mercoledì 29 settembre 2010

Barletta, il progetto scricchiola

Ci sbaglieremo. O, forse, no. Ma la promozione burocraticamente guadagnata ad agosto sembra aver minato le fondamenta del progetto Barletta. Un progetto che ci stava piacendo. E non poco: per la linearità delle sue coordinate, per la chiarezza degli obiettivi, per l’attenzione dedicata dal club alle strategie di gestione. Il salto di categoria, invece, sembra aver resettato tutto. O, almeno, compromesso abbastanza. Magari, il Barletta non era psicologicamente (e strutturalmente) preparato alla terza serie. Probabilmente, l’assetto societario si è ritrovato all’improvviso in un ingranaggio troppo più sofisticato di quello appena lasciato. E, sicuramente, la C1 merita molte più cure della C2. Di fatto, però, si sono rincorse troppe stuazioni, nelle ultimissime settimane. La squadra, innanzi tutto, è sostanzialmente indifesa alle intemperie di un campionato più esigente. E, quindi, si è già adagiata con rammarico in fondo alla classifica (un punto in sei match). Poi, il presidente Sfrecola si è praticamente defilato: mantenendo un incarico simbolico. Contestualmente, l’arrivo del nuovo numero uno (Tatò) è stato salutato da qualche mormorio. Alimentato, peraltro, dal defenestramento del diesse Geria, surrogato da Marcello Pitino, storicamente vicino al vicepresidente Attimonelli. Al centro di questo vortice, intanto, si trova Sciannimanico. Con la squadra. Una squadra che attende puntelli, vale ripeterlo. Il tecnico è seriamente indiziato a lasciare la panchina: e, se domenica prossima non otterrà riscontri positivi, l’esonero pare scontato. E’ quello che accade in certe storie un po’ torbide del pallone. Sciannimanico, tuttavia, oggi appare il meno colpevole di tutti. Rischia di pagare l’errore di aver accettato un organico impreparato all’avventura e, forse, anche il profilo basso mantenuto sin qui. Nient’altro. Ma l’esonero, se dovesse concretizzarsi, sarebbe un errore pericoloso. Per la squadra, per la credibilità del progetto. E, soprattutto, un’ingiustizia vera.

martedì 28 settembre 2010

E il Taranto si dichiara. Ufficialmente

Dunque: la Cavese non sembra poi tanto male. Anzi. La classifica, se non altro, pare non rendere giustizia ad una formazione afflitta da una crisi societaria profonda, ma che sa far viaggiare la palla e organizzare pure qualche iniziativa decente. E poi il momento storico, per il Taranto, è importante: vincere significa accodarsi all’Atletico Roma, quindi dichiararsi apertamente. Per di più, di fronte ad un pubblico numeroso (ottomila paganti) e ad una diretta televisiva nazionale. Nel posticipo serale, la formazione allestita da Brucato deve arrampicarsi a lungo: sui propri problemi (in mezzo al campo, lo ribadiamo, manca un catalizzatore di gioco, uno che detti i tempi), su un avversario vivo e sulle insidie di un’occasione speciale. Non basta un tempo, per forzare il dispositivo difensivo dei campani. Anche se, dalle corsie laterali, sgorga più calcio che in passato. Anche se quei quattro, lì davanti (Innocenti più Rantier, Garufo e Ciotola) assicurano il movimento necessario per inventarsi qualcosa. La vittoria arriva nella ripresa: quando la Cavese si acquieta e si tutela. Quando il Taranto si fa più ponderoso in fase di possesso. Non è un successo epocale, ma il messaggio è chiaro. La squadra, mentalmente, c’è: perché, per esempio, non si lascia travolgere dalla paura di non vincere, lasciandosi sorreggere dalla lucidità necessaria sino al momento in cui la situazione cambia. La squadra, mentalmente, c’è: forse perché sa che, prima o poi, qualcosa accade. Oppure che, prima o poi, riuscirà a trovare la strada. La squadra, mentalmente, c’è: anche perché il clima che si è creato attorno è favorevole. Merito di un atteggiamento diverso: della società, innanzi tutto. Nei confronti della città, dei tifosi. Un atteggiamento finalmente non spocchioso, responsabile. E merito, ovviamente, dei protagonisti, sul campo. Il Taranto sembra conservare un’anima operaia, pur risiedendo a tutti gli effetti nell’aristocrazia del campionato. E il gruppo si segnala per essere un buon gruppo, unito. Molto più della stagione passata, per intenderci. Anche il tecnico si è avvicinato un po’ agli umori della piazza: e la cosa non guasta. Sono tutti input che la gente capta. Infine, anche il vocabolario è più prudente. Di promozione, sin qui, non s’è mai parlato, concretamente. E, se qualcuno ha lasciato intendere qualcosa, l’ha fatto con cautela, con garbo. Governare le parole ha il suo peso. E amministrare i sentimenti pure, in un ambiente come quello dei due Mari. Dove, adesso, molti cominciano a sognare. Proprio per questo, adesso, la società e la squadra dovranno saper giocare la partita. Giorno per giorno, situazione per situazione. Evitando, magari, di forzare eccessivamente i toni della querelle appena nata con l’amministrazione comunale sulla questione-stadio. Che rischia di turbare un momento di serenità, uno dei pochi in riva a Mar Piccolo, negli ultimi venti anni.

