giovedì 29 aprile 2010

Fasano, è finita

La caduta di Ischia seppellisce le speranze deboli del Fasano. Quelle speranze che la formazione affidata a Geretto aveva sorprendentemente recuperato a campionato abbondantemente sciupato, proprio sul filo del fotofinish. Finestra chiusa: anche se salvare la serie D è ancora tecnicamente possibile. Ma anche oggettivamente impensabile. La retrocessione diventa così il frutto amaro di una stagione nata marcia, nel segno della fragilità della struttura societaria che ha minato il progetto di riqualificazione dell’organico: anche e soprattutto a gennaio, in epoca di possibili riparazioni. Eppure, ancora una volta, non va sottaciuta una verità: il Fasano tenero e sprovveduto, cioè, non è mai scomparso di fronte all’altrui superiorità. Perdendo, certo, ma mai soccombendo. Cedendo, spesso, di misura. Ma senza mai affogare. Particolare, questo, che forse finisce con l’accrescere l’amarezza: magari, sarebbe bastato il giusto, per rimediare in corsa: e non troppo di più. Ma i limiti, alla fine, si pagano. Tutti. E a prezzi d’inflazione. Uno su tutti, come suggeriva domenica pomeriggio Leo Vinci, diesse amareggiato: la squadra, anche ad Ischia, ha confermato di perdersi nelle partite importanti, nelle situazioni decisive. Anche per questo, l’Eccellenza non è più disposta ad attendere.

mercoledì 28 aprile 2010

Quotazioni salvezza, sale il Foggia

Parliamo di playout, unico interesse della Puglia che naviga in C1. Dove, se le quotazioni del Taranto scendono, quelle del Foggia salgono. Progressivamente. Oggi, la salvezza (persino quella diretta, sì) della squadra di Ugolotti non va esclusa. Malgrado la questione si tutta da disciplinare e da disputare (occorre viaggiare verso Cava e poi ospitare la Spal: il calendario non asseconda troppo). Di sicuro, però, il campionato di mancino e soci si sta ritagliando scenari nuovi: che il Foggia ha guadagnato di recente, facendo punti in casa della capolista Portogruaro e regolando successivamente e limpidamente, allo Zaccheria, un'altra pretendente al salto di categoria come il Pescara. Non avversari qualunque, ecco. Facendo punti e migliorando certi automatismi: segnale di non limitato speso specifico. Tanto da lasciar sbilanciare il suo allenatore, che avverte all'interno del gruppo uno spirito diverso e, attorno, un'atmosfera differente. Ossigeno puro, in questo momento della stagione: dove il bagaglio psicologico paga parecchio. E dove può tornare utile l'assimilazione di alcuni concetti fondamentali, come la gestione della sofferenza. Saper soffrire e, soprattutto, saper reagire è una condizione che il Foggia ha inseguito a lungo. E che, faticando molto, sembra aver conquistato. Tardi, ma forse ancora in tempo.

martedì 27 aprile 2010

Taranto, caduta libera

Francesco Passiatore, bontà sua, non argomenta più di un Taranto lucido e saldo. Né dribbla più le critiche con parole stereotipate o con frasi di dubbia utilità. No, adesso il coach ammette di non riconoscersi nella squadra: quella che perde anche a Verona, finendo con il farsi assorbire del magma della zona playout. Dove, adesso, il club e i protagonisti del campo si ritrovano a dover fronteggiare pericoli sin qui sconosciuti. E, proprio per questo, particolarmente infidi. La classifica si è definitivamente abbruttita: oggi, Bremec e soci sarebbero obbligati a disputare gli spareggi per la permanenza, guadagnati con imperizia nelle ultime cinque giornate. Quelle che hanno inseguito l’ultimo cambio di panchina, per intenderci. Quelle che schiaffeggiano l’esperienza del quarto trainer stagionale: probabilmente, troppo acerbo per galleggiare in un momento storico appuntito e al fianco di un vertice societario ingombrante. E, forse, ancora impreparato a correggere i difetti emersi in corsa di un gruppo che sembra non credere né al suo condottiero, né a se stesso. Al di là delle scelte tecniche degli ultimi tempi: che, sicuramente, procedono in direzione contraria al buon senso. Utile, in determinate occasioni, a sorreggere il passo degli indecisi. Intanto, detto per inciso, le avversarie dirette (Andria, Foggia, Marcianise, Lanciano, la stessa Cavese, Pescina, Giulianova) sono preparate alla lotta da mesi di sofferenza, il Taranto (così come il Ravenna) no. E sul campo si vede: il sacro furore, del resto, non si compra e non si inventa. Così come la tranquillità perduta un tempo e mai davvero ritrovata: quella tranquillità di cui il Taranto si è privato sull’onda della presunzione, quando ancora il torneo poteva essere domato. Con umiltà, magari. I playout, ora, spaventano: e non poco. Si avverte, anzi, un’atmosfera un po’ strana. Di vaga rassegnazione: in certi ambienti della tifoseria, per esempio. E non è un dato da poco. Che si sposa con le asperità del calendario, che sottopone proprio domenica il derby con l’Andria, ultimamente battagliero e prolifico. Lo scontro diretto, a centottanta minuti dalla conclusione della regular season, dirà abbastanza e, probabilmente, anche qualcosa di più: però, il Taranto di questi tempi sembra una squadra intimorita, dimessa e povera. Cioè, mentalmente lontana dal problema. E anche travolta dal nervosismo che le serpeggia attorno (le intimidazioni tristi subite da Passiatore fanno male e non aiutano). Non è un dettaglio, ma un fatto che può pesare. Parecchio.

