lunedì 25 novembre 2013

Dieci risultati di fila e il Foggia emerge


E’ da dieci turni che il Foggia realizza il risultato, in casa e fuori. E due mesi e mezzo senza sconfitte si traducono, in classifica, con un terzo posto appena scalato. La continuità, in questo campionato di C2, premia per forza. Spingendo la gente di Padalino a confidare seriamente nel conseguimento di quel passaporto utile ad accedere in terza serie unica. Anche se la situazione di work in progress stagnerà a lungo (e il discorso vale per chiunque). Tanto che nessuna concorrente, con il regolamento attuale, potrà vivere serenamente sino a maggio. Oltre tutto, il campionato non ci sta regalando troppe realtà inattaccabili: e, davanti ad un grande equilibrio di fondo, è sempre possibile tutto e il suo contrario. Non è consigliabile illudersi, ovvio: ma, intanto, il Foggia è competitivo. Tra lacune e amnesie: ma competitivo. Quanto basta per giocarsi tutte le proprie chance. E per scegliersi da solo il proprio destino. Nel frattempo, è pure auspicabile che Giglio e compagni provino, magari, a migliorarsi (la squadra soffre ancora di cali di tensione fastidiosi e, spesso, difetta nelle operazioni di gestione del vantaggio o della gara) e a pretendere sempre più da se stessi. Per il momento, però, il passo più sicuro e la regolarità sulla strada del gol sembrano supportare agevolmente il progetto a cui il club non rinuncerebbe per alcun motivo, ovvero l’inserimento tra le prime otto del torneo. Malgrado, proprio come ieri, il tecnico abbia dovuto rivedere qualcosa, anche tatticamente, a causa di diversi indisponibili (mezza difesa era out). Il 4-3-3, cioè, non provoca smottamenti irrimediabili: al di là di qualche fibrillazione evidente e di un intervento risolutivo di Narciso (il Castel Rigone spreca l’occasione di pareggiare dagli undici metri, non dimentichiamolo). Ma, adesso, conta soltanto un dato: questa squadra, comparata a quella degli albori della stagione, sembra più tosta, più convinta, più rodata: e, se i suoi singoli più esperti e rappresentativi disciplineranno il proprio rendimento, il traguardo diventerà oggettivamente abbordabile. Pochissime eccezioni a parte, in giro non c’è molto di meglio.

giovedì 21 novembre 2013

Il Brindisi e l'insufficienza dei ricambi

Il campionato non esclude gli appetiti del Brindisi e, anzi, continua a premiarlo con una classifica di vertice. Per niente scalfita da un paio di passi sbagliati (la squadra di Ciullo non sfigura davanti alle altre big, ma di fronte a concorrenti molto meno qualificate perde punti) e neppure da quei tre punti guadagnati sul Nardò e poi cancellati dal provvedimento di esclusione dei salentini dal torneo (intanto, però, il turno obbligatorio di riposo è già consumato). E anche la maxisqualifica del suo miglior realizzatore, Gambino, sembra non incidere: contro la Mariano Keller, ad esempio, torna alla marcatura Albano, rinforzo di lusso arrivato a stagione in corso. Per imporsi ugualmente, evidentemente, bastano le folate di Pellecchia, la freschezza di Fella, le geometrie di Marsili e la quantità di un gruppo che sa lavorare in silenzio. Ma, se le defezioni si assommano, alla lunga il problema nasce. In Coppa Italia, ad Agrigento, il Brindisi si arrende e abbandona il proposito di perseguire una strada alternativa per il professionismo. Ai quarti si qualifica l’Akragas, formazione solida e meno rattristata da infortuni e squalifiche. Gambino, questa volta, c’è. Mancano, però, Cacace, Sicignano e Pellecchia. E, in corso d’opera, Ciullo deve rinunciare a Bove, varando una linea difensiva assolutamente inedita e, probabilmente, inefficace. Nei primi venticinque minuti del match, i siciliani imbastiscono di più. Poi, il direttore di gara sorvola su un intervento scorretto in area agrigentina, dopo che un pallone interessante si è appena smorzato sulla traversa. Il ritmo non eccessivamente alto del match pare assecondare gli adriatici, ma i destini si compiono (amaramente) nella seconda parte della ripresa. Quando, appunto, il Brindisi sconta le insidie già conosciute e gli imprevisti di percorso. Riproponendo una controindicazione antica, che non era sfuggita agli osservatori più attenti e neppure su queste colonne: la disponibilità di pochi ricambi nuoce. Soprattutto, nel vivo delle competizioni. Non è fastidio da poco: malgrado l’euforia dei primi risultati abbia, per un certo periodo, accantonato la realtà in un angolo. La verità, però, sa riemergere all’improvviso: e con la realtà, adesso, occorre fare i conti. Il Brindisi, così, si trova davanti ad un bivio: un percorso porta a nuovi investimenti (sempre che il club disponga delle cifre che servono per continuare a competere), l’altro ad un ridimensionamento progressivo delle pretese.