lunedì 27 settembre 2010

L'Ostuni e una sentenza già scritta

Certi timori cullati all’ombra del pessimismo erano legittimi. L’Ostuni è una somma di buone intenzioni, ma niente di più. Troppo inesperto, l’organico. E, oggettivamente, troppo debole: la serie D pretende qualcosa di più, qualcosa di meglio. Se n’è accorto, dopo molte parole di fiducia, anche Vittorio Insanguine, allenatore oltre tutto esordiente e privo di quell’esperienza che, talvolta, riesce a ottenere risultati insperati da una squadra improbabile. Il coach, al termine del match di Capriati (tre a zero al passivo, di fronte ad una sparring partner diretta nella lotta per la salvezza), detta il numero dei rinforzi utili per sperare in un futuro diverso: cinque o sei. Operazione che, in questo momento, il club non potrebbe permettersi, per le antiche difficoltà economiche. A meno che l’eventuale nuovo padrone (l’ennesimo) della società – Regnani, si dice, potrebbe rimpiazzare Rubino, con l’avallo del sindaco Tanzarella – non si presenti con un portafoglio interessante. Le prime quattro uscite di campionato, intanto, esprimono una bocciatura netta: altrettante sconfitte, senza il conforto di una prospettiva, di un segnale di crescita. Il tutto dentro un ambiente già depresso: dove anche il tecnico sembra aver ceduto, emotivamente parlando. Oggi come oggi, cioè, la retrocessione sembra già scritta, ad un mese dal via. Già somatizzata. Come la più naturale delle sentenze.

venerdì 24 settembre 2010

Lecce, avanti con discontinuità

Settimana piena. Tre partite in sette giorni. Dove si intrecciano la sconfitta (un po’ indigesta) di Cesena, il pareggio infrasettimanale con il Parma, in casa, e il prossimo impegno (a Palermo, domenica). E, per il momento, un punto soltanto. Che, assommato ai tre precedenti, fa quattro. Quanto basta per non mortificarsi e per cercare in se stesso energie nuove, utili a sacrificarsi ancora. Il Lecce è là, al di sopra della linea di massima preoccupazione e prova a scrutarsi, ad analizzarsi. Mercoledì parte con fatica, denuncia timori soffusi, ma recupera in tempo fiducia e vantaggio, facendosi raggiungere nell’ultimo quarto di gara e arrivando al novantesimo con qualche problema di carattere fisico, esattamente come l’avversario. Si sblocca Jeda (timbra dal dischetto), si rivede l’argentino Piatti, resta un’amarezza di fondo per uno score non sufficientemente difeso. Storie di ordinaria amministrazione.Visto così, la formazione di De Canio è un universo discontinuo e cangiante, alla ricerca di una propria identità, di un passo più affidabile, di prestazioni più omogenee. In mezzo al guado, in un passaggio obbligato: tra le difficoltà di una squadra appena rientrata sul palcoscenico della serie A e le prime conquiste. Si chiama processo di crescita, che nasconde molte insidie e non poche sofferenze. Con le quali il Lecce sa di dover convivere, sino alla fine.

