio: l’exploit è passeggero, oppure sul Casarano si può davvero contare? E, allora, facciamo così: attendiamo l’esaurimento del girone di andata (cinque match) e poi ne riparliamo seriamente. Ma l’aria, attorno alla gente di Bianchetti, è cambiata. E certi segnali non vanno sottovalutati. Mai.

mercoledì 25 novembre 2009

Francavilla, ritorno al passato

L’atteggiamento imbarazzante del Francavilla (la squadra è senza personalità, priva di carattere e strutturalmente ancora inadeguata al campionato di quinta serie) e la contestazione robusta della tifoseria in coda alla nuova disavventura interna (passa l'Ischia, questa volta) consigliano (o costringono) patron Distante a ridiscutere la guida tecnica. E a tornare indietro nel tempo. Via De Rosa, coach mai troppo calatosi nella mentalità del torneo e nelle problematiche del gruppo, sussurra qualcuno. Ed ecco, cinque mesi dopo, il profilo di Mino Francioso da Brindisi, nocchiero di quel gruppo (un altro gruppo, diverso nelle sue componenti e differente per caratteristiche) portato ad una salvezza comoda e anticipata, lo scorso campionato. Proprio Francioso, azzerato assieme al suo entourage (direttore generale, direttore sportivo, collaboratori sparsi sul campo) per inseguire il contenimento dei costi di gestione, neanche troppo evidenti. Il ritorno al passato è un po’ la sconfitta della politica di Distante, già obbligato a rivedere in corsa l’organico di partenza e già pronto a ritoccarlo ancora (il presidente non ama la sconfitta e possiede il buon senso necessario per ritrattare: l’ha fatto in passato, lo farà ancora). Ma, forse, può essere energia pura per il futuro prossimo: soprattutto se, come sembra, dovessero rientrare nell’universo del Francavilla figure professionali frettolosamente accantonate. Anche perché c’è ancora un intero girone di ritorno, per rimediare ad una retrocessione che, oggi, sembra l’epilogo più naturale.

martedì 24 novembre 2009

Il messaggio del Brindisi

Motivato. E, per diversi tratti, brillante. Agile nell’esposizione della manovra, rapido. E anche sicuro di sé. Iperattivo in Moscelli, pericoloso con Fiore, testardo nella ricerca del gol. Ma anche in vantaggio due volte: e due volte raggiunto. La bella prestazione del Brindisi non significa vittoria: perché, come dicevamo, il Barletta reagisce e sa mantenersi vivo. Ma la formazione di Silva percepisce la luce oltre il tunnel e si inventa molte situazioni che possono aiutare a tranquillizzarsi. Il gruppo si ritrova. Perché ritrova la coralità di espressione. E perché immagina che, certi argomenti, possono rivalutare il cammino. Il Brindisi si rinnova. E il derby gli lascia coltivare nuove ambizioni. Che non arrivano dal risultato finale, ma dalla radiografia della partita. Una partita assolutamente distante dalle abitudini del campionato, ma ugualmente preziosa. Dove Taurino e soci si riappropriano dell’identità perduta e anche del concetto di mutuo soccorso ultimamente sbiaditosi. Prima che cominci il match, quell’abbraccio vistoso della squadra, sinonimo di blocco unico e unito, è per la platea, ma è soprattutto una necessità interiore. E diventa messaggio, traccia, binario.

lunedì 23 novembre 2009

Barletta, all'ultimo secondo

A Brindisi protestano e protesteranno. Le modalità con cui si abbatte il pareggio del Barletta, a match già scaduto e a recupero già consumato, lasciano sul campo irritazione, malumore e un ventaglio di pensieri polemici. Ma il collettivo guidato da Sciannimanico è indomabile e non si arrende mai. Recuperando sull’ultima palla utile un derby densissimo, anche divertente, talvolta frenetico. Dove la circolazione di palla e la velocità di esecuzione sembrano vietare l’interruzione del gioco. Derby (sentitissimo: sugli spalti, la coreografia è particolarmente cromatica) che Carozza e soci costruiscono su un pressing inizialmente aggressivo (con il tempo, però, la ferocia si riduce) e su ripartenze sostanziose, sempre pungenti. D’accordo: c’è più Brindisi che Barletta, dal punto di vista della gestione del pallone. E la squadra di Silva si aggiudica i diritti di una indiscutibile supremazia territoriale: ancora più evidente nella seconda parte del match. Ma non condividiamo il giudizio severo (e di parte) di qualche addetto ai lavori, che priva la prestazione ospite di molti meriti e di tante verità. Una per tutte: il Barletta replica sempre e comunque. Lasciando giocare (difficile, del resto, arginare un Brindisi ispirato), ma ritagliandosi i propri spazi, disegnandosi una partita di sacrificio e di quantità, così come di personalità. Difendendosi, è evidente, ma senza barricarsi, come erroneamente pubblicizzato da qualche osservatore: malgrado la cattiva giornata di uno Sportillo nervoso e precipitoso. E, quindi, adattandosi ai ritmi impressi (sempre alti) dall’avversario. Offrendo, infine, continuità al proprio momento felice. Di cui è necessario approfittare: ponendo le basi per accelerere il processo di avvicinamento all’obiettivo dichiarato, quello della salvezza. Che, peraltro, si collega sapientemente al progetto di rafforzamento della base societaria, in via di definizione. Anzi, con queste premesse, la recente (ed inequivocabile) crescita del Barletta sancita dal campo non appare per nulla casuale.

sabato 21 novembre 2009

Pecchia e Porta, ultima chiamata?

