mercoledì 23 dicembre 2009

Spalti inaccessibili. E Bari ghiacciato

Si lamenta ancora, il Bari. A distanza di giorni. Legittamamente, magari: perché a Genova avrebbe voluto giocare, domenica. E misurarsi con un’altra realtà del torneo. Un po’ amaccata, ultimamente: da indisposizioni certificate e dalla delusione della mancata qualificazione al successivo turno di Europe League. E, per questo, avversario ancora più appetibile. Piovuto sul cammino di una squadra oltre tutto fortificata dalle ultime prestazioni di pregio. Ma tant’è: il ghiaccio e la neve non aiutano il calcio. E neppure la gente che, dal calcio, si sta allontanando. Perché, ricordiamocelo, il pallone è (dovrebbe) essere spettacolo per la gente. Che necessita di palcoscenici praticabili. E che non merita di attirare inutili polemiche quando cerca di ripararsi dalle avversità (metereologiche, in questo caso). Dispiace, per il Bari. Ma la soluzione è quella giusta: concettualmente. Quella che avremmo invocato a situazione invertita (calcio d’avvio con campo ghiacciato o spalti inaccessibili). E quella che avrebbe invocato pure Ventura, con opposte esigenze. Anche se il dubbio della furbata genoana, onestamente, resta. Ma, talvolta, gli elementi si combinano. E il calcio, anzi, si diverte a combinarli. Puntualmente.

martedì 22 dicembre 2009

Porta, operazione fiducia

Certe trasferte (le ultime tre, giusto per essere precisi) avevano rinfrancato, diciamo così. Fruttando altrettanti punti (zero a zero, in ciascun caso) e la speranza di aver quadrato l’assetto difensivo lontano dallo Zaccheria. In attesa di regolare anche l’espressione collettiva nella gare da disputare con il conforto del pubblico amico, sempre abbastanza deluso e sostanzialmente ancora troppo distante. Emotivamente, ma non solo. Ma la realtà è diversa. E anche discretamente cattiva. Così, nell’ultimo turno dell’anno, il Foggia si piega di fronte al Verona, sulle zolle di casa. Niente di inimmaginabile: perché la classifica non mente. Perché la capolista recupera la strada giusta e torna a fare il Verona: una formazione ancora immacolata, fuori dai propri confini (nessun gol subito, in dieci prestazioni). Perché la squadra di Porta e Pecchia torna ad essere il Foggia: un po’ ammaccato, un po’ svagato, decisamente permeabile, tatticamente allungato e anche un po’ disorientato dalle assenze di peso. E perché è sempre difficile nutrirsi di progressi saltuari, ma soprattutto modesti: insufficienti a garantirsi continuità e tranquillità. Prego, attendere. E, dunque, ricominciare dai gradini più bassi. Alla sosta, Mancino e compagni ci arrivano in penultima posizione, pur se con la prospettiva di recuperare il punto di penalizzazione (potrebbe accadere). Non è molta roba: soprattutto se non dovessero arrivare novità salienti dalla riapertura della campagna di trasferimento (difficile, con l’attuale stagnazione societaria). E, allora, non resta che appellarsi alla fiducia. Quella di Porta, perché no: «Non saremo quelli del girone di andata, non capiterà mai un black out più lungo di tre giornate. Da qui in poi, sarà tutta un’altra storia, abbiamo la possibilità di arrivare senza fatica alla salvezza». Fiducia che s’impasta di certezze, di spavalderia o di sana incoscienza, chissà. Parole sentite, magari: ma che, oggi, sembrano vagamente anacronistiche. Onestamente. Parole che profumano di augurio e che sono molto più di una promessa. Che assomigliano, anzi, ad un preciso impegno. Non resta che trovare gente disposta a crederci. Fuori e dentro del campo.

lunedì 21 dicembre 2009

Il nuovo Francavilla è più squadra

Il nuovo Francavilla possiede maggior personalità, prova a dettare il gioco, viaggia a ritmi più alti. Detto in una frase, è più squadra. E sembra migliore della sua precedente versione anche sotto il profilo atletico: anche se, in fondo ad una gara densa, un po’ di stanchezza affiora. Non è difficile accorgersene. Rivisitato e corretto (molto rivisitato, decisamente corretto), l’organico affidato (o riaffidato) alle cure di Mino Francioso offre le garanzie che il materiale umano gestito dall’avvio di torneo da De Rosa non avrebbe saputo assicurare. Il concetto è indiscutibile, ci pare. E ci sembra anche che la riuscita della missione (la salvezza) possa essere possibile. Primo, perché questo gruppo sembra deciso a battagliare. Secondo, perché il Francavilla che supera in casa la Casertana (uno a zero, al fotofinish) non appare disposto a soprassedere prima di aver tentato tutte le strade. Terzo, perché le concorrenti da inseguire sono tuttora visibili. Quarto, perché in questo campionato non c’è eccessiva qualità diffusa. Quinto, perché certi segnali qualcosa devono pur dire. Per esempio: la Casertana si difende discretamente e il Francavilla non riconosce facilmente la porta (per l’occasione, davanti, stazionano due under, Maraschio e Schirinzi: il difetto di esperienza esiste e si nota). Il nuovo artigliere Radicchio, oltre tutto, è ancora indisponibile, così come Maraglino. Eppure, ad una manciata di minuti dalla conclusione del match, il diciannovenne Paciullo si ritaglia una possibilità, rilevando proprio Schirinzi, e la sfrutta benissimo, correggendo una palla vagante davanti alla porta. E risolvendo una partita mai semplice e in via di archiviazione. Ma caratterizzata anche da un dato, che non va sottaciuto, né dribblato: Francioso, nel corso dei novanta minuti più recupero, anche per un’esigenza reale dettata dalle contingenze, utilizza ben otto giovanissimi, partendo peraltro con sei sottoquota, uno in più del dovuto. Francavilla giovanissimo sì, ma anche tenace. E prossimamente, chissà, anche più appuntito. Che è poi la condizione necessaria per festeggiare, a maggio. Senza la quale, è ovvio, il resto sono chiacchiere. O speranze devitalizzate.

domenica 20 dicembre 2009

Gallipoli, adesso bisogna capire

Prima Mancini, poi Scaglia. Il Gallipoli ribalta un match nato difficile, scaccia le ombre della Reggina e completa la manovra di ancoraggio alla fascia mediana della classifica. Quella manovra interrotta per un po’ e che, per questo – inutile nasconderlo -, aveva generato dubbi, paralleli (e chissà quanto consequenziali) alla bassa pressione calata sulle questioni societarie. Vittoria di pregio, ma pure legittima: per quantità di calcio e per la capacità di allargarsi e stringere l’avversario, di cambiare il gioco, di imprimere ritmi convincenti. Che, idealmente, suggella l’anno più importante della storia del pallone in quest’angolo di Salento. E che aiuta la formazione di Giannini ad affacciarsi su un girone di riorno per alcuni versi misterioso. Perché misteriosa è la composizione dell’organico che uscirà dall’imminente riapertura del mercato (girano molte voci, troppe: e qualche protagonista potrebbe abbandonare). E perché tuttora misterioso è la politica gestionale del club: del resto, è stata appena saldata una sola mensilità, proprio alla vigilia della gara di ieri. Meglio di niente, certo. E qualcosa in meno di abbastanza, è chiaro. Quanto basta, comunque, per non spegnere (nella tifoseria e, soprattutto, nella squadra) il desiderio di capire cosa si annida dietro il futuro.

martedì 15 dicembre 2009

Il cuore del Taranto. E la polemica di Brucato

Scomodiamo un luogo comune: vince il cuore. O la rabbia, come suggerisce Brucato. Non può vincere, del resto, solo il calcio del Taranto. Che non coltiva ancora un progetto e che non abbonda neppure di razionalità. Non è (né può essere), infatti, razionale la squadra che liquida il Cosenza nel posticipo serale del lunedì. Che, sì, nella ripresa stringe l’avversario, ribaltando lo score, ma appellandosi all’urgenza, alla neccesità, alla disperazione (altri luoghi comuni: e va bene). E all’orgoglio, anche. L’orgoglio di chi, come Felci, sembra aver chiuso in anticipo l’esperienza in riva a Mar Piccolo e che è parte integrante della lista nera stilata dalla società. O di chi sta vivendo i suoi giorni tra la disapprovazione della gente. Tre punti di rabbia, allora. Dettati dal cuore. Buoni a rilanciare Scarpa e compagni. E ad azzerare la prova del Cosenza, intelligente per un tempo. Il primo. Il Cosenza che, da principio, coniuga sacrificio, culto dell’attesa, quantità e scaltrezza. Per poi abbassarsi e abdicare. Cioè, per piegarsi: in coda ad una partita solcata dai dubbi (il direttore di gara sembra negare un penalty a Biancolino, ma poi convalida il vantaggio bruzio, viziato da una situazione di offside). Ma, prima di vincere, il Taranto – ancora una volta – dimostra di non possedere fluidità, si slabbra, s’intimidisce. Il momento storico è difficile e i timori emergono tutti. Che solo la determinazione e l’accelerazione dei ritmi, più tardi, riusciranno a distanziare per almeno sei giorni. Dopo aver vinto, invece, il tecnico ingaggia un lungo duello verbale con la stampa. Che chiede, ma senza livore. Per capire, se non altro, le scelte iniziali di Brucato (Correa non si siede neppure in panchina): ovvero nulla di particolarmente scandaloso, normalissima routine. Ma la mourinhizzazione della dialettica si allarga velocemente e approda tra i due Mari. Dove, a questo punto, diventa praticamente inutile frequentare la sala stampa. E dove occorrerà accontentarsi della semplice verbalizzazione delle parole di circostanza.

lunedì 14 dicembre 2009

Manca l'ardore, cade il Grottaglie

Il Grottaglie cade ancora. E ancora in casa. Forse non si fa troppo male (il margine di sicurezza dal quartiere più caldo della classifica è tuttora ampio), ma, nell’approccio e nella gestione della gara, c’è qualcosa che non convince. Al di là della differenza di spessore tra la formazione di Maiuri e il Pianura, squadra creata per vincere e per imporsi tecnicamente, ma che una dose di dinamismo in più avrebbe potuto arginare di più e meglio. L’approccio, dunque: il Grottaglie nasce imballato, lento. Si adegua al ritmo (basso) dell’avversario: che, però, può permetterselo. Non aggredisce: e la rete del vantaggio (deviazione decisiva) non modifica il senso del discorso. Vero: i campani soffrono lo svantaggio e si perdono, per un po’. Ma poi le risorse bastano a rianimare l’undici di Gargiulo e a ribaltare lo score. Oltre tutto, l’assetto difensivo dell’Ars et Labor è tenero, permissivo. La gestione del vantaggio, cioè, lascia perplessi. Anche se, a ripresa appena cominciata, l’accelerazione delle operazioni conduce al pareggio. Temporaneo: perché, sulle palle inattive, i partenopei si appoggiano spesso e bene. E perché il Grottaglie, sotto pressione, continua a sbandare. Senza – ed è questo il peccato più pesante – abbozzare al momento giusto una reazione convincente. Detto tra i denti: non è scandaloso soccombere di fronte al Pianura. Ma lascia perplessi la quantità di agonismo profuso. In un campionato dove, prima di tutto, contano la corsa e l’ardore.

domenica 13 dicembre 2009

La libidine di Ventura

Puntare, colpire. E poi presidiare. Rischiando qualcosa, magari: ma è inevitabile. Come un penalty da cui difendersi. E che, però, la Juventus sciupa, con Diego. E, poi, ripartire. Cioè, giocarsela sino in fondo, come si augurava (e chiedeva) Ventura alla vigilia. Infine, affondare l’avversario. Coordinate di una notte da ricordare. Di un match da dedicarsi. Il Bari che si porta un gol avanti e che si fa raggiungere, che torna a condurre e che quasi si lascia riprendere, sprinta per bene e chiude l’anticipo di campionato sul tre a uno. Tutto bello, tutto vero. Tre a uno, risultato che azzera definitivamente l’appeal tra Ferrara e la gente che tifa in bianco e nero e che, invece, rinsalda il legame tra Ventura e la gente di Bari. Già, Ventura. «Alleno per libidine», aveva dettato poche ore prima della recita al San Nicola. E questa classifica è davvero una libidine. Guardare per credere. A metà torneo già sviscerato. Come dire: non è proprio una casualità. Quattro mesi di pallone fanno testo. E come. E possono essere tranquillamente analizzati. Per quello che hanno detto, sin qui. Ripartenze veloci, ma anche possesso di palla, idee chiare, predisposizione alla battaglia, freddezza e un po’ di coraggio: c’è questo ed altro, in una notte dal gusto particolare. Come la prestazione di Almirón, uno che arriva proprio dalla Juve e che cercava riscatto, soddisfazioni perdute, rivincite. «Il Bari ha legittimato la propria supremazia», chiosa il coach nella mix zone, a gara appena consumata. Parole chiare e forti. Anche questa è libidine.

