martedì 31 luglio 2012

Andria, la rivoluzione di fine luglio

E' un'estate già abbastanza difficile. Ad Andria hanno rischiato di perdere la C, il professionismo e, magari, anche il pallone, in una rata unica. Affidandosi, nel momento dell'azione, ad un pool di volenterosi: dall'uomo della strada alla famiglia Attimonelli, che ha garantito la quota più alta della fidejussione da presentare in Federazione. Senza della quale il precedente atto di iscrizione sarebbe diventato inutile. Ovvio, allora, che il cognome degli Attimonelli abbia guadagnato, negli ultimi tempi, peso specifico nelle scelte. Ecco, le scelte: quella di Marco Cari (il coach) e di Pasquale Logiudice (il diesse) non devono essere piaciute eccessivamente a patron Fusiello, convinto com'è dell'inopportunità di ingaggi pesanti in tempi particolarmente cupi. Ad ogni modo, allenatore e manager hanno capito l'utilità di svincolarsi in fretta dalle palude di certi dinamiche societarie. Pochi giorni di lavoro e poi via: dimissioni. L'Andria, ora, avrà un nuovo tecnico, meno costoso e, soprattutto, abituato ad operare con minori pretese (si tratta di Cosco, praticamente riconfermato nell'incarico), un nuovo operatore di mercato (si rivede anche Torma), ma non possiede ancora la tranquillità per autogovernarsi. Probabilmente, non possiede neppure la fiducia popolare e certamente non dispone di una base societaria che lavori univocamente. A meno che, come sembra ormai logico, Attimonelli non esca nuovamente (e definitivamente) dal progetto. E' un'estate difficile: ma ci sono già tutti gli ingredienti per farla diventare impossibile.

mercoledì 18 luglio 2012

Il progetto del nuovo Taranto non decolla

L'iperattivismo di Flora spaventa la cordata di Papalia ed è tutto da rifare. O quasi. Il Taranto cerca ancora se stesso, un'organizzazione, una condivisione trasparente, un futuro. E attende ancora l'iscrizione ad un campionato: possibilmente, quello di D. Del resto, lo sapevamo: l'imprenditore barese è ormai abituato a fare calcio, solitamente non perde troppo tempo dietro ai dettagli e, soprattutto, vuole apparire in prima persona: determinando direttamente sui destini del club in cui va ad operare. Atteggiamento che, ovviamente, non può garbare a chiunque: soprattutto a chi si è speso in prima battuta per pruomuovere la resurrezione del pallone cittadino. Cullando, nei propri pensieri, altri nomi (per la panchina e i posti di comando) ed altre strategie. Il valzer delle proposte (incomplete), allora, continua. E spuntano altri nuovi soggetti: adesso sembra il turno di Francesco De Pasquale, ex proprietario del Montichiari, appena approdato a Mantova (così, almeno, si dice: ma, di questi tempi, chi può giurare su qualcosa?). Il regime di alta confusione, però, non giova. Con il tempo che scorre veloce, poi, la fibrillazione è destinata a crescere: e Taranto, che è piazza particolarmente umorale, può rimanerne travolta. Però, a dire il vero, Flora non si considera ancora fuori dalla lotta: rilanciando. Il problema, tuttavia, è anche un altro: manca un socio forte (Flora lo sarebbe), ma difetta pure la base (altre adesioni al progetto restano imprescindibili). E, con questi presupposti, non si decolla, non si parte. E si rischia pure di agevolare il compito di personaggi dal passato torbido che cominciano a soffiare assiduamente sul fuoco dell'incertezza.