Non è, questa, la stagione adatta al Foggia. Né avrebbe potuto esserlo, considerate le premesse. E non è, questo, un campionato che si adatta al blasone e alle intramontabili pretese della gente che tifa. E’, invece, un duemilanove di fatica grigia. In previsione di un altro semestre, il primo dell’anno che verrà, impastato di lacrime e sangue: se, come sembra, la definizione delle faccende societarie non subirà uno sviluppo conveniente e convincente. Non a caso, del resto, il numero uno del club, Tullio Capobianco, sta tentando di forzare i tempi, provocando istituzioni e forze imprenditoriali della Capitanata. Cercando i meandri più brevi per la soluzione ai problemi. Problemi che stritolano, ovviamente, anche la squadra: di per sé non eccessivamente carrozzata per guadagnarsi una salvezza agiata. O, comunque, per assicurarsi un cammino più regolare, che non dipenda esclusivamente dalle poche e isolate trovate di Salgado e Mancino, due singoli che possiedono intuizioni di altra categoria, ma troppo spesso imbavagliati dalla propria latitanza. E sì: perché, quando i big affrontano l’impegno con la lucidità (e le motivazioni) giuste, il Foggia cresce. Per poi riafflosciarsi sùbito dopo. Alla fine, dunque, al di là di qualche bagliore, la formazione di Pecchia e Porta è sempre lì, dentro il fosso. E i due tecnici, puntualmente, si ritrovano a fronteggiare la minaccia dell’esonero. Del quale, ormai, si sente parlare da più di un mese. Circola voce, anzi, che il match di domani (allo Zaccheria scende il Portogruaro) possa essere per la doppia guida tecnica la prova d’appello. L’ennesima. Brutta storia, per un Foggia ancora acerbo e spesso assente. E per due allenatori ormai abbondantemente delegittimati: non dalla società, magari, ma dall’ambiente. Certe volte, cambiando l’ordine dei fattori, il prodotto non cambia.

venerdì 20 novembre 2009

Un calcio geograficamente corretto

Esiste anche un calcio geograficamente corretto. E’ quello quasi sommerso dei dilettanti di facciata. Quello dell’Eccellenza o della serie D. Un calcio che non si lascia alla casualità, che vive di ritmi e contenuti propri. Che si nutre di se stesso, delle sue peculiarità, dei suoi uomini, delle sue idee e delle proprie situazioni. Che necessita del suo stesso humus, per sopravvivere. E, comunque, di gente che lo conosce profondamente e lo coltiva assiduamente. Che lo mastica da sempre, cioè. Un pallone di confine che il calcio dei grandi un po’ irride: sbagliando. Ma, sicuramente, questa non è materia per improvvisatori. Tutto vero, non sorridete. Tanto vero che rischiamo un concetto: i campionati dilettantistici (si fa per dire) di Puglia sono a misura dei pugliesi. E rifiutano puntualmente l’apporto dello straniero. Boutade? Niente affatto. Guardate, ad esempio, il fermento sulle panchine di casa nostra: difficili da gestire per chiunque, ci mancherebbe. Ma, soprattutto, per chi arriva da fuori. Chi, evidentemente, non conosce i meccanismi del calcio di queste contrade. E la sua realtà. L’azzardo di dirigenze un po’ miopi o, meglio ancora, superficiali trascina, talvolta, coach di oltre confine (e di estrazione calcistica diversa) tra la Capitanata e il Salento, tra l’Adriatico e lo Jonio. E il pericolo di franare è altissimo. Lo dicono le statistiche. Anche quest’anno. Soprattutto quest’anno. E’ il caso del nordico Lombardo, calatosi a torneo iniziato nei problemi dell’Ostuni: malgrado la diffidenza di molti addetti ai lavori. Compresa la nostra. Bene, Lombardo è già tornato a casa, travolto da un mondo che non è il suo, oltre che dalle insidie di percorso. Come Carmelo Miceli, calabrese scritturato ad agosto dal Sogliano e già sostituito dal leccese Levanto. Come lo stesso Orlandini (lombardo, ma mesagnese di adozione, quindi abbastanza pugliese per essere considerato straniero), eppure sùbito esautorato dal Tricase. E come Karel Zeman, figlio di Zdenek, palermitano che aveva accettato l’offerta del Maglie tramortito domenica scorsa a Terlizzi. Risultato: esonero(anzi, congelamento) ampiamente previsto. Traducendo, tutte operazioni estive anomale e puntualmente naufragate. Non ci sembrano coincidenze, ma conseguenze. Perché il pallone di Puglia possiede una sua logica, un suo dna, una propria gestazione. E una propria prateria di protagonisti. Autoctoni.

