venerdì 23 dicembre 2011

Il Taranto ritrova gli stipendi. Scaglionati

D'Addario, presidente in difficoltà come tanti altri, comincia a pagare. Scaglionando gli importi, ma comincia a pagare. Questo raccontano le note delle ultime ventiquattr'ore. E lo sciopero della manovalanza (la squadra del Taranto) si arresta (o dovrebbe arrestarsi: attendiamo conferma). L'operazione, seppur in ritardo, rende merito alle promesse (reiterate) del patron jonico: infastidito, dice, per il clamore mediatico suscitato inutilmente. E per la scarsa fiducia riposta nei suoi confronti dai propri dipendenti. Ma i difetti (di comunicazione e di forma) restano nel retrobottega. Perchè, giusto per chiarirci, il punto nodale della questione non era (e non è) la solidità dell'imprenditore, nè il suo profilo manageriale. Il problema, piuttosto, è nato e cresciuto con le reticenze, con quella superficialità un po' snob, con la disc utibile scelta di dribblare qualsiasi confronto e con certe parole inevase: non una, ma due volte. Nessuno, soprattutto oggi, può e vuole colpevolizzare l'indisponibilità temporanea di liquidi: viviamo in Italia e capiamo. Nessuno può e deve accanirsi sulla situazione transitoria di chi, per il pallone, si sta adoperando in prima persona. Dopo averlo in qualche modo salvato, in riva a Mar Piccolo. Ma le parole possiedono un proprio valore. Ancora per poco, forse: ma lo possiedono. E poi è sempre meglio raccontare la verità: soprattutto in un caso come questo, dove non c'è dolo, non c'è infamia, non c'è premeditazione. Meglio la verità: segnatamente in una città difficile, depressa, emotiva e altamente infiammabile come Taranto. Che, non potendo compiacersi con molto altro, vive anche di una palla che rotola, anche se con scarse fortune. Ricordandosi, magari, di non addossare la responsabilità a chi, per mestiere, deve cercare di sapere. Per distribuire un'informazione credibile, seria, onesta.

giovedì 22 dicembre 2011

Il Nardò ricomincia da zero. Anzi, no

Tutto da rifare, si ricomincia. E' nuova, totalmente nuova, la squadra: sventrata dalla recessione e per niente risparmiata dal rimpasto societario. E' nuovo il progetto: più giovane, decisamente più indigeno. E sono nuove le prospettive: non più quelle di primato, trovato sulla strada e custodito con appetito per un paio di mesi, ma di permanenza decorosa. Possibile, possibilissima grazie alla dote messa da parte sin qui dalla prima versione del Nardò di Longo: trentuno punti, ai quali si aggiunge quello scaturito dal pareggio di domenica, in casa, davanti al pericolante Real Nocera. Dote importante: che richiede solo un piccolo sforzo suplettivo, cioè l'assalto a quegli otto, nove e, magari, anche dieci punti che mancano per centrare il traguardo. Ed è nuovo, ovviamente, il campionato di una formazione che, intanto, dovrà scoprirsi, misurarsi, trovarsi. Partendo, dicevamo, da una tranquillità di fondo, che tuttavia non potrà sconfinare nell'incoscienza. Questo Nardò, peraltro, assomiglia un po' al Trani del passato campionato. Allora, fini bene, anche se la formazione di Pettinicchio conquistò la salvezza all'ultima giornata, in uno scontro diretto in campo avverso. Ammicca, dunque, anche l'ultimo dei precedenti: tanto quanto basta per non cadere nella trappola dell'ansia. E per convincersi da sùbito che le previsioni del club salentino sono sostanzialmente esatte.

mercoledì 21 dicembre 2011

Taranto, stanno tutti bene

Stanno tutti bene. Sta bene Davide Dionigi, il tecnico più celebrato negli ultimi cinquant'anni di calcio tarantino, il timoniere che parla al cuore della gente, che cerca la strada del calcio giocato e che ha assimilato i concetti fondamentali della comunicazione, verificando con soddisfazione la convenienza mediatica delle lettere aperte, utilissime a fare audience e a produrre meritati consensi. L'allenatore che costituisce il vero collante di un gruppo che naviga (il verbo non è casuale: basta sfogliare i suoi appunti) tra l'entusiasmo dei giorni importanti e l'incertezza di quelli che arriveranno, arrampicandosi su una propria serentità interiore che diventa energia viva, forza pura da trasmettere agli uomini da coordinare e schierare sul campo. Sta bene la squadra, industriosa e fiera, ambiziosa e tignosa, decisa a dimenticare punti di penalizzazione, qualche incidente di percorso e un assegno che non arriva mai. Quella stessa squadra che tallona la Ternana e continua a credere nel traguardo finale, riappropriandosi di quelle qualità tecniche e comportamentali smarrite per un momento e non di più. Sta bene la gente che tifa, che si veste di nuova speranza, che blinda il proprio orgoglio di appartenenza, che riguadagna la considerazione di se stessa e del simbolo che rappresenta sugli spalti. Malgrado troppi anni di oscurantismo. E sta bene anche la società, una di quelle inserite nel nucleo ristretto delle virtuose, molto autoreferenziale e poco abituata alla comunicazione diretta (del resto, ci pensa il coach). Quella società che, da giugno ad oggi, non ha ancora saldato lo stipendio alla squadra, ma che si ripropone di farlo al più presto. Venendo meno, però, ai principi della reciproca fiducia: e finendo così per essere sconfessata dalla squadra, tradita almeno un paio di volte. E, infine, spinta allo sciopero, già inaugurato. Quella società che continua a rivendicare la propria solidità: perchè la liquidità è un'altra cosa e il problema, prima o poi, si risolve. Ma che soffre di antiche antipatie e che deve lottare contro le ultime sacche di inconfidenza, retaggio dei decenni che furono. E del ruolo corrosivo e ingrato della stampa, che avrebbe inventato quello che non è. Perchè la classifica mente: e la penalizzazione non esiste. Come non esiste lo sciopero, mera fantasia dei media. Sì, stanno tutti bene.

martedì 20 dicembre 2011

Bari-Meleam, fine (unilaterale) delle trattative

Adesso siamo alle accuse incrociate, agli screzi verbali. La trattativa, mai definitivamente sbocciata, tra il Bari e la Meleam tramonta tra le polemiche distribuite dai microfoni di una trasmissione televisiva e, prima ancora, dalle righe scarne di un comunicato ufficiale. Tramonta, seppur unilateralmente: perchè, mentre la società di via Torrebella si impunta e saluta, i compratori si ritagliano (o si illudono di ritagliarsi) ancora uno spiraglio per operare. Nella realtà, però, scorrono i titoli di coda su un'operazione nata con difficoltà e cresciuta in un'oceano di diffidenza. Dalla quale, però, esce apparentemente rafforzata la posizione della famiglia Matarrese: se è vero, come la proprietà del club afferma, che il gruppo finanziario bitontino non avrebbe mantenuto fede all'impegno di fornire dettagli più circoscritti sulla cordata interessata all'acquisto. Un particolare che, peraltro, il Bari si dice pronto a provare: con documentazione. Il punto, tuttavia, non è questo. Oggi fa paura, piuttosto, la consapevolezza di aver sprecato altro tempo e altra pazienza popolare. E intimorisce l'incedere poderoso di nuove scadenze: a cui occorrerà fare fronte, per non patire una nuova penalizzazione e per non cominciare a ipotizzare seriamente un panorama fosco come quello di un fallimento. Proprio nel momento in cui, passando a questioni più squisitamente tecniche, la formazione di Torrente conferma il proprio disagio davanti al pubblico di casa, sciupando il doppio vantaggio maturato sul Vicenza e finendo per accontentarsi di un punto. Lasciando intendere, dunque, che il periodo di convalescenza è tutt'altro che sorpassato. E che, allo stato, non è esclusivamente un problema di scelte o di uomini, ma anche e soprattutto mentale. Un impedimento collettivo che va al di là di chi gioca e di chi non lo fa, di chi sta arrivando (Castillo, che deve recuperare la condizione) e di chi potrà aggiungersi a gennaio. Sempre che la società, ovviamente, lo voglia e possa. E sempre che la querelle ingaggiata con la Meleam venga deglutita in fretta. Essì, perchè ora il senso di vuoto che potrebbe gocciolare dalla delusione è una conseguenza da prendere in considerazione.

lunedì 19 dicembre 2011

Il nuovo Brindisi salta il primo ostacolo. Con riserva

La versione seconda (e, più o meno, definitiva) del Brindisi possiede il sorriso di una vittoria edificata sulla concretezza, sulla sobrietà. La formazione recentemente affidata (o riaffidata) a Maiuri, scappato via la prima volta dopo aver sostenuto un paio di ore di allenamento e tornato a querelle societaria quasi chiarita, si veste di volti nuovi (ci sono gli ex Nardò Corvino e Centanni, entrambi under, e il difensore Miale, mentre Zaminga si accomoda in panca; è partito D'Amblè) e sbanca il D'Amuri di Grottaglie. Non è un successo luccicante, ma di robusta utilità e di invidiabile praticità. Fondato sulla perizia delle ripartenze, da cui nascono le occasioni migliori, gol compresi. Il 4-4-2 (e i due, là davanti, sono Prisco e Galetti, che un po' si assomigliano, anche per caratteristiche fisiche) appiattisce forse le risorse di gente come Guadalupi (che, per esempio, Boccolini preferiva schierare più avanzato per poter approfittare degli inserimenti e delle conclusioni in porta del ragazzo) e Mignogna (abituato a incidere come laterale di prima linea), ma solidifica l'assetto. Che, però, comincia a sussultare nella parte finale del match, quando il Grottaglie riapre il match (con il tre a due firmato da Lenti), intravedendo la possibilità di un pareggio che sembra persino vicino alla maturazione. Contestualmente alla doppia sostituzione ordinata dal tecnico (fuori Galetti e poi lo spento Mignogna, dentro due centrocampisti di contenimento come Zaminga e De Padova), che probabilmente detta alla squadra un messaggio di timore o, meglio, le suggerisce di presidiare e rintanarsi. I tre punti, però, alla fine arrivano ugualmente, fortificando il morale in prospettiva della seconda manche, che partirà dopo la sosta. E mantenendo invariato il disavanzo dalle concorrenti meglio piazzate in classifica. Una classifica che permette ancora tutto, a chiunque. Ma che stride con quello visto complessivamente sul campo: questo Brindisi, oggi, per come è, non ci sembra destinato a scalare troppi gradini. Nè a nutrirsi eccessivamente di molti entusiasmi (il pubblico, sugli spalti, continua a contestare la società) e di grandi slanci tecnici. Detto per inciso.

giovedì 15 dicembre 2011

Dalle nubi sbuca il Foggia

La sfida con la capolista, il ritorno sulle frequenze modulate della trasmissione radiofonica più celebrata del Paese, la necessità di riaccattivarsi le simpatie della gente che contesta (la società, più che la squadra): non c'è migliore occasione di questa per rimediare una gran bella figura. E la vittoria. Il Foggia spedisce la Ternana tra le ombre, liquidando l'avversario senza misteri. Quella appena passata è sicuramente la domenica migliore della stagione: anche sotto il profilo squisitamente tecnico. Che non risolve tutti i problemi, squarciando però quella nube un po' bassa che seguiva la formazione prima di Bonacina e poi di Stringara dall'inizio della stagione. Stagione di pubblici tormenti, di lente risalite e veloci ripiegamenti, di insoddisfazioni profonde e di malintesi covati al lume del rancore. In cui chi scende in campo finisce per soffrire la battaglia ingaggiata dalla curva nei confronti del vertice societario, ma soprattutto una certa impreparazione di fondo al campionato che, magari, l'acclimatamento alla terza serie riuscirà a mitigare, prima o poi. Senza poter contare, tuttavia, sul carisma di Zeman, il parafulmine di un passato recente che non c'è più. Ma affidandosi all'esperienza e all'ottimismo del nuovo condottiero, che ormai confida di aver lentamente conquistato un più o meno deciso possesso del gruppo a sua disposizione. Quel gruppo che, probabilmente, attende la definizione del proprio processo evolutivo, necessariamente passato attraverso diversi incidenti di percorso. Il tempo delle conferme arriverà assai presto, comunque: lo attende la piazza, lo attende la società. Perchè questo è l'unico ingrediente che potrà fermare l'emorragia dei consensi popolari e allontanare il pericolo di un fastidioso scollamento dell'ambiente. Stringara, per primo, si è caricato le responsabilità più pesanti, più o meno inconsapevolmente. E, adesso, gli tocca perseverare, proseguire. I riflettori sono tutti sopra di lui e i giovani interpreti di un progetto senza un porto sicuro, ma appena affiorato all'orizzonte. Eppure ancora troppo lontano per credersi al riparo dei venti.