lunedì 26 aprile 2010

Noicattaro, ultima chiamata: sciupata

Il Noicattaro è teoricamente coraggioso: e a Monopoli spende un 3-4-1-2 interessante. Apparire, però, non significa essere: come sempre. Di contro, la versione della squadra di Chiricallo è ugualmente offensiva (4-2-3-1): anche nei fatti, tuttavia. Perché è sua l’iniziativa. Ed è sua la costruzione della partita. La gente di Trillini accetta (ma, soprattutto, subisce) il confronto aperto: non mostrando spessore in fase di possesso. Mentre, invece, almeno per un tempo, l’avversario è più incisivo, più dinamico, più reattivo. Il Noicattaro galleggia nell’attesa, pensando (oppure obbligato a pensare) alla salvaguardia dell’incolumità, senza industriarsi sul come trattenere il pallone. Il vantaggio monopolitano siglato da Mastrolilli, ai limiti dell’intervallo, sancisce la supremazia territoriale e comportamentale dei padroni di casa. Che, in verità, tornano sul campo un po’ più imballati. Incassando in apertura di ripresa il pareggio, cioè appena calca l’erba l’artiglieria pesante di De Lorenzo, alla seconda marcatura in sette giorni. Adesso, il Noicattaro prova a rafforzare la sua presenza in campo e, per un po’ (ma solo un po’) ci riesce. Difetta, però, il vizio di insistere. O di accelerare. Anche questa volta, Zotti e compagni si adagiano sui propri limiti e si fanno bastare quello che non serve. Arriverà la punizione finale: il Monopoli, del resto, nell’ultimo spicchio di match ritrova densità e profondità. Quindi il gol del successo (ancora Mastrolilli) e la salvezza quasi aritmetica. Due a uno e playout ormai inevitabili, oggettivamente, per il Noicattaro: ma, probabilmente, è giusto così. Una squadra che diluisce le ultime speranze nella rinuncia o che si accontenta di assistere non può aspirare a niente di più o di meglio. Ma solo consegnarsi ai playout, continuando a sperare: che gli altri, ad esempio, arrivino alla lotteria finale indecisi e confusi. E, magari, con una classifica peggiore.

sabato 24 aprile 2010

Barretta, il nuovo disimpegno annunciato

Brindisi è un po’ come Taranto: improbabile non farsi travolgere da attriti, veleni e autolesionismi diffusi. O, come nel caso specifico, da novità societarie che minacciano di riportare il calcio di queste contrade al punto di partenza. O quasi. E impossibile farsi mancare qualcosa: anche nei momenti meno indicati. Quando, ad esempio, il gioco è in corso e il traguardo ancora possibile, aritmeticamente e materialmente parlando. Un traguardo che si chiama playoff: al di là dell’ultima e velenosa caduta nel derby di Barletta, che appesantisce le attese del viaggio. Proprio in questo scorcio di stagione si abbatte sulla città la conferenza stampa della presidenza Barretta. Che sembra, ancora una volta, cosa seria. Perché i fratelli che detengono le quote azionarie del club annunciano il disimpegno, a partire da giugno. Conservando, tuttavia, il dovere di proteggere la squadra sino alla fine della stagione. Ancorchè comprensibile (e condivisibile nel merito: i Barretta non bluffano, il problema è antico e mai risolto), la decisione è di quelle che spaventano. Perché i traumi del passato, ancora male assorbiti, riemergono ciclicamente. Prospettando un resettamento. La Brindisi imprenditoriale (e anche quella istituzionale) continua a non rispondere: del resto, di questi tempi, è dura per tutti. E i malumori del vertice societario, dimenticati un anno fa sulla spinta di promesse evidentemente mai mantenute da quanti si erano più o meno esposti, riaffiorano. Le parole dei Barretta, allora, cadono nei giorni più delicati. Ma sono un monito, un avvertimento: lanciato con anticipo abbondante, correttamente. Giusto per intenderci. Parole che consigliamo di non sottovalutare. Né di cavalcare: la squadra, ad esempio, sino a giugno non perderà niente. Comunque vada. Silva e la sua gente, perciò, tentino tranquillamente quello che c’è da tentare. Poi, semmai, potremo rischiare due conti. Le dimissioni annunciate dai Barretta, cioè, non diventino un alibi. A tre giornate dalla fine del campionato, è doveroso cercare di ottenere il massimo. Con i muscoli e con la testa. In piena coscienza.