giovedì 23 settembre 2010

Quelle frasi del dopo-derby

Zdenek Zeman fa sempre discutere. Per il suo calcio immediato, senza retrogusto. Dove si vince con molti onori e si perde con danni evidenti. Dove le mezze misure sfuggono al controllo. Ma il boemo ci aiuta anche a commentare in profondità. A pensare, qualche volta. Comunque vada, fa notizia. Involontariamente, molto spesso. Condizionando, magari, chi gli gravita attorno. Per quel suo bagaglio calcistico che è fatto non solo di 4-3-3 e di possesso di palla, ma anche di polemiche profonde e intestinali. Quelle che hanno inseminato il campo minato di Calciopoli o le cittadelle del doping. Quelle che continuano a bollire, anni dopo. Quelle che lo hanno reso invisibile agli occhi dei padroni del pallone. O a chi gestisce la palla che rotola sul campo. Quelle che lo hanno estromesso dal grande giro, già da un po’. Le polemiche (e le verità) che lo hanno inseguito, in cerca di vendetta. E, chissà, che forse lo inseguono ancora. Zeman si è sentito (si sente) un perseguitato. E, probabilmente, non sbaglia. E, chi lo tessera, sa a cosa va incontro. O dovrebbe saperlo. Il Foggia l’ha chiamato sulla propria panchina. Ma, forse, adesso comincia a temere. Qualche frase del dopo-derby (vinto a Barletta, domenica, con un risultato poco zemaniano, uno a zero: a proposito, dietro la squadra comincia ad offrire qualche garanzia in più) lo lascerebbe intendere: «Se ci lasciano giocare, possiamo fare bene», detta il presidente. Chiosando gli episodi più contestati del match (l’espulsine di Santarelli e poi quella dello stesso Zeman, rinchiusosi poi in un silenzio assordante). Ma sottintendendo pure qualche altra situazione poco chiara del passato recente. Parole da decifrare, ovvio. Anzi, da distillare: perché in possesso, almeno, di un paio di accezioni. Ma resta il sospetto che la società sospetti qualcosa. Diranno: qualcuno sta già malignando. E l’opinione pubblica sta sguazzando nel torbido. Può darsi: ma certe dichiarazioni non piovono mai per caso. Non è questo il punto, però. Il punto è un altro: sembra che il Foggia si ritenga, diciamo così, sotto osservazione. E non è un fatto positivo. Perché certi sentimenti finiscono per produrre, all’interno dell’ambiente, nervosismo di cui non si avvertiva la mancanza. E, nel migliore (o nel peggiore?) dei casi, anche una sequenza di alibi. Che non aiuteranno a crescere una formazione giovane, in pieno processo formativo.

mercoledì 22 settembre 2010

Andria, ingenuità e prospettive

Uno solo in mezzo a tre. Portiere compreso. E, ovviamente, l’artigliere (che si chiama Nicola Russo) colpisce. Al novantesimo, praticamente. E’ così che si perde un derby. E’ così che l’Andria maledice la tasferta di Taranto. Interpretata, questa sì, con la convinzione giusta, con la perizia necessaria, con la mentalità migliore. Quella che permette di condurre, ad un certo punto, il risultato e di raddrizzare l’andamento del match dopo che l’avversario si è rivoltato, ribaltando il punteggio. Adesso, Papagni e il suo entourage credono che la squadra si sia adagiata sull’emozione del recupero o, più semplicemente, su un pareggio ritenuto blindato, sicuro. E, invece, tutto da discutere, sino all’ultima palla. Come tante volte accade, del resto. Ma il coach, intimamente, spera anche di aver intravisto, nella trasferta sui due Mari, segnali di ripresa definitivi. O, quan to meno, nitidi. L’Andria, se non altro, oggi accetta la sfida. E, se accetta la sfida, dimostra di praticare anche un calcio di pubblica utilità. Non attende soltanto: ma s’industria per graffiare. Non si concede alle coincidenze della partita, ma prova anche a determinarla. Non s’inginocchia, ma lavora per crearsi una ragione. E, dunque, per combattere. Tanta roba, se pensiamo alle prime giornate del torneo. E, cioè, se torniamo indietro di pochissime settimane. Tanta roba, se la sensazione dovesse fortificarsi. Abbastanza per dimenticare un derby sprecato da un’ingenuità primordiale.

martedì 21 settembre 2010

Barletta, vietato sprecare altro tempo

Va male anche il derby e, adesso, si complica tutto. Il divario da recuperare cresce: e il Barletta, così com’è, non sembra poter reggere l’urto con un campionato eccessivamente impegnativo. Che la città e la società hanno inseguito ed ottenuto alla fine dell’estate: andando incontro, però, ad una stagione di travagli senza possedere le caratteristiche per sopravvivere con agio. E ad una C1 che necessita anche di un po’ di qualità. Con il Foggia, in casa propria, la formazione di Sciannimanico paga un’interpretazione maldestra di una situazione difensiva e cede di fronte ad un avversario teoricamente infiacchito da un’espulsione (quella del portiere Santarelli). In undici contro dieci, cioè, i limiti emergono con maggior crudezza. Che il tecnico non nasconde, sottolineando la realtà. E l’assenza di tempi lunghi per poter rimediare. Soprattutto se il club non ricorrerà al mercato degli svincolati, oggi l’unica alternativa praticabile per non ritrovarsi sùbito tagliati dal resto del mondo. Operazione che non sembra tecnicamente impossibile, dal momento che il nuovo presidente Tatò, presentandosi in conferenza stampa, ha confessato la disponibilità di rinvigorire l’organico, se dovesse rivelarsi necessario. Come, in effetti, è necessario. E non da oggi. La classifica non mente (un punto in cinque match): sprecare altro tempo è un pericolo inutile.