mercoledì 14 dicembre 2011

L'Andria è in crisi. Di risultati e di nervi

Al limite della crisi. Di nervi. L'ambiente andriese è nel vortice dei venti. Il presidente Fusiello è indignato con il Palazzo e, sul campo, chiede una giustizia che non vede. Ha ingaggiato una battaglia personale con il mondo arbitrale, porgendo le proprie polemiche dimissioni. Ma la gente, dagli spalti, si scontra con la realtà dei fatti e preferisce scandire il dissenso sulla squadra, che fatica anche di fronte al Pergocrema, in casa (altro passo falso, uno a due). Finendo per sconfessare e contestare il condottiero del gruppo, Di Meo. Che non prende tempo, provando a riconsegnare alla società il mandato. Inutilmente, peraltro: perchè continuerà a guidare la squadra, almeno sino a nuovo ordine. Cosa, questa, che non rasserena parte dei supporters. E', dunque, un momento difficile, torbido. Che rischia di sfuggire al controllo del vertice del club, accusato - anche - di voler disimpegnarsi, smobilitare. Non serve sorprendersi, però: la squadra fatica ad imporsi, sbanda. Non tanto sotto il peso dell'avversario, quanto per proprie amnesie. La classifica non è ancora grave, ma comincia a infastidire. Soprattutto perchè questa è una stagione che molti (anche noi) credevano differente, ovvero meno sofferente, seppur ingabbiata in un campionato di grandi nomi e di tanti pretendenti. E, di conseguenza, crolla tutto il resto. Lasciando libero il timore che Andria, nel migliore dei casi, abbia perso un altro anno. Per crescere, calcisticamente parlando: dentro e fuori dalla società.

martedì 13 dicembre 2011

Taranto, apoteosi dopo mezzanotte

Stringere i denti. Lo chiedeva il campionato. Lo chiedeva al Taranto, smarrito sulla rotta verso il consenso. Lo chiedeva ad una squadra non tanto sfiancata dalla rincorsa alla capolista Ternana, quanto da un sintomo oscuro: la sensazione di non poter disporre più di meccanismi limpidi, del controllo assoluto di se stessa, della propria facilità di espressione. Nei momenti belli e, soprattutto, in quelli più ruvidi. E particolarmente ruvido (e ostico) sembrava il momento. Sporcato da prestazioni meno convincenti (l'ultima, contro il Foligno, la settimana scorsa), da qualche dubbio tecnico affiorato sul cammino (uno per tutti, l'impressione netta di dover cominciare a pagare dazio per la mancanza, in organico, di una prima punta con una dote di gol garantita) e da quell'involuzione societaria mai messa in preventivo, negli ultimi due anni. Tradotta nei due punti di penalizzazione che si assommeranno presto a quello già sofferto e nella confusione nata a ridosso dei silenzi del club, che non aiutano a gestire il presente, rabbuiando la mente di chi gioca e l'ambizione di chi tifa. Silenzi buoni a depistare, certo, ma non ad assicurare la gente o a catturare la comprensione popolare. Che, in casi come questi, è persino urgente invocare. Stringere i denti e sgomitare. Lo chiedeva la trasferta, giustamente temuta, di Reggio Emilia. Che, dopo il novantesimo, si trasforma invece in una festa. Quasi in un'apoteosi. Uno a zero, risolve Girardi, ultimamente uno dei più criticati, uno dei più motivati. Il successo, fiorito a novanta secondi dalla fine dei giochi, diventa l'atto di forza (e di coraggio) di un gruppo che non vuole smettere di sentirsi tale. Malgrado certi rumori e certi timori liberi di ramificarsi sotto i due Mari. Malgrado le ombre che circolano da giorni. E che non sempre possono essere considerate conseguenza di fantasie. La vittoria del Giglio sembra anche il frutto di un rinnovato impegno della formazione di Dionigi: con la piazza e con il programma condiviso. E finisce per intrecciarsi perfettamente alla sconfitta della Ternana, maturata in casa del Foggia (il divario quasi si appiattisce: un punto). Ma è anche una dichiarazione suplettiva di consapevolzza: in ciò che questo stesso collettivo può dare. Il coach, poi, davanti ai microfoni, sùbito dopo la conclusione del match, invita la tifoseria a ringraziare la squadra. Invitandola allo Iacovone, appena la comitiva sarà rientrata a casa, ben oltre la mezzanotte. E la risposta è inimmaginabile. Mille persone, riferisce chi c'è stato. Con bandiere, fumogeni ed entusiasmo. Nonostante il sinistro concetto dettato dal presidente D'Addario ad un magazine locale, in settimana («Saliamo in B e me ne vado»). «Qualcosa, a Taranto, è cambiato», riferiva Dionigi, sempre alla stampa. Forse. Magari. Ma questi, intanto, sono dettagli importanti. Altre volte, la rincorsa allo sfascio avrebbe mietuto vittime numerose. L'intero movimento calcistico jonico, innanzi tutto. Oggi, però, tira un vento migliore: che è già un trofeo da esibire. Ed è per questo che è doveroso provarci, nonostante la crisi, nonostante tutto. Ed è per questo che D'Addario deve farsi capire e farci capire: possibilmente, prima del sedici dicembre, quando dovranno essere coperti tutti gli impegni economici assunti. Quando la città realizzerà se è davvero arrivato il momento, oppure no, di tornare a credere almeno nel pallone.

lunedì 12 dicembre 2011

Fortis, ordine e pulizia non bastano. E il Martina va

A vedersi, è persino discreto. Pulito quando manovra, se si decide a forzare. Propositivo, mai ostruzionista. Organizzato, pur senza abbagliare. Ma leggero, appena occorre dotarsi di sostanza, di argomenti tangibili. Il Trani di Dellisanti è squadra che non potrà mai arrampicarsi sul campionato: la sua dimensione è il centro della classifica, lontano dai giochi di potere, possibilmente distante dalle amarezze dei quartieri meno nobili. Artiaco, uno degli artiglieri più celebrati del girone, fa quel che può e quel che deve. Ma niente di più. E Campo si limita a distribuire con raziocinio. La fantasia, però, è un'altra cosa. E la qualità non è un accessorio troppo diffuso, nel gruppo. Eppure, sul campo del Martina, la Fortis non sfigura. Subisce il gol senza riuscire a rimediare, ma si avvicina al pareggio almeno un paio di volte. Dannandosi per quell'antipatica incapacità di graffiare. E, però, rimanendo in partita sino all'ultimo. Dietro, certo, la gente di Bitetto soffre più di quanto dovrebbe: almeno, nell'ultima mezz'ora. I meriti del Trani, tuttavia, sono innegabili. E, soprattutto, eterei. Il derby, così, rilancia solo le quotazioni di Gambuzza e compagni, rinvigoriti dalle recenti operazioni di mercato. Amodeo, per esempio, è una punta che sa dialogare, di buona tecnica. Che, nell'occasione, non trova la porta: ma che, in fondo, sembra potersi garantire anche in Valle d'Itria un certo feeling con il gol. E anche Ottonello, mediano che tende a gestire palloni e ad attaccare, fa la sua figura, guadagnandosi i primi attestati di stima. Il Martina, del resto, ha modificato il suo volto, ultimamente: è partita un po' di gente (Irace e Pignalosa su tutti, ma anche Pizzolla, Melis e gli under Montrone e Patierno) ed altri nomi (Basile, Bruno, Scoppetta, oltre ad Amodeo e Ottonello) sono stati aggiunti. Portando, dicono i più maligni, grande beneficio allo spogliatoio. Sul quale, giura chi è rimasto, il tecnico possiede il più totale controllo: questione, questa, di peso specifico. Il controllo del Martina sul torneo, invece, va ancora testato. Anche se le ultime esperienze al Tursi e il pari conseguito a Caserta, giovedì scorso, lasciano pensare positivo. Innanzi tutto perchè le chances di promozione, oltre che dall'erba amica, passano anche per i campi della Campania. Dove domenica prossima il Martina tornerà: sul terreno della nuova capolista Sarnese, per la precisione. Questo, peraltro, è un campionato che premia la continuità e l'abitudine di mantenere la media inglese. Vincere a domicilio e pareggiare fuori, per il momento, sembra essere sufficiente. E, se il gruppo biancazzurro l'ha capito, è già una buona notizia.

domenica 11 dicembre 2011

Lecce, segnali di speranza

Cosmi comincia discretamente, anzi male. Dipende dai punti di vista: perchè il Lecce, di fronte alla Lazio, ci mette più cuore, più volontà. Esattamente quello che ci si attende da una squadra che si fregia del contributo di un coach come Serse da Pontevecchio, uno che tradizionalmente inietta grinta al gruppo. Il risultato, però, è negativo, ancora una volta. L'erba di via del Mare dice male (finisce due a tre). E, da questa angolazione, non c'è soluzione di continuità dalla gestione Di Francesco. Comunque, scavando, si intravede qualche segnale di speranza. Per il temperamento speso nei novanta minuti e per qualche altro dettaglio (la manovra si è vagamente ravvivata). La nuova guida tecnica, peraltro, trae dall'anticipo del sabato un po' di appunti buoni per confidare nel domani. Lasciandosi scappare pure un concetto impegnativo («le salvezze arrivano a maggio, non prima. E, delle formazioni che ho raccolto a lavori in corso nella mia carriera, questa è la migliore, qualitativamente parlando»). Chissà se si riferisce pure al Lecce che si ritrova a gestire la fase difensiva: dove, cioè, nascono i problemi più evidenti di un collettivo oggettivamente rattristato da una situazione che si intorbidisce (Cesena, Novara e Bologna fanno punti). Ma, oggi, uno dei compiti di Cosmi è quello di infondere nell'ambiente un po' di buon umore. E va compreso. Sperando che non venga preso troppo sul serio da chi, nei prossimi giorni, dovrà operare sul mercato di riparazione. Non potrà bastare qualche messaggio di incoraggiamento. E la prestazione di ieri, da sola, non può sollevare: che sia chiaro, da sùbito.

venerdì 9 dicembre 2011

Grottaglie, vittoria con astio

Paradossale: il momento più prolifico del Grottaglie (sette punti in quattro partite, quint'ultima piazza rinsaldata, due punti di disavanzo dalla zona della tranquillità) coincide con il livello massimo di bassa pressione che soffoca l'ambiente (l'assetto societario sembra liquefarsi inesorabilmente, il fallimento si avvicina progerssivamente, la gente abbandona emotivamente anche la squadra, la squadra denuncia pubblicamente lo stato di crisi e pare ribellarsi ai giudizi della tifoseria). Tra contestazioni e gesti gravi, nel momento di festeggiare quella che sta per diventare una vittoria, si scava un'ulteriore solco tra chi scende in campo e chi resta sugli spalti: oppure è solo un'apparenza, che evaporerà con il tempo. Ma il tempo, di contro, sta per scadere. Proprio adesso che l'Ars et Labor mette da parte un po' di ossigeno, in fondo ad una gara (quella di ieri, nel turno infrasettimanale) povera di contenuti, anche per demerito dell'avversario, l'Internapoli di Camaldoli. Una gara che si mette benissimo dopo neppure un minuto di gioco (gol di Carta), ma che non può nascondere i disagi, le incertezze, il nervosismo, la fragilità e lo scoramento di un gruppo che non si nutre del vantaggio, perdendosi nell'affannosa rincorsa alla propria identità e al traguardo prefisso. Meno male, però, che i campani sono ingenui e insipidi, eterei e tristi: la formazione di Pizzonia, così, si ribella al pareggio, arrivato dagli undici metri. Trovando i tre punti con Solidoro, il capitano irritato: proprio lui, l'accusato numero uno di quel momentaneo pareggio che una parte di supporters non digerisce. Di quel che resta della partita, invece, meglio sorvolare: spettacoli così non dovrebbero appartenere alla serie D. Detto senza perifrasi. E nessuna perifrasi neppure sul caso-Ciracì: con un comunicato stampa, il presidente ha raffreddato gli ultimi entusiasmi rimasti, proprio alla vigilia del match. Lasciando capire che, ormai, siamo al capitolo finale. O quasi. E calamitandosi addosso nuove antipatie. Mentre la gente si chiede, compatta, cosa aspetti a dileguarsi. A cedere il club, diciamo così: una volta per tutte. Velocemente. Fosse facile. Perchè, di fronte ad una parte che lascia, serve qualcuno che rilevi. E che dia alla trattativa un'impronta forte, seria. Una volta òper tutte. E velocemente. Tutti sicuri, però, che questa componente esista davvero? Cominciamo a dubitarne: sinceramente.

mercoledì 7 dicembre 2011

Città e squadra, feeling per un sogno

Ci sono momenti in cui l'ansia da emolumenti (non percepiti) non incide. E in cui il gruppo rivela le sue fondamenta, le proprie certezze, il suo dna, la propria saldezza morale. Dove lo stato di crisi circola, ma non alberga e non condiziona. Dove l'evoluzione delle vicende societarie è lenta e ingombrante, senza che però leda gli interessi comuni. E ci sono momenti di gioia e rabbia muta. Ma anche di solidarietà e di gratitudine. A Nardò, di questi tempi, si vive molto di pallone. E di pallone, altrettanto, si parla: sugli spalti, per strada e anche dietro le quinte di Palazzo di Città. La squadra è in testa al girone appulocampano di serie D e sembra voler fortificare, giornata dopo giornata, la sua posizione, il suo prestigio. Dopo l'affermazione di Francavilla sul Sinni, torna a giocare sull'erba amica e regola un'altra lucana, il meno ambizioso e meno robusto Matera. Ma il disagio economico del club è sempre più grave e gli stipendi tardano ad essere corrisposti. Allora, per cercare di non perdere la priorità acquisita, la tifoseria si mobilita e organizza una colletta, prima dell'ultimo match. Corrispettivi corrisposti (forse in larga parte, forse no: poco ci interessa, in questa sede), ecco la solidarietà. Mantenimento della leadership, ecco la gratitudine di chi rincorre la palla: versata diettamente sul campo. Difficile capire (anzi, no: è facile) quanto potrà durare. Poco, immaginiamo. Ma, intanto, questa è la realtà attuale e tanto fa. E la collaborazione, per il momento, funziona. Qualsiasi cosa accada, da qui in avanti (ma se accade qualcosa di concreto, molto meglio), questo di Nardò sembra una bel capitolo nel mezzo di una storia scomoda. Che va sottolineato. Con un inchino. Chapeau: alla gente che tifa, già travolta dalla crisi universale, e alla formazione di Longo. Attaccata ad un sogno, prima ancora che al portafoglio.