venerdì 23 aprile 2010

E Rossi paga il campo

Iodice, il direttore generale schiacciato dai problemi altrui, è andato: troppo evidente il dissesto del Gallipoli. Troppo angusto lo spazio creatosi tra i debiti e le restrizioni giudiziarie (ricordiamolo: le quote azionarie del club sono bloccate dala magistratura in coda all’azione legale promossa dall’ex patron Barba). E improbabile, sembra di capire, è il margine di movimento ipotizzabile da qui in poi: la poltrona si lascia a determinate condizioni, mai prima. Anche il presidente D’Odorico è andato: non ancora ufficialmente, ma materialmente. Ed emotivamente parlando. Anche lui scacciato da condizioni pasanti e dalla scarsa trasparenza utilizzata, sin dall’inizio della sua avventura sullo Jonio. E lo stesso Barba, invece, ribadisce che non tornerà: soprattutto adesso, nel momento in cui il deferimento federale (i contratti di sponsorizzazione della passata stagione non sono a norma: è questo, in sostanza, il problema) sembra aver sporcato una fetta del suo bagaglio di allori. Il fallimento, dunque, è dietro alla curva. E si avvicina inesorabile. Tanto da devitalizzare l’angoscia di un classifica sempre peggiore e da liofilizzare la paura di una retrocessione annunciata dalla fuga di Giannini, padre del progetto tecnico. Il fallimento si percepisce, si sente: nelle pieghe di ogni giorno, nel ménage quotidiano. Dall’assenza assoluta di liquidità. E di chi dovrebbe ottemperare. Situazione grave, ben al di là degli stipendi. Che non sono arrivati e che, assai probabilmente, non arriveranno. Il tarlo, piuttosto, ha intaccato le fondamenta del sistema-Gallipoli. Che, per allenarsi su un campo in erba, deve sfruttare strutture private. A pagamento: cash. Succede, così, che Ezio Rossi, il secondo nocchiero della stagione, ci metta del proprio, per poter consentire alla squadra la seduta infrasettimanale abbinata al relax fuori ordinanza. Tacitando il conto di propria iniziativa. Esatto, intervenendo di persona: in assenza della società, appunto. Del resto, è quasi sempre così, anche nella vita: paga chi arriva nel momento sbagliato, per tutti. E Rossi, a Gallipoli, è arrivato nelle ore peggiori. Se n’è già accorto: troppo tardi, però.

giovedì 22 aprile 2010

Il caso-Langella, all'improvviso

Sì, effettivamente c’è anche Langella, nell’organico dl Bari. Quel Langella inghiottito dall’oblio. E dimenticato dalla quotidianità di una squadra quasi sempre convincente. Perché avulso dai sistemi di gioco preparati da Ventura e, più tardi, infortunato. Almeno, è così che ci era stato detto. E, invece, no. Invece, proprio l’esterno appartato ai margini della formazione si risveglia dal torpore in cui dice essere stato rinchiuso e parla. Puntualizzando, in sostanza, di aver pagato altre (legittime) preferenze del tecnico. E di aver dovuto accontentarsi della tribuna: senza essere, tuttavia, infortunato. Come, invece, divulgato dalla società. Si alza la voce dell’escluso, seppure in ritardo. Per non turbare la quiete del campionato, magari. E all’improvviso. Strano, però, che proprio Langella non si sia sollevato prima: perché, se disinformazione c’è stata, questa è già roba vecchia. Ma tant’è. A questo punto, però, la parola passa al club. Quanto meno per chiarire. E per farci capire.