martedì 17 luglio 2012

Foggia, si spezza il filo della storia

La soluzione campana (Esposito, attuale gestore del Marino, club di D, e del Valletta,  formazione tra le più titolate di Malta) non regge. E non risolve neppure l'interessamento di un imprenditore ligure, Pedemonte. Il Foggia, senza acquirenti e senza contante per coprire le falle (la fidejussione mancante all'atto dell'iscrizione) e, eventualmente, reinvestire, muore. Senza neppure inoltrare ricorso alla Covisoc. Adesso è ufficiale, ma - in realtà - la notizia era attesa. Niente più C1, niente più pallone, almeno per ora: in Capitanata, al massimo, chi può comincia a vagliare seriamente la possibilità di ripartire dalla quinta serie. In mezzo al mare delle polemiche già aperte e di quelle che si apriranno: in cui il nome di Casillo ne esce, agli occhi della gente, ulteriormente macchiato. Al pari di quello di tranti imprenditori foggiani: fermi, è questa l'accusa, di fronte al precipitare degli eventi. Proprio mentre, a pochi chilometri di distanza (Andria), il salvataggio riesce al fotofinish, in coda ad un'azione sinergica, coordinata tra operatori economici locali, della provincia e tifoseria. No, la guerra delle parole e l'incrocio di accuse, nel capoluogo dauno, non si esauriscono certo qui. Dopo che si è rischiato di peggio (l'ormai ex patron aggredito in un bar del centro cittadino, giorni fa). Intanto, in città, bandiere e casacche del Foggia brillano al sole della mortificazione e dell'orgoglio: è un atto d'amore, una riappacifacazione simbolica con la storia. Ma la realtà dice altro: che l'orgoglio è tradito e che il filo della storia si è spezzato. In altre occasioni, prima di oggi, il pallone di Capitanata aveva scansato il fallimento o l'entinzione. Questa volta, però, non è stato possibile. Evidentemente, nella sua speitatezza, il calcio sa concedere persino una proroga, un salvacondotto, nuove possibilità. Ma, alla fine, chiede il conto. Che, solitamente, è amaro.

lunedì 16 luglio 2012

La controtendenza del Bisceglie

L'epilogo migliore in Coppa Italia, quella dei Dilettanti. E l'automatica ammissione alla categoria superiore, cioè la D. Il calcio biscegliese vive il suo momento felice, alimentando gli appetiti della piazza: una piazza di tradizione, esigente e pure discretamente affamata, dopo diversi anni oscuri. Non è neppure un segreto che la proprietà del club (Canonico) è una delle poche realtà davvero virtuose del panorama calcistico pugliese, al momento. Significa che la società paga puntualmente (a anche bene), non lesinando sforzi per migliorare il suo status. Investendo con puntualità: sia in Eccllenza (la scorsa stagione) che in quinta serie. I primi affari di mercato, di questo mercato abbastanza povero e statico, sono importanti: si chiamano Di Matera (per chi conosce questi tornei è un nome importante) e Doumbia (ex Perugia, Bari, Andria). E seguono la conferma sulla panca di Nicola Ragno, tecnico assai quotato dentro i confini regionali. In due parole, sin da adesso, il Bisceglie sembra voler confermare la propria competitività anche nel campionato interregionale, concorrendo alle posizioni privilegiate. Guardando concretamente, cioè, alla possibilità di recuperare il professinismo perduto negli anni novanta. E procedendo, di fatto, in forte controtendenza. In un momento in cui le pugliesi della D vivacchiano (Trani), annaspano economicamente (Nardò, Grottaglie) o, addirittura, implodono (Casarano). E mentre altre realtà più titolate hanno rischiato tanto (Barletta), rischiano seriamente ancora (Andria, Foggia), oppure piangono copiosamente (Taranto). Ma è giusto pure che Bisceglie e il Bisceglie guardino avanti, con motivazioni e sogni: chi può, si accomodi. Purchè il progetto sia finalizzato a durare nel tempo, olre lo spazio di una o di un paio di stagioni meravigliose. Perchè è triste, ogni anno, sostenere le imprese di chi, a traguardi raggiunti, è costretto a prendere coscienza della realtà e cambiare strategie per necessità. Perchè la serie D o l'Eccellenza sono contesti ancora oggettivamente sommersi. Mentre il professionismo (quello ufficiale) è un'altra storia: con i suoi paletti e le sue costrizioni. Che, prima o poi, smascherano tutto. Senza sconti, per nessuno.