martedì 6 dicembre 2011

Barletta, Cari respira

Marco Cari, adesso respira davvero. Cioè, con il conforto dell'affermazione sul campo: che è sempre qualcosa di più della semplice fiducia condizionata, verbale. O a termine: anche se nessuno lo rivela apertamente. Il Barletta che batte la Cremonese è una buona notizia per tutti e motivo di nuova autostima per un gruppo troppo spesso sminuito da prestazioni zoppicanti, da attese inevase e da risultati difettosi. Un gruppo molto più che vagamente inespresso: nella forma e nella sostanza. Il successo dell'ultima domenica rivaluta così la funzione di Mazzeo (di nuovo scintillate) e compagni nel girone B della terza serie. E premia una prestazione, dicono le cronache, più ordinata. E, probabilmente, meglio studiata, meglio architettata, anche e soprattutto tatticamente. Al di là del modulo (4-2-3-1), che tuttavia sembra poter ingabbiare certi movimenti più utili alla causa. Perchè, alla fine, è un difensore (il cipriota Pelagias) a risolvere la contesa, a metà ripresa. Ristabilendo un contatto emotivo più solido tra la squadra e i supporters. E ancorando il collettivo alla zona playoff (quarto posto, meno quattro dal leader Siracusa). La classifica, però, era e continua ad essere cortissima. E insondabile. Probabilmente, più di ogni altro, il particolare che ha mantenuto, sin qui, Cari sulla panchina del Barletta. Una formazione, questa, sempre nella mischia, ma non troppo. Per demeriti propri e per limiti altrui. Che il campionato sta ratificando, domenica dopo domenica.

lunedì 5 dicembre 2011

Il derby distratto di Martina e Casarano

Partite come Martina-Casarano sono situazioni da fine campionato, quando molto spesso difettano la concentrazione e l'attenzione. Invece, il derby plana a metà stagione, quando nulla è definito e tutto va giocato, sino in fondo. E, allora, certi infortuni nelle retrovie lasciano riflettere su quanto i protagonisti di questo campionato di serie D abbiano da lavorare, per raggiungere il livello medio di altre epoche. Sbaglia Palazzi, guardasigilli salentino, più volte. E pecca, ripetutamente, il pacchetto arretrato della formazione di Bitetto: ne esce, così, un match sempre in bilico sulle apprensioni, eternamente aperto, maledettamente inaffidabile. Vince il Martina, che crea qualcosa di più. E perde la Virtus, che accetta il confronto sin dall'inizio. Concetto assai gradito alla formazione di casa che, però, finisce quasi (e paradossalmente) per pagarlo. Decide l'undicesimo sigillo stagionale di Picci, arrivato in coda agli acuti di Chiesa (sempre incisivo, quando agisce tra le linee, centralmente) e di De Giorgi, un '93 da seguire. Ma, in fondo, è fondamentale la volontà di Gambuzza e soci: quella volontà (o, meglio ancora, quella praticità) che sembra aver soppiantato da un po' il calcio più fluido ed evoluto dei primi tempi. Rispondendo, evidentemente, alle precise e niente affatto velate richieste del club. Che, per inciso, sta provvedendo a ridefinire l'organico a disposizione dell'allenatore, al quale ha ultimamente regalato un po' di rinforzi a metà campo, diventati impellenti dopo la rinuncia a gente come Irace e Pizzolla. In attesa di un altro artigliere, che arriverà. E sperando che non diventi necessario puntellare la squadra anche più dietro. Da questo punto di vista, il derby potrebbe aver lanciato un messaggio. Di allarme.

domenica 4 dicembre 2011

Di Francesco, Napoli fatale

L'intransigenza sopravanza l'attesa. La realtà denuda la speranza. L'urgenza di patron Semeraro azzera tutte le riflessioni passate, presenti e future. E la proroga concessa a Di Francesco appena la settimana scorsa si consuma in fretta, a Napoli. Dove il Lecce, nell'anticipo del sabato, affonda sotto quattro gol (a due), perdendo una partita che è anche logico perdere (la differenza di qualità è enorme, ammettiamolo), ma che è imbarazzante perdere con la pesantezza di certe proporzioni. Scavando, però, l'esonero (comunicato in serata dalla società) è la precisa evoluzione di un pensiero comune, piegato dal sentimento dell'impopolarità e dalla crudezza dei risultati. Ed è, soprattutto, la naturale definizione di una situazione incancrenita da tempo: e, quindi, attesa anche con impazienza. Al di fuori e al di dentro del club. Il rovescio del San Paolo, cioè, sembra quasi opportuno: nei tempi e nei modi. Perchè chiude la questione, prima che avanzi il sospetto che sia tardi, per riparare. La sconfitta è brutta, ma appare il pretesto migliore. Ed è, soprattutto, la somma di diversi dettagli: tecnici, tattici, ambientali. Si cambia, allora: e, forse, è pure meglio così. Per tutti: persino per il coach. Al posto del quale arriva Cosmi. Uno che avrà bisogno di assistenza, innanzi tutto. La stessa assistenza in cui confidava Di Francesco, alla fine del girone di andata. Ma, alla soglia del mercato, l'allenatore pescarese non ci è neppure arrivato. Cosmi, allora, si faccia sentire, sin da ora. E pretenda rinforzi: come vedete, non c'è più tempo. Per nessuno.

giovedì 1 dicembre 2011

Andria, la rabbia di Fusiello

Probabilmente, il successo sul Piacenza, nel recupero di qualche tempo fa, aveva rafforzato l'appetito. Che i pareggi arrivati dopo hanno poi mortificato. L'Andria, cioè, è sempre lì, nel limbo del pericolo. Con il Feralpisalò, in casa, sono piovute anche critiche, sufficientemente pesanti. E la gente che tifa ha contestato, abbastanza apertamente. Quello del doppio centravanti (Innocenti più Gambino) è un esperimento fallito sul nascere, oltre tutto. E il sacro furore del collettivo non sembra più in grado di tappare qualche falla, nè di zittire l'opinione pubblica. A tre giorni di distanza, nel nuovo match di recupero, la formazione di Di Meo impatta ancora, contro il sin qui incerto Bassano: ma, questa volta, interviene Fusiello, il presidente che ha ormai intrapreso una serrata battaglia verbale con il pianeta arbitrale. La polemica si accende e il numero uno del club alza i toni del concetto, promettendo di non presentare la squadra a Siracusa, domenica prossima, in casa della nuova capolista del girone. Se non avrà ricevuto dal Palazzo garanzie tangibili, ovviamente. Cose che si dicono. Alle quali nessuno bada più. L'Andria, in Sicilia, si presenterà ugualmente: esattamente come fa chiunque, malgrado le dichiarazioni avvelenate del post partita. E si presenterà con le speranze di sempre e con i disagi del momento: che la querelle non riesce e non riuscirà a nascondere.

lunedì 28 novembre 2011

Grottaglie, un derby vissuto sfrontatamente

Il derby, quello di terra jonica, stuzzica il Grottaglie: più aggressivo, più tosto, più ardimetoso, persino più temprato in fase di non possesso, malgrado le solite debolezze congenite. Complessivamente, più intenso del Martina, per una buona mezz'ora. E, per una fetta di gara, certamente più lucido dell'avversario, costretto ad esprimersi con palle lunghe. Ma è vero anche che chi sta dall'altra parte è una squadra più esperta e carrozzata per invertire la tendenza, accelerare e rassodarsi, confidando pure su un leggero rimpasto tattico. L'Ars et Labor, allora, finisce per subire l'unica realizzazione del match (testa di Picci, su palla inattiva) senza trovare la strada del pareggio, nonostante una reazione più convinta e un possesso di palla più accettabile di altre occasioni. Zero punti, quindi, e un'altra domenica spesa invano. O quasi: perchè, se i punti non arrivano, lanciando un segnale di discontinuità (la formazione di Pizzonia, del resto, arrivava dalla trasferta felice di Somma Vesuviana, in casa dell'ultima collocata in graduatoria), forse il derby riesce a riavvicinare emotivamente la tifoseria (agitata, al novantesimo, ma ostile solo nei confronti degli ospiti) alla squadra. Una squadra, sin qui, abbastanza appartata nelle proprie sofferenze. Eppure bisognosa di sostegno morale, di comprensione, di complicità. E di un certo calore: che, ovviamente, non basta a saltare tutti gli ostacoli. Ma che, a questo punto della stagione, potrebbe servire. Se una certa sensazione respirata in tribuna è esatta, ben venga il derby e il suo risultato grigio, condito dalle tensioni che una sfida più sentita delle altre sa provocare e diffondere. E ben venga pure una prestazione ricca di coraggio e di sostanza, eppure povera di riscontri. Purchè questo non rimanga un episodio isolato: è il campionato (o quello che resta del campionato) la partita della vita. Non può esserla esclusivamente un derby vissuto sfrontatamente.

domenica 27 novembre 2011

Lecce ultimo, Di Francesco resta: vantaggi e pericoli

Il Lecce perde la partita che va assolutamente vinta. Perchè, ultimamente, sono poche le soddisfazioni che allietano la casa giallorossa. L'erba di via del Mare diventa sempre più nemica: perchè piove l'ennesimo referto negativo. Che neanche fa più notizia. E' l'argentino Catania di Montella a godere, questa volta. Proprio mentre la gente di Di Franceco comincia a pregustare il sapore indefinibile di un pareggio che non risolve i guai e non li allevia neppure, ma che almeno alimenta la classifica. Il sigillo di Barrientos arriva a giochi quasi chiusi: impossibile riparare al danno, a quel punto. E inutile cercare nuove attenuanti. Soprattutto perchè, neanche ventiquattr'ore dopo, il Cesena supera il Genoa e scavalca i salentini, adesso ultimi e affranti. In questi casi, altrove, la ricetta è scontata: e a pagare, per primo, è il responsabile tecnico. Così, in ques'angolo di Puglia, invece non è: la società continua a blindare il coach. E lo fa sapere velocemente, senza troppo pensarci sopra. Bel gesto: che si ripromette di cementare il gruppo e i rapporti. Che prova a impermeabilizzare la squadra dalle sventure e dalle critiche. Che offre un'altra porzione di tempo a Di Francesco: obbligato a comprendere definitivamente i disagi di sempre e a porre finalmente i rimedi. E che si sforza di non drammatizzare il momento. E che, così come dodici mesi addietro, ai tempi della gestione Di Canio, responsabilizza maggiormente il collettivo, sollevando contemporaneamente (ma solo appena) i vertici del club. L'esonero, cioè, avrebbe bocciato definitivamente il progetto societario, che non sembra reggere alla concorrenza della serie A. E sottoporre al tecnico una nuova chance significa distribuire un'altra possibilità ai responsabili di una programmazione che, però, adesso non può assolutamente prescindere da un rafforzamento tecnico nel prossimo mercato invernale. Perchè ogni scelta possiede qualche vantaggio e, di contro, molti pericoli.

giovedì 24 novembre 2011

Penalizzazione e trasparenza

La penalizzazione, in terza serie, arriva per chiunque, prima o poi. E' una maledizione ad orologeria. Questa volta, tocca di nuovo al Taranto, secondo in classifica a due lunghezze dalla Ternana. Non per la malastoria del calcioscommesse (un punto, già psicologicamente assorbito), ma per inadempienze economiche. Eppure non l'avrebbe ipotizzato nessuno, neppure molto tempo fa: il club di via Martellotta, anzi, era unanimemente considerato virtuoso. Tra i pochi, nel pianeta della Lega Pro. Invece, notizia di queste ore, non sarebbero stati saldati alcuni impegni per il trimestre che va da luglio ad settembre. Peraltro, un dubbio (o un sospetto) circolava da tempo: malgrado patron D'Addario avesse ufficiosamente depotenziato certi sussurri. Il fatto germoglia alla luce del lavoro di intelligence, diciamo così, della stampa: e il Taranto, adesso, non può più nascondersi. Il vertice dirigenziale spiegherà a breve: ma il danno (uno o, molto più facilmente, due punti di penalità sono già assicurati, anche se pioveranno più in là nel tempo). Del resto, abbiamo detto altre volte che il momento è difficile: per tutti. Pure per l'imprenditoria più solida. E il sodalizio jonico non merita, per questo, accuse strumentali o censure eccessivamente acide. La società, però, ha nascosto il disagio, anche a termini scaduti. Smentendo il problema, cioè, persino pochi giorni addietro, anche a penalizzazione già guadagnata. Appartandosi in un mondo tutto proprio, esattamente come in altre situazioni passate. E' questo che non piace, che non conviince. La gente che tifa, probabilmente, avrebbe gradito trasparenza. Un messaggio semplice e chiaro. E avrebbe capito meglio. Matarrese e il Bari insegnano.