martedì 19 novembre 2013

Monopoli, giù la maglia



La timidezza del primo tempo e l’imperizia della seconda parte del match condannano il Monopoli. E fruttano ai lucani del Francavilla un successo di prestigio e di sostanza. La gente di De Luca si ferma ancora, in trasferta: accade per la quarta vota in tre mesi. E non sono numeri che autorizzano a confidare così facilmente nella promozione tra i professionisti, ovviamente. Malgrado l’approccio alla partita si consumi con argomenti promettenti, l’aggressività evapora presto: e resta una squadra senza profondità, che si limita a controllare l’avversario, svolgendo il proprio compitino e niente più. Che si risveglia prima dell’intervallo. E poco prima della fine della gara. Troppo poco, Anche se il coach, davanti a block notes e microfoni, parla di un gran primo tempo della sua squadra (difendere il gruppo va bene, ma esagerare stona: decisamente). L’assenza dell’acciaccato Lanzillotta si fa sentire - e come - . E Di Rito, scartato dallo scacchiere di partenza, entra soltanto nella ripresa: la prestazione, forse anche per questo, resta lacunosa, innervata di esitazioni. In questo campionato, è vero, nessuno sfugge ai pericoli del percorso (pensate: le prime cinque della classifica, tutte assieme, hanno collezionato quattordici sconfitte in dodici giornate, e stiamo escludendo le tre cadute della Turris, che viaggia in sesta piazza), ma la tifoseria al sèguito di Laboragine e soci ci resta assai male. L’accusa popolare si concentra sul difetto di impegno, sulla mancanza di attaccamento alla maglia. A fine match, la contestazione (anche se la società dribbla il vocabolo) è decisa e chiassosa. E non passa affatto inosservata. Il gruppo è chiamato a svestirsi, a lasciare le maglie. Che vengono, per la cronaca, affidate alla società. Non requisite, per intenderci. E’, comunque, un gesto forte, netto. Antipatico, certo. Che ricorda quello, più noto e sviluppatosi in un contesto più composito, della torcida del Genoa (roba di un paio di stagioni addietro). E che scatena facili disamine sociologiche applicate al pallone, alcune anche pertinenti (il disagio e la rabbia degli ultras si fanno sempre più pressanti, non c’è che dire: e il calcio, anche per questo, ma non solo per questo, annaspa). Finendo per interessare anche la stampa nazionale e la televisione generalista. Che, però, finisce per accostare forzosamente i fatti di Francavilla con quelli (recenti) di Salerno, in realtà di più pesante natura. Anzi, per dirla proprio tutta, l’equazione indispettisce alquanto. Perché disinformata e tecnicamente sbagliata. Perché di qua c’è semplice contestazione e di là, in Campania, ci sono minacce (ancora da provare, per inciso) e progetti predefiniti nei dettagli. Perché da una parte c’è una partita mai nata e, da quell’altra, un match regolarmente giocato e malamente perso. Oltre ad un centinaio di dettagli differenti. Così, giusto per ricordarlo.