giovedì 19 novembre 2009

Non toglieteci la storia

Dopo il Grande Salento, la squadra del Basso Salento. Che riunisca un po’ di passioni e di piazze affamate: di calcio e visibilità. E, magari, anche le forze economiche di un angolo di periferia. Un soggetto unico che convogli gli interessi di città come Gallipoli, Casarano, Tricase, Maglie, Galatina, Nardò. E Racale, magari: dove il calcio, ultimamente, si è risvegliato con la forza del denaro. L’idea di D’Odorico, presidente appena sbarcato sullo Jonio, non è piaciuta, però, alla gente che tifa Gallipoli. E che è pronta a difendere il bene prezioso della B con la ragione sociale più cara. Il progetto è stato sùbito contestato: sonoramente. Con il pallone non si scherza. E con le rivalità (storiche) neppure. Il calcio, del resto, è bello anche per questo: perché riassume in sè anche i valori dell’identità di ciascuno. E perché profuma di storia, sia pure sommersa da decenni di anonimato. E poi c’è un’altra questione: è il calcio che cambia e che un po’ ci sta cambiando, quello che non va. E che non va alla gente. Ci hanno tolto molto: il piacere di acquistare il biglietto al botteghino dieci minuti prima del match, le divise di una volta, la partenza simultanea di tutti i campionati, l’integrità dei calendari, la numerazione classica delle maglie da gioco e chissà cos’altro, a cui ci siamo già abituati. Senza accorgercene. Ma non privateci anche del campanilismo (anche quello più becero), dei derby di provincia, del sale di molta storia del pallone. E poi, pensandoci bene, le fusioni – nel calcio – durano quello che devono durare: un mese, un anno. E tutto torna come prima. O quasi. Perché il business scivola via. E la storia resiste.

mercoledì 18 novembre 2009

Le riflessioni di D'Addario

D’Addario sembrava deciso, al riparo di un microfono, appena un giorno prima: deciso a caricarsi nuove responsabilità, a rafforzare la propria politica interventista, ad aggredire il problema. Che, però, avrebbe potuto generarne altri. E, invece, il presidente torna indietro. Congela la scelta epocale. Riflette. O, magari, è consigliato a riflettere. Il riassunto di quarantott’ore calde in pochi flash: il Taranto che, nonostante la soddisfazione professata dal tecnico – inciampa a Portogruaro, allontanandosi dalle poltrone di maggior prestigio, continua a non convincere. Né la tifoseria (la contestazione, immediatamente dopo la gara, finisce per complicare -più o meno involontariamente - il viaggio di ritorno della comitiva, costretta a ripiegare su un autobus di fortuna), né il suo presidente. Uno, cioè, che non è abituato a perdere. E che non rinuncia neppure a prendere posizione. Con il temperamento dei più esigenti e l’azzardo dei neofiti. D’Addario, dopo la prima sconfitta della gestione Brucato (otto punti in sette gare: migliore, a questo punto, il cammino della squadra affidata, in prima battuta, a Braglia), interviene daglki schermi televisivi Pesantemente. Prospettando di esautorare (epurazione è un termine che non gli piace) una decina di effettivi dell’organico. I quali avrebbero potuto continuare ad allenarsi (tra mugugni e fastidio, immaginiamo) con il gruppo, senza poter contare – da qui sino a gennaio, tempo della riapertura del mercato – sul privilegio della convocazione. «Trentuno disponibili sono troppi. Con venti, l’allenatore potrà lavorare meglio», fa sapere il patron. Minacciando di accorciare, dunque, il raggio d’azione del coach. Come a dire: così dovrà essere, si adegui. Il caso non è assolutamente originale (i precedenti esistono), ma delicato: perché la ventilata decisione non affonda le radici su motivazioni extracalcistiche (è la società che detta una linea di comportamento che i dipendenti sono tenuti a rispettare: altrimenti, sanziona), ma su questioni squisitamente tecniche, di stretta pertinenza dello staff gestito da Brucato. Si profila un caso che comincia già a scottare: per le modalità con cui sta sbocciando e per le reazioni che potrà (il rapporto con i procuratori non è mai stato idilliaco e potrebbe incancrenirsi). Ma il martedì raffredda lo spirito bollente di D’Addario: in coda ad un confronto diretto (e duro, pare), sono tutti perdonati. Uno per tutti e tutti per un obiettivo, quello di sempre. Stretegia del terrore sapientemente studiata? Minacce esclusivamente mediatiche? Chissà. Oppure, più semplicemente, ravvedimento pilotato da un summit improvviso? Vedremo: il tempo ci dirà. Perché nuovi capitoli potranno assommarsi a questo: basta attendere. E confrontarsi con i risultati del campo. Intanto, però, il Taranto sceglie la linea morbida. Rivedendo le proprie posizioni. Più o meno quello che è avvenuto, pochi giorni prima, con il supervisore del vivaio, Franco Dellisanti: scaricato a parole e confermato nei fatti. Segno che D’Addario sta imparando ad placare gli istinti dell’inesperienza. Ad ascoltare le onde lunghe delle ragione. O le voci intermittenti di chi gli naviga attorno.