mercoledì 23 novembre 2011

Il Bari riapre le porte a Castillo

La Sampdoria, di questi tempi, fa un po' meno paura. Ma il Bari, in casa, è un'espressione senza troppi risultati felici. Il pareggio che sprizza dai novanta minuti, allora, è accettato con stile: non fosse altro perchè la gente di Torrente, sin dalla prima mezz'ora di gioco, si ritrova a rincorrere lo score, agguantato con la seconda soddisfazione personale di un difensore, Borghese (bravo sotto porta, molto meno in fase di festeggiamento: irridere un avversario della settimana precedente non giova neppure al pedigrée personale), ma anche voluto e poi difeso in inferiorità numerica (Kopunek è inutilmente e pericolosamente falloso: gesti del genere possono pregiusicare il lavoro di un'intera settimana, di un intero collettivo). Un punto non è il massimo, però mantiene oltre tutto la squadra nelle immediate vicinanze del sesto posto, una condizione che si propone di rubare spazio ad altri argomenti (la trattativa tra i Matarrese e la Meleam, che vorrebbe rilevare la società di via Torrebella, continua lentamente, in attesa di un'auspicabile evoluzione) e che si augura di soppiantare certe fibrillazioni (la crisi societaria non è affatto risolta, anche se il pericolo della seconda penalizzazione è stato temporaneamente sventato). I problemi, dunque, non mancano mai. Tra questi, poi, si inserisce l'infortunio occorso a uno degli artiglieri a disposizione del coach di Cetara, il brasiliano De Paula. Una disavventura che, peraltro, apre una nuova prospettiva per Nacho Castillo, argentino esiliato ad inizio stagione, ma regolarmente pagato. E diventato, a questo punto, quasi necessario. Il ragazzo si sta già allenando con il gruppo e sta per essere reintegrato nell'elenco dei preferiti. Sconfessando, va detto, il concetto che ne ha consigliato l'accantonamento qualche mese addietro: legato, come è noto, al processo di rinnovamento tecnico a cui la società ha sùbito creduto. Da un'altra angolazione, però, la decisione sana gli effetti un'errata valutazione: perchè, se è vero che Castillo appartiene a quella squadra retrocessa senza troppi onori in B e non si appoggia ad un grande sentimento di fiducia popolare, è anche vero che rinunciare alle prestazioni di una punta importante (almeno nel campionato di seconda serie) e, soprattutto, puntualmente retribuita ci è sempre apparsa un'idea autolesionistica e anacronistica. Ma tant'è: e poi il tempo, molto spesso, rende giustizia alla logica calpestata dalle stranezze del pallone.

martedì 22 novembre 2011

Nardò, leadership tra gli ostacoli

Corvino è un under che si sta integrando. E il suo acuto, l'unico del derby con il Trani, serve ad integrare sempre meglio il Nardò nell'aristocrazia del girone appulocampano di D. Anzi, il Francavilla pareggia (sabato) e, adesso, si commenta di una leadership ritrovata. La formazione di Longo, peraltro, sembra aver ottimizzato pure il suo calcio, provando a offrire un'impronta più netta alle sue partite: è da un po' che Garat e soci, del resto, si sono imposti un'identità più spendibile e dotati di una manovra più convincente. Se, prima, il Nardò otteneva punti, ma non sempre consensi pieni, ora appare più deciso, più credibile. Il match di domenica conferma. E dire che, in settimana, la gente che tifa aveva tremato. E che lo sciopero dei protagonisti (il club non aveva saldato le ultime spettanze) è stato scongiurato poche ore prima di scendere in campo. Ma, evidentemente, la squadra si sta appropriando di una certa solidità, anche fuori dal rettangolo verde: utilissima a saltare gli ostacoli e a pianificare un futuro migliore. Per niente inseguito, vale ripeterlo: la promozione, cioè, non era nell'elenco degli obiettivi estivi. Il campionato, però, non attende la naturale semplificazione della situazione societaria e detta i suoi ritmi: tra cinque giorni è già scontro diretto, in Lucania. Con il Francavilla di Lazic è una questione di prestigio, ma soprattutto di sostanza. E, come si dice, un test di alta definizione. Che potrebbe invogliare qualche nuova forza imprenditoriale ad affiancare il presidente Russo. L'operazione sembra vicina: ma, se arrivasse prima del match più atteso, non sarebbe affatto male.

lunedì 21 novembre 2011

Martina, solo i tre punti. E un sospetto che cresce

Il Martina è ancora ammalato. Il pari con lode di Torre del Greco, una settimana addietro, migliora il morale del gruppo, ma la brillantezza è un'altra cosa. Tornata sull'erba di casa, la formazione di Bitetto incontra il Real Nocera, ordinato e tecnicamente povero come l'Oppido, ma anche molto meno malizioso della Viribus, tanto per chiarirci. Cioè, una squadra che subisce stoicamente, ma che però non si barrica, lasciando fare. Eppure, il gol non arriva: nè nel primo tempo, affrontato da De Tommaso e soci con poca grinta e non troppa convinzione, nè per quasi tutta la ripresa, in cui l'ingresso di Irace assicura un pizzico di dinamismo in più. Affiorando solo a recupero inoltrato, dagli undici metri, perchè Tundo riesce a procurarsi (diciamo pure ad inventarsi) un fallo che non esiste. Il successo, macchinoso ed incerto, lenisce il dolore, ma non le preoccupazioni. Salvando la panchina al coach, ma non tranquillizzando la società e neppure la gente. Gambuzza e Chiesa, squalificati, sono un'attenuante debole. E, tatticamente, il ritorno al rombo (proprio quando il trequartista argentino manca) non evolve la manovra. Anzi, De Tommaso (che, sulla fascia, rende tradizionalmente di più) non se ne avvantaggia. Ma è la prestazione dei singoli, al di là del modulo, che non convince. Portosi è imballato e si incarta spesso, non è assolutamente quello di inizio stagione: il recente infortunio si sente ancora. Pizzolla s'incaponisce su qualche soluzione dannosa. L'under Patierno è abbastanza spento. Fiorentino, in fase di possesso, si limita al compitino. Picci non dispone di palle giocabili. E Tundo si vede solo nell'azione decisiva, al minuto quarantotto della seconda frazione di gioco. Ovvio, certe partite si vincono anche così. E anche questi sono segnali precisi. Ma un po' di dubbi cominciano a stagnare. Mentre un vecchio sospetto si rafforza: e qualcuno (Pignalosa, che ieri non era neppure in panchina? Irace?) sembra ormai destinato a salutare prima del tempo. In settimana potrebbe accadere qualcosa: lo sentiamo.

giovedì 17 novembre 2011

Brindisi, caos feroce

Roberto Quarta lascia. Forse. Anzi, niente affatto: il presidente rilancia. Roma si prende il Brindisi: così sembra, sistemandosi al fianco due soci, De Finis e Galluzzo. Ma non è ancora proprio così. Francioso, in panchina, sostituisce il dimissionario Boccolini, sostenuto dal numero uno uscente: bugia. Il nuovo coach del Brindisi, piuttosto, è Enzo Maiuri, ex Nardò, Grottaglie, Fasano e Matera: viene anche presentato ufficialmente, nella mattinata di ieri. E, il pomeriggio successivo, conduce il primo allenamento. Non sia mai. Le dimissioni piovono in serata. Che poi, dimissioni non sono neppure: semplicemente, l'accordo non viene consacrato. Caos assoluto, sull'Adriatico. Il club, oggi, non dispone ancora di un vertice societario unanimemente accettato e pienamente operativo. E, ovviamente, neppure di un allenatore destinato a durare: anche perchè il mandato di Gagliano è assolutamente temporaneo. Cioè, il Brindisi non possiede alcuna certezza: nè organizzativa, nè tecnica. Ovvero: ancora non sappiamo chi è il padrone e chi sono i dipendenti. La guerra intestina prosegue. Di più: si inasprisce, si complica. Manovrata dalle differenti fazioni in cui si divide il tifo. La giovane struttura calcistica nata in estate è già implosa. Definitivamente, a quanto pare. E a nulla sembrano essre serviti gli inviti al buon senso. Che, più di tutti, può: soprattutto in casi come questo. Senza soffermarci sulle ragioni e sui torti di ciascuno (fosse facile scoprire dove abitano: ci stiamo capendo pochissimo, lo ammettiamo) e senza poterci orientare, possiamo solo attendere che qualcuno ceda, si faccia da parte, si eclissi. In fretta, possibilmente. Forzando i propri propositi, violando i propri interessi, scavalcando i propri diritti. Non intravediamo margini di trattativa, a questo punto. E non ci auguriamo lunghi procedimenti legali. L'atmosfera, però, è gravida di tensione. E l'impressione è che, a Brindisi, ci si sta facendo del male. Per l'ultima volta, probabilmente.

mercoledì 16 novembre 2011

Il derby conferma i limiti del Foggia

Al di là di qualsiasi introspezione tattica e - soprattutto - tecnica, il derby spiega la differenza di qualità, di sostanza, di ambizioni: il Taranto è più completo, più scafato, più saldo. E il Foggia più permeabile, più fragile, più insicuro. Lo dice il campo, inequivocabilmente. Lo conferma il risultato: uno a zero per la formazione di Dionigi, che non si disfa mai del controllo delle operazioni, della gestione emozionale della partita, della certezza della propria superiorità. La squadra di Stringara, piuttosto, è quello che è:¨giovane, zoppa nel temperamento, ancora sconosciuta a se stessa, in cerca di identità. E di puntelli. Non serve nascondere la verità: piuttosto, è (anche) questo il prezzo da pagare nel conto della rifondazione dell'organico. E in quello del contenimento delle spese. Il Taranto è di un'altra categoria, il Foggia è destinato a tribolare sino in fondo: nessuno lo dice apertamente, ma tutti lo pensano, ormai. Il recente cambio di panca, in Capitanata, non sembra aver offerto grandi sconvolgimenti. Il materiale umano su cui sta operando il nuovo coach (quattro punti in altrettante gare) è lo stesso su cui aveva lavorato Bonacina: ne va preso atto. Con onestà. Il lavoro, ovviamente, potrà limare certi difetti. Però, fondamentalmente, è questo il campionato che attende Agodirin e compagni: un campionato di sofferenza e sudore. Che non può colpevolizzare l'impegno di Stringara. Ma che, contemporaneamente, comincia a rendere giustizia al suo predecessore, immolato dietro il paravento della ragion di stato. E sull'altare dei giudizi: affrettati.

lunedì 14 novembre 2011

Bari, pareggio sul campo e vittoria fuori

Il Toro è il miglior Toro della stagione, almeno a casa propria: parola di chi segue costantemente la formazione di Ventura, l'ex nobile della sfida. La sua spinta è decisa, robusta. Ma il Bari interpreta una gara corposa e densa di sacrificio, si arma di resistenza e, anzi, si ritrova persino in vantaggio, prima dell'intervallo. Annettendo, alla fine, un punto solo (che fa, comunque, benissimo) alla sua classifica: essì, dal momento che Antenucci pareggia agli albori della ripresa. A nulla, peraltro, serve il forcing finale granata. Il carattere della gente di Torrente, dunque, si riaffaccia: come spesso accade nei match più aristocratici. Disseminando, al contempo, la rabbia della propria tifoseria, che ancora non si spiega i frequenti cali di concentrazione palesati in questi primi tre mesi di campionato. Carattere e risolutezza, come sottolinea l'entourage del Torino dopo il novantesimo: lamentandosi, anzi, di un trattamento ruvido, sul campo. E della malizia di Caputo e soci. Ma il risultato è di quelli importanti, considerata la caratura dell'avversario. E la prestazione è di quelle che allontanano le amarezze più recenti: fino al prossimo infortunio. C'è, però, un'altra partita ancora in corso. Quella della sopravvivenza economica. Intanto, però, la società comunica di aver saldato gli impegni per il trimeste che andava da luglio a settembre, scongiurando una seconda penalizzazione e scacciando l'odore di un imminente fallimento. Ovviamente, è la famiglia Matarrese a fornire le garanzie da girare agli istituti di credito: cioè, il Bari continua a non poter prescindere dall'esposizione di chi, negli ultimi trent'anni, ha garantito il calcio in città. Annunciando, a inizio di stagione, un disinteresse sostanziale. La verità è questa: piaccia o non piaccia. Anche perchè non emerge ancora un'ipotesi vera e credibile di ricambio, malgrado la processione di voci e di proposte. Di chi non può o, magari, non vuole. Almeno adesso. O di chi, forse, attende gli eventi. Perchè acquistare domani potrebbe diventare più conveniente. Ma non sappiamo a quale prezzo: per l'intero movimento calcistico barese.