giovedì 10 dicembre 2009

Noicattaro, ecco i problemi di sempre

Tre a zero secco e vero. Improcastinabile: per la sete del Gela e per la differente caratura tecnica che costringe il Noicattaro ad arrendersi senza troppo discutere. La squadra di Carella, mai nel cuore della partita e decisamente remissiva, si riappropria dei vecchi problemi di tenuta e di classifica, che traduce con trasparenza l’ultimo mese di calcio improduttivo. Rendendo vani i progressi dell’altro ieri, che avevano lasciato sperare, ma che non avrebbero mai potuto tranquillizzare. Perché il problema è alla fonte: l’organico, al di là di qualche bagliore, è molto tenero per garantire una salvezza che non passi dalla porta dei playout. E inventarsi qualcosa è sempre ingrato. Soprattutto se la riapertura delle liste non porterà buone notizie. Ecco, il punto è questo: il secondo segmento di mercato si avvicina e tra poco capiremo se il presidente Tatò confermerà la scarsa voglia di continuare ad investire per l’espressione calcistica di una città che non risponde. E se, piuttosto, preferirà destinare le proprie risorse in favore della resurrezione del pallone a Bisceglie, dove è appena approdato. Ma, se proprio ci chiedete un pronostico, scommetteremmo molto poco sul robusto rafforzamento del Noicattaro. Il ciclo si sta esaurendo: e, questa volta, è proprio vero. Chi ancora ha voglia di entrare nella questione, se ne faccia una ragione. Più o meno come Carella, per esempio: ma lui, una ragione, se l’è fatta da tempo.

mercoledì 9 dicembre 2009

Taranto, attendendo gennaio

Non rimane che attendere gennaio. E il mercato che riapre. Perché il Taranto cambierà tratti somatici. Perché il Taranto, sfigurato anche dal derby di Andria, deve cambiare passo e protagonisti. Al di là delle esigenze (ormai visibilissime): perché patron D’Addario è stato chiarissimo. Ribadendo un concetto ormai datato e solo per un po’ accantonato. Troppa gente, nello spogliatoio. Troppa gente che non si industria. Che non incide sul campo. Che non crede al progetto, quello dell B, per niente accantonato da chi comanda la nave: e che, dunque, non segue le direttive della società. E, aggiungono troppi osservatori, neppure quelle del tecnico Brucato, peraltro invitato dal presidente a perseverare. Ma con giudizio: cioè, ascoltando le ragioni e, soprattutto, i consigli (tecnici, tattici, comportamentali) della proprietà. La cattiva figura di Andria (sconfitta senza alcun onore) sembra aver scritto la fine di un capitolo. E l’inizio del nuovo. In cui il coach, ancora più di prima, dovrà adeguarsi. E condividere. Tanto da dover accettare l’ombra di Franco Dellisanti, tecnico della formazione Berretti promosso al ruolo di tutor o di qualcosa di simile. Sì, Dellisanti: recentemente messo in discussione per il proprio lavoro svolto all’interno del settore giovanile e, adesso, evidentemente rafforzato da un’ulteriore dose di stima. Caso singolare, indubbiamente: se non altro, perché l’idea di tutor (o di consigliere, seppur esperto) che arrirva dalla base (il vivaio, appunto) non depone troppo in favore del tecnico della prima squadra, sin qui non eccessivamente ascoltato dalla truppa e, ora, ulteriormente delegittimato. Ma tant’è. Non ci rimane che attendere gennaio. E la rivisitazione di un organico che non risponde. Anche se l’epurazione (già minacciata e poi congelata) comincerà prima. Sùbito, anzi. Del resto, è inutile perdere altro tempo: un allenatore (qualsiasi allenatore) non potrà trarre molte indicazioni ed energie da giocatori che sanno di dover andare via. Dunque, delegittimati anche loro: agli occhi della gente. Che conosce perfettamente, ormai, nomi e cognomi dei partenti.

lunedì 7 dicembre 2009

Brindisi, vince il cuore

A quattro minuti dalla fine può cambare il palcoscenico. E gli attori possono mettersi in salvo. Potere di una vittoria: che, sicuramente, non stravolge la classifica. Ma che può deviare il destino o il corso della storia. Perchè il mercato di riparazione sta per aprire e una società che vuole vincere deve pure inventarsi una soluzione. Partendo, forse, dall'idea più immediata: la sostituzione dell'allenatore. A quattro minuti dalla fine, il Brindisi torna a vincere. E lo fa contro il Catanzaro, indiscusso sovrano del girone. Digrignando i denti, con un rush finale dove comanda il cuore. Quello stesso Brindisi che, in campo, si presenta con gli stimoli giusti e che, però, finisce per imbottigliarsi nella sua stessa sete, nella sua stessa urgenza. Silva sceglie il 4-4-2 e, quindi, l'equilibrio: ma questo è un tipo di gara in cui necessita il guizzo, l'intuito. Moscelli lavora molto per la causa comune, ma non trova varchi per sè. E poi l'avversario (leader con largo vantaggio) è nelle condizioni di poter governare. Peggio: quando i ritmi si abbasano, il Catanzaro fa girare meglio la palla, alza la linea di difesa, intensifica il presing e anche l'intensità. Lasciando capire di essere più reattivo. O, semplicemente, dentro la partita. Anche se, alla conclusione, la squadra di Auteri non arriva mai. Ma proprio mai. Nell'intero arco dei novanta minuti. Cosa che, talvolta, riesce a fare il Brindisi: al quale viene ingiustamente annullato il vantaggio firmato da Da Silva. Però, il secondo tempo degli adriatici è più vispo. I calabresi rintuzzano, ma Trinchera e compagni ci mettono anche maggior quantità, riuscendo infine a passare. Sfruttando, forse, la cattiva gestione del momento o la difettosa lettura delle pieghe del match di un Catanzaro che si crede inattaccabile. E che, però (onore al merito) non si trincera, accettando il confornto aperto, sempre. «I ragazzi hanno saputo attendere», rivelerà Silva negli spogliatoi. Vero anche questo. Come sembra genuino quello spirito di gruppo che schizza quando serve, quando sembra scadere anche il tempo di pensare. Quando sono ancora vivi, in tribuna, i fotogrammi di uno dei fratelli Barretta che si alza nervoso e scappa via, a primo tempo ancora in corso. E i fotogrammi di quella sciarpa scagliata con rabbia, per terra. Molto più di un messaggio. Molto più di un indizio.

Gallipoli, soltanto complimenti

Visto così, il Gallipoli è molto meglio del Torino. Più vivo, più convincente. più cerebrale, più pungente. Tutte qualità che non bastano: perchè la quantità della formazione di Giannini non si riassume nel gol e perchè la sofferenza dell'avversario sfocia in un successo che, sinceramente, stona. Come Beretta, nocchiero ospite, sottolinea con onestà, dopo il novantesimo. Gioca con maggior chiareza, il Gallipoli. E paga dazio oltre la normalità: ma la consapevolezza di essere stato defraudato di qualcosa può fortificare il gruppo, che si sta dotando di anticorpi nuovi, utili per il domani. Anzi: la squadra si sta convincendo, giorno dopo giorno, di poter controbattere con argomenti buoni anche la borghesia della B. E tutto questo può contribuire sensibilmente ad alimentare l'autostima di Ginestra e soci. Tutta gente che è migliorata tantissimo, dalle prime battute del torneo ad oggi. Singolarmente e collettivamente.

A margine: mentre la squadra guadagna gradatamente nuove simpatie, la società è ormai chiacchieratissima. Prima la querelle tra il presidente D'Odorico e l'ormai ex direttore sportivo Fioretti (accuse velate e incrociate, divorzio condito da malumori), poi la polemica tra il patron di oggi e quello di ieri (Barba, che non avrebbe ancora riscosso neppure una parte di quanto gli spetta per la cessione del club) e, infine, la battaglia legale che l'amministrazione comunale di Lecce, proprietaria dello stadio in cui il Gallipoli sta disputando le gare interne, starebbe per intraprendere. Per un motivo serio: il mancato pagamento dei fitti mensili della struttura. Che sta accadendo? D'Odorico ci aiuti a capire. In fretta, magari.

giovedì 3 dicembre 2009

Tanto per farsi del male

Il pallone è ostico a qualsiasi latitudine. Da un po’, anche a Grottaglie, piazza di tradizionale serenità. L’Ars et Labor arriva da una stagione travagliata: l’ultima. Macchiata da una retrocessione sofferta sul campo, ai playout, e poi riabbellita dal faticosissimo ripescaggio Adesso, è una formazione che prova a trovare una quadratura definitiva e che cerca di ottenere l’obiettivo (la salvezza) senza faticare troppo. Il disegno, oggi come oggi, sembra riuscire: la gente di Maiuri, in coda ad una partenza affannata, ha saputo costruirsi una credibilità e, innanzi tutto, una classifica. Ma il Grottaglie è una formazione che cerca conferme e che non può prescindere dall’organizzazione in campo, da una condizione psicofisica confortante e dall’impegno consapevole: in settimana, così come ogni domenica. Cioè: per sopravvivere, deve farsi trovare nelle migliori condizioni. Sempre. Diverse volte, accade. Talvolta, no. Domenica scorsa, ad esempio: quando il Matera, abituato ad imporsi lontano dal campo amico, ha violato l’erba del D’Amuri. Senza scandalo, sia chiaro. E denudando qualche problema che, evidentemente, il Grottaglie si porta dall’avvio della stagione. E che, probabilmente, lo accompagnerà sino alla chiusura del torneo, se la seconda sessione di mercato non provvederà a migliorane i contenuti o a limarne le difficoltà. La sconfitta, peraltro, non sembra aver pregiudicato assai la classifica, ancora rassicurante. Ma ha stizzito (anche parecchio) la tifoseria. E la contestazione (di contestazione vera e propria, infatti, si tratta) ha ferito il gruppo. Comprensibilmente: perché iniqua. Esagerata. E affrettata. Ma anche discendente diretta dell’insoddisfazione accumulata nel passato torneo. Ormai andato via, con tutte le sue problematche e le sue polemiche. Polemiche che, forse, qualcuno vorrebbe trasportare sin qui. Per motivazioni oscure o trasparenti: dipende dalle angolazioni di osservazione. Così, tanto per farsi del male.

martedì 1 dicembre 2009

La chiarezza di Sciannimanico

Troppo spreco. E, di contro, un Cassino quadrato, furbo. E più tonico, sotto il profilo della manovra. Il Barletta si arresta nel pieno della propria evoluzione, in casa propria. E la delusione dell’ambiente è più evidente, dopo il match di Brindisi, impastato di coraggio e intelligenza, e - soprattutto - in coda a cinque risultati favorevoli di fila. Certe speranze, dunque, si infrangono presto. Troppo presto. Ma non è lecito neppure meravigliarsi: la C2 ci ha abituati a frequenti inversioni, che valgono per tutti. Oppure stizzirsi. Perché, sul campo, è sempre difficile inventarsi qualcosa. E perché il campionato non può non tenere conto delle premesse, della cifra tecnica di ciascuna squadra, della qualità complessiva di ogni concorrente e del concetto di discontinuità, che è poi il marchio di fabbrica della quarta serie. Coach Sciannimanico, peraltro, si nutre delle proprie esperienze personali e conosce i problemi del suo gruppo: «Il Barletta non punta ai playoff, né può farlo – detta al novantesimo -. Ci sono limiti strutturali, conosciuti prima di cominciare la stagione. La costruzione della squadra è stata influenzata dai problemi incontrati dalla società in estate: l’ho già detto e credo di parlare un italiano comprensibile. Pensiamo a salvarci il più presto possibile, piuttosto. Chi vuole capire, intenda». Parole vere, che sottoscriviamo. A fari spenti, il Barletta viaggerà più sicuro. E, se qualcuno si adombrerà, pazienza.

lunedì 30 novembre 2009

Il miglior Taranto non basta

Tra il Taranto e la vittoria di pregio c’è un gol (di Scarpa) al limite dell’offside, che – però- fuorigioco non è. Il direttore di gara cade nell’equivoco e il Verona scansa il primo dispiacere esterno. E, infine, c’è anche una traversa, a partita praticamente consumata: che disperde la maggiore applicazione della formazione di Brucato, finalmente competitiva (è, probabilmente, la migliore versione stagionale). Sfugge il risultato massimo, resta la prestazione: rassicurante, nel complesso. Perché il Taranto assume la fisionomia di un collettivo: dettaglio che è, poi, un obiettivo datato. Malgrado un avvio generoso, eppure affaticato in fase di realizzazione. E sì: Migliaccio e compagni spingono, ma faticano ad arrivare in fondo (difettano l’ultimo passaggio e l’affondo vincente). Ma il Taranto è podismo e dinamismo: spende tanto, obbligando tuttavia la formazione di Remondina a rincorrerlo. Il Verona punta ad una gara di presidio vigile, imbastisce qualche ripartenza acuta, si mantiene sufficientemente alto: però, in fase di possesso, offre meno di quello che la posizione di classifica occupata dovrebbe promettere. La pressione jonica, inequivocabile, si attenua nella ripresa: quando i veneti cominciano ad occupare meglio gli spazi, sottraendoli all’avversario. E quando, comunque, sgorgano le occasioni più succose. Il successo, alla fine, non stonerebbe affatto. Ma non arriva: e il quartiere dei playoff si allontana un altro po’. Patron D’Addario, comunque, al novantesimo è ugualmente soddisfatto. E lo è anche Brucato (questa però, non è una novità). Se non altro perché il nome di Bortolo Mutti smetterà di circolare. Per qualche giorno, nella peggiore delle ipotesi.