martedì 20 aprile 2010

Barletta, derby e nuovi orizzonti

“Conquistiamo Barletta”, prometteva il Brindisi brillante della settimana passata. Invece, il derby che vale il balcone con vista sui playoff premia la formazione di Sciannimanico. Più dinamica e vivace. E più precisa, evidentemente, nelle occasioni che contano. La nuova quarta forza del torneo adesso sogna: molto più concretamente di quanto abbia potuto fare prima di adesso. Se non altro perché, a tre giornate dalla fine della regular season, la migliore condizione psicologica e, probabilmente, anche la migliore forma complessiva qualcosa possono e devono assicurare. Il momento favorevole del Barletta, poi, concide con una certa flessione altrui (pensiamo al Siracusa): e determinati segnali meritano credito. Ma pure rispetto: da parte di quanti, anche su queste colonne, coltivavano una o più perplessità sugli appetiti (da ora in avanti assai più che legittimi) di una squadra che ha saputo gestire (anzi, cavalcare) la propria lievitazione tecnica e caratteriale. Le stesse perplessità, peraltro, che neppure troppo tempo addietro sembrava nutrire (non solo scaramanticamente parlando) lo stesso Sciannimanico. Che, ora, sembra aver corretto il bersaglio. Confermando, tra una frase e l’altra, di crederci compiutamente. E questo, se permettete, è già un successo.

lunedì 19 aprile 2010

Noicattaro, rinnovata speranza

Vivido, talvolta effervescente. Podisticamente convincente, concentrato. Il Noicattaro che assalta il Melfi, da sùbito, è quella squadra che non si è vista mai, sin qui: agile, sicura, aggressiva. L’unico tributo al passato, però, è condizione vincolante: il gol, in fondo a tanto lavoro, non sgorga. Perché, soprattutto, la finalizzazione della manovra non è situazione frequente. E quando la verve, fisiologicamente, si appiana, galleggiano i dubbi di sempre. La partita, tuttavia, è complessivamente ben interpretata: con l’atteggiamento giusto, cioè. Almeno sino a quando i lucani cominciano a fraseggiare, guadagnando la trequarti di casa. E obbligando così la formazioni di Trillini ad applicare pressing e raddoppi. E a rifugiarsi nei misteri delle ripartenze: puntualmente soffici. Traducendo, venti minuti di buon Noicattaro e altri settanta di cose già viste. Dove l’ombroso Zotti e soci non riescono a riannodare il discorso interrotto con la fluidità delle trame di gioco, arrampicandosi comunque ad una volenterosa e cieca superiorità territoriale che si stempera sul palo colto da Manca, su un paio di conclusioni a rete senza sorte e, finalmente, su una sforbiciata velenosa di De Lorenzo, proprio mentre il Melfi ha deciso di salvaguardare il punto acquisito. Uno a zero, finisce così: e, a rimorchio, fioriscono tre punti utili a rinnovare la speranza. Niente di più e niente di meno di quanto il Noicattaro chiedesse a se stesso. Il massimo, oggi come oggi.

domenica 18 aprile 2010

Il Lecce e il minimo garantito

Detto tra noi, il Lecce potrebbe quasi blindare il suo campionato. E salutare la B, con gli onori del caso. Due gol al Brescia sembrano indicare la strada e polverizzare le residue speranze altrui. E, invece, il Brescia non si abbandona alla rassegnazione e, in silenzio, rimedia. Rischiando pure di ribaltare lo score. Il pareggio che emerge stride con la plusvalenza dell’attività della squadra di De Canio, ma non può scandalizzare. E’ parte del gioco, è parte di questo campionato che non conosce espressioni di livello assoluto. Il coach accetta il verdetto, digrignando un po’ i denti: ma sa che un altro gradino verso la serie A è scalato. Intuendo perfettamente che il Lecce sembra, più o meno incosciamente, aver assimilato il concetto del minimo garantito. Un passo alla volta, del resto, pare sufficiente ad accarezzare sempre più concretamente il progetto di risalita. Proprio perché non c’è nessuno che sappia approfittare delle distrazioni della capolista. Concetto che, in altre occasioni, avrebbe potuto compromettere l’intero torneo. E che, invece, questa volta sta lautamente pagando. Esatto, è il momento del Lecce. Sfrutta il vento che soffia alle spalle: calcolando i rischi. E, intanto, un’altra settimana scivola via.

venerdì 16 aprile 2010

Il Taranto e la stampa scomoda

«L’Associazione della Stampa Puglia condanna lo stucchevole tentativo messo in atto dalla società Taranto Sport di scaricare sui giornalisti che seguono le vicende della squadra di calcio, i risultati deludenti della stessa, lontani da quelli promessi alla città e ai tifosi. I colleghi che seguono i campionati della Taranto Sport lo fanno e lo continueranno a fare in totale libertà, con trasparenza, stile e limpidità, nel più totale rispetto dei lettori». Il comunicato del sindacato dei giornalisti di questa terra di pallone e polemiche è schietto, genuino. E ruvido quanto basta. Sintetizza quello che accade attorno ad un momento storico uguale a tanti altri, in riva a Mar Piccolo. Ma, finalmente, qualcuno che deve assume una posizione: netta. Inequivocabile. Non è mai troppo tardi. «Non spetta alla società Taranto Sport - continua l'Assostampa - scegliersi i giornalisti, non spetta alla società Taranto Sport impartire lezioni di giornalismo». Appunto. E, infine, «l’Associazione della Stampa di Puglia condanna lo spregevole e inquietante tentativo compiuto dalla Taranto Sport di additare alla tifoseria i giornalisti scomodi e segnala tale comportamento alle autorità e agli organismi competenti». Segno dei tempi: che non cambiano. E che transitano invano: da un Richelieu sdoganatosi altrove a un imperatore delle auto.