lunedì 20 settembre 2010

Bari, mezzogiorno difficile

Il calcio a mezzogiorno è una novità un po’ angusta che il Bari impara a conoscere tra le prime difficoltà. E il settembre di Puglia è ancora troppo caldo per certi azzardi del calendario. I trentacinque gradi del San Nicola finiscono per diventare così la migliore giustificazione ad un match zoppo e a uno zero a zero sufficientemente affaticato. Il pareggio con il Cagliari è l’epilogo di una gara difficile, mai decollata per davvero. Dove la squadra di Ventura è spesso ferma, assopita. E, talvolta, persa nelle palle lunghe, espressione di appannamento o appiattimento. Mancano, è vero, anche le geometrie di Almirón, partito dalla panchina. E l’avversario, in avvio, fraseggia bene e fa viaggiare il pallone, sistemandosi alto. Il Bari, sì, cresce lentamente, ma la crescita non è mai definitiva. Anche se l’attività, dalle corsie laterali, con il tempo s’intensifica. Il Cagliari, peraltro, sa attendere, sa disinnescare le limitate fonti di gioco altrui e, soprattutto, sa chiudersi bene. Il patrimonio di un paio di occasioni, infine, viene sciupato: e, allora, non resta che accontentarsi di un punto, ma anche della consapevolezza di aver sostanzialmente azzerato il temuto potenziale offensivo dei sardi. E prendere atto del concetto che il campionato va giocato partita dopo partita, punto su punto: perché nulla è scontato, neppure dopo le prime tre esperienze positive di questo campionato.

venerdì 17 settembre 2010

Il Francavilla si cerca

La retrocessione, la cattiva digestione, il ripescaggio, la ricostruzione in epoca di crisi. Gli ultimi mesi del Francavilla sono abbondantemente istruttivi: spiegano, cioè, quello che devono. La squadra affidata alle cure di Pasquale Logarzo non può non soffrire l’affannata rincorsa alla normalità e non può scrollarsi facilmente il peso delle difficoltà. Che sono le difficoltà di una squadra nata in fretta, a ridosso del campionato: anzi, ancora in fase di allestimento. Di una società che si è rimodellata all’improvviso (con il diesse Rubino, peraltro una vecchia conoscenza), che ha deciso di gestirsi con un budget limitato e che, quindi, deve alimentarsi di quanto si può permettere. Le prime due uscite, in campionato, dicono male: altrettanti insuccessi e una certa insofferenza a certe situazioni del campo. Il Francavilla non sembra ancora pronto. Non sembra ancora un blocco: si cerca, si insegue. E dovrà trovarsi, ancora una volta. E’ la condanna alla quale il calcio, da quelle parti, si è abituato, da un paio di anni. Ed è l’ultima scommessa di Distante, il patron che avrebbe voluto lasciare e che, invece, il ripescaggio ha incoraggiato a raddoppiare. L’ultima scommessa di un presidente che ritenta un progetto fallito solo pochi mesi addietro: coniugare la salvezza con una rigorosa virtù gestionale è un sogno che non si avvera spesso. Da cullare, oltre tutto, nello scetticismo: non tutti gradiscono, non tutti apprezzeranno. Anche chi, magari, oggi applaude convinto.