domenica 29 novembre 2009

Lecce, rincorsa di carattere

Due a zero, sùbito. E il Grosseto sogna. Ma il Lecce ruggisce. E ribalta il punteggio. Com’era già accaduto in passato, peraltro. Riacquisendo la leadership di B, al fianco dell’Ancona. Leadership che la gente di De Canio dimostra di poter gestire e di voler meritare. Con un seconda frazione di gioco dinamicante corretta (il ritorno sul campo di Munari non passa inosservato) e caratterialmente robusta. Con quella forza di reazione che dribbla le oscurità di inzio partita, devitalizzando le leggerezze di un assetto di presidio non sempre convincente. E che si lascia tagliare troppo spesso. Ma rimediare è una scienza che accompagna la conquista e questa squadra possiede la capacità di rigenerarsi, anche tra le avversità: un particolare che, nel pallone di oggi, vale più delle qualità tecniche e delle modalità tattiche. Il messaggio inviato, intanto, è chiaro: adesso, il Lecce sembra davvero maturo per affrontare tutte le insidie del torneo. E questa maturità si è sviluppata con il lavoro, nel tempo. Questo collettivo, oggi, è combattivo, credibile. Si è armato, come si dice, anche della mentalità migliore. E sembra essersi calato definitivamente nella realtà della seconda serie.

sabato 28 novembre 2009

Dodici milioni per sentirsi dire no

Venticinque milioni di euro: così parlò Tim Barton, l’americano che inseguiva senza fretta il Bari e, soprattutto, il business più o meno nascosto del fotovoltaico. E Matarrese decise di trattare. Anzi, di chiudere la trattativa. Prima della conclusione grottesca, tra sospetti, fraintendimenti, mezze frasi e disimpegni. Venticinque milioni: e il passaggio di consegne avrebbe potuto mutare il destino del club, chissà. Rimasto, come sappiamo, nelle mani della famiglia che cura il calcio in riva all’Adriatico da oltre trent’anni. Neppure il tempo di acquietarsi ed ecco una nuova proposta: la Meleam, recentemente accostata al Gallipoli, vorrebbe rilevare onori e oneri della società di via Torrebella. Con un’offerta dimezzata: dodici milioni di euro. Che Matarrese ha prontamente rifiutato. Dodici milioni, invece di venticinque o giù di lì. Un modo come un altro per vedere l’effetto che fa. E per sentirsi rispondere che sarà per un’altra volta. Attorno, resta solo un po’ di rumore. E l’omba di un’alternativa: aumentare la posta. Sempre che Vincenzo Matarrese non si sia offeso.

venerdì 27 novembre 2009

Ostuni, cambia qualcosa. O quasi niente

Il calcio non possiede formule esatte. E neppure orizzonti sempre chiari. Il caso dell’Ostuni, a suo modo, è emblematico. Perché la società, immediatamente dopo la promozione ottenuta nella fase degli spareggi interregionali, a maggio scorso, dichiara la propria inattendibilità economica, complicando le pratiche di iscrizione al torneo di serie D e il processo di rinnovamento tecico. E perché, Carbonella si ritrova ad affrontare il campionato con un organico niente affatto completo e, oltre tutto, mal carburato da un ritiro cominciato tardi. Ma qualcosa succede e il club si rinnova: la nuova dirigenza promette nuovi argomenti e cambia guida tecnica (in panca arriva Lombardo). E, invece, sembra proprio Carbonella l’uomo giusto al posto giusto: se non altro, perché conosce la piazza, i giocatori e le insidie del percorso. La storia recente ci racconta però delle difficoltà non superate dal tecnico emiliano e del nuovo travaso societario: dentro la vecchia gestione, che riporta al comando della squadra Carbonella. Alla fine, cambia poco. Perché la società naviga nel mare del disagio e perché il vecchio allenatore si ritrova esattamente al punto di partenza: con una formazione infastidita dalla classifica e un futuro incerto. Ma qualcosa cambia ugualmente, tuttavia: perché l’Ostuni sembra recuperare un po’ di manovra e un po’ di personalità, sempre buone sul campo. E utilissime per collezionare qualche punto: la trasferta felice di Pisticci, proprio domenica passata, rinvigorisce anche il morale. Spiegando che questa squadra può diventare competitiva con un paio di puntelli. Ed è proprio questo, il problema: i puntelli, quindi un ulteriore sacrificio finanziario. Che non sembra facilmente ipotizzabile. Perché, appunto, la vecchia gestione è ancora lì a galleggiare, nella speranza di sopravvivere il più a lungo possibile. Mentre la gente si chiede se è davvero cambiato qualcosa. E se la lievitazione dell’undici di Carbonella diventerà un rimpianto in più.

giovedì 26 novembre 2009

Casarano, l'aria è cambiata

Cinque partite vinte, una dopo l’altra, aiutano chiunque. Anche il Casarano, sin qui bisognoso di parecchia rabbia spendibile e, adesso, un po’ più ispirato sull’erba di casa e pure su quella altrui. Una quindicina di punti in tempi brevi cambiano la classifica: è lapalissiano, sin troppo ovvio. Quasi alla metà del cammino, così, la squadra affidata al chiacchieratissimo Salvo Bianchetti muta i suoi orizzonti e comincia a riconsiderare certi argomenti accantonati per un po’. Il successo di Caserta, domenica scorsa, fortifica la bontà del momento storico e restituisce alla truppa il piacere di sentirsi nuovamente padrona del proprio destino. La Virtus autoritaria del Pinto, anzi, raccoglie tanti consensi e si ritrova a navigare nella zona playoff. Niente di meraviglioso, sia chiaro: ma, considerate le premesse, è già molta roba. Soprattutto se confrontiamo le differenze numeriche tra i salentini (ventidue punti, malgrado la partenza pessima) e il Neapolis, vice capolista a quota trenta. O il leader Sant’Antonio Abate (trentadue). Lo svantaggio - sembra strano, ma è vero – è complessivamente contenuto. Merito di un livellamento deludente e di una diffusa sofferenza: due elementi che aiutano a rilanciare una squadra - il Casarano, appunto – ritrovatasi nelle difficoltà e, ora, finalmente sostenuta dalla lievitazione di alcuni suoi singoli (D’Anna, Leopizzi, Bonaffini, lo stesso Villa ed altri ancora). Oggettivamente, però, questa Virtus non sorprende: soprprendeva, semmai, quella del recente passato. Ma a questo gruppo è giusto, prima di sbilanciarsi troppo, chiedere conferme. Ovvero, è giusto sincerarsi di un dettaglio: l’exploit è passeggero, oppure sul Casarano si può davvero contare? E, allora, facciamo così: attendiamo l’esaurimento del girone di andata (cinque match) e poi ne riparliamo seriamente. Ma l’aria, attorno alla gente di Bianchetti, è cambiata. E certi segnali non vanno sottovalutati. Mai.

mercoledì 25 novembre 2009

Francavilla, ritorno al passato

L’atteggiamento imbarazzante del Francavilla (la squadra è senza personalità, priva di carattere e strutturalmente ancora inadeguata al campionato di quinta serie) e la contestazione robusta della tifoseria in coda alla nuova disavventura interna (passa l'Ischia, questa volta) consigliano (o costringono) patron Distante a ridiscutere la guida tecnica. E a tornare indietro nel tempo. Via De Rosa, coach mai troppo calatosi nella mentalità del torneo e nelle problematiche del gruppo, sussurra qualcuno. Ed ecco, cinque mesi dopo, il profilo di Mino Francioso da Brindisi, nocchiero di quel gruppo (un altro gruppo, diverso nelle sue componenti e differente per caratteristiche) portato ad una salvezza comoda e anticipata, lo scorso campionato. Proprio Francioso, azzerato assieme al suo entourage (direttore generale, direttore sportivo, collaboratori sparsi sul campo) per inseguire il contenimento dei costi di gestione, neanche troppo evidenti. Il ritorno al passato è un po’ la sconfitta della politica di Distante, già obbligato a rivedere in corsa l’organico di partenza e già pronto a ritoccarlo ancora (il presidente non ama la sconfitta e possiede il buon senso necessario per ritrattare: l’ha fatto in passato, lo farà ancora). Ma, forse, può essere energia pura per il futuro prossimo: soprattutto se, come sembra, dovessero rientrare nell’universo del Francavilla figure professionali frettolosamente accantonate. Anche perché c’è ancora un intero girone di ritorno, per rimediare ad una retrocessione che, oggi, sembra l’epilogo più naturale.

martedì 24 novembre 2009

Il messaggio del Brindisi

Motivato. E, per diversi tratti, brillante. Agile nell’esposizione della manovra, rapido. E anche sicuro di sé. Iperattivo in Moscelli, pericoloso con Fiore, testardo nella ricerca del gol. Ma anche in vantaggio due volte: e due volte raggiunto. La bella prestazione del Brindisi non significa vittoria: perché, come dicevamo, il Barletta reagisce e sa mantenersi vivo. Ma la formazione di Silva percepisce la luce oltre il tunnel e si inventa molte situazioni che possono aiutare a tranquillizzarsi. Il gruppo si ritrova. Perché ritrova la coralità di espressione. E perché immagina che, certi argomenti, possono rivalutare il cammino. Il Brindisi si rinnova. E il derby gli lascia coltivare nuove ambizioni. Che non arrivano dal risultato finale, ma dalla radiografia della partita. Una partita assolutamente distante dalle abitudini del campionato, ma ugualmente preziosa. Dove Taurino e soci si riappropriano dell’identità perduta e anche del concetto di mutuo soccorso ultimamente sbiaditosi. Prima che cominci il match, quell’abbraccio vistoso della squadra, sinonimo di blocco unico e unito, è per la platea, ma è soprattutto una necessità interiore. E diventa messaggio, traccia, binario.

lunedì 23 novembre 2009

Barletta, all'ultimo secondo

A Brindisi protestano e protesteranno. Le modalità con cui si abbatte il pareggio del Barletta, a match già scaduto e a recupero già consumato, lasciano sul campo irritazione, malumore e un ventaglio di pensieri polemici. Ma il collettivo guidato da Sciannimanico è indomabile e non si arrende mai. Recuperando sull’ultima palla utile un derby densissimo, anche divertente, talvolta frenetico. Dove la circolazione di palla e la velocità di esecuzione sembrano vietare l’interruzione del gioco. Derby (sentitissimo: sugli spalti, la coreografia è particolarmente cromatica) che Carozza e soci costruiscono su un pressing inizialmente aggressivo (con il tempo, però, la ferocia si riduce) e su ripartenze sostanziose, sempre pungenti. D’accordo: c’è più Brindisi che Barletta, dal punto di vista della gestione del pallone. E la squadra di Silva si aggiudica i diritti di una indiscutibile supremazia territoriale: ancora più evidente nella seconda parte del match. Ma non condividiamo il giudizio severo (e di parte) di qualche addetto ai lavori, che priva la prestazione ospite di molti meriti e di tante verità. Una per tutte: il Barletta replica sempre e comunque. Lasciando giocare (difficile, del resto, arginare un Brindisi ispirato), ma ritagliandosi i propri spazi, disegnandosi una partita di sacrificio e di quantità, così come di personalità. Difendendosi, è evidente, ma senza barricarsi, come erroneamente pubblicizzato da qualche osservatore: malgrado la cattiva giornata di uno Sportillo nervoso e precipitoso. E, quindi, adattandosi ai ritmi impressi (sempre alti) dall’avversario. Offrendo, infine, continuità al proprio momento felice. Di cui è necessario approfittare: ponendo le basi per accelerere il processo di avvicinamento all’obiettivo dichiarato, quello della salvezza. Che, peraltro, si collega sapientemente al progetto di rafforzamento della base societaria, in via di definizione. Anzi, con queste premesse, la recente (ed inequivocabile) crescita del Barletta sancita dal campo non appare per nulla casuale.

sabato 21 novembre 2009

Pecchia e Porta, ultima chiamata?