giovedì 15 aprile 2010

Bari, giorni di apprensione

Il pericolo è sempre quello. E, spesso, riemerge dal fondo del campionato: una flessione, dopo un tragitto nobile e appagante, può deturpare la bontà del lavoro speso sul campo e dietro le scrivanie. E il Bari un po’ più confuso del solito che s’incrina (anche) a Siena finisce per amareggiare chi si è abituato a sognare. Sgorgano, allora, i mugugni: pure durante la settimana, nel corso degli allenamenti. E, di riflesso, scivola una punta di polemica: persino in certe frasi di Ventura. Che, intanto, si dissocia dalla prestazione della squadra: convincnte nella prima frazione di gioco e assente nella ripresa. Si respira, però, una certa apprensione. Dentro il gruppo e pure fuori, nelle segrete stanze del club. Dove circolano indiscrezioni sul futuro di Perinetti, diesse al quale è fortemente ancorato il progetto della rinascita. E, si dice, anche abbastanza corteggiato: proprio dal Siena, per esempio. Perinetti ha anche commentato: non lacerando il rapporto, ma neppure tranquillizzando troppo l'ambiente. Dicendosi, cioè, disposto a valutare. Non il profilo economico: non è questo il problema, no. Ma la lista dei poteri che gli verrebbero eventualmente concessi. Il direttore, sembra di capire, punta ad una gestione più capillare della parte tecnica. E chiede ampiezza di movimenti. Quindi, di scegliere: le strategie e gli uomini che serviranno a svilupparle. Matarrese, nel frattempo, nicchia. Ma Perinetti, per il Bari di oggi, è un tassello importante. E il presidente ne è consapevole. Anche per questo, oltre che per i meriti acquisiti, reclama fiducia. Non accordargliela, sarebbe un delitto.

martedì 13 aprile 2010

Nardò, anche il campionato

Prima la Coppa. E, infine, il campionato. La doppia soddisfazione del Nardò, riemerso dalle sabbie mobili dell’Eccellenza cinque anni dopo esserci caduto, è la sintesi di una superiorità tecnica insindacabile e limpida. Che neppure due espressioni di qualità come il Molfetta (in entrambe le competizioni) e Trani (solo nel torneo principale) sono riusciti a limitare. La serie D è, così, la destinazione più logica per una squadra, quella di Alessandro Longo, che è un incrocio tra solidità, esperienza, carattere e buon palleggio. Squadra dall’anima sudamericana, il Nardò. Un’anima assolutamente decisiva. Perché i suoi argentini, alla fine, dettano la classifica finale: per la perizia in fase di non possesso (Calabuig su tutti), per l’intuito speso in fase di costruzione (Parlacino, Montaldi, Irace) e per la prolificità realizzativa (Di Rito). Quello che serve per partire bene e arrivare bene: sì, perché il Nardò è la formazione più regolare del torneo. Che conduce praticamente dall’inizio alla fine. Mostrando, ovviamente, gli under più attrezzati (pensiamo a Turitto, ma non solo a lui). Particolare che, tra i Dilettanti, continua a essere esiziale. Perché il punto è questo: è decisivo anche scegliere i più giovani. E non farsi scegliere. O lasciarsi travolgere dall’urgenza di completare l’organico.