domenica 15 luglio 2012

Taranto, corsa contro il tempo

Il tessuto economico tarantino è disastrato da tempo. Ovvio, allora, che persino l'iscrizione di scorta alla quinta serie sia obbligata a percorrere strade tortuose. Blasi e Giove, ex presidenti di epoche diverse, si sono persino dimostrati interessati a recuperare la vecchia poltona, ma non troppo. E un altro vecchio numero uno del primo club cittadino, Emanule Papalia, sta faticando non poco a mettere assieme il contante che serve per coprire le prime spese federali (trecentomila euro) e quelle occorrenti per allestire l'organico e pianificare la stagione che verrà. Traducendo, allo stato, non esiste ancora certezza di nulla. Anzi, no: D'Addario a parte, il grande colpevole di radio popolare è il sindaco dela città bimare Ezio Stefano, con l'intera l'amministrazione comunale che non possiede ancora una giunta, un mese dopo le elezioni. Colpevole di tutto e di niente, ma capro espiatorio comodissimo, utile a nascondere le falle e le miserie di una comunità in crisi, che non riesce a sopravvivere a se stessa e ai suoi problemi. Non preoccupatevi, però, siamo a Taranto: dove le responsabilità sono sempre altrui. E dove possiede credito solo chi sa apparire o chi si adegua ad ogni circostanza, inseguendo il vento favorevole. Chiusa parentesi. Papalia, però, sembra aver allertato nuovi possibili soci: da Bongiovanni, ex patron della Prisma Volley (cioè la Magna Grecia della serie A trasferitasi poi a Castellana), a una figura assai conosciuta nel microcosmo del pallone pugliese: Antonio Flora. Pronto, chissà, a completare (o a proseguire) il suo personale itinerario all'interno della geografia calcistica regionale. L'ultima esperienza, quella di Fasano, si è esaurita in fretta e senza soddisfazioni. Esattamente dove l'imprenditore di Acquaviva non sembra aver trovato una sponda, cioè un sostegno indigeno concreto, ovvero quella che ritiene la condizione essenziale per operare in profondità. Flora, evidentemente, non ama impegnarsi mentre il mondo osserva: e, magari, questa soluzione (più persone attorno ad un unico tavolo) potrebbe andargli bene. Ma, di contro, all'ex presidente del Barletta e del Trani piace offrire al club a cui si accosta un'impronta che passa assai da vicino alle proprie idee. In due parole: vuole costruire la squadra, affidandosi a uomini a lui prossimi. E, nel contempo, guadagnare visibilità anche al di fuori del calcio. Probabilmente, però, è ancora presto per parlarne: a Taranto, occorre prima riorganizzarsi. E non appare per nulla semplice. Anche perchè il tempo sfugge. Del resto, chiedere aiuto fuori provincia è sinonimo di disperazione. Cioè di liquidità scarsa.     

sabato 14 luglio 2012

Brindisi, il titolo vola


A Brindisi i lavori procedono. Sintetizzando: Annino De Finis, uno dei soci del club adriatico, si è appena defilato, masticando amaro e rafforzando polemiche già antiche; il presidente Roma ha ufficialmente aperto il nuovo cantiere, che non vuole privare la gente che tifa di soddisfazioni legittime; Mino Francioso, brindisino del rione Paradiso, è il nuovo nocchiero che piace alla piazza e che risveglia gli appetiti (ultimamente ha guadagnato consensi a Pomigliano d'Arco e, prima ancora, a Martina); la campagna di potenziamento procede (dal vecchio Nola è appena arrivavato Cacace, ex Martina come il portiere Pugliese, dal Marsala è stato ingaggiato l'artigliere Palminteri, pedina che possiede mercato, dal Noto è stato contrattualizzato Rizzi e, infine, dal Trani è stato prelevato De Toma). Complessivamente, dunque, il clima è favorevole per pensare positivo. Di più: i conti non tornano per molti e, in C, si comincia a calcolare le defezioni. Cinque club sono già fuori dai rispettivi campionati di competenza e qualcun altro, sicuramente, si aggiungerà in seconda battuta. Allora, il Brindisi (dodicesimo nella graduatoria ripescaggi) prende a coltivare qualche speranza e a regalarsi un po' di illusioni: non si sa mai. La società, intanto, infrange il slenzio e ammette di pensare al salto non programmato, proclamandosi pronta ad un graditissimo salto di categoria. Pochissimi mesi dopo la minaccia di un nuovo impasse economico, che a metà della stagione appena conclusa sembrava avesse tranciato nuovamente qualsiasi ambizione: niente male, davvero. E smentendo, di fatto, pure le parole del nuovo sindaco Consales, convinto della migliore affidabilità di una programmazione graduale. Ma, nell'eventualità (seppur remota) che il ripescaggio si materializzi davvero, Brindisi e il Brindisi saranno nelle condizioni di reggere l'urto della C2 e del professionismo (ottenuto, nel caso, in anticipo sui tempi previsti)? Gli ultimi due precedenti dicono apertamente di no.