Non è, questa, la stagione adatta al Foggia. Né avrebbe potuto esserlo, considerate le premesse. E non è, questo, un campionato che si adatta al blasone e alle intramontabili pretese della gente che tifa. E’, invece, un duemilanove di fatica grigia. In previsione di un altro semestre, il primo dell’anno che verrà, impastato di lacrime e sangue: se, come sembra, la definizione delle faccende societarie non subirà uno sviluppo conveniente e convincente. Non a caso, del resto, il numero uno del club, Tullio Capobianco, sta tentando di forzare i tempi, provocando istituzioni e forze imprenditoriali della Capitanata. Cercando i meandri più brevi per la soluzione ai problemi. Problemi che stritolano, ovviamente, anche la squadra: di per sé non eccessivamente carrozzata per guadagnarsi una salvezza agiata. O, comunque, per assicurarsi un cammino più regolare, che non dipenda esclusivamente dalle poche e isolate trovate di Salgado e Mancino, due singoli che possiedono intuizioni di altra categoria, ma troppo spesso imbavagliati dalla propria latitanza. E sì: perché, quando i big affrontano l’impegno con la lucidità (e le motivazioni) giuste, il Foggia cresce. Per poi riafflosciarsi sùbito dopo. Alla fine, dunque, al di là di qualche bagliore, la formazione di Pecchia e Porta è sempre lì, dentro il fosso. E i due tecnici, puntualmente, si ritrovano a fronteggiare la minaccia dell’esonero. Del quale, ormai, si sente parlare da più di un mese. Circola voce, anzi, che il match di domani (allo Zaccheria scende il Portogruaro) possa essere per la doppia guida tecnica la prova d’appello. L’ennesima. Brutta storia, per un Foggia ancora acerbo e spesso assente. E per due allenatori ormai abbondantemente delegittimati: non dalla società, magari, ma dall’ambiente. Certe volte, cambiando l’ordine dei fattori, il prodotto non cambia.

venerdì 20 novembre 2009

Un calcio geograficamente corretto

Esiste anche un calcio geograficamente corretto. E’ quello quasi sommerso dei dilettanti di facciata. Quello dell’Eccellenza o della serie D. Un calcio che non si lascia alla casualità, che vive di ritmi e contenuti propri. Che si nutre di se stesso, delle sue peculiarità, dei suoi uomini, delle sue idee e delle proprie situazioni. Che necessita del suo stesso humus, per sopravvivere. E, comunque, di gente che lo conosce profondamente e lo coltiva assiduamente. Che lo mastica da sempre, cioè. Un pallone di confine che il calcio dei grandi un po’ irride: sbagliando. Ma, sicuramente, questa non è materia per improvvisatori. Tutto vero, non sorridete. Tanto vero che rischiamo un concetto: i campionati dilettantistici (si fa per dire) di Puglia sono a misura dei pugliesi. E rifiutano puntualmente l’apporto dello straniero. Boutade? Niente affatto. Guardate, ad esempio, il fermento sulle panchine di casa nostra: difficili da gestire per chiunque, ci mancherebbe. Ma, soprattutto, per chi arriva da fuori. Chi, evidentemente, non conosce i meccanismi del calcio di queste contrade. E la sua realtà. L’azzardo di dirigenze un po’ miopi o, meglio ancora, superficiali trascina, talvolta, coach di oltre confine (e di estrazione calcistica diversa) tra la Capitanata e il Salento, tra l’Adriatico e lo Jonio. E il pericolo di franare è altissimo. Lo dicono le statistiche. Anche quest’anno. Soprattutto quest’anno. E’ il caso del nordico Lombardo, calatosi a torneo iniziato nei problemi dell’Ostuni: malgrado la diffidenza di molti addetti ai lavori. Compresa la nostra. Bene, Lombardo è già tornato a casa, travolto da un mondo che non è il suo, oltre che dalle insidie di percorso. Come Carmelo Miceli, calabrese scritturato ad agosto dal Sogliano e già sostituito dal leccese Levanto. Come lo stesso Orlandini (lombardo, ma mesagnese di adozione, quindi abbastanza pugliese per essere considerato straniero), eppure sùbito esautorato dal Tricase. E come Karel Zeman, figlio di Zdenek, palermitano che aveva accettato l’offerta del Maglie tramortito domenica scorsa a Terlizzi. Risultato: esonero(anzi, congelamento) ampiamente previsto. Traducendo, tutte operazioni estive anomale e puntualmente naufragate. Non ci sembrano coincidenze, ma conseguenze. Perché il pallone di Puglia possiede una sua logica, un suo dna, una propria gestazione. E una propria prateria di protagonisti. Autoctoni.

giovedì 19 novembre 2009

Non toglieteci la storia

Dopo il Grande Salento, la squadra del Basso Salento. Che riunisca un po’ di passioni e di piazze affamate: di calcio e visibilità. E, magari, anche le forze economiche di un angolo di periferia. Un soggetto unico che convogli gli interessi di città come Gallipoli, Casarano, Tricase, Maglie, Galatina, Nardò. E Racale, magari: dove il calcio, ultimamente, si è risvegliato con la forza del denaro. L’idea di D’Odorico, presidente appena sbarcato sullo Jonio, non è piaciuta, però, alla gente che tifa Gallipoli. E che è pronta a difendere il bene prezioso della B con la ragione sociale più cara. Il progetto è stato sùbito contestato: sonoramente. Con il pallone non si scherza. E con le rivalità (storiche) neppure. Il calcio, del resto, è bello anche per questo: perché riassume in sè anche i valori dell’identità di ciascuno. E perché profuma di storia, sia pure sommersa da decenni di anonimato. E poi c’è un’altra questione: è il calcio che cambia e che un po’ ci sta cambiando, quello che non va. E che non va alla gente. Ci hanno tolto molto: il piacere di acquistare il biglietto al botteghino dieci minuti prima del match, le divise di una volta, la partenza simultanea di tutti i campionati, l’integrità dei calendari, la numerazione classica delle maglie da gioco e chissà cos’altro, a cui ci siamo già abituati. Senza accorgercene. Ma non privateci anche del campanilismo (anche quello più becero), dei derby di provincia, del sale di molta storia del pallone. E poi, pensandoci bene, le fusioni – nel calcio – durano quello che devono durare: un mese, un anno. E tutto torna come prima. O quasi. Perché il business scivola via. E la storia resiste.

mercoledì 18 novembre 2009

Le riflessioni di D'Addario

D’Addario sembrava deciso, al riparo di un microfono, appena un giorno prima: deciso a caricarsi nuove responsabilità, a rafforzare la propria politica interventista, ad aggredire il problema. Che, però, avrebbe potuto generarne altri. E, invece, il presidente torna indietro. Congela la scelta epocale. Riflette. O, magari, è consigliato a riflettere. Il riassunto di quarantott’ore calde in pochi flash: il Taranto che, nonostante la soddisfazione professata dal tecnico – inciampa a Portogruaro, allontanandosi dalle poltrone di maggior prestigio, continua a non convincere. Né la tifoseria (la contestazione, immediatamente dopo la gara, finisce per complicare -più o meno involontariamente - il viaggio di ritorno della comitiva, costretta a ripiegare su un autobus di fortuna), né il suo presidente. Uno, cioè, che non è abituato a perdere. E che non rinuncia neppure a prendere posizione. Con il temperamento dei più esigenti e l’azzardo dei neofiti. D’Addario, dopo la prima sconfitta della gestione Brucato (otto punti in sette gare: migliore, a questo punto, il cammino della squadra affidata, in prima battuta, a Braglia), interviene daglki schermi televisivi Pesantemente. Prospettando di esautorare (epurazione è un termine che non gli piace) una decina di effettivi dell’organico. I quali avrebbero potuto continuare ad allenarsi (tra mugugni e fastidio, immaginiamo) con il gruppo, senza poter contare – da qui sino a gennaio, tempo della riapertura del mercato – sul privilegio della convocazione. «Trentuno disponibili sono troppi. Con venti, l’allenatore potrà lavorare meglio», fa sapere il patron. Minacciando di accorciare, dunque, il raggio d’azione del coach. Come a dire: così dovrà essere, si adegui. Il caso non è assolutamente originale (i precedenti esistono), ma delicato: perché la ventilata decisione non affonda le radici su motivazioni extracalcistiche (è la società che detta una linea di comportamento che i dipendenti sono tenuti a rispettare: altrimenti, sanziona), ma su questioni squisitamente tecniche, di stretta pertinenza dello staff gestito da Brucato. Si profila un caso che comincia già a scottare: per le modalità con cui sta sbocciando e per le reazioni che potrà (il rapporto con i procuratori non è mai stato idilliaco e potrebbe incancrenirsi). Ma il martedì raffredda lo spirito bollente di D’Addario: in coda ad un confronto diretto (e duro, pare), sono tutti perdonati. Uno per tutti e tutti per un obiettivo, quello di sempre. Stretegia del terrore sapientemente studiata? Minacce esclusivamente mediatiche? Chissà. Oppure, più semplicemente, ravvedimento pilotato da un summit improvviso? Vedremo: il tempo ci dirà. Perché nuovi capitoli potranno assommarsi a questo: basta attendere. E confrontarsi con i risultati del campo. Intanto, però, il Taranto sceglie la linea morbida. Rivedendo le proprie posizioni. Più o meno quello che è avvenuto, pochi giorni prima, con il supervisore del vivaio, Franco Dellisanti: scaricato a parole e confermato nei fatti. Segno che D’Addario sta imparando ad placare gli istinti dell’inesperienza. Ad ascoltare le onde lunghe delle ragione. O le voci intermittenti di chi gli naviga attorno.

martedì 17 novembre 2009

Il Grottaglie riparte

L’obiettivo dichiarato era cancellare il rovescio di Benevento: che coach Enzo Maiuri sembra aver sofferto profondamente, al di là della semplice espressione numerica del risultato (quattro a zero). E il derby con il Fasano cancella il pessimo ricordo della trasferta sannita: lasciando, anzi, stagnare il Grottaglie nell’immediato ridosso delle prime cinque della classe. La vittoria sull’erba di casa è limpida nel punteggio, ma frutto di una gestione del match non sempre chiara. E, comunque, fortemente agevolata dalla precipitazione in fase di fensiva dell’avversario, a ostilità appena aperte, che regala il sigillo del vantaggio. Quello che, poi, indirizza il resto della gara. In cui l’Ars et Labor si presenta con l’atteggiamento giusto, muovendosi coralmente, praticando una manovra fluida. E dove, più tardi, D’Amblè e soci si irretiscono di fronte ad un Fasano che battaglia, finendo per perdere smalto e brillantezza. Ma riuscendo ugualmente a chiudere il conto con largo anticipo. Sono, cioè, le modalità della partita a scrivere il corso dei novanta minuti: più dello stesso Grottaglie, che – però – recupera il morale e la strada. E che, oggi, si guarda indietro, rallegrandosi: ripescata a settembre, partita in ritardo e modellata a torneo già avviato, in questo momento la formazione di Maiuri è la migliore espressione del calcio pugliese di serie D. Dato, questo, che sottolinea la mediocrità di un campionato unanimemente ritenuto, prima che cominciasse, decisamente migliore nei contenuti e tecnicamente avversato dalla presenza di cinque under obbligatori in ogni confronto. Ma che non può neppure sottacere il lavoro serio di un gruppo nato e crescuto senza pedigrée, ma umile quanto basta per inseguire un traguardo che, adesso, la squadra non sa neppure ipotizzare.

lunedì 16 novembre 2009

Il futuro assai grigio del Fasano

Se il Fasano possiede ancora un futuro, il futuro è assai grigio. Al di là dei risultati del campo. L’ultimo dei quali (zero a tre a Grottaglie) è, tuttavia, indicativo sulle condizioni psicologiche con cui la squadra di Geretto, già angustiata dai problemi di organico (numericamente e qualitativamente parlando) dovrà convivere. Al di là della classifica: il gap con la soglia della salvezza, al termine del derby, si è ampliato. E al di là del calcio praticato: Pistoia soci si autopuniscono con un maldestro intervento di Prete, che apre la starda all’Ars et Labor, finendo con il pagare l’insuficiente forza d’uro in fase di possesso e la fatica cronica nelle operazioni di ripartenza, pur non lesinando energia e, talvolta, ardore. No, il futuro è una faccenda più complicata. Che passa attraverso la gestazione societaria e una raccolta di capitali più deludente del previsto. Che ha già fatto fuggire qualche effettivo dell’organico: malgrado in conferenza stampa Geretto si ribelli, adducendo motivazioni che, in realtà, mascherano timidamente la realtà. E che potrebbero completare il processo di disgregamento dello spogliatoio. Voci di corridoio, addirittura, insinuano che il Fasano possa piegarsi prima della fine del percorso: che, cioè, il campionato possa esaurirsi prima del tempo. Che le difficoltà economiche del club possano spazzare tutte le speranze a metà campionato. Disfattismo o verità, il disagio esiste. Se non altro, perché se ne parla. E perché la lista dei convocati (sui diciotto in lista a Grottaglie, solo cinque senior) non mente.

venerdì 13 novembre 2009

Brucato, critiche scomode

Troppe critiche. Dall’esterno e e dall’interno. Dalla gente e dal vertice della sua stessa società. Che oscurano il ritorno al successo, affiorato dopo una sequenza di pareggi faticosamente accettati. E Brucato, guida tecnica del Taranto, si ribella. Giurando di non capire. «Nemmeno una vittoria riesce a starci bene», chiosa. In realtà, alla volubilità e alle esigenze di una città assetata di tutto e, in particolare, di pallone dovrà necessariamente abituarsi: quella tra i due mari è una piazza che vive di calcio parlato, che si macera nelle sue frustrazioni e nel proprio vittimismo. Dove non si concedono sconti a nessuno. Soprattutto se la vittoria non è limpida, malgrado il coach si ostini ad affermare il contrario: legittimamente, come democrazia concede. E soprattutto se il problema tattico e gli affanni della squadra restano intatti.

giovedì 12 novembre 2009

Pellegrini, addio elegante

Dopo Pellegrini, ecco Chiricallo. Di nuovo sulla panca dopo l’esperienza agrodolce di Barletta. Il Monopoli volta pagina. E l’ex tecnico si dilegua annotando qualche concetto in una lettera aperta assai garbata. «La mia non è una resa – scrive, tra le altre cose - ; anzi, è un gesto che credo possa portare soltanto dei benefici… In mezzo ad evidenti lacune strutturali, con una squadra allestita in breve tempo e molto giovane, sono riuscito credo, attraverso la cultura del lavoro e della professionalità a impostare un certo tipo di percorso. Lascio il Monopoli a cinque punti dalla zona-playout, come mi aveva espressamente richiesto la società la scorsa estate. Evidentemente qualcuno al di fuori della società è convinto che questo gruppo possa puntare ad altro». Se ne va con eleganza, merce rara in questo calcio che è palestra di improvvisati e improvvisatori, di maligni e millantatori, di ruffiani e arroganti, di supponenti e traditori. E con la consapevolezza di aver pagato oltre il limite delle proprie responsabilità. E se ne va seminando fiori, invece di spine. Con stile. Non sarà male ricordarsene.