venerdì 11 novembre 2011

Emerge la solidità del Casarano

Sostanzialmente, il campionato (meglio, il girone appulocampano) di serie D attende chi si è attardato: la Turris, la Casertana e il Martina. Magari anche il Brindisi, che (se le lotte intestine al club dovessero risolversi) potrebbe rivedere il roster e correggersi a dicembre. Di certo, non fugge il Francavilla, non sprinta il Nardò e non incanta neppure l'Ischia. Sono tutte lì, nel breve spazio di pochi punti. E manca un leader forte, autorevole. Tanto da autorizzare a sperare persino chi non è partito per imporsi. Un nome per tutti, il Casarano. Spinto, in questo momento, da otto risultati positivi di sèguito e dal pareggio prezioso e lusinghiero di Ischia, dove la gente di Fabrizio Caracciolo ha approcciato la sfida con sufficiente autorevolezza, dimostrando sul campo di poter reggere il discorso con le avversarie più aristocratiche. Nessuno, adesso, si spende troppo per suffragare gli eventuali appetiti della formazione salentina: probabilmente, neanche la stessa tifoseria, consapevole delle consegne impartite dal club e dal basso profilo dettato dalla prudenza con cui la Virtus ha affrontato la stagione. Tuttavia, la compattezza di fondo che lega il collettivo rossazzurro (soli tre punti dalla seconda piazza, cinque dalla vetta) sembra consigliare alla concorrenza di non sottovalutare Villa e soci. Una squadra, cioè, che segna meno di altre e che, comunque, subisce poco (cinque gol, miglior difesa del raggruppamento). E che può sempre appoggiarsi a gente di buon bagaglio calcistico e di esperienze vissute (Sportillo, Galdean, Calabro, Zaminga, Alessandrì, lo stesso Villa, l'attualmente infortunato Rosciglione, il brasiliano Aragão). Non ci nascondiamo: non scommetteremmo grosse cifre sul Casarano. Se non altro, perchè - in fondo, verso il traguardo - emergeranno i valori altrui. Ma, se a Tricase (domenica, in campo neutro), la Virtus dovesse regolare il Campania, formazione ordinata e discretamente carrozzata, allora necessiterà prendere atto di una realtà che pulsa, che si arrampica, che cresce. E che, di fatto, contribuisce a intorbidire la chiarezza di un torneo in attesa di decollo.

giovedì 10 novembre 2011

Lotte intestine, calcio a rischio

Le dimissioni di Boccolini (e di Sensibile, il ds, oltre che del team manager Giannattasio), augurate da una parte della tifoseria del Brindisi e arrivate nel corso della settimana passata, in realtà non hanno semplificato la complessa situazione che gravita atorno al club. Perchè, di fatto, hanno sancito una precaria coesistenza tra le diverse anime della società, che poi ha finito per avvelenare il terreno della conduzione tecnica e della squadra. La prova è nel disimpegno di alcuni imprenditori, nella guerra dichiarata tra i tre fondatori della società nata appena l'estate scorsa e, se volete, anche nei cattivi risultati degli ultimi tempi. Il problema (l'altro problema: forse, quello principale) è però che le dimissioni di Boccolini, Sensibile e Giannattasio non vanno ancora considerate definitive. Perchè, dietro di loro, agiscono dirigenti di riferimento che si vantano di utilizzare il proprio portafoglio: e questo non è un particolare trascurabile. Proprio mentre il presidente Quarta, che non può esibire lo stesso requisito, prova a imporre la sua scelta tecnica: Mino Francioso, l'anno passato alla guida del Martina, brindisino del rione Paradiso. Il trainer che s'incarica di gestire il momento di interregno (Galliano) esordisce intanto con un punto e con qualche soddisfazione nell'anticipo di Marano, sabato passato di fronte all'Internapoli Camaldoli: ma il periodo di convalescenza non può ritenersi concluso. Soprattutto se non verrà chiarita la posizione di ciascun socio. E, di conseguenza, la competenza della guida tecnica. Il resto non conta. Come non conta confidare sulla prossima sessione di mercato, necessaria per rafforzare la struttura della squadra. Con certe premesse, non è detto che dicembre arrivi: non a Brindisi, almeno. Il concetto non è una semplice alternativa. Anzi, è molto facile che diventi una certezza. Che, sull'Adriatico, rischierebbe persino di passare inosservata. Succede sempre così, quando c'è assuefazione. Assuefazione da fallimento, in questo caso.

mercoledì 9 novembre 2011

Bussa il Lecce formato trasferta

Ossigeno puro. La vittoria di Cesena è articolo pregiato. Pagato con il sudore (difendere il vantaggio in dieci contro undici, dopo l'espulsione rimediata da Muriel nella prima parte della ripresa, è anche motivo di orgoglio) e con l'agilità (il Lecce, soprattutto nella prima frazione di gioco, penetra nell'area avversaria, provocando apprensione). Pregiato e pure opportuno, considerata l'inabitudine ad approfitare dei match in Salento, che ormai delega le speranze di salvezza alla gestione delle trasferte. Dove, a proposito, la formazione di Di Francesco ha, sin qui, piegato due avversarie dirette nella lotta per la sopravvivenza (Bologna e, appunto, Cesena: più avanti, magari, sono dati che potrebbero contare). Ecco, Di Francesco: il tecnico, diciamolo pure, più che rafforzare la panchina, la trattiene. Attirando su di sè, all'improvviso, un carico inatteso di congratulazioni, dopo due mesi di critiche feroci e di accuse diffuse: in Italia, del resto, funziona così. Quando, cioè, l'opportunismo si impossessa dei giudizi. Giudizi globali che, tuttavia, tengono conto anche della prestazione luccicante di Morris Carrozzieri, corazziere di una difesa finalmente imbattuta che, peraltro, si era già assicurato delle simpatie, ultimamente. Confermando il punto nodale della questione, che avevamo già sviscerato. Ovvero: per ottenere il traguardo finale, il Lecce non poteva (non può) neppure lontanamente pensare di rinviare il quadramento della fase difensiva e, in particolare, l'acquisizione di una maggior disciplina negli atteggiamenti tattici della terza linea. Migliorando il rendimento nelle retrovie, la resa è automaticamente maggiore: facile. Anche se diventerebbe rischioso accontentarsi della lievitazione del reparto senza guardarsi attorno, in prospettiva mercato di riparazione. E' una richiesta precisa: la società, se possibile, risponda.

martedì 8 novembre 2011

Il Bari dura poco

Quarantacinque minuti di discreto calcio a Castellammare di Stabia, non tanto tempo fa: e il crollo irritante, nel corso della ripresa. Un tempo soltanto (e, forse, neanche intero) contro il Pescara, sùbito dopo. E sconfitta bruciante, al San Nicola. Infine, venti minuti di manovra accettabile, di nuovo in casa, di fronte al Verona. E nuova pagina amara, proprio ieri, nel posticipo: uno a zero per i veneti. Meritato. Tre partite, tre delusioni: che vanno al di là del risultato. Passando, è vero, per i tre punti conquistati a Grosseto, a metà settimana. Il momento è oscuro, complessivamente. E la squadra sempre più insondabile. Inaffidabile, sotto il profilo della continuità. Spesso svagata, più di talvolta umorale. Condizionata, magari, dalle chiacchiere che circondano il club, ma soprattutto dai suoi stessi atteggiamenti, sul campo. E, va detto, anche da un elenco degli indisponibili che, ultimamente, si è ingrossato. Complicando, oltre tutto, il processo di potenziamento della condizione atletica, uno dei limiti sottolineati da questo primo quarto di stagione. Ma un Bari che si distingue per un quarto d'ora, che resiste per un tempo e che si apparta per il resto dei novanta minuti non coinvolge, non attrae, non è sufficiente a se stesso, non serve a garantirsi l'immunità. Nè la fiducia popolare: anche se il campionato di B resta aperto a tutti sino in fondo, anche se la classifica non è ancora così male. Anche se, davanti a certi dettagli finanziari che sorvolano la vita societaria, assicurarsi un futuro nel panorama calcistico nazionale è e resta l'unico obiettivo sensato.

lunedì 7 novembre 2011

I gol che spengono i dubbi. Per ora

Due esperienze in trasferta, di fila. E due sconfitte. Per sentirsi sminuiti e tristi. Per bruciare qualche sicurezza, per accettare i termini di un'involuzione strisciante e per minare il rapporto di fiducia tra ambiente e squadra. Prima a Marano (casa dell'Internapoli) e poi a Francavilla sul Sinni, il Martina si è inceppato, naufragando. Attirando verso di sè soluzioni drastiche (silenzio stampa di un mese imposto dai vertici del club) e preparandosi ad eventuali provvedimenti futuri (allenatore sotto osservazione, big immersi nella prospettiva di un taglio o di una riduzione dell'ingaggio). Il ritorno a casa, di fronte al modesto Cristofaro di Oppido, diventa così una questione densa di ansia e di interrogativi: da soddisfare. In un'atmosfera riscaldata dai dubbi. Però, sul campo, quando la formazione di Bitetto trova un avversario che la lascia esprimere con scioltezza, fallisce difficilmente. Soprattutto se lo sparring partner è manifestamente tenero, debole. Come, appunto, la formazione lucana: magari dispiegata sull'erba con ordine, ma impalpabile. E destinata ad affondare, con lucida naturalezza. A mezz'ora dal calcio d'inizio, è già tre a zero: finirà con cinque gol di scarto. Questa volta, poi, non c'è neppure bisogno di concedersi il rombo, per recuperare la manovra e il gol. Chiesa è sempre là, a sinistra, un po' avulso dal gioco: dove si affaccia appena si accentra: ma è sufficiente che De Tommaso indovini due calci d'angolo (Gambuzza e Pignalosa monetizzano nel modo migliore). Quindi, diventa tutto troppo facile. Come facile è, adesso, cadere nella tentazione di credere che i recenti disguidi, tutti i disguidi, siano stati assorbiti e che certe incongruenze comportamentali siano state definitivamente sconfitte. La pioggia di segnature, disseminate qua e là sul percorso, non possono - del resto - lenire certe ferite, che la società e l'ambiente, attratte dall'unico obiettivo della promozione, non nascondono di soffrire. A Torre del Greco, la prossima domenica, conterà l'atteggiamento, prima di tutto. E poi l'abilità di arrampicarsi sulla partita, senza appoggiarsi ai limiti della controparte. Cioè, di una squadra (la Turris) che sembra essere mentalmente entrata nelle coordinate del torneo. In ritardo, ma ancora in tempo.

giovedì 3 novembre 2011

Il Taranto e il reclamo sbagliato

Ritorniamo, per un attimo appena, sul Taranto e sul match di Benevento. Anzi, sugli sviluppi di una sconfitta digerita male: sin dall'inizio, cioè davanti ai microfoni e alle telecamere, dopo il novantesimo. E anche nel corso della settimana. Dionigi, il trainer, aveva sbottato sùbito, lamentandosi dei presunti (e inesistenti) torti arbitrali sofferti. Lasciandosi andare ad una stizza nervosa, probabile appendice di altri episodi accaduti altrove, ma recentemente. Che, intanto, ha provato ad occultare una disamina serena sulle responsabilità oggettive della squadra. In realtà, però, il direttore di gara ha operato bene, in quasi tutte le situazioni controverse (il calcio di rigore concesso ai sanniti, la conseguente espulsione del portiere Bremec, l'annullamento del gol jonico per una carica vistosa sul portiere di casa). Meno bene, certo, il giudice di gara sembra aver gestito la questione legata al calo di tensione dell'impianto di illuminazione. Doverosa (ma, a pensarci bene, anche esagerata, almeno di fatto) la decisione di interrompere la partita. Incomprensibile, invece, quella di continuarla, in coda a ventidue minuti di stop: se non altro, perchè nulla era cambiato, nel frattempo. I riflettori, cioè, garantivano visibilità sufficiente: prima e anche dopo. Giusto per capirci. Anche per questo motivo, allora, non condividiamo l'esigenza di appellarsi alla giustizia sportiva con un reclamo formale: che, per il momento, ha congelato l'omologazione del risultato. Ma che, in fondo all'iter burocratico, non porterà alcun vantaggio. Come chiunque segue le cose del pallone sa. Un dettaglio, peraltro, che conosceva pure la società jonica, assai infastidita. Tanto da inoltrare ugualmente la pratica, allegando il pagamento di una tassa che, pertanto, non verrà restituita. Strana strategia aziendale: anche perchè, proprio prima dell'avvio del campionato, il club di via Martellotta rinunciò ad opporsi all'ingiusta penalizzazione ereditata dall'ultimo caso di calcioscommesse. Per non sperperare denaro, insinuarono - tra l'altro - i più maligni. Un'operazione, quella, che forse sarebbe servita di più. E che, comunque, avrebbe avuto un senso. Compiuto.

mercoledì 2 novembre 2011

Cassano e il talento sprecato

Dribbling, acuti e colpi di testa. Quelli nocivi: per se stessi. Ingegno e autolesionismo. Assist e diverbi, piedi dolci e scatti d'ira. Antonio Cassano si è abituato e ci ha abituato al meglio e al peggio. Senza mai arrivare, però, ad un livello assoluto: per quei chili di troppo, per quelle scelte sbagliate, per quell'istinto autodistruttivo. Stop e ripartenze. Continue: il cammino nel pallone del ragazzo di Bari Vecchia è gravido di frenate brusche e di nuovi slanci. A Roma, a Genova, a Milano. A Madrid, invece, un solo calo di rendimento: fatale. E sufficiente per il foglio di via. Per il biglietto di ritorno in Italia. Alle soglie dei trent'anni, poi, Cassano sembrava sul punto di riappropriarsi di un posto sicuro nel circolo privato dei più ammirati: con la maglia di un club importante e con quella della nazionale. E, invece, va male anche questa volta, come in un film noir, come in incubo perfetto, come in un romanzo di malefica letteratura. Dalla scala di un aereo al policlinico: un malore improvviso (un fenomeno vascolare ischemico transitivo, tecnicamente parlando), l'indisponibilità forzata. Chissà per quanto. Adesso, l'istrionico carattere dell'indisponente Cassano non c'entra. Non è lui la causa marcia del suo stesso futuro. No, e non c'entrano neppure la stizza di un momento o la naturale predisposizione a non sottomettersi mai a nulla e a nessuno. Ma c'entrano il destino, o la fatalità. Quanto basta per rendersi conto che il tempo è passato e che molto, troppo talento è andato sprecato.