lunedì 18 novembre 2013

Il Grottaglie riparte e respira



Grottaglie-Real Metapontino, innanzi tutto, serve a capire che squadra trova – e che può cominciare a plasmare – Giacomo Pettinicchio, condottiero alla prima stagionale. Il trainer tarantino, intanto, possiede due motivi per confidare in un esordio il più morbido possibile: il calibro dell’avversario, assolutamente alla portata delle attuali possibilità tecniche dell’Ars et Labor, e l’inserimento del primo puntello di metà stagione (Prete arriva in settimana, firma e gioca dall’inizio). L’approccio, pur intriso di volontà, è però anche caotico. Il Grottaglie prova ad occupare spazi vitali, ma concede anche qualcosa: e pure il gol del lucano Pignatta, peraltro sùbito pareggiato da Formuso. Il match è denso, ruvido quanto basta, tecnicamente sporco: il Real, di certo, è una formazione più fisica, talvolta più pragmatica, sempre disposta a battagliare, abbastanza coperta (4-4-1-1). E, se càpita, a guadagnare minuti preziosi. Particolari che, allo stato pratico, si scontrano con l’esigenza di Anglani e soci, che resta quella di perseguire una trama e di inseguire la costruzione del gioco. Ma, come accade molte volte, è l’intuito del singolo che sblocca la questione. E l’uomo della partita si chiama Faccini: il ragazzo, a secondo tempo appena partito, si inventa una conclusione dal limite (è il sigillo del due a uno) e, sei minuti dopo, disegna la traiettoria liftata del gol dell’ipotetica tranquillità. Il Real, comunque, non smette mai di mordere: e il 4-2-3-1 reimpostato da Catalano genera la marcatura del tre a due: che fa sperare, ma che non basta. L’Ars et Labor, così, dopo settimane lunghe e arrugginite, riconosce il sapore del successo e, finalmente, respira. Rompendo, oltre tutto, il digiuno al D’Amuri (non aveva mai segnato, sin qui). Il lavoro che attende Pettinicchio, però, resta. Come galleggiano ancora alcune amnesie (dietro, una certa leggerezza negli atteggiamenti mette a rischio il risultato troppe volte, in prossimità del novantesimo), certe esitazioni e certi limiti strutturali dell’organico.

domenica 17 novembre 2013

Martina, avanti adagio



Tra i buoni propositi del Martina, c’è anche il varo di un sistema di gioco diverso, il 3-5-2. Nella pratica, un accadimento intempestivo modifica immediatamente il percorso del match, anticipato al sabato al pari degli altri: a cento secondi dall’avvio, il calcio franco battuto dall’antico Mora trova la deviazione decisiva in barriera. Ischia in vantaggio e jonici ancora più frastornati del previsto. La reazione è affaticata, debole. Le indisponibilità (Petrilli, De Lucia, Salvatori, Dispoto, Di Lauri) peggiorano la situazione. Le condizioni del terreno non la leniscono affatto. Mentre qualche presenza inattesa in tribuna (Rocchi e Gigli, oltre a Memolla: tutti teoricamente arruolabili) incuriosisce. L’avversario, intanto, si limita al compito più semplice e concreto: attendere e ripartire. Mostrando, tuttavia, maggior lucidità. Senza spessore di manovra, la formazione di Bocchini (squalificato: in panchina siede Cimmino) si cerca, ma non si trova. Prima dell’intervallo, comunque, l’intervento del direttore di gara (cartellino rosso per Austoni: è il prezzo di una gomitata che vede l’assistente di linea) sembra accondiscendente. Comunque, soccorre. L’ingresso di un centrocampista (Aperi) per un difensore (Nucera), allora, muta il profilo del Martina, adesso disegnato con un 4-4-2 appena più vivace. Che, nella seconda porzione di partita, coglie l’esigenza di amministrare - di più e meglio – il pallone: ma manca la brillantezza, lo spunto, l’idea. A Gai non difetta, però, la conclusione dalla distanza che regala il pari. La superiorità numerica di Belleri e compagni, tra l’altro, comincia a pesare nelle gambe isolane. Il Martina, a questo punto, da inseguitore si fa inseguito. E potrebbe infilarsi, in quattro occasioni, nelle amnesie campane, senza peraltro arrivarci (è, ancora una volta, un problema di qualità: dei singoli e del collettivo). Finisce come nessuno avrebbe sospettato: con un po’ di recriminazioni nel bagaglio. Ma un punto, al novantesimo, è esattamente quanto spetta ad una squadra a cui non basta il cuore e la quantità dell’ultimo quarto d’ora. Il periodo in cui, cioè, l’Ischia certifica una realtà che avevamo decodificato da un po’: anche questo torneo di C2, malgrado l’appetito di tante protagoniste e molti organici attrezzati, è sostanzialmente modesto. Quasi quanto i precedenti. Un particolare che suona, per il Martina, come una speranza in più. Da far brillare, magari, quando arriveranno i rinforzi (il presidente, davanti ai microfoni, ne promette addirittura quattro, senza minacciare tagli). Digrignare i denti per un mese e resistere: è questo il nuovo ordine da rispettare.