lunedì 12 aprile 2010

Monopoli, la matematica sfugge ancora

Il Catanzaro, a Monopoli, sviluppa più qualità. E, in virtù della migliore cifra tecnica, edifica (e vince) la partita, con l'unico gol che serve. Zoppicando per soli venti minuti, quelli lasciati alla squadra di Chiricallo dopo il riposo di metà percorso: niente più di un break tra la consapevolezza della propria forza distribuita nel primo tempo e la capacità di reimpossessarsi del match nell’ultimo scorcio. A Lisi e compagni, allora, non resta che rammaricarsi per un paio di occasioni sprecate da Mastrolilli, a risultato già svantaggioso. Non era questo, peraltro, il match più indicato per mettere assieme i punti che avrebbero condotto alla permanenza aritmetica: ma l’approdo alla salvezza certa sfugge di nuovo. Questo è il dato: che solo la barriera di sicurezza quasi inalterata dalle quint’ultime (Scafatese ed Isola Liri, che pareggiano il confronto diretto, riducendo il disavanzo a cinque punti) riesce a stemperare. Il Monopoli, al di là dello spessore dell’avversario, non è tuttavia il miglior Monopoli. Anche se, da principio, tende a giocarsi la partita, a velocizzare la manovra. E, comunque, a ripartire: e sì, perché l’iniziativa (e, più tardi, il governo della gara) resta tra i piedi degli ospiti, settanta minuti su novanta. No, non è il miglior Monopoli e quell’approccio brioso del secondo tempo non basta a colmare la differenza di qualità e caratura tra la viceleader del girone e una squadra che attende solo di poter festeggiare il traguardo minimo, che poi è esattamente quanto avrebbe voluto festeggiare ancor prima di cominciare l’avventura. Traguardo ancora vicino che, però, va ancora guadagnato, sul campo: magari senza attendere le esitazioni altrui. Questione di forma, innanzi tutto. E di sostanza, pure: anche perché occorrerà capire da dove ripartire, la prossima estate. E su chi continuare a fare affidamento.

domenica 11 aprile 2010

Gallipoli, l'inizio della fine

Sembra l’inizio della fine. E la fine del sogno. Il Gallipoli che si sfascia anche a Frosinone (nei primi sei minuti) è drammaticamente penultimo, da solo. Mentalmente distrutto, al di là della grinta orgogliosa con cui cerca di raddrizzare la gara. A questo punto, non è solo la classifica a preoccupare. Anzi, intimorisce di più la prospettiva di una squadra in evidente affanno psicologico, oltre che tecnico e tattico. Oggi, il Gallipoli – questo Gallipoli – non offre garanzia alcuna: la salvezza, parlando crudamente, è un proponimento distante. Ma, in fondo, solo uno (o l'ultimo) dei pensieri. Perché il match si gioca per intero, su tutti fronti. Su quello societario, soprattutto. D’Odorico ha deciso di liberarsi del club e attende il compratore. Ma il fallimento è un’ipotesi concreta. Che neppure il direttore Iodice smentisce. Tanto più che Barba si sarebbe defilato. Tornare sulla nave non gli interessa, dice. A meno che non spunti una cordata di imprenditori locali pronta a sostenerlo: difficile, tuttavia, che possa accadere. Come non successe nove mesi fa. L’ex patron professa, se non altro, coerenza. Gustandosi i riflessi di una sua personale rivincita: freddando, cioè, le speranze di un ambiente diventatogli ostile, all’improvviso: a scalata (in B) appena conseguita. Di più: il suo ventilato (e niente affatto smentito: tutt'altro) interessamento al Taranto, che D’Addario sarebbe disposto ad abbandonare, diventa poi uno schiaffo, una lama affilata nel ventre di una città disillusa troppo in fretta. Ma anche strutturalmente impreparata a difendere quel palcoscenico che sta velocemente perdendo.

sabato 10 aprile 2010

Taranto, ultima chance

Prima o poi, doveva accadere. Perché gli ingredienti c’erano tutti: l’inesperienza della proprietà, l’imprudenza mediatica di certe dichiarazioni, il labile confine tra titolarità delle scelte del tecnico e ingerenze presidenziali, l’ambizione frustrata, il malcontento popolare. Il Taranto perde partita (a Cava, domenica) e, forse, l’obiettivo (i playoff). E, innanzi tutto, perde la fiducia della gente che tifa. Quindi, a settimana appena cominciata, D’Addario conosce la prima contestazione personale. Inattesa. Allo Iacovone, tra sorpresa, rabbia e imbarazzi, volano parole e cose. Seguite immediatamente da una comunicazione amara e, peraltro, da interpretare con cautela: la società è in vendita. Ammesso che esista un compratore. O meglio: il Taranto è lieto di conoscere chiunque lo desideri. Cioè, il presidente è irritato. E la lunga lettera che accompagna la novità sa tanto di sfogo. O di provocazione. Di sfida, magari: la sfida di chi ha liberato il club dall’invisa gestione Blasi. Operando massicciamente sul mercato e promettendo la B. Di chi, come D’Addario, si ritiene in credito con la città. E nel pieno diritto di rivendicare le proprie ragioni. E le proprie idee. Sfogo, provocazione, sfida. Che parte della tifoseria traduce, invece, in ricatto. Di certo, però, la grande fiducia del numero uno si trasforma, all’improvviso, nella grande delusione. E le certezze di ieri diventano le incertezze di oggi. E, chissà, di domani. La passione di un tempo, dunque, sembra già sfiorita. Ma, forse, è tutto un equivoco. Ecco, sì: uno sfogo, una provocazione. Una sfida. Che, doverosamente, si nutrirà dei risultati che il Taranto saprà ottenere sul campo nelle due prossime partite. Si comincia con il Portogruaro, in casa, domani: è il clima è da ultima chance. Anche per Passiatore, quarto allenatore della stagione che non ha saputo ancora scrollarsi il sospetto di ritrovarsi incatenato alle volontà altrui. E che sta pagando per intero il salto improvviso in una panchina importante, senza il conforto della gavetta. E, ovviamente, è l’ultima occasione anche per D’Addario: uno che fatica ancora a decodificare l’assoluta unicità del pallone, azienda atipica che può bruciare chiunque e che vive di regole proprie. Alle quali, presto o tardi, dovrà necessariamente abituarsi. Come alla contestazione: uno stato di suggestione collettiva che non si piega al peso dei ricordi. O della gratitudine.