mercoledì 11 novembre 2009

Monopoli, Lacarra non salva Pellegrini

Davide Pellegrini non salva la panchina. L’ultimo pareggio del Monopoli è letale. Perché tre punti negli ultimi otto impegni sono pochi per tutti: anche per chi ha cominciato il campionato con passo effervescente. La risoluzione (consensuale, dice il comunicato ufficiale) del rapporto tra il tecnico e la società, del resto, era attesa. Pellegrini paga l’involuzione della squadra, ammaccata e palesemente svuotata di molte certezze dell’ancora recente passato (persino Lanzillotta, sin qui irreprensibile, adesso non carbura). Al coach non è sufficiente neppure il guizzo finale di Lacarra, artigliere motivato e anche inquieto (zittisce platealmente la curva e viene contestato). Ma il Monopoli, effettivamente, si è spento da un po’. Diciamola tutta: Cortesi (ancora impalpabile) e soci, di fronte al Manfredonia, limitano i danni in un derby difficile sin dall’inizio e privano l’avversario di un successo ormai legalmente conquistato. Ritrovando nel finale, è vero, quella grinta smarrita (il risultato è riparato nelle ultime battute, come in altre occasioni), ma convincendo poco. Soprattutto nelle operazioni di possesso palla. Ma anche nella gestione delle situazioni ordinarie (il Monopoli arriva sempre secondo sul pallone, ad esempio). E poco importa che i sipontini indovinino una delle migliori partite della stagione. Il disagio, di questi tempi, è evidente: al di là delle condizioni altrui. E finisce per penalizzare una squadra che sconta (è una verità) anche il bellissimo avvio di stagione. Una squadra, cioè, che nei primi due mesi di campionato certifica di aver raccolto molto di più di quanto la realtà strutturale dell’organico avrebbe dovuto consentire. A fronte, magari, di un calendario più agevole in apertura di torneo e, ora, sicuramente più ruvido. Una squadra, va detto, concepita per ottenere la salvezza e niente di più: quella salvezza che, oggi, la classifica continua a garantire, nonostante tutto. Ma che il passo incerto degli ultimi tempi sta seriamente minacciando.

martedì 10 novembre 2009

Taranto, tre punti di notte

Il Taranto di notte sa anche vincere. Non era mai accaduto. Ma il successo sulla Cavese (cercato, inseguito) è sofferta più di un po’. E neanche ipotizzabile, a prima frazione di gara ormai consumata. Tanto da scoraggiare anche l’ottimismo del presidente D’Addario, che fugge via prima del tempo. Molto prima che Correa trasformi in gol uno degli ultimi assalti alla porta campana. Molto prima che il sudamericano dia forma, senso e sostanza alla sua prestazione insipida. E prima che la Cavese rinunci definitivamente ad accettare un confronto franco, aperto: accontentandosi del minimo (non ancora) garantito. Condizione che spinge la squadra di Brucato a far circolare il pallone di più e meglio. E a impossessarsi di un match nato zoppo. E sì, perché il posticipo del lunedì ripropone da principio l’equivoco tattico dal quale il Taranto, tre mesi dopo l’avvio del torneo, non sa ancora uscire. La presenza di tre mediani (Mezavilla, Quadri e Giorgino) e di un fantasista (Correa) e la contemporanea assenza di un catalizzatore di gioco che sappia dettare i tempi obbliga la difesa jonica a scavalcare con calci lunghi la mediana. Puntualmente. L’insicurezza di molti singoli e la carenza di soluzioni, poi, fanno il resto. Corona, ultimamente criticato, gioca di sponda per chi non c’è. O per chi non si fa trovare. E Russo, il ragazzino emerso nelle ultime settimane, non può accollarsi il peso specifico delle speranze, davanti. Infine, l’assetto difensivo è permeabilissimo, soprattutto a sinistra. L’ultima mezz’ora, però, addolcisce certi giudizi. Anche se non soddisfa troppi quesiti. Ai quali il trainer, blindato dal recente allungamento del contratto, dovrà - prima o dopo – cominciare a rispondere. In attesa della revisione dell’organico, a gennaio. Perché i tre punti di notte non sbarrano la strada ad una rivoluzione di metà stagione che sembra avvicinarsi sempre più.

lunedì 9 novembre 2009

Manfredonia, una risposta a se stesso

Il Manfredonia ritrova Marchano (che ritornerà dall’Argentina domani, sembra certo) e cerca risposte da se stesso. A Monopoli si presenta con intenzioni sane: Arigò pesca il palo cento secondi dopo l’apertura delle ostilità e poi si avvicina sensibilmente al vantaggio. Molto più del Monopoli. E spendendo quel che l’avversario, al momento, non possiede. La partita, quindi, segue il suo corso: la squadra gestita da Bucaro, nel derby, battaglia e corre, contrasta e graffia. Ripartendo agilmente, puntando sulla concretezza e la semplicità. Anzi: la prima frazione di gioco fa preferire il 4-4-1-1 ospite, più tonico e convinto, capace di leggere meglio la partita e di affrontarla con personalità. Ma anche totalmente rivisitato negli uomini: per esigenza e anche per scelta. La prestazione, arricchita da un solo punto (gli altri due scompaiono al fotofinish per una combinazione negativa: l’indecisione di Marruocco e l’esitazione di Bucaro, che non spezza l’iniziativa monopolitana con un avvicendamento già pronto da oltre due minuti) rende comunque giustizia ad un collettivo vispo, vivo. Che interpreta correttamente anche la ripresa, consacrata ad una gestione vigile e al contropiede. Che fornisce a se stesso un’indicazione di prospettiva. E, in fondo, anche la risposta più attesa.

domenica 8 novembre 2009

Gallipoli puntiglioso e vincente. Soffrendo

Giannini rivede l’undici di partenza (De Gennaro e Mounard in panca, per differenti motivazioni) e, contro il Frosinone, disegna un Gallipoli timido per un’ora e dotato di attributi nella parte finale del match. Risultato: molta sofferenza e, alla fine, una vittoria che schiaffeggia la prova consapevole dell’avversario, ma che racconta anche di un collettivo puntiglioso e disposto a giocarsi le chance, sino in fondo. Ginestra e compagni rinunciano troppo presto all’arma dell’aggressività e cedono ai ciociari larghe fette di campo, molti movimenti e troppe ripartenze. La formazione di Moriero è più fluida, più collaudata : tanto da poter addomesticare la gara e crearsi diverse occasioni, sciaguratamente sperperate. Il Gallipoli, invece, entra in partita tardi e incide a ripresa abbondantemente iniziata, dopo aver lasciato campo e iniziativa. La traversa colpita da Ginestra non basta a suffragare la causa salentina, costretta ad aggrapparsi alla pratica assidua dell’offside, per arginare le idee degli ospiti. E diventa fondamentale una mancanza grave di Semenzato, in piena area, per raggiungere un vantaggio (firmato da Scaglia) sostanzialmente inatteso e pure abbastanza ingiusto. Dopo, però, c’è solo il Gallipoli. Anche se il Frosinone pareggia in fretta. C’è il Gallipoli che assorbe la reazione dell’ex capolista, c’è il Gallipoli che lievita, rischiando persino di dilagare. C’è il cuore, ci sono i muscoli ritrovati e una certa freschezza lasciata sin lì chissà dove. C’è una brillantezza impastata di carattere, emersa proprio quando si comincia a ipotizzare un inesorabile processo di involuzione della squadra. Ma, evidentemente, non è mai troppo tardi per arrampicarsi su questa serie B che non chiude la porta. A nessuno.

sabato 7 novembre 2009

Il Barletta galleggia. Senza assilli

La prima parte del campionato del Barletta non solletica le fantasie. Ma neppure sconforta. Del resto, la classifica rassicura sufficientemente: pur non impermeabilizzando la squadra di Sciannimanico, scritturato in estate per trarre da un organico rinnovato entusiasmo e credibilità. Cioè, una salvezza condita di dignità, unico traguardo possibile a rimorchio ad un periodo di travaglio societario (prima del torneo mancava la moneta, non dimentichiamolo), come conferma il punto di penalizzazione imposto dall’indagine della Covisoc e piovuto a torneo già avviato. Punto che, alla distanza, potrebbe pure pesare e che, comunque, per adesso passa inosservato o quasi. Il Barletta, dunque, galleggia. Con prestazioni, magari, discontinue. Con i suoi pregi e con i difetti di costruzione. Il coach, però, è contento del proprio lavoro ed apprezza quello dei suoi uomini. E non fa mistero delle proprie sensazioni, ripetutamente. E pure la gente sembra essere sostanzialmente sintonizzata sulla stessa modulazione di frequenza. Appoggiando il progetto e i protagonisti del campo. Senza accendere fuochi inutili. Caso addirittura singolare, in una piazza tradizionalmente esigente, ancorchè infastidita dagli ultimi anni di calcio cittadino. E, se permettete, questo è un dettaglio da non sottovalutare. E da coltivare. Eventuali tempi bui permetendo.

giovedì 5 novembre 2009

L'armistizio del Brindisi

Dicono che Massimo Silva conservi la fiducia della società. E che i fratelli Barretta, plenipotenziari del Brindisi, abbiano equamente diviso (tra tecnico e giocatori, cioè) le responsabilità dell’impasse. Minacciando lindistintamente a truppa e il suo comandante: ormai divisi da accuse incrociate e neanche tanto velate. Dunque, il tecnico rimane dov’è: per il momento, almeno. Anzi, il vertice del club smentisce che le pratiche di rescissione del contratto con il tecnico pavese siano naufragate in dirittura d’arrivo. Punto e a capo, quindi. Con un coach sfiduciato da una parte dello spogliatoio e con uno spogliatoio spubblicato dal trainer. Con un allenatore deligittimato da una parte dell’organico e con i giocatori delegittimati dall’armistizio. Come a dire: se la base individua la convenienza dell’armonia e ritrova la vittoria, tutto bene. Altrimenti, può partire l’epurazione. E, a pagare, saranno molti. Anche Silva, ovviamente. Che continua a dipendere, sempre di più, dagli atteggiamenti di chi scende in campo. Senza essere proprietario, sino in fondo, del proprio destino.

mercoledì 4 novembre 2009

Il Bari e quelle occasioni sprecate

La sconfitta di Parma e i punti persi sul campo della Sampdoria strattonano i pensieri più nobili del Bari e spiegano che la squadra di Ventura è fondamentalmente immatura per sognare traguardi particolarmente eccitanti. Eppure, di Gillet e soci è lecito continuare a dir bene ed è giusto sottolineare ancora la freschezza di un collettivo nato in estate per sopravvivere ai rigori dell'inverno e, invece, sùbito autorizzato a requisire i riflettori del campionato. Ma, sul Bari, cominciano a pesare tutte quelle occasioni perse per strada. E non solo domenica scorsa (penalty fallito al fotofinish, vantaggio successivamente raggiunto e polverizzato dal discutibile e discusso intervento del direttore di gara). Il trainer, candidamente e legittimamente, si permette poi di tornare ad imprecare su risultati che la logica porterebbe a santificare: come quell’altro pareggio ottenuto sul campo del Milan, per esempio. All’improvviso, cioè, Giampiero Ventura e la sua gente scoprono di doversi dolere, invece di potersi rallegrare. E i conti non tornano. Il Bari si accorge allora che, alla sua classifica, manca qualcosa. E già si preoccupa di poter rimpiangere, domani, quel che ha perso per strada. Così, la soddisfazione si trasforma nell'anticamera dell'insoddisfazione. Ci sembra, però, che di più questa squadra non possa pretendere da se stessa. E che, forse, converrebbe cominciare ad accontentarsi. E godere sino in fondo di questo stato di salute, di queste conquiste. Per non correre il rischio di doversi lamentare, prima o poi, dei piaceri innegabili che il ritorno in serie A ha riservato all'intero ambiente. Il gioco è pericoloso. E l’appetito degli affamati, molto spesso, è parente stretto dell’ingratitudine popolare.

martedì 3 novembre 2009

Noicattaro, il successo non deve fuorviare

La prima vittoria. E l’abbellimento della classifica. Il Noicattaro raggiunge contemporaneamente due obiettivi. E guarda al domani con più fiducia. Che poi è la fiducia dei risultati. Quella che vale tanto quanto la fiducia nelle proprie possibilità (ma qui il discorso cambia: c’è il successo, ma certe ombre persistono). Il suggerimento, allora, è quello di non lasciarsi fuorviare eccessivamente da quello che è lo score finale e di lavorare ancora. Per evitare che, nel futuro prossimo, succeda quello che sarebbe potuto accadere ieri: e che, cioè, un’affermazione limpida possa trasformarsi all’improvviso in un pareggio psicologicamente catastrofico. ll suggerimento, sì, è quello di attenersi alle indicazioni della realtà. Che parla di novanta minuti in cui Zotti (due gol e buone proposte, peraltro enormemente facilitate dalla svogliatezza e dagli imbarazzi dell’intero assetto difensivo dell’Igea Virtus) e soci dispongono della palla e del gioco dal primo al trentesimo minuto della ripresa: secondo più, secondo meno. Ma anche dell’incapacità di gestire il doppio vantaggio su un’avversario scarico, privo di cattiveria agonistica, incerottato e indubbiamente arrendevole. Traducendo, la possibile vittoria larga (il Noicattaro potrebbe portarsi sopra di tre lunghezze: anzi, sarebbe l’ipotesi più semplice, più credibile) rischia di diventare un pareggio inimmaginabile. E, comunque, l’ultima fetta del match diventa un’attesa nervosa del fischio di chiusura. Che segue di pochissimi minuti il sigillo del tre a tre, invalidato dal direttore di gara tra le proteste siciliane. Ecco, è la gestione delle ultime battute il nemico più perfido del Noicattaro: particolare emerso già di fronte al Siracusa e in altre occasioni. Un nemico che nasce, evidentemente, dalle paure congenite e dalle insicurezze. Che, ovviamente, generano amnesie e disagi. Intanto, attendiamo di sapere quanto vale il risultato di domenica: perché non possiamo disconoscere che il Noicattaro sembra dilagare quando la resistenza dell’Igea si sfarina totalmente per limiti propri. E perché non è logico fidarsi delle apparenze dettate da un risultato felice, ancorchè insindacabile. Chi ha visto la partita, concorderà.