giovedì 14 novembre 2013

Grottaglie, un cambio previsto



Il destino di Alberto Bosco era ovviamente segnato, da settimane. L’esonero era slittato, almeno un paio di volte: per pudore (il rapporto tra il presidente del Grottaglie D’Amicis e il tecnico, per esempio, era e rimane ottimo), buon senso (in fondo, può essere duro per chiunque consegnare all’allenatore un organico limitato nel numero e nell’esperienza e poi pretendere risultati copiosi), ristrettezze economiche (il nuovo arrivo sulla panca possiede pur sempre un costo ed è pure naturale che pretenda garanzie, cioè puntelli tecnici) e per il peso specifico della speranza, che accomuna gli uomini di buona volontà (la speranza di invertire un trend decisamente negativo e recuperare la strada per la permanenza in D). Però, le sconfitte si inseguono senza soluzione di continuità da troppo tempo. E l’ultima caduta, oltre tutto, è immediatamente apparsa rovinosa (sei a zero: sul campo della capolista Marcianise e con un uomo in meno per una larga parte di match, è vero; ma pur sempre di sei a zero si tratta). Di più: l’Ars et Labor, da almeno un mese, sembra aver imboccato il cammino triste dell’involuzione acuta, sotto il profilo degli atteggiamenti e della gestione dei novanta minuti: al di là del pessimo trattamento infertole dal calendario, che negli ultimi tempi ha riservato solo avversari di alta e altissima classifica. Bosco, dunque, questa volta non se l’è sfangata. Tanti ringraziamenti e un foglio di via: che la gente, oggettivamente, attendeva (non è poi sempre impossibile intuire il futuro prossimo). E via, verso un capitolo nuovo. Che si concentra attorno alla figura del nuovo coach, il tarantino Giacomo Pettinicchio: che, proprio dal Taranto, in estate, si è sentito profondamente tradito. Persona squisita e garbata: che, ormai, ha accumulato tutta l’esperienza che gli serve per provare a salvare il Grottaglie. Ma non ha accettato sùbito, Pettinicchio. Preferendo pensarci, prima. O, meglio, preferendo riscuotere innanzi tutto la promessa di ricorrere prontamente al mercato di riparazione che si sta aprendo. Anzi, il club gli ha già garantito un nuovo ingaggio, quello dello svincolato Prete: a Taranto con il trainer fino a pochi mesi addietro (il plotone dei fuoriusciti da quella formazione, quindi, si allarga). E un altro regalo potrebbe aggiungersi a breve (Fumai, condizioni fisiche permettendo). A questo, punto, magari, Bosco si starà già chiedendo come e perché i fondi siano improvvisamente spuntati all’orizzonte di un club tuttora in difficoltà. Ma è anche abbastanza noto che l’Ars et Labor si sarebbe comunque riattrezzata, a metà stagione: con o senza il vecchio condottiero. In fondo, però, il primo comandante della stagione ci sarà rimasto sufficientemente male: tanto che, elogiando il solo presidente, prima del commiato ha volutamente ignorato gli altri componenti del gruppo di comando. E, di sicuro, Pettinicchio è in grado di raddrizzare la questione, anche con pochi aggiustamenti (mirati, possibilmente). Intanto, la richiesta (quella formale, almeno) è abbastanza semplice: tornare a lottare per l’obiettivo, riconquistare il passo delle concorrenti dirette. Quello che il Grottaglie ha paurosamente smarrito.