mercoledì 15 settembre 2010

Brindisi, piacevoli problemi

Nascondersi, ora, diventa improbabile. Anche se è a fari spenti che il Brindisi, duecentosettanta minuti dopo lo start del campionato, guadagna la vetta della classifica. Terza vittoria di seguito, questa volta ad Aversa. E nessuno che tenga il ritmo. Onestamente, non ce l’aspettavamo. Come non se l’aspettava la gente che tifa. E come non se l’aspettava la squadra, il suo condottiero e la società. Ma il dato è sufficientemente esatto: anche in Campania, la formazione di Florimbj giostra con appetito e sacrificio. Ritagliandosi una prova confortante in fase di non possesso e lottando strenuamente sino in fondo (Cejas, stremato a fine match, è il manifesto migliore di questo Brindisi operaio e rampante). E resistendo, perché no, alla reazione normanna. Molta concretezza, poca letteratura: la squadra riflette il credo calcistico del suo tecnico, che già deve difendersi da chi critica la qualità del calcio prodotto. I numeri, però, oggi parlano per lui. E per un gruppo che, evidentemente, si è già calato nella mentalità della C2. Che, dicevamo, adesso non più può deviare l’interesse che si è creato attorno. E che, all’improvviso, si ritrova caricato da responsabilità impreviste. Perché la controindicazione principale è proprio lì: il Brindisi, da sùbito, ha alimentato nell’ambiente delle illusioni. Con le quali occorrerà abituarsi a convivere. E sappiamo come, in riva all’Adriatico, sia particolarmente arduo gestire situazioni delicate. Anche se questi restano, in fondo, problemi assolutamente piacevoli.

martedì 14 settembre 2010

Seconda puntata: ed è un altro Lecce

C’è differenza, tra il debutto e la seconda recita del Lecce. E’ diverso, molto diverso, il risultato (successo, di misura, sulla Fiorentina). Ed è diverso, molto diverso, l’approccio alla gara, così come differenti sono l’intensità del gioco, la gestione dei novanta minuti, l’arte di saper stare in campo. Dalla sosta del campionato esce una squadra rivitalizzata, credibile. Che può giocarsi le fiches a disposizione. Certo, differente si dimostra anche l’avversario: opaco e, talvolta, impacciato. E, oltre tutto, anche penalizzato dal direttore di gara (il sigillo del pareggio gigliato, immediatamente invalidato, avrebbe onestamente meritato opposta decisione). Niente a che vedere, tuttavia, con il Milan di quindici giorni prima. Ma la formazione di De Canio s’industria con più coraggio, più applicazione, più sicurezza. Riuscendo a sveltire la manovra, a riscoprire la fame di Di Michele (è sua la firma della vittoria), l'utilità di gente come Vives e Grossmüller e a lasciarsi sedurre dalle accelerazioni e dalle intuizioni dell’argentino Piatti. E, soprattutto, a disegnarsi meno spaventata, psicologicamente più salda. Reinventata nella testa, prima ancora che nel modulo.

lunedì 13 settembre 2010

Bari, fiducia e consensi

Questo Bari miete fiducia e riscuote ancora consensi. E fa felice chi la sostiene. La personalità spesa a Napoli, prima del vantaggio e, al culmine della fatica, nelle ultime battute del match, quando va inseguito un risultato sfuggito chissà perché, assicura e conforta. E il calcio disegnato dal Bari, quello che Ventura si incarica più volte di sottolineare di fronte a taccuini e microfini e anche sul campo, a due a due appena sigillato, rivela una dedizione al servizio della continuità d’espressione. Ma questo Bari di Napoli fa anche un po’ immalinconire. E’ quel Bari padrone della situazione che si specchia e che dimentica di affondare quanto potrebbe, che si priva dell’opportunità di riparare lo score da qualsiasi intemperia, che disperde la possibilità di raddoppiare. Per questo, a fine gara, il coach si amareggia non poco. E solo la reazione finale stempera la delusione. Domanda logica, allora: bisogna essere contenti di questa squadra? Proviamo a rispondere, sintetizzando: sì. Perché certe emozioni rimangono nell’immaginario collettivo della gente. Sempre e comunque. Perché il Bari non deve – non dovrà – mai liberarsi concettualmente dal proprio obiettivo dichiarato: che è poi obiettivo di saggezza, saldamente vincolato alla realtà delle cose. Perché il suo processo evolutivo è ancora in fase di assestamento. E perché, infine, l’intelaiatura a disposizione di Ventura può contare su qualche pezzo sufficientemente pregiato, in grado di facilitare il percorso (Almirón, Álvarez, Barreto), ma non di più. Diciamola tutta: questa è qualità relativa, che non basta. Anche quando si associa all’organizzazione collettiva. La qualità assoluta è altra cosa: che altri, sicuramente possiedono. Ma che, in riva al’Adriatico, oggi come oggi, è impossibile pretendere: facile comprenderne il motivo. E, dunque, sì: è giusto essere contenti (e orgogliosi) di questa squadra: arrivi quel che arrivi. La città impari a godersela. Per sognare, c’è sempre il tempo.