lunedì 2 novembre 2009

Il Lecce conquista la vetta. E si adatta

Il Lecce non si ferma. Piuttosto, insiste. E raggiunge la vetta della B: per innegabili meriti propri (piega l’Empoli con praticità ed efficacia, come spiega a fine match coach De Canio, e con quell’autorevolezza che lascia confidare in una gestione oculata del prosieguo della stagione) e per evidenti limiti altrui (non c’è, nel campionato, un leader consacrato: frena il Frosinone, cade nuovamente il Torino, il Cesena e l’Ancona si accontantano del pari). Adesso, il Lecce è un gruppo solido: che non propone calcio esuberante, ma che sa farsi bastare il progetto lungamente inseguito e un organico dotato, per la categoria. Malgrado i dubbi del passato recente: dettati dalla frustrazione popolare, più che da una disamina serena. Ed è una squadra che, adesso, risponde alle sollecitazioni del suo caudillo: bravo, probabilmente, a recuperare in tempo il controllo degli uomini e della situazione. Cioè ad arrestare il processo involutivo di qualche tempo addietro. Ma anche adeguatamente scortato dalla fiducia di una società che l’ha blindato e, nel tempo, rafforzato: alimentandone i poteri, concretamente. E non solo teoricamente. Il Lecce, ora, è un blocco che sfrutta il lavoro speso sin dall’estate. E che non si è lasciato travolgere dalla fretta cieca: dettaglio che di sa di anormalità, nel calcio esigente dei giorni nostri. Adesso lo sa anche la gente, riavvicinatasi alla squadra. E tornata ad applaudire, a tifare. Doopo aver abbandonato affettivamente i protagonisti in difficoltà. Opportunisticamente, va detto. La retromarcia del tifo, certo, è una buona notizia. E la storia, in Salento, si ripete ciclicamente. Ma forse andrebbe sottolineato che, così, non vale. La società, invece, glissa e ringrazia. Meglio un rapporto risanato (sino a quando?) che un supplemento di frizioni. E, in fondo, adattarsi a questa quotidianità che inverte i concetti conviene di più.

domenica 1 novembre 2009

Brindisi, Silva rischia

Il Brindisi sciatto e scialbo del Flaminio, tana della Cisco Roma, è una squadra senza coordinate e senza una progettualità, dunque senza futuro. E non è più il Brindisi sprecone, ma sostanzialmente accettabilissimo, dei primi impegni stagionali. Il lento ed inesorabile depauperamento delle risorse mentali e della quadratura tattica, davvero evidenti dalla metà di ottobre sin qui, (e soprattutto nell'anticipo di ieri) deteriorano le ambizioni del club e della tifoseria, aggredendo la classifica e confermando qualche dubbio emerso – fuori dal coro – agli albori del campionato. Al Brindisi mancava qualcosa, per poter competere per la prima piazza: non ci eravamo confusi. E, probabilmente, manca qualcosa anche per poter competere per i playoff. Non la qualità di qualche singolo, forse. Ma, almeno oggi, la predisposizione a seguire Massimo Silva, nocchiero in difficoltà che sembra aver perso il controllo della situazione. E che, per questo motivo, pagherà con l’esonero, ormai prossimo. Come la stampa brindisina, tradizionalmente vicina ale posizioni societarie, ha praticamente anticipato. Scaricandolo, di fatto.

sabato 31 ottobre 2009

L'Andria è rinsavita con Papagni

L’Andria, all’improvviso, è rinsavita. L’ultima esperienza di campionato conferma i progressi recenti. E il pari di Lanciano (due gol di svantaggio recuperati) pesa molto. Soprattutto perché la prestazione di carattere si accoda alla brillante affermazione ottenuta sette giorni prima sull’allora capolista Portogruaro. L’acclimatazione al campionato può dirsi completato: sette punti in tre partite, le ultime, sono un dato affidabile. Ma i segnali inequivocabili di lievitazione coincidono con l’arrivo sulla panca di Aldo Papagni, uomo quieto e tecnico guidato dal buon senso e dalla capacità di relazionarsi e interagire dialetticamente con la propria truppa e con l’ambiente che lo circonda. La bontà del suo operato è evidente. E oltrevalica i confini tattici. Il fatto, poi, non è assolurtamente casuale. Papagni riesce – puntualmente – a imporsi in piazze solitamente agitate: come quella di Andria (qui sta consumando la sua seconda felice gestione) o, per esempio, come quella di Taranto. L’applauso gli va riconosciuto sin d’ora: a prescindere dai risultati che saprà raccogliere a fine stagione.

venerdì 30 ottobre 2009

E ora il Fasano è solo

Il Fasano, ora, è proprio solo. Solo in coda alla classifica: perché il peso specifico del Pianura (che s’impone al Curlo nel match infrasettimanale) è inconfutabilmente più elevato, malgrado le difficoltà passate e presenti che la squadra partenopea ha incontrato e incontra tuttora. Ed è solo con i suoi pensieri, abbandonato anche dalla gente che tifa. E che contesta sonoramente. Tanto da consigliare un summit tra la frangia più accesa della tifoseria, la squadra e i vertici del club. Il più avversato, peraltro, è direttore generale Vinci. Il più avversato e anche il più rammaricato. Nonostante sia stato sempre chiaro. E malgrado abbia riportato con trasparenza, più volte, il problema di fondo, che è squisitamente economico. «E allora non capisco queste contestazioni, quando tutti conoscono da tempo la situazione del calcio fasanese», dice. Sottoscriviamo. Il Fasano è solo, ma un dettaglio non va trascurato: la società non ha mai bluffato. Siamo tutti testimoni.

giovedì 29 ottobre 2009

Il Francavilla vince. Ed è più di qualcosa

Il Francavilla vince. Ed è più di qualcosa. Vince digrignando i denti, strappando l’uno a zero dalle avversità di percorso (il Bitonto fallisce un penalty, Petrachi lascia la squadra in dieci per mezz’ora, recupero compreso), monetizzando il vantaggio che piove agli albori della partita (infrasettimanale). Decide un destro di Ferrari, mediano di corsa e sacrificio. In collaborazione con un avversario, la formazione di Pizzulli, caratterialmente un po’ dimesso, dalla reazione lenta. Non proprio il Bitonto, cioè, che ci saremmo aspettati. La prima volta del Francavilla, però, è una camminata di salute all’interno di un campionato nato male, che però il club sta cercando (e cercherà) di aggiustare, ricorrendo alle fantasie di un mercato sempre in movimento. Il presidente Distante, come previsto, sta mutando il profilo di un collettivo sin qui non eccessivamente carrozzato per il torneo di quinta serie. Mentre coach De Rosa, per il momento, si affida ad un approccio del match più consapevole, più aggressivo. E i risultati sono sùbito tangibili: la classifica si alimenta e certe ombre pericolose (in tribuna, ieri, c’era Nicola Di Leo) si allontanano. Sì, il Francavilla vince. Ed è più di qualcosa.

martedì 27 ottobre 2009

L'involuzione del Monopoli

Il possesso di palla è una priorità del Monopoli. Ma la supremazia territoriale, talvolta, non paga: soprattutto se la manovra si arruffa. Anche perché il dispositivo del Siracusa si compatta sempre più, muovendosi in direzione univoca e riducendo gli spazi. L’avversario, anzi, si fa progressivamente sempre più attento anche nella gestione del pallone e, in mediana, Berti e soci cominciano ad arrivare primi nei contrasti. Cioè: i siciliani guadagnano campo e la formazione di Pellegrini, progressivamente, si sfilaccia, perdendo lucidità e smarrendosi. Il rovescio di domenica si spiega anche così. Certificando un’involuzione della squadra sotto il profilo dell’interpretazione del match. Involuzione che azzera persino l’approccio discreto alla gara. La sconfitta, peraltro, attira le prime contestazioni: eccessive, forse. Ma che rientrano nella logica del pallone. Il Monopoli, abbiamo detto e scritto più volte, è però un gruppo solido. Un gruppo vero. E la robustezza di un collettivo emerge quando serve. Il momento delicato è arrivato. E va affrontato, sùbito. La prova di maturità comincia adesso. E, se le prime sensazioni del campionato non ci ingannano, continuare a puntare su questo gruppo non è un azzardo.

lunedì 26 ottobre 2009

Bari, la squadra del momento

Adesso, l’euforia è un pallone che rotola al San Nicola. Che trafigge due volte la Lazio e che, teoricamente, apre orizzanti nuovi. La sorpresa più coinvolgente di questa prima fetta di stagione si chiama Bari. Quel Bari immediatamente dietro le prime forze del torneo, trascinato dalla sua stessa impermeabilità (la formazione di Ventura, oggi, è la meno battuta del campionato) e dalla frizzante spensieratezza dei suoi protagonisti. Il Bari, sì, è la squadra del giorno. Ma non potrà godersi il momento troppo a lungo: mercoledì si torna a giocare. E i prossimi due impegni sono assolutamente niente male: prima, Gillet e soci incroceranno i tacchetti con il rampante Parma e, sùbito dopo, con la Samp di Cassano. Impegni dispendiosi e pericolosi. Ma, forse, persino opportuni, utili: a non fantasticare troppo, a riconcentrarsi velocemente sul cammino che dovrà condurre alla permanenza, che resta l’obiettivo più credibile. Il Parma e la Samp, in appena quattro giorni: eppure, meglio consumare il doppio test ora, sicuramente. Anche per capire qual è l’intensità e qual è la scorza di questo Bari. Che, dicevamo, non potrà godersi il momento sino in fondo. Che si vede privato di qualche giorno di (legittima) euforia. E il dettaglio, contrariamente alle apparenze, non è proprio una controindicazione.

Il derby della storia castiga il Gallipoli

La storia del derby sgualcisce l’incanto del primo derby della storia. Il Gallipoli affonda a Lecce (lo zero a tre è passivo che infastidisce e che rischia di generare ripercussioni antipatiche) e patron D’Odorico minaccia provvedimenti. Contro la squadra, precisa. E non contro Giannini, il suo condottiero: criticato – più o meno unanimemente – per l’eccessiva disinvoltura tattica con cui ha affrontato l’impegno, ma non per questo delegittimato nel ruolo di punto di riferimento della programmazione triennale. Contro una squadra arrivata alla sfida troppo scarica. O troppo carica: tanto da afflosciarsi, estraniarsi, scomparire. E soccombere prima del tempo, di fronte ad un avversario che, lentamente, guadagna sempre più sicurezza. La storia del derby avvilisce l’euforia dell’evento. E il Gallipoli comincia a conoscere le insidie di una classifica corrosa dalle ultime prestazioni. Alla quale neppure il punto recentemente restituito dalla giustizia sportiva riesce a offrire troppo colore. Tutto si complica, esatto. Ma ci incuriosisce sapere come saprà vivere l’emergenza un ambiente abituato, sin qui, soltanto a vincere. E come saprà gestire il momento delicato un presidente esplosivo, che però continua a credere nella bontà del progetto. Molto futuro passerà da questi punti nodali. Al resto, invece, dovrà pensarci Giannini. Con l’umiltà che rende più forti. E che, spesso, aiuta a ritrovare la funzionalità perduta.

mercoledì 21 ottobre 2009

Lima, un salto indigeribile

Dall’erba alla terra battuta. Dagli stadi di pregio ai campi di provincia. Dai riflettori alla periferia. Il dislivello è accentuato. E il salto è misterioso. Anche per Lima. Non il primo e neanche l’ultimo a tentare il proseguimento di una carriera che si sta fisiologicamente consumando: assaggiando il campionato regionale di Promozione, a Racale. In una squadra oggettivamente nata per vincere e per dettare le proiprie regole ad un campionato che, tuttavia, possiede per intero i requisiti di una competizione dilettantistica. Il brasiliano, in estate, in coda alle esperienze sudamericane, turche e italiane (Roma, Bologna, Lecce e, infine, Taranto, appena l’anno scorso) decide di abbandonare il professionismo ufficiale per entrare dalla porta del dilettantismo di facciata. O del professionismo occulto. Tutto normale: almeno per due mesi. Il tempo di ambientarsi ( o non ambientarsi), di assicurare il proprio contributo in un collettivo che, superato l’approccio alla realtà, comincia a carburare e di confrontarsi con la natura sconosciuta della settima serie nazionale. Poi, il divorzio consensuale dalla società salentina: storia di questi ultimi giorni. All’improvviso, malgrado le buone parole utilizzate dagli addetti ai lavori per ufficializzare la riuscita dell’operazione. Il comunicato ufficiale non entra nei dettagli, né nell’universo delle cause. Resta, però, qualcosa di incompiuto. E l’impressione che il salto all’indietro, talvolta, è indigeribile. Como certi campi in terra battuta, o la mentalità di un mondo così diverso.