mercoledì 13 novembre 2013

Bitetto e l'involuzione del Bisceglie

Il Bisceglie è già logoro. Si esprime a fatica e, ormai, soccombe anche a domicilio (anzi, sul neutro di Ruvo), di fronte ad avversario meno quotato e considerato (il Francavilla lo infila un paio di volte, sollevando la crudezza della realtà). A dispetto delle quotazioni che il campionato, sin dall’inizio, tributava ad una formazione che, di questi tempi, non punge (in tutto, sin qui, otto gol realizzati) e che, in fase di non possesso, si sta assentando parecchio. Del resto, anche l’ancora recente transazione tecnica (in panca, ora, siede Favarin) si è presto rivelata inutile, sul piano dei risultati e del rendimento sul campo. Che non si giova troppo neanche di determinati provvedimenti societari (Gambuzza e Del Core, attualmente, sembrano ai margini del progetto), evidentemente insufficienti a recuperare smalto ed energie smarrite. E’ già fuori dalla battaglia per vincere, il Bisceglie. Definitivamente, oseremmo aggiungere. Ed è il caso che la formazione stellata pensi a come evitare di essere risucchiata in quella per la sopravvivenza: perché tutti sappiamo come vanno certe stagioni e come maturano le situazioni più imbarazzanti. Le ultime note di cronaca disegnano una squadra in confusione, lenta e triste. L’ambiente è depresso, il presidente Canonico fortemente deluso. Ma, assicura, non ancora stanco (proprio ieri, pubblicamente, ha promesso di rafforzare la squadra, a dicembre). La scelta estiva degli uomini non paga: esattamente come un anno fa. E le discrete esposizioni economiche del club, ancora una volta, non lasciano sognare la gente che tifa. Mentre si riabilita assai la figura di Francesco Bitetto, il primo coach della stagione che ha già pagato con l’esonero l’involuzione progressiva della squadra. Non l’unico responsabile, a questo punto, dello stato di recessione. E, forse, neppure il primo. Intanto, e pure giustamente, l’allenatore esautorato reclama di aver incontrato, sotto la sua gestione, le formazioni più attrezzate del campionato. Mentre il suo successore le ha evitate: senza guadagnarci, peraltro.

martedì 12 novembre 2013

Papagni e il nuovo Taranto

Quattro partite con Papagni. Cioè, un mese di introspezione, riflessioni, manovalanza psicologica e operazioni tattiche. Dove l’esigenza di conoscere il cuore dei problemi si fondeva con la necessità di verificare le facoltà delle forze attualmente a disposizione e di scegliere le opzioni più affidabili. Quattro settimane di nuovo corso e quattro buoni risultati (pareggio a Pozzuoli e tre successi di fila, contro Grottaglie, Gladiator e Gelbison): ora, il Taranto sembra tornato il pericolo vagante che gli avversari temevano e la squadra solida e affamata che in riva ai due Mari si auguravano di poter salutare. Trenta giorni dopo, sullo Jonio c’è un’altro spirito. Si respira un’altra atmosfera. E brilla un’altra classifica. Il terzo posto (il Marcianise, leader del girone, viaggia quattro punti sopra e il Monopoli è davanti di una sola lunghezza), oggi, è la piattaforma ideale per poter barattare i dubbi dell’altro ieri con le velleità di sempre. Perché, nel frattempo, la squadra ha recuperato sicurezza in se stessa, serenità e ordine nelle strategie. Perché ha riconquistato passo ed energie nervose. Perché pochi e mirati accorgimenti nello scacchiere, un atteggiamento più aggressivo del collettivo, una gestione più consapevole delle situazioni di gioco e molto lavoro applicato sulla psiche della truppa, prima o poi, incidono profondamente. Eppure, Papagni non è un illusionista che s'industria a far magie. Ma un tecnico esperto e intelligente. Morbido e convincente. Ed è uomo semplice e diretto. Un po’ padre, un po’ psicologo. Uno che, con modi garbati, ottiene puntualmente il sostegno della gente che allena e la duttilità dei singoli. Non si è affacciato sulla piazza pubblica degli affari di mezza stagione, cercando svincolati più o meno pronti a salire in corsa su una macchina ingombrante e affaticata. Preferendo, piuttosto, capire caratteristiche palesi e nascoste di chi ha cominciato l’avventura in estate. Soppesando, indagando, incoraggiando. E valutando soluzioni nuove. Somministrando al Taranto una mentalità più costruttiva e infondendo, al di là di tutto, più coraggio: come a Santa Maria Capua Vetere, due domeniche fa, dove una semplice sostituzione (una punta per un centrocampista, niente di inedito) è diventata un messaggio preciso, un input meraviglioso. Utile a vincere il match. Eccolo, il Taranto di Papagni: al centro della corsa, nonostante tutto. Con il permesso della concorrenza, niente affatto irresistibile: almeno sin qui. E con una prospettiva importante: il tecnico, a dicembre, vorrebbe avvalersi di un altro difensore di qualità e di un centrocampista che sa gestire la palla (sempre che non l'abbia già trovato, proprio questa domenica: Ciarcià). Molto probabilmente, li otterrà.