martedì 17 novembre 2009

Il Grottaglie riparte

L’obiettivo dichiarato era cancellare il rovescio di Benevento: che coach Enzo Maiuri sembra aver sofferto profondamente, al di là della semplice espressione numerica del risultato (quattro a zero). E il derby con il Fasano cancella il pessimo ricordo della trasferta sannita: lasciando, anzi, stagnare il Grottaglie nell’immediato ridosso delle prime cinque della classe. La vittoria sull’erba di casa è limpida nel punteggio, ma frutto di una gestione del match non sempre chiara. E, comunque, fortemente agevolata dalla precipitazione in fase di fensiva dell’avversario, a ostilità appena aperte, che regala il sigillo del vantaggio. Quello che, poi, indirizza il resto della gara. In cui l’Ars et Labor si presenta con l’atteggiamento giusto, muovendosi coralmente, praticando una manovra fluida. E dove, più tardi, D’Amblè e soci si irretiscono di fronte ad un Fasano che battaglia, finendo per perdere smalto e brillantezza. Ma riuscendo ugualmente a chiudere il conto con largo anticipo. Sono, cioè, le modalità della partita a scrivere il corso dei novanta minuti: più dello stesso Grottaglie, che – però – recupera il morale e la strada. E che, oggi, si guarda indietro, rallegrandosi: ripescata a settembre, partita in ritardo e modellata a torneo già avviato, in questo momento la formazione di Maiuri è la migliore espressione del calcio pugliese di serie D. Dato, questo, che sottolinea la mediocrità di un campionato unanimemente ritenuto, prima che cominciasse, decisamente migliore nei contenuti e tecnicamente avversato dalla presenza di cinque under obbligatori in ogni confronto. Ma che non può neppure sottacere il lavoro serio di un gruppo nato e crescuto senza pedigrée, ma umile quanto basta per inseguire un traguardo che, adesso, la squadra non sa neppure ipotizzare.

lunedì 16 novembre 2009

Il futuro assai grigio del Fasano

Se il Fasano possiede ancora un futuro, il futuro è assai grigio. Al di là dei risultati del campo. L’ultimo dei quali (zero a tre a Grottaglie) è, tuttavia, indicativo sulle condizioni psicologiche con cui la squadra di Geretto, già angustiata dai problemi di organico (numericamente e qualitativamente parlando) dovrà convivere. Al di là della classifica: il gap con la soglia della salvezza, al termine del derby, si è ampliato. E al di là del calcio praticato: Pistoia soci si autopuniscono con un maldestro intervento di Prete, che apre la starda all’Ars et Labor, finendo con il pagare l’insuficiente forza d’uro in fase di possesso e la fatica cronica nelle operazioni di ripartenza, pur non lesinando energia e, talvolta, ardore. No, il futuro è una faccenda più complicata. Che passa attraverso la gestazione societaria e una raccolta di capitali più deludente del previsto. Che ha già fatto fuggire qualche effettivo dell’organico: malgrado in conferenza stampa Geretto si ribelli, adducendo motivazioni che, in realtà, mascherano timidamente la realtà. E che potrebbero completare il processo di disgregamento dello spogliatoio. Voci di corridoio, addirittura, insinuano che il Fasano possa piegarsi prima della fine del percorso: che, cioè, il campionato possa esaurirsi prima del tempo. Che le difficoltà economiche del club possano spazzare tutte le speranze a metà campionato. Disfattismo o verità, il disagio esiste. Se non altro, perché se ne parla. E perché la lista dei convocati (sui diciotto in lista a Grottaglie, solo cinque senior) non mente.

venerdì 13 novembre 2009

Brucato, critiche scomode

Troppe critiche. Dall’esterno e e dall’interno. Dalla gente e dal vertice della sua stessa società. Che oscurano il ritorno al successo, affiorato dopo una sequenza di pareggi faticosamente accettati. E Brucato, guida tecnica del Taranto, si ribella. Giurando di non capire. «Nemmeno una vittoria riesce a starci bene», chiosa. In realtà, alla volubilità e alle esigenze di una città assetata di tutto e, in particolare, di pallone dovrà necessariamente abituarsi: quella tra i due mari è una piazza che vive di calcio parlato, che si macera nelle sue frustrazioni e nel proprio vittimismo. Dove non si concedono sconti a nessuno. Soprattutto se la vittoria non è limpida, malgrado il coach si ostini ad affermare il contrario: legittimamente, come democrazia concede. E soprattutto se il problema tattico e gli affanni della squadra restano intatti.