martedì 1 novembre 2011

Taranto, riflettori nemici

Altro posticipo, altra notturna. Il Taranto ci riprova a Benevento. L'approccio è interessante: pensa e preme, la gente di Dionigi, che entra sùbito nel cuore della partita. Obbligando l'avversario a presidiare, cogliendo la traversa e, immediatamente dopo, passando in vantaggio (con Guazzo). Piace la mentalità della squadra, la sua autorevolezza. Il Benevento, però, rimedia con prontezza e il match si reinventa gli equilibri. O meglio: il Taranto smarrisce un po' le geometrie e alza il pallone troppo spesso, complicando il proprio fraseggio. Tuttavia, Giorgino e compagni non cedono troppi metri, nè molte possibilità. Almeno sino al momento in cui cambia la rotta della gara (espulsione di Bremec e penalty a favore dei sanniti, che raddoppiano). Da qui alla fine, allora, è sudore, fatica, sterile possesso di palla (l'uomo in meno pesa, ma non troppo), attesa elettrica (in tutti i sensi: l'impianto di illuminazione dello stadio campano subisce un calo di tensione e la contesa si interrompe inutilmente per una ventina di minuti, senza che il problema tecnico sia stato risolto) e, infine, rabbia. Per una decisione singolare (perchè bloccare la gara? Oppure: perchè riavviarla?), per l'occasione sprecata e per la vetta del girone che si allontana, nonostante la prova difettosa della Ternana, appena ventiquattr'ore prima. Intanto, il Taranto tosto e robusto che sembrava essere tornato, alla fine, si eclissa di nuovo. Per motivi contingenti, anche e soprattutto. Perdendo, probabilmente, un altro po' di sicurezze. Eppure, guadagnando una certezza: la notte gli è nemica.

lunedì 31 ottobre 2011

A Grottaglie è notte. Fonda

Troppa differenza: di esperienza, di risolutezza, di furbizia. E di serenità. Il Grottaglie frana pure di fronte all'Ischia, vicecapolista sgraziata che bada solo alla concretezza, senza preoccuparsi delle modalità, dalla manovra un po' sporca e dai lineamenti tecnici tutt'altro che brillanti. Ma determinata e ben carrozzata dal gol trovato in apertura di match. Sul green (assai sconnesso) del D'Amuri, gli uomini di Vincenzo Pizzonia s'irrobustiscono e s'incattiviscono solo a svantaggio avvenuto, producendo una mezz'ora di pressing: invano. La storia della partita, piuttosto, sembra già scritta. Anche perchè gli isolani raddoppiano presto, incaricandosi della gestione dell'ultima ora di gioco. Il sigillo del due a uno di Cristofaro (centrocampista che, a vederlo così, non trasmette appeal, ma che - in realtà - è il migliore dell'Ars et Labor) incoraggia solo un forcing infruttuoso degli jonici, che tuttavia l'Ischia gestisce con sufficiente autorità. E, allora, per Solidoro e soci si fa notte. Fonda. E' sempre più dura: soprattutto perchè i singoli più rodati del Grottaglie ribadiscono i limiti già conosciuti, denunciando un difetto di crescita. Il fondo della classifica scotta. Proprio mentre la trasfusione societaria, più volte rinviata, è definitivamente tramontata. E nel momento in cui la tifoseria ha ribadito (pochissime presenze, sugli spalti) di aver abbandonato la squadra e, probabilmente, la speranza.

venerdì 28 ottobre 2011

Andria, la tenacia che va sostenuta

La tenacia del gruppo va bene, è consacrata. Dall'opinione della gente, degli addetti ai lavori. L'Andria sa soffrire, navigare nelle acque agitate. Digrignando i denti. I risultati non arrivano sempre: anche perchè lo spessore dell'organico galleggia nella media del campionato di terza serie e la concorrenza di qualità, nel girone B, è sufficientemente ampia. E poi perchè, per ottenere più visibilità, manca qualcosa: oggettivamente. Ma la frmazione di Di Meo non si genuflette a nessuno: replicando con determinazione, quando può. Le sette reti subite nelle ultime tre partite, tuttavia, parlano pure di una penetrabilità che, attualmente, ne mina il consolidamento del progetto. Le ultime due, peraltro, arrivano a Lanciano, a casa di una delle realtà più prolifiche di questa prima parte di stagione. Il rovescio, allora, non è materiale di cui vergognarsi: soprattutto perchè l'Andria non sfigura, pur lasciando agli abruzzesi una maggiore supremazia territoriale e la gestione complessiva della gara. La soglia del quartiere playout, certo, è sempre lì, ad un passo. Ma questa squadra sa di dover combattere sempre e sembra che lo faccia volentieri, con naturalezza: garantendosi buone quotazioni di stima e di fiducia. Malgrado il gioco praticato sin qui non lasci sognare qualcosa di meglio. Ma il mercato di metà stagione si sta avvicinando: se la società può, ci faccia un pensiero. Basterebbero un paio di ritocchi, ai posti giusti. Per liberarsi da qualsiasi problema prossimo ed eventuale, innanzi tutto. E, poi, per consolidare le basi del progetto.

giovedì 27 ottobre 2011

L'esordio felice di Stringara

L'esordio è giusto. Paolo Stringara prende il Foggia dalle mani di Bonacina e lo conduce alla vittoria di Foligno. Uno a zero, sigillo di Venitucci, ma risultato più facile del previsto. In fondo ad una gara più che accettabile, dal punto di vista della qualità di gioco prodotta e dalla discreta quantità di occasioni da rete imbastite (intanto, però, quando non ci arriva il guardasigilli avversario, si spreca abbastanza: un particolare su cui studiare, al di là di tutto). Non vale, comunque, illudersi. Non ancora, almeno. E non solo perchè il Foligno (ultimo del girone, a fronte del solo punto conquistato e, peraltro, azzerato dalla penalizzazione e, oltre tutto, in inferiorità numerica nell'ultimo scorcio della gara) non può oggettivamente essere considerato, allo stato, un test pienamente attendibile. Ma anche perchè il Foggia di Stringara ha soltanto confermato la migliore predisposizione alle gare lontane dallo Zaccheria della vecchia gestione. E niente di più. Bonacina, in realtà, ha pagato il pessimo rendimento nelle gare interne: dove il nuovo trainer dovrà necessariamente indovinare lo scacchiere più adatto ad affrontare ogni sfida con più personalità, più equilibrio e maggior coraggio, ma anche la squadra più salda per fronteggiare l'indifferenza del pubblico amico. Che, probabilmente, è diventato nel tempo un ostacolo serio.

mercoledì 26 ottobre 2011

Il Barletta in casa non va

L'infortunio del Barletta, in casa, di fronte al Trapani, indispettisce. E confonde le idee alla gente che tifa. Cancellando l'ancora fresca, bella e fruttuosa esperienza di Trieste (successo denso di significati e necessario per recuperare autostima). Tutto da rifare, quindi: non tanto in funzione della classifica, sempre sufficientemente corta (il Pergocrema si ferma, il Frosinone non ne approfitta), quanto del processo di riappropriamento di un'identità non ancora stabile. Perchè, se in trasferta i risultati arrivano (nove punti sui dodici sin qui disponibili), al Puttilli la formazione di Cari non carbura (tre pari e una sconfitta): è limpido, ormai. Atteggiamento, questo, che rischia seriamente di danneggiare il cammino di una delle favorite al salto di categoria, obiettivo che la società continua a non nascondere. E di tranciare, prima o poi, il rapporto tra il club e l'allenatore: ancora sulla panchina barlettana, ma non troppo sicuro di rimanerci sino alla fine de torneo. A dispetto di una frangia di tifoseria, che avrebbe già deciso: per l'esonero. Cari è l'accusato principale, adesso: per aver disegnato una squadra che confida nell'invenzione del singolo, più che nella manovra del collettivo. E che, proprio per questo, fatica puntualmente a scovare il varco che conduce verso la porta avversaria: soprattutto in quelle occasioni in cui la controparte si allinea e si copre, riducendo gli spazi. Cosa che, oggettivamente, accade spesso: almeno nei match disputati di fronte al pubblico amico. Concetto, questo, che sottolineava Roberto Boscaglia, tecnico del Trapani, proprio in coda al match di domenica, davanti a telecamere e microfoni. Critica non troppo sottile e neanche tanto velata: che in parecchi sono pronti a condividere. Mentre, in sala stampa, il disappunto (e il nervosismo) del coach cresce. Sintomo dei tempi che corrono. E di un countdown che è già dolorosamente partito.

martedì 25 ottobre 2011

Davide Dionigi e la pressione

Una sconfitta, sull'erba di casa, di fronte alla Ternana. Un pareggio, nella trasferta di Vercelli, senza molta allegria, ma buono per riappacificarsi con il risultato. E una vittoria, allo Iacovone, proprio domenica, sul più sparagnino Monza: vagamente sofferta nelle modalità, ancorchè tenacemente inseguita e raggiunta in prossimità dei titoli di coda. Complessivamente più che legittima, ma non eccessivamente brillante, comunque utilissima per mantenere il passo della Ternana, leader con tre punti in più (ventidue contro diciannove). Le ultime tre uscite del Taranto sono più o meno discretamente distanti, per qualità ed intensità di gioco, dalle esibizioni di settembre. Lo stop nel confronto diretto con gli umbri sembra aver interrotto (o depotenziato) il feeling tra la formazione di Dionigi e il campionato: da allora, qualcosa è cambiato. E il passo si è affaticato. Il collettivo ha smarrito un po' della propria sicurezza, delle proprie certezze. Ritrovando, peraltro, qualche slancio di rabbia proprio contro i brianzoli. Al di là del turn over robusto a cui il trainer emiliano ha più volte costretto l'elenco dei disponibili e che qualche osservatore ha indicato come causa fondamentale dei primi disagi. Il Taranto, nel tempo, sembra persino aver smemorizzato qualche automatismo, qualche punto di riferimento. Rallentando sulle corsie laterali, dove cioè la manovra ha saputo spesso fortificarsi, in altre circostanze. Disperdendo il lavoro prodotto in prima linea, dove un calo di lucidità non è mai una controindicazione banale. E pagando, si dice, pure l'assenza, in panchina, dello squalificato Dionigi: rientrato al proprio posto giusto per salutare il ritorno al successo. Il tecnico stesso, tuttavia, è consapevole di una verità. Anzi, di due. La prima: la terza serie, più di altri campionati, non è un torneo di realtà assolute. E di squadre dotate di antidoti efficaci contro la discontinuità. Ovvero, l'appiattimento dei valori non è solo pura letteratura. La seconda: questo Taranto vive nel mezzo di sogni proibiti e di attese ventennali, quindi nel vortice di una pressione che, giorno dopo giorno, si appesantisce. E la pressione, sui due Mari più di altrove, rischia di nuocere gravemente. Appena consumato il match con il Monza, del resto, Dionigi ha rivendicato il diritto di giocarsi il campionato senza dover necessariamente mirare alla leadership del girone. Preferendo inseguire l'obiettivo del miglioramento del precedente piazzamento: che, tradotto, significa promozione attraverso i playoff, fatali nel maggio scorso. La dichiarazione, evidentemente ponderata nel corso di una settimana un po' così, arriva dopo una vittoria: ed è la cosa più saggia che il caudillo di Reggio potesse dire.

lunedì 24 ottobre 2011

Il Lecce si suicida nel match della svolta

Dice giusto Adriano Galliani, il numero due del Milan. Ci sono due partite distinte, negli stessi novanta minuti: quella del primo tempo, dove il Lecce si esalta (tre a zero), e quella della ripresa, quando Boateng e soci si risvegliano, travolgendo i salentini (zero a quattro). Il problema è che, alla fine, dal match di mezzogiorno non esce neppure un punto. Ma solo un impasto di amarezza, impotenza, rabbia, delusione. Occasione immensa, distrutta con autolesionismo crudele: la squadra di Di Francesco scrive la pagina più controversa del suo affaticato campionato, rendendo inutile la prima porzione di match, assolutamente storica, addirittura eroica. Il Lecce raddoppia puntualmente, riparte bene, assalta il Milan, lo costringe ad affannarsi, colpisce e affonda con sicurezza altre due volte. Non c'è più storia, verrebbe da dire. E, invece, è la storia che si ritorce contro: ma, prima ancora della storia, sono la supponenza (o la leggerezza) a pianificare la rimonta dell'avversario. Che, peraltro, possiede nel suo dna il seme dell'impresa. La squadra sicura che guadagna gli spogliatoi con scioltezza si decompone, si raggomitola, s'inchioda alle proprie paure, al proprio destino. Smette di giocare e si rintana, esponendosi al sacrificio, all'ineluttabilità degli eventi. Il gap non è tattico, ma mentale. Oltre che tecnico, evidentemente. Davanti ai microfoni, più tardi, Di Francesco giurerà di aver avvisato per tempo la truppa, auspicando un governo del risultato assai più dignitoso. E prendendo, ancora una volta, le distanze dalla truppa. Tutto inutile, però. La gara che avrebbe potuto rilanciare le quotazioni del Lecce rischia di ratificare, così, la lontananza della squadra dalla realtà del campionato, sancendo l'inadeguatezza dell'organico per l'obiettivo dichiarato. O, se non altro, l'insufficiente struttura psicologica dei giallorossi. Della quale già dubitavamo da tempo, in attesa di una conferma. Arrivata: abbastanza presto, anche.