lunedì 11 novembre 2013

Monopoli, un gol al fotofinish per cambiare umore


Le ambizioni non abortiscono alle prime difficoltà. E neppure al secondo ostacolo. Ma l’inconveniente di un infortunio doloroso, di fronte ad una concorrente diretta, proprio nella partita che dovrebbe consolidare l’immagine del Monopoli, rischia di nuocere gravemente alla salute. Indebolendo, nell’immaginario collettivo, il ruolo che la formazione di De Luca, ormai, rivendica con convinzione. I minuti di recupero, però, azzerano il pericolo: il destro di Lanzillotta non è potentissimo, ma angolato. E il pareggio raggiunto oltre il novantesimo, come per magia, scrive improvvisamente un altro tipo di letteratura. Raccontando di una squadra finalmente assetata, affamata e supportata dagli attributi più virili. Mancati, per inciso, in altre occasioni recenti. In un minuto, il quarantasettesimo della seconda parte del match, cambiano diverse cose: la classifica del Monopoli e del Matera (in vantaggio per settanta minuti, inutilmente), le analisi del dopo gara, l’umore dell’ambiente intero e le prospettive future. E certe debolezze fanno spazio ad appetiti nuovi. Il clou della domenica, peraltro, sembra promettere: Strambelli e soci entrano sùbito nel cuore della gara, elevando il quoziente di preoccupazione della mediana lucana, che fatica ad arginare le pressioni. Supremazia territoriale significa intensità: e tutto procede bene. Ma, appena l’intensità cala, spunta la qualità dei singoli del Matera, appena affidato ad una nuova guida tecnica (Antonio Toma). Matera che, in cinque minuti, colpisce due volte, ipotecando il risultato. E che, tuttavia, non possiede il dono della continuità, né una condizione atletica soddisfacente. Le quotazioni del Monopoli si rialzano dopo l’intervallo, appena si rialimenta la densità di manovra. L’ingresso di Laboragine, poi, arricchisce lo scacchiere di De Luca: anche se il numero delle occasioni da gol non si irrobustisce affatto. Ed è proprio qui, allora, che l’orgoglio s’inserisce nelle maglie della gara. Il Monopoli, in dieci contro undici, raccoglie le ultime gocce di coraggio e raggiunge l’obiettivo minimo. Ed è proprio qui che un giorno ingrigito dalle circostanze si riscopre fecondo di significati. E di consigli: per gli acquisti nel mercato di riparazione, innanzi tutto. L’acquisizione di un difensore, da oggi, è un’esigenza inderogabile. Adesso va detto in modo chiaro, inequivocabile. E non importa se diventerà contestualmente necessario tagliare qualcosa, nell’organico attuale. Adesso è il momento: anche perché sembrano davvero tutti (o quasi tutti) convinti dell’urgenza dell’operazione.