giovedì 12 novembre 2009

Pellegrini, addio elegante

Dopo Pellegrini, ecco Chiricallo. Di nuovo sulla panca dopo l’esperienza agrodolce di Barletta. Il Monopoli volta pagina. E l’ex tecnico si dilegua annotando qualche concetto in una lettera aperta assai garbata. «La mia non è una resa – scrive, tra le altre cose - ; anzi, è un gesto che credo possa portare soltanto dei benefici… In mezzo ad evidenti lacune strutturali, con una squadra allestita in breve tempo e molto giovane, sono riuscito credo, attraverso la cultura del lavoro e della professionalità a impostare un certo tipo di percorso. Lascio il Monopoli a cinque punti dalla zona-playout, come mi aveva espressamente richiesto la società la scorsa estate. Evidentemente qualcuno al di fuori della società è convinto che questo gruppo possa puntare ad altro». Se ne va con eleganza, merce rara in questo calcio che è palestra di improvvisati e improvvisatori, di maligni e millantatori, di ruffiani e arroganti, di supponenti e traditori. E con la consapevolezza di aver pagato oltre il limite delle proprie responsabilità. E se ne va seminando fiori, invece di spine. Con stile. Non sarà male ricordarsene.

mercoledì 11 novembre 2009

Monopoli, Lacarra non salva Pellegrini

Davide Pellegrini non salva la panchina. L’ultimo pareggio del Monopoli è letale. Perché tre punti negli ultimi otto impegni sono pochi per tutti: anche per chi ha cominciato il campionato con passo effervescente. La risoluzione (consensuale, dice il comunicato ufficiale) del rapporto tra il tecnico e la società, del resto, era attesa. Pellegrini paga l’involuzione della squadra, ammaccata e palesemente svuotata di molte certezze dell’ancora recente passato (persino Lanzillotta, sin qui irreprensibile, adesso non carbura). Al coach non è sufficiente neppure il guizzo finale di Lacarra, artigliere motivato e anche inquieto (zittisce platealmente la curva e viene contestato). Ma il Monopoli, effettivamente, si è spento da un po’. Diciamola tutta: Cortesi (ancora impalpabile) e soci, di fronte al Manfredonia, limitano i danni in un derby difficile sin dall’inizio e privano l’avversario di un successo ormai legalmente conquistato. Ritrovando nel finale, è vero, quella grinta smarrita (il risultato è riparato nelle ultime battute, come in altre occasioni), ma convincendo poco. Soprattutto nelle operazioni di possesso palla. Ma anche nella gestione delle situazioni ordinarie (il Monopoli arriva sempre secondo sul pallone, ad esempio). E poco importa che i sipontini indovinino una delle migliori partite della stagione. Il disagio, di questi tempi, è evidente: al di là delle condizioni altrui. E finisce per penalizzare una squadra che sconta (è una verità) anche il bellissimo avvio di stagione. Una squadra, cioè, che nei primi due mesi di campionato certifica di aver raccolto molto di più di quanto la realtà strutturale dell’organico avrebbe dovuto consentire. A fronte, magari, di un calendario più agevole in apertura di torneo e, ora, sicuramente più ruvido. Una squadra, va detto, concepita per ottenere la salvezza e niente di più: quella salvezza che, oggi, la classifica continua a garantire, nonostante tutto. Ma che il passo incerto degli ultimi tempi sta seriamente minacciando.

martedì 10 novembre 2009

Taranto, tre punti di notte

Il Taranto di notte sa anche vincere. Non era mai accaduto. Ma il successo sulla Cavese (cercato, inseguito) è sofferta più di un po’. E neanche ipotizzabile, a prima frazione di gara ormai consumata. Tanto da scoraggiare anche l’ottimismo del presidente D’Addario, che fugge via prima del tempo. Molto prima che Correa trasformi in gol uno degli ultimi assalti alla porta campana. Molto prima che il sudamericano dia forma, senso e sostanza alla sua prestazione insipida. E prima che la Cavese rinunci definitivamente ad accettare un confronto franco, aperto: accontentandosi del minimo (non ancora) garantito. Condizione che spinge la squadra di Brucato a far circolare il pallone di più e meglio. E a impossessarsi di un match nato zoppo. E sì, perché il posticipo del lunedì ripropone da principio l’equivoco tattico dal quale il Taranto, tre mesi dopo l’avvio del torneo, non sa ancora uscire. La presenza di tre mediani (Mezavilla, Quadri e Giorgino) e di un fantasista (Correa) e la contemporanea assenza di un catalizzatore di gioco che sappia dettare i tempi obbliga la difesa jonica a scavalcare con calci lunghi la mediana. Puntualmente. L’insicurezza di molti singoli e la carenza di soluzioni, poi, fanno il resto. Corona, ultimamente criticato, gioca di sponda per chi non c’è. O per chi non si fa trovare. E Russo, il ragazzino emerso nelle ultime settimane, non può accollarsi il peso specifico delle speranze, davanti. Infine, l’assetto difensivo è permeabilissimo, soprattutto a sinistra. L’ultima mezz’ora, però, addolcisce certi giudizi. Anche se non soddisfa troppi quesiti. Ai quali il trainer, blindato dal recente allungamento del contratto, dovrà - prima o dopo – cominciare a rispondere. In attesa della revisione dell’organico, a gennaio. Perché i tre punti di notte non sbarrano la strada ad una rivoluzione di metà stagione che sembra avvicinarsi sempre più.