lunedì 19 ottobre 2009

Il campionato aspetta il Lecce

La solita serie B: quanto tutto sembra complicarsi, bastano un paio di risultati in fila per tornare a sorridere. E allora, malgrado tutto, il Lecce è solo due punti sotto la soglia dell’attuale quota playoff. Con una partita da recuperare. E con la prospettiva di un’altra gara da disputare in casa, sabato prossimo. Anche se il calendario assegna alla formazione di De Canio la trasferta di Gallipoli. Ma venerdì, nell’anticipo, la vittoria conseguita di fronte alla Salernitana non sembra aver troppo convinto gli esteti, né chi ipotizzava la quadratura definitiva della manovra. O meglio: il Lecce ha navigato nel mare della propria superiorità, senza tuttavia installarsi nel cuore della partita, senza arrivare sino in fondo. Intuendo, però, il valore dei tre punti e lasciandosi giustamente sedurre dalla convenienza di un risultato ottenuto senza molto penare e, dunque, placandosi prima del tempo. E scongiurando, così, qualsiasi eventuale contrattempo. Il successo e, soprattutto, la posizione all’interno della classifica vanno dunque verificati. Quanto prima. L’analisi più efficace, intanto, risiede in una frase di Gigi De Canio. La squadra, cioè, deve abituarsi a vincere. Ovvero, maturare. Diventare adulta. Condizione essenziale per garantirsi la fiducia e per convincere il suo stesso nocchiero. Il quale, a lavori in corso, continua a non sbilanciarsi più di tanto: segno evidente che questa squadra prosegue il suo processo evolutivo. L’attesa, dunque, non è finita. Ma, fortunatamente, quello di B è un campionato che non si affretta a conoscere la verità.

domenica 18 ottobre 2009

Fasano, tra disciplina ed esigenza

Tutto comincia (o finisce) un giovedi come tanti, in un test come tanti. Un intervento rude, poi parole infuocate, quindi la rissa. Gli animi del Fasano e dell’Alberobellonoci, due mondi diversi e espressioni di campionati differenti, si scaldano e il match finisce lì. E qualcuno deve anche riparare nel pronto soccorso del nosocomio di Putignano. Il giorno dopo, infine, piove nelle redazioni un asciutto comunicato ufficiale: Capocchiano ed Evacuo vanno considerati, da ora in poi, due giocatori tagliati. La società del Fasano, cioè, punisce i suoi colpevoli: duramente. Privandosi , così, di due pedine di un certo (ipotetico) spessore, all’interno di un elenco di disponibili certamente non esuberante, numericamente parlando. E, comunque, di due attaccanti. Contemporaneamente. Artiglieri titolari di una squadra che rincorre il gol senza troppe fortune, ultimamente. La disciplina è la disciplina: e, certe volte, non serve discutere. Ma, onestamente, sorge il sospetto che i tagli siano stati pilotati più dal rendimento sul campo, che dal profilo comportamentale di Evacuo e Capocchiano. E che la rissa del giovedì costituisca il pretesto di una decisione maturata nel tempo. O, comunque, utile per sgravarsi da certi costi di gestione. E per giustificare un’esigenza consolidatasi nei primi due mesi di campionato. Non si spiegherebbe, altrimenti, il peso specifico di una risoluzione che, teoricamente, abbassa il quoziente di pericolosità e anche quello tecnico di un organico che, anzi, continua a reclamare puntelli. Vero: la disciplina è sempre la disciplina. Ma, di questi tempi, nessuno è disposto a cedere niente. Neppure di fronte all’etica. Soprattutto se c’è un pallone che rotola sul prato. Il club, però, ne esce benissimo. Elegantemente. Esercitando una propria facoltà. E sia. Ma, forse, un giovedì come tanti sembra arrivato giusto in tempo.

giovedì 15 ottobre 2009

Manfredonia, ritardo fisiologico. O quasi

Il ritardo è fisiologico. Lo fa sapere il gruppo di comando del Manfredonia, in una nota scritta, all’indomani dell’astensione dagli allenamenti decisa – per un solo giorno, dimostrativo – dalla squadra. Sciopero leggero, quasi indolore: per sensibilizzare opinione pubblica e società. Per ricordare che gli stipendi non sono stati ancora irrogati. Una storia di indubbia routine, sui campi della C. Seguita da una risposta di altrettanta indubbia routine. Che non si allontana, peraltro, dalla verità più vera di una realtà, quella del calcio meno pregiato, sempre più vicina alla crisi cronica. I pagamenti, fa sapere il club, avverrano quanto prima. E il ritardo, appunto, è fisiologico. Intanto, il Manfredonia continua a galleggiare nel suo secondo campionato consecutivo di C2. A galleggiare con alterne soddisfazioni (domenica, al Miramare, è piovuta la sconfitta, di fronte al Melfi: e, forse, non è sufficiente reclamare sulle inesattezze del direttore di gara). E il rendimento dell’organico costruito in estate continua a sembrare al di sotto delle attese. Adesso, qualcuno potrà persino accostare la classifica modesta e lo sciopero, trovando una connessione tra le due situazioni. Ipotesi che qualsiasi allenatore e qualsiasi giocatore scarterebbe, in sede di commento. Lasciando i dubbi. E due ritardi. Quello dei pagamenti, evidentemente fisiologico. E quello in classifica, un po’ meno fisiologico.

mercoledì 14 ottobre 2009

Casarano, frattura profonda

Il Casarano pareggia a Grottaglie e l’animo della squadra un po’ si acquieta. Non che il punto, da solo, serva troppo a imbastire l’inseguimento alle prime della classe: perché, di fatto, l’obiettivo di partenza non è cambiato. O, almeno, se è cambiato, nessuno lo ha comunicato. Però, certe volte, anche un punto è utile a ricostruire il morale. Soprattutto in una piazza come quella salentina, dove il primo nemico è il profilo psicologico. Lo score del D’Amuri, tuttavia, sembra non acquietare eccessivamente la tifoseria. Che ha già contestato Bianchetti (dedicandogli uno striscione, proprio domenica, e invitandolo a tornare in Sicilia) e che, fa sapere, continuerà a farlo. Come a dire: la frattura è già profonda. E non sappiamo quanto produttiva. Se Bianchetti non deciderà di andarsene di propria iniziativa, dunque, il conflitto rischia di inasprirsi. O di costringere la famiglia De Masi a impugnare la decisione dll’esonero. Sempre che la proprietà del club non applichi i criteri della diplomazia, intervenendo e ricucendo il rapporto tra le parti. In realtà, pare di capire che il prossimo match, quello che il Casarano disputerà al Capozza di fronte all'attrezzatissimo e ambizioso Neapolis, sarà nuovamente decisivo. Per Bianchetti, almeno. E il punto raccolto a Grottaglie finisce per diventare sufficientemente anonimo. Insipido: come quasi tutti i pareggi. E pericoloso: forse anche perché la situazione comincia a sfuggire ai controllori.

martedì 13 ottobre 2009

L'eccesso di zelo e il protagonismo gratuito

Eccesso di zelo. Oppure protagonismo gratuito. La performance di Francesco Di Stefano, direttore di gara appartenente alla sezione di Brindisi, fa sorridere. O, meglio, infastidisce. Ad Avellino sale il Castrovillari (il campionato è quello di serie D) e il gioco, ad un certo punto, si interrompe. Perché, appena al di là del perimetro di gioco, staziona il vice questore del capoluogo irpino. Invitato ad allontanarsi e, successivamente, dopo aver presentato tesserino e credenziali, ad indossare la pettorina colorata. La storia buffa viene risolta, sembra, con l’intervento ruvido del commissario arbitrale, a fine match. E con forti parole di censura nei confronti di Di Stefano. Ma allarga pure la distanza tra il comportamento di molti arbitri e la realtà: proprio mentre il calcio violento, ad esempio, continua ad essere difficilmente sanzionato. Delegittimando l’ipotesi dell’eccesso di zelo. E fortificando, invece, quella del protagonismo. Gratuito, appunto.

lunedì 12 ottobre 2009

La rincorsa vana del Monopoli

Arriva la prima caduta del Monopoli sul campo di casa. Che è responso, obiettivamente, da ricusare, perché bugiardo: la gente di Pellegrini si inventa un secondo tempo prolifico e fallisce il pareggio almeno cinque volte, costringendo l’Aversa alle operazioni di puro presidio, appena impreziosite da un paio di ripartenze (oggettivamente pericolose, è bene sottolinearlo) e sommando calci d’angolo e recriminazioni. La realizzazione, peraltro, giunge quando il match è inequivocabilmente tra i piedi di Cortesi e soci, ma il sigillo di Balistreri è invalidato dall’intervento del direttore di gara. Depauperando il gran lavoro speso sin lì da un collettivo che – va detto - si fa troppo spesso tagliare in fase di non possesso, aprendosi all’avversario (il gol normanno nasce con queste premesse e i rischi si presentano anche dopo, con le stesse modalità) e ritrovandosi a inseguire, un’altra volta. Proprio questo dato si ripresenta puntuale e comincia a preoccupare: il Monopoli coltiva l’abitudine dannosa di cedere per poi riorganizzarsi e ringhiare. Ma non è sempre è possibile rimediare. Come ieri. La coincidenza, allora, non è più coincidenza. Ma sta diventando una regola. Meritevole di riflessione. Tecnico e squadra sanno dove dover lavorare.

venerdì 9 ottobre 2009

Foggia, il temporale è quasi passato

Il temporale è queasi passato. Ma ancora piove. E resterà bagnato per altro tempo ancora. Intanto, però, lo sfogo di Capobianco, azionista di riferimento del Foggia, dovrebbe aver scosso le coscienze o, almeno, evidenziato la cruda realtà del momento. Dovrebbe. Di sicuro, comunque, lo stato di agitazione alimentatosi all’interno della società all’indomani dell’ultima caduta in campionato può considerarsi virtualmente composto. Pecchia e Porta rimangano al timone della squadra: le dimissioni sono state respinte. E la stessa struttura di comando, al di là delle parole secche e dure e dell’esplosione di amarezza, conferma il concetto di partenza, cioè il proprio impegno (anche e soprattutto economico) sino alla fine di questa stagione. Il Foggia, dunque, sopravviverà anche a se stesso. Per un po’, se non altro. Poi, se ne riparlerà. Il temporale, dicevamo, è passato. Ma ancora piove: il problema di fondo, in pratica, resta. Urgono nuovi compratori, quanto prima: il messaggio è limpido. Per qualche altro mese, il Foggia dovrà farsi bastare l’armistizio. E lo sfogo di Capobianco: più rumoroso che sostanziale. E chissà quanto utile: ma questo lo scopriremo presto.

giovedì 8 ottobre 2009

Francavilla, un mese perso

Il Francavilla si cautela in corsa. Come avevamo previsto, prima che il campionato partisse. Si cautela con un nome importante, per la terza serie: quello di Michele Cazzarò, che arriva da diverse esperienze consumate tra i professionisti. Al quale, ipotizziamo, si aggiungeranno altri rinforzi. Anche perché questa squadra, così com’è, non offre garanzie di salvezza. E non solo perché il club, forse frettolosamente, ha deciso in estate di disfarsi all’ossatura della passata stagione. Azzerando un organico di categoria e inventandosi una nuova strada, peraltro abbastanza pericolosa. Poi, alla fine, gli aggiustamenti e le rivisitazioni tecniche lasceranno lievitare i costi di gestione, portandoli sulle stesse cifre del passato. Ma questo, adesso, conta poco: ora è fondamentale scuotersi, entrare nella mentalità del torneo, cominciare a dimostrarsi competitivi. Darsi sostanza. Fare punti. Dissociarsi dal primo mese di calcio vero: in cui hanno latitato idee e carattere. Ed è inutile anche soffermarsi sul tempo trascorso. E sì, perché il primo mese è un mese perso.