domenica 10 novembre 2013

Un'ora di bel Bari


Il Bari fatica ad affrancarsi al concetto di continuità. E la classifica, di conseguenza, non gode. Talvolta, la squadra si affloscia. E le preoccupazioni ritornano: perché la battaglia per la sopravvivenza non è un pensiero trascurabile. Ma il Bari che regola, a casa propria, il Varese (due a uno) non è affatto male: per un tempo, il primo, corre meglio dell’avversario, si fa preferire sul piano della manovra, gestisce il campo e, più tardi, governa bene il vantaggio firmato da Galano. Cerca la profondità e le sovrapposizioni (a sinistra, principalmente), si esprime con personalità e lascia alla timidezza dei lombardi poche geometrie. Sostanzialmente, la formazione di Alberti e Zavattieri è più tosta, come dimostra la buona quantità dei contrasti vinti in mezzo al campo: e il raddoppio, arrivato dagli undici metri (Defendi trasforma in apertura di ripresa) è sigillo che premia fedelmente la sua superiorità. Che viene un po’ scalfita soltanto nell’ultima fetta del match, quando il Varese ha già ridotto, sempre su penalty, il disavanzo, malgrado la sopraggiunta inferiorità numerica: tanto che il primo coach, davanti ai microfoni, a fine gara, è costretto a dettare il proprio disappunto che sorga dalla sofferenza finale. Globalmente, però, la prestazione deve rinfrancare, incoraggiare. Al di là dell’atteggiamento un po’ frenato di Bjelanović e soci, oggettivamente deludenti. E anche il modulo (di partenza è il 4-2-3-1, ma si finisce con il meno spinto 4-3-3) sembra efficace, nell’economia dell’organico. Che, è vero, certe volte si concede qualche pausa, persino comprensibile. Argomenti che spiegano quanto, oggi come oggi, sia legittimo concedere a questa squadra tutta la fiducia che reclama. E quanto, dopo tutto, l’obiettivo dichiarato non costituisca un impegno eccessivamente ingombrante.

lunedì 4 novembre 2013

Martina, il bonus sembra esaurito


Non dimentichiamo quanto pensavamo, sapevamo, scrivevamo. E neppure quanto prevedevamo: il campionato del Martina, cioè, sarebbe stato infido, affaticato. Per la bassa qualità media della base tecnica e per l’insufficiente esperienza di un organico costruito con seconde scelte. Piuttosto, a lavori in corso, ci era pure sembrato giusto cominciare a sottolineare la bontà del lavoro del tecnico: abile ad arginare i problemi con la sostanza del suo impegno quotidiano. Ma, malgrado questo, già discusso in qualche sotterraneo del club e mal apostrofato da qualche sostenitore sufficientemente accalorato. Eppure – è la nostra posizione ufficiale – padre nobile di almeno un paio di punti tra quelli (otto) sin qui collezionati dalla squadra. Di fatto, però, l’onestà intellettuale ci impone di aggiungere anche dell’altro: di come, ad esempio, da un mese a questa parte, la squadra stia vivendo un momento involutivo: sotto la prospettiva degli atteggiamenti, prima ancora che della manovra. Al di là dei risultati. E dei difetti di regolarità: che, peraltro, disturbavano il Martina anche nel suo periodo migliore. E che, pensandoci bene, assillano la maggior parte delle concorrenti del girone meridionale della vecchia C2 (ancora non abbiamo ammirato una formazione in grado di galleggiare sul concetto di continuità per novanta minuti o poco meno, Teramo e Lamezia compresi). Sì, la formazione di Bocchini sembra essersi appiattita, ultimamente: sul piano della pianificazione delle singole partite. E dal punto di vista dell’organizzazione. Due angolazioni sulle quali, per intenderci, si aggrappavano (e si aggrappano ancora) molte speranze coltivate in Valle d’Itria. Ieri, al Tursi, Petrilli e compagni partono morbidi, come in altre occasioni. E subiscono immediatamente il Tuttocuoio, collettivo che sembra disporre di un’ottima mediana, ma che – dopo essere passato in vantaggio – dimentica il compito e s’immerge nella realtà del torneo (venti, venticinque minuti di buon calcio non bastano a giustificare il diritto a pretendere i tre punti). Così come nel corso del match (perso) di fronte al Teramo, seppur obbligato a rincorrere,  il Martina si piazza (per un po’) dietro la linea della palla, dimessamente. Questa volta, comunque, l’avversario è meno furbo e, probabilmente, meno attrezzato: il pareggio, dunque, da qualche parte esce, prima dell’intervallo. Mantenendosi sino al novantesimo: senza proiettare, è vero, la formazione di Bocchini verso posizioni di classifica più serene. Ma nemmeno imbastardendo un percorso già difficile. E, soprattutto, rinviando un processo interno e pericoloso (con la sconfitta il coach avrebbe mantenuto il posto? Crediamo di no). Un punto, dunque: ma, oggettivamente, questo Martina non avrebbe mai potuto ambire a qualcosa di più di un pari (due conclusioni timide di Bozzi, un calcio piazzato di Provenzano e qualche sussulto sono poca cosa). Anche perché i singoli più dotati (come Petrilli e Di Lauri) vivacchiano, senza integrare il tasso di penetrabilità dell’organico. Che, forse, ha già del tutto utilizzato il bonus della buona disposizione tattica e della volontà operaia. Reclamando qualche stampella che solo il nuovo sponsor Gherardini potrà garantire entro il nuovo anno.