lunedì 9 novembre 2009

Manfredonia, una risposta a se stesso

Il Manfredonia ritrova Marchano (che ritornerà dall’Argentina domani, sembra certo) e cerca risposte da se stesso. A Monopoli si presenta con intenzioni sane: Arigò pesca il palo cento secondi dopo l’apertura delle ostilità e poi si avvicina sensibilmente al vantaggio. Molto più del Monopoli. E spendendo quel che l’avversario, al momento, non possiede. La partita, quindi, segue il suo corso: la squadra gestita da Bucaro, nel derby, battaglia e corre, contrasta e graffia. Ripartendo agilmente, puntando sulla concretezza e la semplicità. Anzi: la prima frazione di gioco fa preferire il 4-4-1-1 ospite, più tonico e convinto, capace di leggere meglio la partita e di affrontarla con personalità. Ma anche totalmente rivisitato negli uomini: per esigenza e anche per scelta. La prestazione, arricchita da un solo punto (gli altri due scompaiono al fotofinish per una combinazione negativa: l’indecisione di Marruocco e l’esitazione di Bucaro, che non spezza l’iniziativa monopolitana con un avvicendamento già pronto da oltre due minuti) rende comunque giustizia ad un collettivo vispo, vivo. Che interpreta correttamente anche la ripresa, consacrata ad una gestione vigile e al contropiede. Che fornisce a se stesso un’indicazione di prospettiva. E, in fondo, anche la risposta più attesa.

domenica 8 novembre 2009

Gallipoli puntiglioso e vincente. Soffrendo

Giannini rivede l’undici di partenza (De Gennaro e Mounard in panca, per differenti motivazioni) e, contro il Frosinone, disegna un Gallipoli timido per un’ora e dotato di attributi nella parte finale del match. Risultato: molta sofferenza e, alla fine, una vittoria che schiaffeggia la prova consapevole dell’avversario, ma che racconta anche di un collettivo puntiglioso e disposto a giocarsi le chance, sino in fondo. Ginestra e compagni rinunciano troppo presto all’arma dell’aggressività e cedono ai ciociari larghe fette di campo, molti movimenti e troppe ripartenze. La formazione di Moriero è più fluida, più collaudata : tanto da poter addomesticare la gara e crearsi diverse occasioni, sciaguratamente sperperate. Il Gallipoli, invece, entra in partita tardi e incide a ripresa abbondantemente iniziata, dopo aver lasciato campo e iniziativa. La traversa colpita da Ginestra non basta a suffragare la causa salentina, costretta ad aggrapparsi alla pratica assidua dell’offside, per arginare le idee degli ospiti. E diventa fondamentale una mancanza grave di Semenzato, in piena area, per raggiungere un vantaggio (firmato da Scaglia) sostanzialmente inatteso e pure abbastanza ingiusto. Dopo, però, c’è solo il Gallipoli. Anche se il Frosinone pareggia in fretta. C’è il Gallipoli che assorbe la reazione dell’ex capolista, c’è il Gallipoli che lievita, rischiando persino di dilagare. C’è il cuore, ci sono i muscoli ritrovati e una certa freschezza lasciata sin lì chissà dove. C’è una brillantezza impastata di carattere, emersa proprio quando si comincia a ipotizzare un inesorabile processo di involuzione della squadra. Ma, evidentemente, non è mai troppo tardi per arrampicarsi su questa serie B che non chiude la porta. A nessuno.