domenica 23 ottobre 2011

Bari, nuovo calo di tensione

Il penalty (contestato) spacca la partita del Bari a Castellammare. Di qua una formazione, quella di Torrente, presente e robusta. Di là, un collettivo incapace di reagire allo svantaggio, isolata in una timidezza che l'avvolge, che la limita, che disegna una sconfitta scomoda, antipatica. La Juve Stabia di questi tempi è tonica, tosta: quattro vittorie in cinque turni, gli ultimi. Ma il Bari sembra esserci. Non per tutti i novanta minuti, però: condizione insufficiente per guadagnarsi spazio. Si lamenta anche il coach, che non si dimentica di bacchettare i suoi, come sempre più spesso accade. Tuttavia, il rendimento discontinuo della squadra sembra essere diventato una regola di questo campionato. In cui il Bari si ferma e riparte, per inchiodarsi di nuovo: sciupando assai presto la riapertura di credito appena acquisita. Una regola a cui, pare, dovremo abituarci, se non l'abbiamo già fatto. E', questo, un campionato di fatica, sudore e stizza: è scritto. Dall'inizio della stagione.

giovedì 20 ottobre 2011

Stringara rincuora il Foggia

Fuori va sempre bene. Anche a Monza, nel turno infrasettimanale della settimana scorsa. Ma, in casa, il Foggia si accartoccia su se stesso, con una continuità imbarazzante. Sprecata anche l'ultima occasione, quella di domenica: allo Zaccheria s'impone anche la Reggiana, senza troppo dannarsi. Limitandosi, cioè, a controllare un avversario indigente e irritante e a governare il vantaggio acquisito, sino al raggiungimento della sicurezza (finisce due a zero). Ginestra e soci si assentano, sugli spalti si mescolano frustrazione, malanimo e aggressività. La contestazione è vigorosa: determinante, in casi come questo, per le sorti della guida tecnica. La società non perde tempo e defenestra Bonacina: soluzione scontata. E, in poco più di ventiquattr'ore, assume il secondo condottiero della stagione, un motivato Stringara («questo Foggia è forte», si lascia scappare: assumendosi tutte le responsabilità, da sùbito). Casillo, così, risponde operativamente alle accuse ricevute personalmente (qualcuno, però, giura che sia successo anche dell'altro) dalla frangia più calda della tifoseria. Non vorremmo, però, che il presidente cominci a stancarsi. Certi interventi del recentissimo passato suffragherebbero, del resto, questa ipotesi. E poi, al patron, il disamoramento della gente verso il Foggia non è passato inosservato. Sarebbe, questo sì, un guaio grosso. Che il Foggia e Foggia, ora, non possono permettersi.

martedì 18 ottobre 2011

Il Martina ritrova il gioco e corre

Se il Brindisi s'ingolfa, nel derby il Martina riprende a giocare. A far girare il pallone, a verticalizzare, a manovrare. I risultati, dopo un break un po' oscuro, si vedono. E si sentono. La squadra affidata alle cure di Francesco Bitetto dilaga, fino a fermarsi per manifesta superiorità. Nelle operazioni di possesso c'è anche più fluidità, più movimento: gambe e testa. E, probabilmente, non è un caso che l'affermazione convincente coincida con il ritorno al rombo. De Tommaso si sistema quasi subito alle spalle delle punte (Pignalosa e Picci: quatro gol in due in novanta minuti), lasciando Irace (baravissimo) a destra e Memolla a sinistra, mentre Fiorentino protegge la difesa. Chiesa, invece, parte (e resta) in panchina: proprio nel match in cui avrebbe potuto riaccarezzare il proprio ruolo, quello di trequartista. Pagando le ultime opache prestazioni, consumate però sulla fascia, dove non incide. Tra le linee, allora, cambia il protagonista, ma non la resa. Questo Martina, del resto, è un collettivo costruito per produrre calcio, oltre ai punti: e un uomo, in quella posizione, riesce a macinare la quantità di gioco che serve. Ora esiste anche la controprova: Bitetto ne prenderà nota.

lunedì 17 ottobre 2011

Derby angusto, il Brindisi crolla

E' vero: mancava, dietro, un centrale di impeto e di esperienza come Taurino. E poi, davanti, gente come D'Amblè e Galetti, sistemato in panca e poi entrato nel derby a risultato spacciato. Ed è vero pure che il Martina rompe gli equilibri proprio sùbito, dopo appena tre minuti, consegnando al campionato un'altra partita. Ma il Brindisi, onestamente, ieri ci ha deluso. Molto. Senz'anima, senza cuore, senza grinta, senza soluzioni. Destinata alla sconfitta, senza opporre resistenza, la formazione di Boccolini affonda in Valle d'Itria, salvando l'onore (gol di Guadalupi, uno sprecato per la serie D, sullo zero a cinque) solo perchè Leuci, guardasigilli di casa, fa di tutto (ma davvero tutto) per concederlo. Traballa la difesa: sulle corsie laterali (dove maturano i due penalty trasformati da Picci e dove il Martina si guadagna un altro calcio di rigore, che però il direttore di gara non si sente di concedere, sul tre a zero) e al centro. Non punge l'artiglieria: Prisco è solo, Mignogna è altrove, Greco non può incidere. E diventa insufficiente anche il lavoro della linea mediana: anche se Kettlun assicura per un tempo un po' di quantità e nient'altro, Guadalupi qualche inserimento e Stabile un po' di movimento. Cancellate, appena sette giorni dopo, le belle parole spese sul carattere del Brindisi, che aveva superato in rimonta la Viribus al Fanuzzi. Mentre nuovi dubbi spengono gli entusiasmi. Evidentemente, l'intelaiatura necessita di correzioni, a dicembre. Anche se, prima di tutto, il coach dovrà operare sullo status psicologico della squadra. Ammaccata e in crisi di crescita.

giovedì 13 ottobre 2011

Il Taranto si ferma nella notte

La Ternana oscura il Taranto e la leadership jonica si scioglie. Nella manche infrasettimanale di terza serie il primo stop della formazione di Dionigi scombina la classifica: adesso fuggono proprio gli umbri. Match difficile, sin dall'inizio: sotto i riflettori dello Iacovone (che, storicamente, non portano molto bene) Bremec e soci non incidono, poi si smontano, quindi subiscono lo svantaggio, infine si arrendono alle buone argomentazioni di Ambrosi, guardasigilli stagionato, e a una robusta dose di ostruzionismo dell'avversario. Ridurre tutto alla malizia ospite, però, è riduttivo e allontana il discorso dalla verità. La Ternana imbriglia il Taranto, lo stringe, lo asfissia. Pressa e aggredisce alto, riparte con risolutezza: cioè, s'inventa la partita ideale. Ma, di contro, la squadra bimare non è quella di altre volte: più costretta, più prevedibile. Manca l'apporto sulle corsie laterali, Rantier non indovina il guizzo, Chiaretti è molto cercato dai campagni, ma pure dalla controparte. Girardi, artigliere di riferimento, lavora tantissimo per la squadra: però, giocando così, non segnerà mai. Anche dietro si accumula qualche esitazione (Coly, ad esempio, sembra un po' superficiale, in alcune situazioni). La partita più importante, cioè, è quella più imperfetta. Càpita: in particolare, quando l'atmosfera si gonfia di pressione. Quella pressione che, forse, il Taranto comincia ad avvertire. Cambia poco, comunque: il campionato va avanti. Adesso, tuttavia, l'ambiente (la tifoseria) è obbligato a gestire il momento, le prime difficoltà. Vivendo la caduta come un incidente di percorso e niente più. Stimolando, anzichè caricare toni e attese. Supportando, senza calarsi negli atavici timori che si trasformano in polemica. Può essere l'anno giusto, malgrado un antipatico equivoco. E' sufficiente non avvelenarlo con l'autolesionismo dei tempi più o meno antichi.

mercoledì 12 ottobre 2011

Foggia, difetto di entusiasmo

Il campo di casa è sempre il problema in più. Neanche l'affaticato Viareggio riesce a incoraggiare il Foggia, deludente nel risultato (un pareggio) e nella sostanza. Il Foggia che continua a non piacere alla sua gente. Che, soprattutto nella seconda parte del match, patisce una squadra spenta, senza nerbo, priva di accelerazioni, un po' seduta, svogliata. Praticamente impalpabile. E corrosa, analizza il tecnico Bonacina, dal timore di doversi impossessare della partità, cioè dalla paura di vincere. Malattia, questa, peraltro pure plausibile per un organico molto giovane che, evidentemente sta vivendo una fase assai travagliata della propria maturazione. E, dunque, motivo assai valido per abituarsi ad un rendimento incerto. Eppure, la tifoseria sembra progressivamente allontanarsi, sotto il profilo emotivo, dal Foggia: sempre di più. Non a caso il presidente, proprio prima dell'ultima fatica in campionato, aveva caldeggiato un avvicinamento, non solo formale, tra il pubblico e i protagonisti del campo. La proposta, però, sembra essere passata veloce, senza lasciare grandi tracce di sè. Scarsamente assistita dal gioco prodotto, ovviamente. Ma mal surrogata da un difetto di entusiasmo popolare. Andato via con Zeman, probabilmente. O consumatosi nel progetto societario, creduto diverso, cioè suntuoso. E, invece, intriso di sano realismo. Il realismo che, alla gente, fa paura. E che neppure l'amarcord della scorsa stagione è riuscito a puntellare.

martedì 11 ottobre 2011

Grottaglie, svolta cercasi

Il Grottaglie esita. E non avremmo potuto attenderci di meglio, con le premesse che sappiamo. Marrone e Pizzonia, certo, alla fine sono riusciti a mettere su una squadra: capace di galleggiare in attesa degli eventi. Affidando le maglie a diversi volti già conosciuti: gente attirata con promesse, affetto e lusinghe, ma probabilmente non abbastanza temprata da garantire con certezza la salvezza. La classifica, oggi, dopo un mese e mezzo di campo, è quella che è: zoppicante, seppure ancora non drammatica. Cinque punti sono esattamente quelli ci saremmo aspettati, al culmine dell'ottimismo. Maturati con fatica, anche a fronte di sventure vistose (il sette a due rimediato a Caserta, per esempio) e di tredici reti già incassate (peggior difesa del girone, dopo quella del Real Nocera). Anche di fronte al Nardò, domenica, l'Ars et Labor ha denunciato i limiti noti: pure in fase di possesso. E sotto il punto di vista del carattere. Pochi argomenti e zero a zero scontato: anche per la cattiva giornata attraversata anche dall'avversario, raccontano le cronache. Parallelamente, si evolve lentamente la questione legata all'avvicendamento della società: Ciracì conferma di voler lasciare, ma le trattative (sotto traccia) non decollano ancora. L'alone di incertezza si allarga e, evidentemente, questi sono momenti in cui l'ambiente (esterno ed interno) si deprime ancora di più. Facile dedurre che, a questo punto, una svolta (una qualsiasi) è improcastinabile. Proprio per rassodare il profilo psicologico di squadra e tifoseria. Per tutto il resto, invece, sarà necessario attendere dicembre e la nuova sessione di mercato. Non se ne può fare a meno.

lunedì 10 ottobre 2011

Martina, il passo è cambiato

E' ufficiale, adesso: il Martina di oggi non è quello di avvio torneo. Più prevedibile, meno fluido, vagamente impacciato. Nonostante a Nardò, appena domenica scorsa, avesse cancellato qualche distonia emersa nel corso della gara pareggiata con la Viribus. Questa volta, si trova di fronte il contratto Campania di Piscinola e mastica amaro per un po'. Vince, certo, ma su calcio piazzato (De Tommaso, dopo venti minuti di match). Lasciando credere che avrebbe dovuto penare parecchio, se non avesse trovato il gol nell'unica occasione favorevole. Oltre tutto, sotto un temporale che, generalmente, premia chi si difende. E che, invece, finisce per avvantaggiare i ragazzi di Bitetto, ormai in vantaggio. La volontà non manca, sia chiaro. Ma la manovra è più compassata, il passo è più pesante e le idee scarseggiano. Soprattutto se Chiesa viaggia sulla fascia (sinistra), avulso dal gioco. Mentre Irace deve pensare ad assicurare quantità, in mezzo al campo. Chiesa, peraltro, fa molto meglio nella ripresa, quando si accentra (ovvero, quando il modulo, dal 4-4-2 iniziale, che in fase di possesso si trasforma in 4-2-4, passa al 4-2-3-1). Successo sofferto, dunque. Ancorchè complessivamente legittimo: un dettaglio, tuttavia, che non contraddice il concetto. E che, però, solleva il morale dell'ambiente e, in particolar modo, di Bitetto, che alcune voci volevano già in pericolo, a beneficio di Pizzulli, un ex dedicatosi recentemente alla panchina. Proprio perchè partire bene non basta: ma occorre ripetersi. E perchè Martina pretende immediatamente la C2, senza voler attendere.