mercoledì 7 ottobre 2009

Casarano, tutto si complica

Aspettavamo il Casarano. Che non è, strutturalmente, lo stesso Casarano scintillante della stagione appena trascorsa. Quello che aveva vinto tutto, ma proprio tutto. Aspettavamo il nuovo Casarano. Quello riveduto (e corretto?) per vincere ancora. In serie D, questa volta. E ci attendevamo, in realtà, anche qualche esitazione, sulla via del rinnovamento. Ma non il Casarano zoppo di quest’avvio di campionato. Già piegato due volte in casa (prima dal Matera e, domenica scorsa, dal più modesto – in termini tecnici – Bitonto). E mai davvero convincente: né a domicilio, né oltre confine. Comunque, troppo spesso impreciso: anche con Villa, l’artigliere più pesante. Non attendevamo questo Casarano: mai tonico, incapace di caricarsi il match sulle spalle. E, infine, sonoramente contestato da un pubblico storicamente esigente. Il nocchiero Bianchetti, però, utilizzerà una nuova chance: la società lo ha confermato con un comunicato ufficiale. E si allontana, per il momento, anche il pericolo dell’epurazione. Neppure la squadra deve temere niente, per ora. Ma il tempo, questa è la sensazione, potrebbe scadere presto. Va così, in certe piazze che si nutrono di certe ambizioni. E che spendono: tanto, anche. Anzi: altrove, Bianchetti e qualcun altro avrebbero già pagato, chissà. E va dato atto al club salentino di aver ragionato con la testa, bloccando gli impulsi della delusione. La società sa quel che vuole e sa quel che fa. Ma è obiettivamente difficile poter reggere alla pressione e al malcontento. Ed è facile capire che non potrà attendere molto: a Grottaglie, nella prossima gara imposta dal calendario, la Virtus si gioca parecchio. E, forse, di più. Anche se non è giusto addossare a Bianchetti l’intera responsabilità dell’approccio faticoso al torneo. Un approccio che possiede probabilmente anche motivazioni tattiche, ma non esclusivamente. Se gli acquisti estivi non sono propedeutici al progetto, del resto, le responsabilità vanno divise. E il sospetto è che il problema esista soprattutto nella scelta dei protagonisti

martedì 6 ottobre 2009

Foggia, cala il buio

L’involuzione si era ramificata da un po’. Attaccando gli argomenti a cui il Foggia si era aggrappato sin dall’inizio del campionato. E minando gli equilibri faticosamente strappati alle incognite di una stagione pianificata con poche risorse. La squadra di Pecchia e Porta perde quasi sùbito quel po’ di appeal guadagnato in partenza e si siede. Contro il Marcianise, poi, funziona poco o niente. E il rapporto con la gente si deteriora definitivamente. Risultato: sconfitta amara e tutti a casa. Tecnici e dirigenza. Proprio questo è il problema: chi avrebbe dovuto traghettare il club in fondo al torneo si fa da parte, infastidito dalla crudezza del disappunto popolare. Piegandosi alla prima vera contestazione. Arrendendosi, cioè, di fronte alla consapevolezza che il messaggio di fondo non è stato recepito dalla piazza. O accettato. Doveva succedere, è accaduto puntualmente. Non l’anno scorso: quando la situazione di austerity è stata mascherata dalla bontà del risultato finale (playoff) e dalla scelta felice di un po’ di giovani rampanti (Troianiello, Germinale e qualche altro). Ma quest’anno: dove le limitate possibilità economiche hanno consigliato un ulteriore snellimento degli obiettivi e dove la gioventù di qualche acquisto estivo non sembra aver allacciato una piena confidenza con la terza serie. Il presidente Capobianco e i suoi collaboratori più stretti smobilitano. Ed è questo il punto. Che priva il calcio foggiano di un futuro definito. Quel futuro che sarebbe dovuto passare anche e soprattutto dalle necessarie (e dolorose, certo) operazioni di risanamento, appena abbozzate. L’ambiente non ha saputo o voluto aspettare. O, forse, non possiede più la predisposizione alla sofferenza. Ma, oggi, non emergono alternative concrete a quello che la gestione Capobianco avrebbe potuto continuare a garantire. E, allora, resta da chiedersi se è servito a qualcosa lacerare il rapporto e forzare gli eventi. Perché chi fa calcio si stanca e va via, prima o poi: quando, piuttosto, andrebbe incoraggiato. Soprattutto in assenza di opzioni migliori. E la sofferenza, invece, rimane. Esattamente di fronte a chi non la sopporta. E a chi l’osteggia. Peggiorando la situazione.

lunedì 5 ottobre 2009

Noicattaro, primo insipido punto

Questa volta finisce quasi discretamente. Con un punto. Che è davvero poca cosa, ormai. Ma che, almeno, tampona la contestazione popolare che serpeggia. Purchè di contestazione popolare si possa parlare, dal momento che il Noicattaro non attira neppure gli abbonati. Respingendo gli altri. Questa volta finisce quasi bene. Merito della disperazione. O dell’orgoglio, come si comenta in certi casi. Oppure dall’atteggiamento dell’avversario di turno, la Vibonese di Galfano, cioè una squadra in attesa degli eventi. Che, da principio, viene premiata. Tanto da confidare in un successo che si intravede e quasi si tocca. E che, alla fine, viene però castigata. Perché si rintana, sicura com’è di resistere qualche altro minuto alla fragile pressione nojana. Questa volta finisce meglio di altre. Perché la formazione di Carella (che salva la panca) rimedia due volte allo svantaggio, apparendo prima imballata e visibilmente irretita dalla sequenza di risultati sfavorevoli e solo nella ripresa meglio disposta a far circolare il pallone, anche se scarsamente assistita dalla lucidità. Questa volta non finisce come in altre occasioni, no: ma è faticoso capire quanto il semplice punto potrà servire. Innanzi tutto perché non si intravedono margini di miglioramenti strutturali (la società, adesso, li esclude, cancellando qualche vaga promessa del recente passato). Ed è difficile capire quanto possa essere propedeutico il lavoro che verrà speso da qui in poi. Il silenzio stampa della squadra, a fine match, rivela più di qualcosa. Più di un disagio. Più di un’insicurezza. Davanti alla quale, generalmente, non è sufficiente neppure l’orgoglio. Cioè il padre del primo punto ottenuto in campionato: che, oggi, sembra insipido.

domenica 4 ottobre 2009

Gallipoli, la gente non risponde

Neanche il punto di penalizzazione frena psicologicamente il cammino del Gallipoli. Che non vince la resistenza dell’Empoli, formazione di caratura teoricamente superiore, e che però continua a praticare un calcio degno e a movimentare la classifica. Dopo aver –dettaglio non trascurabile – agguantato un altro punto nell’insidiosa trasferta di Padova, sette giorni prima. E, dunque, offrendosi una continuità che garantisce umore buono e prospettive migliori. Quanto basta per valorizzare l’impegno e il lavoro di Giannini e, prima ancora, quello del club. Quanto basta per rassodare il processo di inserimento del collettivo nel campionato, approcciato con infinite difficoltà e paure diffuse. Pur sapendo che i pareggi, da soli, non producono felicità. E che, un punto per volta, non garantisce impunità. Traducendo, presto o tardi (più presto che tardi), il Gallipoli non potrà rinunciare al succo prezioso dell’affermazione: perché il calcio è anche matematica. E la matematica non inganna, né ammette inganni. E perché nel calcio le parole migliori (e anche quelle più sincere) non bastano. E ogni giorno di pallone va speso nella ricerca di una conferma. O nell’inseguimento di un traguardo nuovo. Che la società e i protagonisti del campo dovranno necessariamente perseguire con l’aiuto della gente che tifa. Poca, pure contro l’Empoli. Il borderò parla di seicento paganti. Anche meno. Numeri che, siamo certi, staranno facendo riflettere patron D’Odorico, l’imprenditore che ha rilevato il titolo sportivo da Barba in coda ad un’estate affaticata e movimentata. Che, a questo punto, potrebbe persino chiedersi se l’operazione può considerarsi felice oppure no. Neanche due mesi dopo. Soprattutto perché i trenta chilometri che separano lo Jonio dalla stadio di Lecce, la casa temporanea di Mounard e soci, non sono una risposta. Né potranno mai diventarlo.

venerdì 2 ottobre 2009

Matarrese ritrova il Bari. Senza averlo mai ceduto

Tim Barton non soddisfa l’accordo preliminare già sancito e neppure il portafoglio di Matarrese. Il trenta settembre (ultimo giorno utile per rifinire un’intesa sbocciata, ma mai cementata) scivola via e la trattativa della cessione del pacchetto di maggioranza delle quote azionarie del Bari sfuma tra la delusione di chi aveva scommesso sull’americano rampante, i sospiri, il sollievo di quanti tifavano per una risoluzione definitiva in tempi stretti e il sospetto di essere stati ingannati. O fuorviati: dai protagonisti, dalle situazioni, dai frantendimenti e dalle esposizioni facili della varia umanità che ha circumnavigato il problema, cioè l’operazione. Matarrese è stato chiaro e continua ad esserlo: passato il trenta settembre, evapora qualsiasi discorso, qualunque intesa preliminare. E sia. Meglio così: non per la fetta più larga della tifoseria, magari. Ma per la squadra e la sua guida tecnica: che, nel tragitto delicato del primo campionato di serie A dopo il buio, necessita di chiarezze e di un punto di riferimento societario preciso. Per lo stesso Perinetti: che, innegabilmente, ha vissuto con difficoltà l’ultimo periodo, in bilico tra una società vicina al disimpegno ed un'altra ancora non formalizzata. Incontrando, perciò, controindicazioni di gestione non indifferenti. E, infine, meglio anche per Vincenzo Matarrese, quasi obbligato a disfarsi il club, ma mai davvero convinto dell’opportunità della cessione. Una scelta che, probabilmente, il presidente non avrebbe perdonato a se stesso. Né oggi, né in sèguito.

mercoledì 30 settembre 2009

Cose (strane) da derby

La solidarietà di fonte alla legge che si evolve. O che s’involve. Alle normative che piacciono solo a chi le scrive. Che continuano ad allontanare o ad attenuare il problema, senza però devitalizzarlo davvero. Torniamo al derby di Monopoli. E agli spalti del settore ospiti del Veneziani: vuoti. Palcoscenico immobile a cui si ribella anche la tifoseria di casa, mai tenera con chi tifa Brindisi. «Ridateci il derby», recita uno striscione. «Un derby senza rivali è un derby a metà», urla un altro messaggio scritto su tela. E, dalla tifoseria di casa, una conferma del disagio, che è il disagio dell’intero movimento calcistico: «Questo derby è del Prefetto», canta il coro degli ultrà. La ristrettezza dei regolamenti non risolve la questione, no. Ma, almeno, è utile ad accorciare le distanze, a riavvicinare idealmente fazioni tradizionalmente distanti e nemiche. Ad unirsi, nella condivisione di un’idea. Una vittoria della tifoseria, pensandoci bene. E, forse, un autogol delle istituzioni.

martedì 29 settembre 2009

Monopoli, un punto per ripartire

Il Monopoli è quello di altre volte. Soffre, rincorre e si riabilita. Sembra una pellicola già proiettata. Accade anche nel derby, di fronte al nemico di sempre. La gente di Pellegrini, diciamolo pure, si lascia stringere per venti minuti buoni, lasciando il possesso delle operazioni tra i piedi del Brindisi. Ma, con lo scorrere del tempo, sa riorganizzarsi ed allungarsi, affidandosi prima ad una reazione incompleta (la squadra non arriva facilmente ai confini dell’area avversaria e le soluzioni personali non possono puntualmente garantire efficacia) e poi ad un calcio più fluido, più consapevole, anche se non particolarmente esauriente sotto il profilo della continuità. La pazienza del Monopoli, peraltro, è un fatto già appurato, sin dall’avvio del campionato. E il punto, nel derby, non è affatto un risultato di cui rammaricarsi eccessivamente. Tutt’altro. Nonostante possa teoricamente generare malumori sottili. Del resto, è questa la dimensione reale del Monopoli. Basta prenderne atto. Con saggezza.

lunedì 28 settembre 2009

Il Brindisi e il derby finito prima del tempo

Il Brindisi possiede personalità. E anche mentalità. La manovra, nel derby di Monopoli, è salda. Cerca con insistenza Moscelli, anche se poi segna Da Silva, uno che sembra già perfettamente integrato nel dispositivo offensivo allestito da Massimo Silva (il paulistano si inserisce, fa spazio alle proposte altrui, dialoga). Peraltro, a vantaggio acquisito, il più equilibrato 4-4-2 (in fase di non possesso la squadra si avvale di un centrocampista vero come Pizzolla) che sa trasformarsi però in 4-3-3 insiste. Insegue, cioè, il raddoppio, portando palla: e il dettaglio non può passare inosservato, sino a piacere. Il Brindisi, anzi, appare persino più lucido, più scaltro. E lo stesso pareggio monopolitano, avvenuto a primo tempo ancora vivo, non sottrae nulla alla bontà del concetto. Semmai, è la lievitazione avversaria a ridurre il campo a Fiore e soci. Che, comunque, sembrano poter mantenere atteggiamenti e movenze convenienti sino in fondo. Eppure, la sensazione è che, ad un certo punto, il Brindisi decida di limitarsi ad un presidio vigile e a qualche incursione (operazione condivisibile), ma pure di accettare prima del tempo un pareggio che indubbiamente va bene a chiunque. Privandosi così della possibilità di recuperare qualche metro perduto. Traducendo: il giudizio complessivo tiene conto di un Brindisi solido dietro, versatile nel mezzo e pericoloso davanti. Ma pure di un’occasione non disputata sino in fondo. Solo il tempo, adesso, potrà chiarire: se il punto di Monopoli è utile così com’è, oppure no. Ma un’impressione di incompletezza, oggi, rimane.

Lecce, quale obiettivo?

In una settimana (tre punti a Modena nel turno infrasettimanale e altri tre a domicilio, sul Mantova che prima passa e poi si piega, ieri) il Lecce autorizza a rivedere i giudizi già spesi sul proprio stato di salute e ravviva l’anonimato della classifica. De Canio, in coda all’ultimo match, racconta di un centrocampo asfissiato che non riesce a distribuire il gioco sempre e comunque, ma sottolinea anche le ritrovate virtù gladiatorie di una squadra sin qui troppo borghese e, quindi, avulsa dall’atmosfera che si respira in serie B. Il processo di ambientamento al clima del torneo, del resto, non è un dettaglio da sottovalutare: se il collettivo comincia a rispondere a determinate sollecitazioni, aumentano le possibilità di riacquisire spessore nella corsa ad una delle piazze che conducono ai playoff. Obiettivo da cui il trainer materano non si è dissociato, senza però enfatizzarlo. Probabilmente, l’operazione strategica che – in questo momento – ripara il Lecce dall’esposizione mediatica, ma che non salvaguarda la sete di protagonismo della tifoseria e che non riaccende l’entusiasmo in una città calcisticamente spenta e spesso demoralizzata, se non depressa. O la conferma di un antico sospetto: De Canio, forse, fatica ancora a decodificare il gruppo che guida. Tanto da non potersi o volersi sbilanciare. Tanto da non fidarsi sino in fondo: lui per primo. Tanto da consigliare a se stesso di aspettare, prima di dichiararsi definitivamente. E tanto da apparire, davanti ai microfoni, troppo pensieroso, quasi svagato. O, magari, reticente.