sabato 7 novembre 2009

Il Barletta galleggia. Senza assilli

La prima parte del campionato del Barletta non solletica le fantasie. Ma neppure sconforta. Del resto, la classifica rassicura sufficientemente: pur non impermeabilizzando la squadra di Sciannimanico, scritturato in estate per trarre da un organico rinnovato entusiasmo e credibilità. Cioè, una salvezza condita di dignità, unico traguardo possibile a rimorchio ad un periodo di travaglio societario (prima del torneo mancava la moneta, non dimentichiamolo), come conferma il punto di penalizzazione imposto dall’indagine della Covisoc e piovuto a torneo già avviato. Punto che, alla distanza, potrebbe pure pesare e che, comunque, per adesso passa inosservato o quasi. Il Barletta, dunque, galleggia. Con prestazioni, magari, discontinue. Con i suoi pregi e con i difetti di costruzione. Il coach, però, è contento del proprio lavoro ed apprezza quello dei suoi uomini. E non fa mistero delle proprie sensazioni, ripetutamente. E pure la gente sembra essere sostanzialmente sintonizzata sulla stessa modulazione di frequenza. Appoggiando il progetto e i protagonisti del campo. Senza accendere fuochi inutili. Caso addirittura singolare, in una piazza tradizionalmente esigente, ancorchè infastidita dagli ultimi anni di calcio cittadino. E, se permettete, questo è un dettaglio da non sottovalutare. E da coltivare. Eventuali tempi bui permetendo.

giovedì 5 novembre 2009

L'armistizio del Brindisi

Dicono che Massimo Silva conservi la fiducia della società. E che i fratelli Barretta, plenipotenziari del Brindisi, abbiano equamente diviso (tra tecnico e giocatori, cioè) le responsabilità dell’impasse. Minacciando lindistintamente a truppa e il suo comandante: ormai divisi da accuse incrociate e neanche tanto velate. Dunque, il tecnico rimane dov’è: per il momento, almeno. Anzi, il vertice del club smentisce che le pratiche di rescissione del contratto con il tecnico pavese siano naufragate in dirittura d’arrivo. Punto e a capo, quindi. Con un coach sfiduciato da una parte dello spogliatoio e con uno spogliatoio spubblicato dal trainer. Con un allenatore deligittimato da una parte dell’organico e con i giocatori delegittimati dall’armistizio. Come a dire: se la base individua la convenienza dell’armonia e ritrova la vittoria, tutto bene. Altrimenti, può partire l’epurazione. E, a pagare, saranno molti. Anche Silva, ovviamente. Che continua a dipendere, sempre di più, dagli atteggiamenti di chi scende in campo. Senza essere proprietario, sino in fondo, del proprio destino.

mercoledì 4 novembre 2009

Il Bari e quelle occasioni sprecate

La sconfitta di Parma e i punti persi sul campo della Sampdoria strattonano i pensieri più nobili del Bari e spiegano che la squadra di Ventura è fondamentalmente immatura per sognare traguardi particolarmente eccitanti. Eppure, di Gillet e soci è lecito continuare a dir bene ed è giusto sottolineare ancora la freschezza di un collettivo nato in estate per sopravvivere ai rigori dell'inverno e, invece, sùbito autorizzato a requisire i riflettori del campionato. Ma, sul Bari, cominciano a pesare tutte quelle occasioni perse per strada. E non solo domenica scorsa (penalty fallito al fotofinish, vantaggio successivamente raggiunto e polverizzato dal discutibile e discusso intervento del direttore di gara). Il trainer, candidamente e legittimamente, si permette poi di tornare ad imprecare su risultati che la logica porterebbe a santificare: come quell’altro pareggio ottenuto sul campo del Milan, per esempio. All’improvviso, cioè, Giampiero Ventura e la sua gente scoprono di doversi dolere, invece di potersi rallegrare. E i conti non tornano. Il Bari si accorge allora che, alla sua classifica, manca qualcosa. E già si preoccupa di poter rimpiangere, domani, quel che ha perso per strada. Così, la soddisfazione si trasforma nell'anticamera dell'insoddisfazione. Ci sembra, però, che di più questa squadra non possa pretendere da se stessa. E che, forse, converrebbe cominciare ad accontentarsi. E godere sino in fondo di questo stato di salute, di queste conquiste. Per non correre il rischio di doversi lamentare, prima o poi, dei piaceri innegabili che il ritorno in serie A ha riservato all'intero ambiente. Il gioco è pericoloso. E l’appetito degli affamati, molto spesso, è parente stretto dell’ingratitudine popolare.