venerdì 13 luglio 2012

Il Casarano chiude (male) il progetto di risalita


«Torna in D, ne siamo consapevoli sin da adesso, non per partecipare soltanto. Ma per avvicinarsi alle antiche postazioni perdute: è questo il senso vero del progetto della famiglia De Masi». Senza omissione alcuna, è il copia e incolla di quanto scrivemmo su questo stesso blog nel marzo del duemilanove. Tre anni fa, non trent'anni. Ieri, però, il Casarano si è ufficiamente liquefatto, rinunciando a presentare domanda d'iscrizione alla quinta serie. Mentre il progetto si è infangato molto prima, sùbito dopo la deludente esperienza del campionato di serie D 2009/2010. La famiglia De Masi, del resto, si era progressivamente allontanata dal pallone e, più in generale, dallo sport cittadino (anche la scudettata società di pallamano ha calato la saracinesca, tempo fa). Soffrendo, prima di altri, gli effetti della recessione che, ovviamente, non risparmia l'imprenditoria di ogni angolo del Paese. Facendo due conti, ci siamo sbagliati un po' tutti. Ignorando, nelle previsioni, l'ineluttabilità degli eventi. Tutti: la stampa (noi compresi), l'opinione pubblica, la tifoseria e la stessa dirigenza del club. Quel progetto di risalita, depotenziatosi stagione dopo stagione, è ammarato infine nell'onta dell'impotenza. E il calcio, a Casarano, ripartirà da chissà dove, chissà quando. Ferito dalla crisi e da qualche calcolo inesatto, da una di quelle dinamiche strane che modellano e indirizzano il pallone di provincia e, non ce ne voglia nessuno, anche da certi giochi di potere che si nascondono dietro il paravento delle politica cittadina. In cui il calcio serve a guadagnarsi visibilità, prestigio e forza contrattuale. Diventando poi un fardello pesante. E, alla lunga, ingestibile. 

giovedì 12 luglio 2012

Serie D, il Grottaglie c'è ancora


Sì, il Grottaglie parteciperà ad un nuovo campionato di serie D. Timori cancellati, l'iscrizione è formalizzata. In tempo, ma praticamente al fotofinish. Merito di Giuseppe Ciracì, il presidente dimissionario, il patron che avrebbe voluto regalare il titolo all'amministrazione comunale, cioè liquidare cinquant'anni di storia dell'Ars et Labor. Invece, qualcosa sembra averlo convinto a modificare la strategia: si dice dell'l'interessamento diretto del primo cittadino e, soprattutto, di una promessa ricevuta in cambio. Qualche imprenditore, cioè, avrebbe pianificato un aiuto economico da erogare al club, probabilmente a lavori in corso. O promesso di rilevare il club in seconda battuta. Ovviamente, Ciracì si è fidato: strangolato, del resto, dall'etichetta che il caso gli avrebbe riservato per sempre, quella di gestore di un fallimento sportivo. Il calcio, allora, a Grottaglie riparte. Con lo stesso ammiraglio e, magari, con lo stesso timoniere (il tecnico Pizzonia) e con gli stessi programmi (formazione giovane, obiettivo salvezza). Meglio che niente. Anzi, molto bene così. Anche perchè alternative serie a questa realtà non ce ne sono mai state. Malgrado le parole vuote dei molti detrattori del numero uno della società. Detrattori che, spesso, hanno vantato lo spessore di acquirenti mai emersi concretamente e la serietà di trattative mai sorte per davvero. Ecco, il Grottaglie non ha mai interessato concretamente nessuno: questa è la verità. E, al momento opportuno, nessuno si è esposto. Piaccia o no, da quelle parti il pallone, oggi, dipende soltanto da Ciracì. Facciamocene una ragione.

martedì 10 luglio 2012

Una colletta salverà l'Andria?

La salvezza, senza neppure passare dai playout (eppure creduti inevitabili, ad un certo punto), come una garanzia. Di un futuro. Poi, in estate, l'Andria avrebbe dovuto riprovare a programmare: dalla piattaforma della terza serie. Cioè, a risistemarsi: sotto il profilo societario, che era la priorità assoluta. E ripartire con fondamenta più solide. Via Fusiello (ancora proprietario delle quote, tuttavia), urgeva un nuovo comandante. E contante da utilizzare velocemente. Niente da fare. Invece, l'impossibilità di assicurarsi una fidejussione per la nuova stagione agosnistica rischia fortemente di invalidare lo sforzo (minimo) dell'iscrizione, già regolarizzata, e di cancellare il diritto acquisito. L'Andria come il Taranto: è l'equazione alla quale la tifoseria non vuole assolutamente pensare. Proprio la base, però, sta accorrendo in soccorso al blasone del club: la sottoscrizione popolare è l'ultima strada, è la mossa più disperata. Che, peraltro, non eviterebbe il punto di penalizzazione già guadagnato per non aver completato nei tempi federali la pratica: pochissima roba, comunque, di fronte al problema vero. La gente che si muove, intanto, diventa il paradosso della realtà: crederlo, in un momento storico come questo, è difficile. Un paradosso intriso di romanticismo, ma che immediatamente diventa uno schiaffo doloroso. Per tutti. Sempre più convinti che il pallone sta morendo. E che non ha futuro. Come non ha futuro un Paese che, dalla lotterie, è passato direttamente alle collette.