venerdì 9 aprile 2010

Foggia, un punto invece di tre

Sedotto. E poi confuso. Sedotto da tre punti, senza il dovere di giocarseli. E confuso dalla retromarcia comica della giustizia sportiva. Il Foggia, alla fine, deve incrociare il Potenza, estromesso e poi reintegrato nel torneo di terza serie. E quei tre punti diventano uno: anche se l’avversario, ormai retrocesso dal secondo grado della magistratura calcistica, non avrebbe nulla da chiedere al suo campionato. Ma solo urlare la propria rabbia e il proprio dolore. Un pareggio, invece del successo a tavolino: un bel guaio, considerando la classifica. Che non cambia affatto: la gente di Ugolotti è sempre lì, a scontrarsi con il vento della recessione. Comportamentale, ancor prima che tecnica. Francavilla, direttore generale con i gradi dell’amministratore delegato, a fine match (uno a uno: vantaggio sprecato a nove minuti dalla fine e ossigeno svanito) sottolinea l’evoluzione dell’indigeribile vicenda giudiziaria del club lucano e accusa le istituzioni: il Foggia, dice, si sente defraudato. Oltrevarcando, probabilmente, il problema reale: la squadra continua a non reagire alle sollecitazioni del campo. A non affrontare i novanta minuti con l’intensità e la densità che la sua situazione pretende. A genuflettersi alle difficoltà di ogni match. Sedotto e confuso, certo. Ma anche molle e arrendevole, molto spesso. Cioè, il Foggia di sempre. Quello di Pecchia e di Porta. E quello di Ugolotti. Non è cambiato niente: e, di questo, il Potenza e la giustizia sportiva non hanno colpa.

giovedì 8 aprile 2010

Il derby di Di Michele

Da quell’uno a cinque con il Cittadella è passato del tempo. E il tempo, si sa, cancella tutto. Soprattutto se, nel frattempo, il feeling con il risultato è stato totalmente recuperato. Un mese dopo, il Lecce è sempre solo, davanti a tutti. Ed è sempre più vicino al traguardo: anche se è consigliabile non sbilanciarsi tanto. L’esperienza insegna. Ma la flessione fisiologica è andata, senza inghiottire la squadra e sbriciolare lo svantaggio dalle inseguitrici. Merito anche di coach De Canio, che ha saputo governare il momento. E merito dell’ambiente, che non si è piegato alle perfidie del cattivo umore (ma, psicologicamente, le incertezze della concorrenza aiutano sempre e va detto). Merito, pure, della ritrovata lucidità di pedine importanti: come Angelo, per esempio: alle cui prestazioni è legato il momento migliore della squadra. O come Corvia, tornato a graffiare. E alla lievitazione di Di Michele, un contributo suplettivo arrivato dal mercato di gennaio che è riuscito ad inserirsi compiutamente, timbrando il tabellino con discreta regolarità. E che sgomiterà per segnare ancora al prossimo avversario, che è poi un vecchio amore consumatosi in fretta, il Torino: il club con il quale è tuttora tesserato e dove non è detto che torni a fine stagione. Troppe miglia e troppe polemiche, ormai, dividono l’artigliere dalla società granata. Quanto basta per caricarlo e per allontanare certe polemiche. Per dimostrare l’infondatezza delle calunnie. Per spiegare che non era Di Michele il problema (o uno dei problemi) del Torino di ieri. Ma che può essere, invece, l’uomo in più del Lecce di sabato.