venerdì 10 settembre 2010

Nardò, partenza lenta

«Mi assumo ogni responsabilità. E sono pronto a rivedere qualcosa»: Enzo Maiuri non si nasconde e affronta le prime critiche. Il suo Nardò, nelle prime due uscite stagionali, si riassume in un solo punto conquistato (in casa, all’esordio) e in un calcio impalpabile nei momenti che contano. La tifoseria, già nel corso del derby (perso) di Altamura, ha contestato. E le indicazioni arrivate dal campo già zittiscono qualche speranza cullata in estate. Perché, è chiaro, il club punta ad un campionato importante. E a una collocazione finale di prestigio. Invece, sul campo della Foris Murgia, la squadra perde progressivamente spessore e convinzione. Comincia discretamente bene, ma si affloscia alle prime difficoltà. E, particolare ancora più importante, reagisce con ritardo, a risultato ormai compromesso. Dimenticando di lottare su ogni pallone. «Ci è mancata la cattiveria sotto porta», aggiunge il tecnico. Ma non solo sotto porta, aggiungeremmo. Il Nardò, così com’è, è ancora tenero. E, sotto alcuni aspetti, ricorda il Grottaglie dello scorso campionato, quello diretto proprio da Maiuri. Uno che, da giocatore, ha edificato la propria carriera anche e soprattutto sulla grinta. Stranezze del pallone.

giovedì 9 settembre 2010

E la Fortis insiste

Sei punti in due uscite: la Fortis Murgia è più avanti di quanto ci si potesse sospettare. Cioè all’apice della classifica. Con tutto il rispetto per quello che, di fatto, rappresenta la graduatoria a soli centottanta minuti dal via. L’anticipo di metà settimana con il Nardò (tre a uno), però, accende i riflettori su una realtà inattesa: anche e soprattutto perché la nuova espressione calcistica di Altamura arriva direttamente dall’Eccellenza di Lucania, torneo limitatamente competitivo. E che, dunque, deve teoricamente sudare il doppio delle altre neopromosse per annientare, sul campo, il gap tecnico. Il match del mercoledì, peraltro, dice altre cose. Ad esempio, di come la formazione guidata da Squicciarini sia entrata sulla lunghezza d’onda della praticità. E sì, perché l’avversario fraseggia meglio per un po’, ma è la Fortis che vertalicazza di più e passa in vantaggio dopo undici minuti di tacchetti incrociati, sfruttando un po’ di velocità e una manovra meno cerebrale, ma più diretta e immediata. Ed è la Fortis che arrotonda il risultato prima della mezz’ora, quando il suo calcio si fa un po’ più ordinato, ma senza rinunciare alla sostanza, all’attesa e alla ripartenza. E che, nella ripresa, quando il Nardò decide di forzare il ritmo, ostruisce con efficacia i varchi, riducendo l’ossigendo ai salentini e siglando, in contropiede, la terza marcatura. Partenza felice, allora: quanto basta per continuare a lavorare con entusiasmo. E per affrontare il futuro prossimo senza timori. Con l’appoggio della gente di Altamura, che sembra essersi riavvicinata emotivamente al pallone. La tribuna, affollata per una buona metà, non è un dettaglio memorabile: ma la natura infrasettimanale dell’appuntamento andava e va considerata. E, comunque, il dato va comparato con quelli del passato recente: e incoraggia. Poi, magari, l’avvio sprintato della Fortis farà il resto, calamitando altre fette di pubblico. L’alba è serena e, forse, il vento è cambiato.

mercoledì 8 settembre 2010

Casarano, la vittoria c'è. Ma sale la pressione

L’obbligo della vittoria è salvaguardato. Di fronte al primitivo Ostuni dei giovani e dell’incertezza, però, il Casarano dei cognomi e delle ambizioni non incanta affatto, dopo un precampionato controverso. Erede di una preparazione che va rifinita, la formazione di Toma scardina il risultato, ma senza blindarlo, lavorando sino in fondo per conservare la prima affermazione della stagione. Affermazione che spiana un po’ il cammino di Da Silva e compagni, ma che consiglia pure di attendere nuove indicazioni sulla caratura tattica e sull’impianto di una squadra costruita per fare benissimo (cioè meglio del torneo passato) e obbligata (anzi, condannata) a vincere. E, conoscendo il palato esigente della tifoseria, anche a convincere. La pressione, in Salento, si sente già: e non da ora. E il primo problema del Casarano è conviverci.