martedì 3 novembre 2009

Noicattaro, il successo non deve fuorviare

La prima vittoria. E l’abbellimento della classifica. Il Noicattaro raggiunge contemporaneamente due obiettivi. E guarda al domani con più fiducia. Che poi è la fiducia dei risultati. Quella che vale tanto quanto la fiducia nelle proprie possibilità (ma qui il discorso cambia: c’è il successo, ma certe ombre persistono). Il suggerimento, allora, è quello di non lasciarsi fuorviare eccessivamente da quello che è lo score finale e di lavorare ancora. Per evitare che, nel futuro prossimo, succeda quello che sarebbe potuto accadere ieri: e che, cioè, un’affermazione limpida possa trasformarsi all’improvviso in un pareggio psicologicamente catastrofico. ll suggerimento, sì, è quello di attenersi alle indicazioni della realtà. Che parla di novanta minuti in cui Zotti (due gol e buone proposte, peraltro enormemente facilitate dalla svogliatezza e dagli imbarazzi dell’intero assetto difensivo dell’Igea Virtus) e soci dispongono della palla e del gioco dal primo al trentesimo minuto della ripresa: secondo più, secondo meno. Ma anche dell’incapacità di gestire il doppio vantaggio su un’avversario scarico, privo di cattiveria agonistica, incerottato e indubbiamente arrendevole. Traducendo, la possibile vittoria larga (il Noicattaro potrebbe portarsi sopra di tre lunghezze: anzi, sarebbe l’ipotesi più semplice, più credibile) rischia di diventare un pareggio inimmaginabile. E, comunque, l’ultima fetta del match diventa un’attesa nervosa del fischio di chiusura. Che segue di pochissimi minuti il sigillo del tre a tre, invalidato dal direttore di gara tra le proteste siciliane. Ecco, è la gestione delle ultime battute il nemico più perfido del Noicattaro: particolare emerso già di fronte al Siracusa e in altre occasioni. Un nemico che nasce, evidentemente, dalle paure congenite e dalle insicurezze. Che, ovviamente, generano amnesie e disagi. Intanto, attendiamo di sapere quanto vale il risultato di domenica: perché non possiamo disconoscere che il Noicattaro sembra dilagare quando la resistenza dell’Igea si sfarina totalmente per limiti propri. E perché non è logico fidarsi delle apparenze dettate da un risultato felice, ancorchè insindacabile. Chi ha visto la partita, concorderà.

lunedì 2 novembre 2009

Il Lecce conquista la vetta. E si adatta

Il Lecce non si ferma. Piuttosto, insiste. E raggiunge la vetta della B: per innegabili meriti propri (piega l’Empoli con praticità ed efficacia, come spiega a fine match coach De Canio, e con quell’autorevolezza che lascia confidare in una gestione oculata del prosieguo della stagione) e per evidenti limiti altrui (non c’è, nel campionato, un leader consacrato: frena il Frosinone, cade nuovamente il Torino, il Cesena e l’Ancona si accontantano del pari). Adesso, il Lecce è un gruppo solido: che non propone calcio esuberante, ma che sa farsi bastare il progetto lungamente inseguito e un organico dotato, per la categoria. Malgrado i dubbi del passato recente: dettati dalla frustrazione popolare, più che da una disamina serena. Ed è una squadra che, adesso, risponde alle sollecitazioni del suo caudillo: bravo, probabilmente, a recuperare in tempo il controllo degli uomini e della situazione. Cioè ad arrestare il processo involutivo di qualche tempo addietro. Ma anche adeguatamente scortato dalla fiducia di una società che l’ha blindato e, nel tempo, rafforzato: alimentandone i poteri, concretamente. E non solo teoricamente. Il Lecce, ora, è un blocco che sfrutta il lavoro speso sin dall’estate. E che non si è lasciato travolgere dalla fretta cieca: dettaglio che di sa di anormalità, nel calcio esigente dei giorni nostri. Adesso lo sa anche la gente, riavvicinatasi alla squadra. E tornata ad applaudire, a tifare. Doopo aver abbandonato affettivamente i protagonisti in difficoltà. Opportunisticamente, va detto. La retromarcia del tifo, certo, è una buona notizia. E la storia, in Salento, si ripete ciclicamente. Ma forse andrebbe sottolineato che, così, non vale. La società, invece, glissa e ringrazia. Meglio un rapporto risanato (sino a quando?) che un supplemento di frizioni. E, in fondo, adattarsi a questa quotidianità che inverte i concetti conviene di più.

domenica 1 novembre 2009

Brindisi, Silva rischia

Il Brindisi sciatto e scialbo del Flaminio, tana della Cisco Roma, è una squadra senza coordinate e senza una progettualità, dunque senza futuro. E non è più il Brindisi sprecone, ma sostanzialmente accettabilissimo, dei primi impegni stagionali. Il lento ed inesorabile depauperamento delle risorse mentali e della quadratura tattica, davvero evidenti dalla metà di ottobre sin qui, (e soprattutto nell'anticipo di ieri) deteriorano le ambizioni del club e della tifoseria, aggredendo la classifica e confermando qualche dubbio emerso – fuori dal coro – agli albori del campionato. Al Brindisi mancava qualcosa, per poter competere per la prima piazza: non ci eravamo confusi. E, probabilmente, manca qualcosa anche per poter competere per i playoff. Non la qualità di qualche singolo, forse. Ma, almeno oggi, la predisposizione a seguire Massimo Silva, nocchiero in difficoltà che sembra aver perso il controllo della situazione. E che, per questo motivo, pagherà con l’esonero, ormai prossimo. Come la stampa brindisina, tradizionalmente vicina ale posizioni societarie, ha praticamente anticipato. Scaricandolo, di fatto.