domenica 4 aprile 2010

Noicattaro, un punto che prolunga l'attesa

Noicattaro e Isola Liri si giocano parecchio del proprio futuro. Anzi, il Noicattaro ancora di più: ma la squadra di Trillini non aggredisce la partita. L’avversario, poi, restringe parecchio gli spazi e non lascia ragionare molto. La manovra nojana, così, si slega e si azzoppa sulla trequarti, diventando sufficientemente gestibile, per i laziali. Pure Zotti è ingabbiato. E le uniche tre occasioni create nell’intero arco della gara vengono sciupate, malgrado le circostanze vantaggiose. Allora, non c’è molto altro da dire. Se non che, almeno nella ripresa, il Noicattaro si fa un po’ più tonico, un po’ più rapido. Cioè, più incisivo e propositivo, ancorchè più esposto ai rischi del contropiede ospite. Lasciandosi persino preferire, anche sotto il punto di visto della quantità. Tutto inutile, però: finisce zero a zero. E il solo punto carpito prolunga semplicemente l’attesa, senza addolcirla. All’orizzonte, spuntano sempre più visibili i playout, ovvio epilogo di un campionato in cui il Noicattaro non riesce mai a scavalcare gli ostacoli del percorso. Fermandosi puntualmente, quando c’è da sprintare. O da forzare il destino.

sabato 3 aprile 2010

Gallipoli, il peggio si avvicina

La prima esperienza di Ezio Rossi sulla panca del Gallipoli è traumatica. E lascia capire quanto lavoro il nuovo trainer abbia tra sè e la salvezza: sempre che il lavoro, da solo, basti. Uno a cinque davanti all'Albinoleffe: uno schiaffo, un insulto. Una minaccia: seria. Rossi rileva dal traghettatore Di Pasquale la squadra che fu di Giannini, ma che di quell'espressione calcistica sembra aver ormai smarrito dimensione e struttura, identità e certezze. Sempre peggio: perchè la crudezza dei risultati abbruttiscono il morale della truppa. E perchè, ovviamente, il vortice sta risucchiando velocemente quel Gallipoli che, neppure due mesi fa, si considerava abbastanza protetto dai pericoli di percorso. E invece no. Invece, Mounard e soci stanno affogando nella sofferenze societarie e in quello stato d'impasse che tuto travolge e tutto sconvolge. Il problema è serio: è nella testa, più che tra i piedi. Chi scende in campo non crede più a chi lo governa e, probabilmente, neppure nelle sue stesse possibilità. Il crollo, anche psicologico, è verticale. E, alle spalle, c'è solo la Salernitana, da ieri. A Rossi la gente chiede adesso una soluzione: che il coach dovrà trovare in fretta, peraltro. Ma è lecito dubitare: il gap, ora, è anche tecnico, ma non è quello l'ostacolo più fastidioso. Molta parte di destino passerà attraverso la chiarificazione dei poteri al vertice del club. Qualcosa, probabilmente, si sta muovendo: ma è necessario fare presto. Molto presto. E non è neppure detto che sia sufficiente. Anzi, è già maledettamente tardi.

giovedì 1 aprile 2010

Ostuni, la salvezza in anticipo

L’Ostuni è salvo, virtualmente. La notizia arriva dal recupero del mercoledì: il tre a due alla Turris trasporta la formazione di Lombardo nove punti sopra la soglia del pericolo, cioè dal Bitonto. Che, a sei fermate dal capolinea, non sono affatto male. L’Ostuni è salvo. Ma, probabilmente, avrebbe festeggiato anche un eventuale pareggio. Quello che sembrava scritto sin dalla prima mezz’ora di gioco. Quello che avrebbe accomodato gli interessi di tutti. Quello che i campani, però, hanno improvvidamente disintegrato con un atteggiamento ingiustificatamente timoroso (meglio ancora: apprensivo). Quello che neppure la cortesia dell’Ostuni, praticamente obbligato a vincere, è riuscito a mantenere. Poco male, tuttavia. Anzi, bene così: il percorso che rimane da affrontare è solo un viaggio di piacere nel mare della tranquillità. Conquistata, per la cronaca, dopo novanta minuti nati nel torpore e nella flemma. E terminati nell’ovazione del pubblico. Il problema, dunque, è risolto. Con abbondante anticipo, malgrado i cattivi presagi della vigilia del campionato e la pessima partenza. E grazie, soprattutto, all’appianamento delle difficoltà economiche del club. Che, se vorrà, potrà adesso programmare senza assilli temporali la prossima stagione. Il tempo c’è tutto. Vantaggio non da poco, per una società che, ancora una volta, non sarà nelle condizioni di poter intervenire sostanziosamente sul mercato. E che, pertanto, dovrà costruire le fondamenta di una nuova salvezza con intuizioni e intelligenza. Cominciando ad operare, magari, sul contingente degli under. Che, in D, fanno e faranno sempre più la differenza.