sabato 7 luglio 2012

Martina, avanti a fari spenti

In attesa di collocazione. Ma con la certezza di vivere degnamente il suo presente. Il Martina, a promozione guadagnata, ancora non conosce la dimensione su cui dovrà misurarsi. C unica, oppure il vecchio format, con due divisioni distinte, cioè  la terza e la quarta serie: la Lega Pro deve ancora scegliere. Anche se tutte le sensazioni procedono verso la seconda ipotesi. Nessun problema, comunque. Perchè, se la C unica finisce per cancellare totalmente il gap accumulato con il fallimento della vecchia società, la semplice ammissione alla vecchia C2 consente a Muschio Schiavone e ai suoi soci di ambientarsi al professionismo per gradi. Riducendo i rischi e permetendo di pianificare con più serenità il futuro. Comunque vada, però, niente paura. Se non altro, perchè in Valle d'Itria sembra prioritario il processo di fortificazione del progetto, che poi passa anche attraverso la solidificazione dell'organico che ha appena conquistato l'ultimo torneo di D. Oggi come oggi, il Martina non appare dsposto a rivoluzionare l'assetto, ma a modellarlo: una soluzione che ci sentiamo di condividere. Il mercato, pare di capire, non toccherà ccessivamente l'elenco dei disponibili: anche se non è escluso che gente come Picci o Chiesa possa emigrare altrove. Certo, il timoniere della squadra (Bitetto) non potrà vantare la riconferma. Malgrado lo scudo protettivo di Adriano Favia. Il tecnico barese e il club si sono lasciati improvvisamente e anche un po' freddamente: con non poca sorpresa. Bitetto ha pure liberato qualche dichiarazione, intrisa di rammarico, ma il Martina non ha replicato, lasciando perdere. Anzi, offrendo sostanza al proprio proposito di apparire poco. La società, infatti, ha sensibilmente ridotto il suo raggio d'azione mediatico, stoppando anche il fertile canale dei comunicati stampa. Parlerà, da qui in poi, soltanto il sito web ufficiale. Nessuna concessione a chiacchiere, supposizioni, dibattiti: solo notizie certe, a fatti compiuti. Come l'assunzione del nuovo trainer (dovrebbe essere Totò Ciullo, ex Melfi), che però sta già lavorando sotto traccia, si dice. E, magari, di un direttore sportivo: figura ancora mancante, del resto (si parla di Califano, ex attaccante particolarmente prolifico). A fari spenti, è sicuro, lavorare è più facile.

venerdì 6 luglio 2012

Barletta, il futuro è giovane

La pratica è corretta. E l'iscrizione è regolare. Il Barletta è ancora in terza serie, nonostante qualche apprensione masticata nella prima parte dell'estate. Pronto a ripartire, sull'onda della delusione di un mese e mezzo fa, quando i playoff sfuggirono sui titoli di coda del campionato. Dunque, sull'Adriatico, il calcio è salvo. Merito del presidente Tatò: prima dimissionario e poi convinto dall'ambiente a rivedere posizioni e rotta. Certo, i programmi si impoveriscono. E i costi diventano un capitolo da monitorare spesso. Qualche big del passato torneo ha già rescisso il contratto. Qualcun altro, magari, cambierà residenza tra poco. La società punterà su un organico sostanzialmente giovane, possibilmente affamato: e, infatti, dalla Reggina è appena arrivato Dell'Oglio, un '92. Il nuovo diesse, del resto, si chiama Peppino Pavone, che ha lasciato Foggia per operare come piace a lui: abituato com'è ad offrire a gente rampante la chance di esprimersi. Anche il tecnico, annunciato ufficialmente da poche ore, è sulla stessa modulazione di frequenza e garantisce un certo progetto. Raffaele Novelli, da sempre, prova a fare calcio con gente senza pedigrée. E, spesso, ci riesce. Pavone e Novelli, così, diventano il manifesto di un'idea. Che nasconde, è ovvio, anche i suoi rischi. O, se non altro, qualche incognita. Come sempre, è importante abituarsi al concetto: per non trovarsi spiazzati dopo.