domenica 3 novembre 2013

E, alla fine, il Nardò si fa da parte

Senza spiccioli da spendere. Senza esperienza da piazzare sul campo, al fianco della gioventù arruolata . Senza chiarezza. Senza nuovi investitori. Senza prospettive. E senza il sostegno della sua gente. Il destino del Nardò sembrava segnato, da tempo: la prima rinuncia, agli albori di questo campionato di serie D, poi il secondo mancato appello. E il terzo forfait, dopo un breve break di speranza, seppur macchiato da troppi gol nella porta sbagliata, ceffoni sonori. Quindi, la quarta assenza sull’erba di Grottaglie (match previsto per oggi: ma non comincerà). Cioè, l’atto conclusivo. La società salentina firma la propria esclusione dal torneo, in ossequio ad un regolamento che non contempla sconti. Niente da fare, sotto il vestito del blasone non c’è più niente. Neppure l’impegno degli ultimi volontari che avevano accompagnato i giovani di Menichelli all’inizio di ottobre, giusto per scongiurare l’esclusione forzata (che, adesso sì, è improcastinabile). Neppure l’istinto di sopravvivenza. Eppure, dicevamo, qualcuno ci aveva persino provato: a resistere. Stoicamente. Cercando, così, di solleticare l’interesse di nuovi imprenditori. Malgrado l’intransigenza della frangia più calda del tifo, che aveva già deciso per l’eutanasia. Senza se e senza ma. In attesa di una società tutta nuova e di un titolo da acquisire altrove, l’anno prossimo. E dire che qualcosa era addirittura accaduto, negli ultimissimi tempi: Gianluca Fiorentino, ormai ex patron del Manduria, avrebbe voluto rilevare oneri e fastidi, lasciando vivere ancora il Nardò, impostandone sin da adesso il rilancio. Per poi scoprire che, forse, la fine delle trasmissioni e delle sofferenze era un sentimento largamente condiviso, anche tra chi non si era ufficialmente pronunciato. La resistenza, intanto, si è consumata in fretta. Sottraendo al girone appulocampano di quinta serie una delle diciotto protagoniste. Imponendo, da ora in poi, un calendario sempre zoppo. E rimodellando la classifica (i punti che verranno sottratti a quanti li avevano intascati non passeranno inosservati). Cala il sipario, resta soltanto la storia. Prima o poi, però, il Nardò rinascerà. Ripartendo dall’Eccellenza o dalla Promozione. Comunque, da un palcoscenico molto stretto. E ingiusto, per una della poche piazze di Puglia autenticamente legate al pallone e alla sua squadra. Tanto da privarsene per nove mesi: bene che vada.