martedì 7 settembre 2010

Ostuni, un'avventura che è una sfida

La ricostruzione del calcio ad Ostuni è una manovra lenta. E i lavori in corso sembrano interminabili. Perché le soluzioni ipotetiche appaiono tutte economicamente dolorose: dunque, al di fuori delle possibilità oggettiva. Dei vecchi e dei nuovi gestori.. E, comunque, la soluzione meno dolorosa resta un’avventura avvolta di incognite. A campionato cominciato (sconfitta, peraltro onerevole, sul campo di casa di fronte all’attrezzatissimo Casarano: i ragazzi diretti da Maurizio Protopapa resistono con fierezza), la squadra è un impasto di giovani, buona volontà e orgoglio. Lo stesso Protopapa, collocato temporaneamente in panchina in attesa degli eventi, è già stato rimpiazzato (ieri) dal nuovo titolare del ruolo, Vittorio Insanguine da Monopoli, personaggio con un passato anche importante di giocatore, ma esordiente in qualità di tecnico (Mino Francioso, precedentemente, aveva rifiutato l’incarico e Bacci, contattato dalla dirigenza uscente, è stato pregato di sprassedere). E, infine, la stessa società, appena subentrata al vecchio gruppo di comando, sta entrando nell’ingranaggio di una realtà complessa. Cioè, al di là dei primi (confortanti) segnali, la strada verso la normalità è ancora lunga. E il lavoro da sbrigare assai impegnativo. Di fronte a due nemici ormai dichiarati: il tempo e il budget di spesa stabilito (e particolarmente limitato). L’avventura è soprattutto una sfida.

lunedì 6 settembre 2010

Il Taranto riprende la corsa

C’è di buono che il Taranto torna a vincere, dopo lo stop di Roma (due partite in casa, sei punti: la convenienza di giocare sull’erba di casa pare aiutare). Ma anche il match guadagnato contro il Gela (due a uno) nasconde qualche ombra: malgrado il risultato sia, di fatto, inappuntabile. E non solo perché l’avversario sale in Puglia per intascare il pareggio, senza troppo ardire. Le ombre che calano quando è tempo di gestire il primo vantaggio, ad esempio. Oppure quando è necessario sveltire la manovra, aggirare il dispositivo difensivo preparato da Provenza, il coach ospite. Sembra, infatti, che tra la mediana e la prima linea (a tre) non esista ancora una comunicazione salda. E che, proprio in mezzo al campo, manchi un catalizzatore di gioco. Del resto, Pensalfini ama inserirsi, ma non suggerire o organizzare. Peculiarità che non ci attendiamo da Giorgino, né da Di Deo, occupato com’è a proteggere le retrovie e a far ripartire l’azione. E, domenica, anche a timbrare la marcatura del successo, poco prima che il tempo per rimediare si esaurisca. Infine, è accertato che, dalle corsie laterali, non sopraggiunga un rifornimento costante e, dunque, affidabile di palloni e idee. Una gara diventata facile, all’improvviso, si fa difficile: è questo il punto su cui soffermarsi e da cui ripartire. Brucato, intanto, non può nascondere la sofferenza e reclama ancora tempo: non vorremmo, però, che il Taranto di quest’anno somigli a quello dello scorso campionato. Cioè ad una squadra che si cerca e non si trova. E condannata ad aspettarsi, per lunghi mesi.

sabato 4 settembre 2010

Il comunicato che allontana i sospetti. Per un po'

L’Andria fallisce ancora l’approccio e s’inchina a Gela. E, contemporanemente, ammette di aver fallito anche l’approccio con il campionato. Due gare e pochi consensi. E una certa difficoltà a graffiare. In Sicilia arriva un solo gol e lo segna un difensore, Sibilano, peraltro abituato a sortite vincenti nell’area avversaria. Ma cominciano a preoccupare l’insufficiente efficacia del reparto avanzato e qualche altra cosa. Il tecnico Papagni è consapevole della partenza difficile e non si nasconde. Né si nasconde la società: che blinda il nocchiero con un comunicato stampa, a metà settimana. Le voci, del resto, circolano: e, talvolta, occorre puntualizzare. Che, ad esempio, il trainer di Bisceglie può continuare a lavorare serenamente, senza temere. Un comunicato, intanto, significa che le indiscrezioni sono diventate, nel frattempo, pesanti. E, però, rafforzano – almeno per un po’ – la figura dell’allenatore, confermando la serietà di fondo che alberga nel progetto-Andria. Non sono cose che accadono tutti i giorni. E, quando accadono, fanno notizia. Papagni avrà gradito: anche se i problemi restano e vanno risolti. Soprattutto perché la città, appena si ritrova ad inseguire un obiettivo, fibrilla e rischia di bruciare anche chi possiede un bagaglio capiente di credibilità. Quella credibilità personale che, probabilmente, ha incoraggiato il club a fugare i primi sospetti. Ma che, senza i risultati, è destinata a sbriciolarsi. Come sempre.