Il giorno dopo la partita, intanto, scopriamo su un organo d'informazione d'oltre confine che il clima caldo non è peculiarità esclusiva dei campi campani, tristemente noti. La società del Campania, infatti, denuncia il clima di aperta ostilità sofferto a Martina. Dentro del campo. Può darsi: non potremmo mai testimoniare sulle parole spese e sui fatti accaduti lontano dalla tribuna. Da dove, però, non sono passate inosservate certe rudezze del Campania. Difficile assumere una posizione. Anche se resta il sospetto che club e squadra napoletana abbiano preparato il terreno fertile per il match di ritorno.

venerdì 7 ottobre 2011

Nardò, leader inatteso

Partenza sprint, flessione e poi allungo: la leadership del Nardò (un punto su Ischia, Casertana, Campania e Francavilla) nel girone appulocampano di serie D possiede una sua storia. E, di certo, un po' sorprende quanti, piuttosto, attendevano in vetta altri concorrenti. Ma l'appiattimento delle forze del torneo permette questo ed altro. E, comunque, la formazione di Alessandro Longo non usurpa nulla: malgrado domenica, nel derby vinto sul Martina, non abbia abbagliato gli osservatori. Riuscendo a rimediare tre punti in un match in cui sono gli avversari ad avvicinarsi più spesso alla marcatura. E nonostante sette giorni prima, ad esempio, un altro derby (quello di Casarano) abbia generato uno zero a zero insipido e anonimo. Il Nardò, tuttavia, è una realtà solida, che si appoggia a qualche singolo di buoni propositi (i sudamericani Garat, Pablo Veron e Pereyra). In attesa che diventi disponibile Pierguidi, una punta su cui il tecnico punta dichiaratamente. Nel frattempo, molta risolutezza e la capacità di adattarsi, sul campo, a qualsiasi situazione riescono a spingere una squadra ordinata. Che, evidentemente, non pretende di brillare, ma di appoggiarsi all'affidabilità. Una dote che premia spesso, in quinta serie. Più della tecnica pura e dei cognomi importanti.

giovedì 6 ottobre 2011

E l'Andria cresce

Il derby, cioè la svolta. Dalla sfida con il Barletta in poi, l'Andria è cresciuto. Si è rassodato. L'Andria scorbutico e tignoso di Di Meo comincia a realizzare e realizzarsi. E ad attirare qualche simpatia. La gente che tifa fiuta il carattere della squadra e approva. L'Andria ha diritto di cittadinanza nel torneo. Anche a Trapani sa farsi apprezzare. E si fa rincorrere da un avversario attrezzato. Pari meritatissimo e utilissimo: in coda ad una gara diventata più difficile a lavori in corso (l'espulsione, peraltro contestata, di Cossentino) e interpretata bene, soprattutto in fase di non possesso. O, se preferite, di interdizione. Fuori casa, da tre match, l'Andria non si piega: e questo significherà pur qualcosa. Dimostrando di possedere solidità e resistenza alla sofferenza. Assomigliando sempre più al suo caudillo Di Meo, tecnico pratico ed essenziale. Un grintoso o, come si dice, un combattente: che sembra essere riuscito a plasmare la squadra, avvicinandola al proprio concetto di calcio. Una squadra che si è guadagnata un'identità, un marchio di fabbrica. Tutto, ora, dovrebbe diventare più semplice. E, sicuramente, su questo organico sarà più agevole lavorarci, adesso. Senza illudersi troppo: il processo di lievitazione, in casi come questo, è lungo. Ma, spesso, consequenziale.

mercoledì 5 ottobre 2011

Bari, un pericolo chiamato fallimento

Il Bari scopre di saper vincere anche a casa propria. Piega il Livorno di misura e la seconda affermazione di seguito, oltre che al profilo psicologico di una formazione di ancora difficile definizione e di complicata lievitazione, fa benissimo anche alla classifica. Che adesso, però, sarà immediatamente indebolita dall'imminente penalizzazione di due punti, conseguenza diretta della fallita corresponsione, da parte della società, di alcune mensilità alla squadra: le restrizioni federali, in materia di amministrazione, non risparmiano nessuno. Non che il Bari non possegga dei crediti da esibire: ma, tecnicamente, il ricavo dell'ultima campagna acquisti potrà essere goduto soltanto più tardi. E' quello che sapevamo e di cui non dubitiamo. Ma, se l'operazione bancaria di copertura è fallita all'improvviso, proprio mentre sembrava che l'ier fosse in via di felice definizione, significa che qualcosa non va. Nella realtà, Vincenzo Matarrese, proprietario del club malgrado l'allontanamento dalla gestione quotidiana e, quindi, primo referente legale della società di via Torrebella, non firma il documento decisivo, quello che avrebbe tranquillizato i due istituti di credito: detto così, certo, il concetto è semplicistico, ma rende l'idea. Capire la motivazione diventa arduo, ma il ventaglio di possibilità non è ampio. Il pericolo vero, allora, è che i crediti non bastino, già ora, a colmare il deficit. E che la situazione stia velocemente precipitando, aprendo diverse strade: una delle quali, si sussurra, porta al fallimento. Fatto singolare per un club che, per lungo tempo, si è vantato di non aver accumulato passività, a fronte di un'oculata gestione del pallone sull'Adriatico. Ovviamente, navighiamo nel campo delle supposizioni: malgrado la penalizzazione sia un fatto incontrovertibile, che non può nascondere un disagio ormai acclarato. Che, magari, non inficierà più di tanto sulla classifica finale. E che, però, impone a tutti (e, ovviamente, soprattutto a Matarrese) di raccontarci cosa è successo, cosa sta succedendo e cosa accadrà.

martedì 4 ottobre 2011

Lecce, un film già visto

E' un film già visto: il Lecce cede troppo presto e non recupera. Affondando prima del tempo, cioè dopo mezz'ora. Il Salento fa felice anche il Cagliari e, adesso, il terz'ultimo posto (tre punti, due gradini sopra Cesena e Bologna) comincia a disturbare una squadra che giostra senza grinta e poco disposta ad aggredire (parole di Mesbah e anche del coach), erroneamente ritenuta competitiva per centrare l'obiettivo minimo di partenza, ma - tecnicamente e caratterialmente - ancora inaffidabile in una competizione che non ammette debolezze congenite. Di Francesco, intanto, riesce a salvare la panchina, almeno per il momento, e si pregia di poter approfittare della sosta: intermezzo utile per lavorare e per studiare le soluzioni idonee a correggere il passo. Che, così com'è, conduce alla retrocessione: senza dubbio alcuno. Ma una verità amara, tra le tante, è che il Lecce parte quasi sempre con l'handicap del gol subito a match appena aperto, nonostante i frequenti rimescolamenti tattici pensati per la fase difensiva. E' accaduto quasi sempre: e, quando non è accaduto, è arrivata la vittoria (a Bologna). Handicap da combattere con la paura di non farcela, con l'assillo di non essere all'altezza del compito, con il sospetto di non possedere gli argomenti giusti per rimediare. Con l'aggravante di coltivare gli stessi errori, all'interno della stessa partita: è il caso di domenica, ma non solo di domenica. Il gap, allora, diventa un fosso troppo profondo per un collettivo che non sa risalirlo e dal quale il tecnico (se non altro, davanti ai microfoni.) comincia a prendere le distanze.

lunedì 3 ottobre 2011

Taranto, adesso si può ragionare

Quando non affonda Chiaretti, punge Rantier. Due gol del francese e il Taranto va. Riconquistando, almeno sino al posticipo che attende il Como, la vetta della classifica. Il Viareggio non può opporsi: il divario di forze sembra evidente: due a zero limpido. Ma la formazione curata da Dionigi sembra poter pienamente disporre di se stessa, in ogni situazione. Possiede la personalità per schivare i pericoli e per puntare sempre al risultato. E l'efficacia per inseguire il progetto che si è disegnato. E' un gruppo, un blocco unito. Concede poco (anche e soprattutto a Sorrento, la settimana scorsa, in un confronto delicato, considerata la caratura dei campani) e arriva puntualmente al gol. Sa governare l'avversario e approfittare di un ingranaggio ormai oliato, affidabile. E' una squadra matura, di carattere solido. Approccia ogni gara con intelligenza, praticità, disciplina. Senza stress, senza convulsioni. Infine, l'ultimo match dello Iacovone spiega pure che il Taranto sta velocemente fortificando il proprio processo di autostima. Si sta, cioè, definitivamente appropriando della consapevolezza del proprio spessore. E sta seriamente cominciando a credere nelle proprie possibilità. C'è proprio tutto: adesso, si può ragionare.

giovedì 29 settembre 2011

Barletta, prime fibrillazioni

Si sparge l'impressione che il Barletta abbia lasciato il lavoro a metà. E chi ha visto la squadra perdere a Lanciano, nel clou della domenica, giura che la gente di Cari sia stata punita dall'indolenza o dalla pigrizia, prima ancora che dall'avversario. Niente affatto trascendentale, raccontano le cronache: malgrado la leadership del girone conslidata (e, comunque, sùbito smontata da una penalizzazione per inadempienze economiche della società, arrivata ad inizio di settimana). Il Barletta, cioè, potrebbe e non vuole: accontentandosi del pari, che sfuma poco prima della conclusione del match. Ma, al di là di qualsiasi introspezione e approfondimento della trasferta abruzzese, fa discutere quello che avviene immediatamente dopo il rovescio. Tatò, presidente che ha speso e pretende, si lascia scappare un paio di frasi intrise di disappunto e vagamente minacciose. E, così, per le strade, sul web e sugli organi di informazione comincia a circolare l'opzione di un avvicendamento tecnico (Mario Somma per Marco Cari). Certi segnali malvagi raccolti nel derby di sette giorni prima e persino a Prato, fa sapere il numero uno del club, trovano conferma a Lanciano: non va bene, in questo modo non si va avanti. Questo - parola più, parola meno - il concetto. Più tardi, proprio Tatò correggerà qualcosa, sgonfiando il caso e allontanando (per ora, almeno) l'ipotesi di un esonero inimmaginabile, appena due settimane fa. Ma le fibrillazioni da scoramento non aiutano (e non aiuteranno) il Barletta. E la pressione (quella interna, soprattutto) non faciliterà il compito del coach e della squadra. In una realtà calcistica che non necessita di ulteriori stimoli, ma di tranquillità. E dove basta poco, per ingolfare il motore.

mercoledì 28 settembre 2011

Fortis, tre punti di tregua

La trasferta felice di Oppido (due a uno in casa della Cristofaro) allevia le sofferenze del Trani, ne addolcisce il morale e smacchia l'alone di diffidenza ultimamente creato dall'ambiente sulla figura di Franco Dellisanti, tecnico chiamato per rilanciare il blasone del pallone sull'Adriatico pur senza disporrre di un organico di primo livello. I primi passi in campionato, del resto, parlavano di una squadra claudicante, persino dimessa, senza forza penetrativa (Guardabascio non garantisce un numero di realizzazioni particolarmente alto e il solo Artiaco non basta: anche per questo è recentemente approdato Sallustio, che disporrà di entusiasmo, ma non esperienza). Il successo di domenica, tuttavia, non autorizza a tranquillizzarsi eccessivamente, anche per lo spessore dell'avversario, oggettivamente modesto, come i numeri cofermano brutalmente. Ma, di sicuro, la scorta di buon umore non potrà non agevolare il compito che attende ora la squadra e, soprattutto, il coach, storicamente permeabile alle situazioni roventi. Scenario, questo, che il presidente Abruzzese non aveva probabilmente inserito in preventivo, in sede di campagna acquisti. Puntando, anche e soprattutto per inderogabili ragioni di bilancio, sulla nostalgia e sulla forza di un cognome strettamente legato ad una storica impresa, piuttosto che sulla competitività dell'organico. Della quale anche un big, peraltro un po' sbiadito, come Dellisanti non può fare a meno. Se non altro, perchè i miracoli, generalmente, non si ripetono spesso.

martedì 27 settembre 2011

Bari, c'è solo il risultato

La seconda vittoria del Bari arriva esattamente dove arrivò la prima, cioè a Modena, che è pure la casa del Sassuolo. Ed è un successo che si fa trascinare dai calci di rigore, assolutamente fondamentali per sorridere: Marotta ne trasforma due, sollevando la rabbia degli emiliani, che contestano con forza. Senza, con questo, promuovere pienamente la formazione di Torrente: rinfrancata dal risultato, che potrà aiutare a vivere e lavorare meglio, ma non ancora guarita. Malgrado il successo arrivi, oltre tutto, in inferiorità numerica (Forestieri si fa cacciare). Onestamente, le decisioni del direttore di gara influiscono pesantemente su un match in cui il Bari conferma, tra gli altri, i disagi di una condizione atletica tuttora insufficiente (l'avversario, quando serra i ritmi, lo costringe ad una fase di non possesso affannata). Però, se non altro, la squadra acquista più considerazione di se stessa, compiendo un passo avanti nella ricerca di una propria identità definitiva. L'entourage adriatico, tuttavia, fa bene a non celebrare eccessivamente i tre punti: segno che, negli spogliatoi e dietro le scrivanie, il realismo è moneta corrente. E che certe dichiarazioni affrettate del passato recente hanno impartito la lezione.