venerdì 3 settembre 2010

Sette giorni dopo, la realtà del campionato

Vittoria a Cava.Netta. E, a rimorchio, molte parole e troppo entusiasmo: buoni a progettare soddisfazioni nuove.La settimana dopo, in casa, sul neutro di Vasto, arriva però la Lucchese, che sembra archiviare il match: zero a due. Quindi, la reazione del Foggia e il pareggio, ravvivato immediatamente dalla sete di vittoria. Niente da fare, però: perché i toscani, più quadrati, impongono la forza delle proprie idee, impartendo una lezione che, se letta nella maniera migliore, male non farà. La gente di Zeman, in realtà, deve ancora solidificare il proprio calcio. Limare le incongruenze, lavorare per migliorarsi, limitare le disavventure in fase di non possesso, crescere con calma. E preoccuparsi di ragionare giorno per giorno. In sette, giorni, cioè, il Foggia torna a masticare la realtà. E, in questo momento, non è poi così terribile.

giovedì 2 settembre 2010

Il Brindisi parte bene

Sarà anche partito in ritardo, il Brindisi. Ritrovandosi a rincorrere una preparazione precampionato accettabile ed un torneo, quello di quarta serie, prossimo alla partenza. Con un organico, oltre tutto, da sistemare: per l’abbondante numero delle cessioni e per una ridefinizione degli ingaggi che aveva oggettivamente rallentato il processo di consolidamento dell’elenco dei disponibili. L’esordio, però, premia gli sforzi della nuova società e del tecnico: a Isola del Liri, pur soffrendo – ad un certo punto del match – il ritorno dell’avversario, Moscelli e soci si apropriano con una discreta dose di carattere tre punti che, se ancora non fanno classifica, almeno producono tanto buon umore. L’eroe della trasferta è Ceccarelli, uno che in C1 (Cosenza, Foggia) non riesce a penetrare nel cuore della gente, ma che, appena un gradino più sotto, sembra ritrovare l’humus ideale per le proprie caratteristiche. Due gol lontano dal terreno di casa, del resto, fanno sempre notizia: rilanciando un attaccante che, da solo, può portare in dote risultati pregiatissimi. Non ci faremo, però, attrarre dal primo capitolo della storia. Anche se le ultime operazioni di mercato dovrebbero aver rafforzato le fondamenta della squadra. Soprattutto perché, ancora adesso, è difficile decodificare l’esatto valore altrui e, nello specifico, le potenzialità dell’Isola Liri, formazione ancora da quadrare e destinata ad una stagione di sacrifici. Primi giudizi rimandati, allora: magari, a domenica prossima (l’Avellino, ospite al Fanuzzi, sembra sparring partner più qualificato). Ci sembra, però, di capire che questo Brindisi è affamato: e, come inizio, non è affatto male.

mercoledì 1 settembre 2010

La partenza pessima del Lecce

Il contatto con la realtà della serie A può essere ruvido. E, a volte, doloroso. Soprattutto se l’avversario (il Milan, in questo caso) indovina la gara giusta. E se le difficoltà di percorso (del Lecce) si acuiscono con un atteggiamento timoroso, sin dall’avvio del match. Quattro a zero è uno score duro da digerire, ma sufficientemente obiettivo. Coach De Canio non fugge dalle responsabilità e non fa fatica a puntualizzare che la sua squadra, in partita, non entra mai. Pur evidenziando una verità che, però, può solo allentare la pressione della critica, senza affievolirla: la linea di difesa del Lecce, giovanissima, si scontra con le controindicazioni dell’inesperienza. A San Siro, comunque, non c’è gara: i salentini, inefficaci anche singolarmente, si fanno irretire dal possesso di palla del Milan, affondando troppo presto. Punto e a capo: niente è irreparabile. E poi c’è il mercato, chiuso in queste ore: che fa tornare De Michele e un’altra punta, l’ex cagliaritano Jeda. Artiglieri che si assommano a quelli già contrattualizzati, Corvia e Chevanton. Mercato che, però, non sembra sollevare il morale del pacchetto difensivo: il più sofferente di tutti, domenica scorsa (il solo Rispoli, appena tesserato, basterà?). Dopo la campagna acquisti, tuttavia, tornerà a parlare il lavoro, quello settimanale. L’impressione, adesso, è che il Lecce (la sua prima versione, almeno) dovrà impegnarsi in profondità. E che De Canio dovrà metterci del suo.