venerdì 28 dicembre 2012

E il Trani perde anche Loconte

Chi scivola rivaluta il cammino della concorrenza. E, se il Grottaglie amplia il proprio ventaglio di possibilità, di contro c'è chi completa il proprio processo involutivo. Nel girone appulocampano di serie D la Fortis Trani sta lentamente affogando: nei suoi mali, nelle sue debolezze, nelle sue umoralità. L'ultima caduta sa di umiliazione: zero a cinque, in casa. E neanche davanti ad una formazione che, solitamente, abbaglia. Il Francavilla, riacquistata nell'ultimo mese un po' di solidità, non incontra però nessun ostacolo, nessuna censura: fa quel che deve e incarta il risultato con facilità. I giorni che seguono l'ultimo match sono, poi, di ordinario scoramento. Tanto che anche Gino Loconte, il quarto tecnico della stagione, decide di abbandonare la panchina. Il disagio, cioè, non sembra solo di natura tecnica. Il progetto, piuttosto, si è definitivamente sgretolato. E, certo, il ridimensionamento ordinato dal patron Abruzzese ha contribuito seriamente a minarne le fondamenta. La società cerca un nuovo nocchiero: ma è facile immaginare che, dietro la porta, non ci sia la fila dei pretendenti. Il rischio di retrocedere è alto, il materiale a disposizione  non brilla per qualità e quantità, il morale è basso, il mercato di riparazione si è ormai esaurito e la società è distante: proprio adesso che si comincia a fare sul serio. Chi arriverà, dovrà possedere pazienza e motivazioni al di sopra della media. Molto coraggio e altro sprezzo del pericolo. Ma, evidentemente, anche poco da perdere.

giovedì 27 dicembre 2012

Grottaglie, c'è qualche segnale

Non è mai tardi per coltivare la speranza. Anche se la classifica è sempre avara e la quotidianità troppo precaria. Malgrado il Grottaglie, dal mercato di metà stagione, non è che sia poi uscito troppo rivalutato (ecco, comunque, un difensore centrale: si chiama Buono). E nonostante la formazione di Pellegrino debba continuare a confrontarsi con limiti e assilli ampiamente conosciuti. Certo, almeno Formuso (cioè uno che dovrebbe garantire qualche gol) è rimasto, dopo essere stato dirottato per pochi giorni a Brindisi: dove, nel frattempo, il tecnico Francioso, che l'avrebbe accettato volentieri, ha dovuto abbandonare l'incarico. E proprio Formuso, a Potenza, si è scoperto decisivo, firmando i due gol e la conseguente vittoria - la prima lontana dal D'Amuri - che rinfranca un po' l'ambiente, allontanando Salvestroni e compagni dalla penultima piazza. E che, soprattutto, rilancia l'Ars et Labor in prospettiva playout, ovvero il male minore. Sbagliato, però, credere che la realtà sia diversa da quella che è: l'organico, vagamente consolidato a dicembre e plasmato dalle difficoltà finanziarie, è tuttora lontano da quel concetto di robustezza che garantirebbe qualche chance in più. Ma, almeno, il gruppo sembra aver ultimamente carpito un pizzico di aggressività in più, che spesso si trasforma in coraggio e convinzione. Difficile dire che possa bastare. Ma il Trani e lo stesso Potenza vivono, adesso, molto più pericolosamente: e, talvolta, i guai altrui aiutano a crescere. O a rianimarsi. Il Grottaglie, cioè, ora emette qualche segnale di vivacità. E, comunque vada, potrà raccontare di averci provato. 

lunedì 24 dicembre 2012

Monopoli, avanti con saggezza

Non va neppure a Battipaglia, malgrado il vantaggio acquisito in due occasioni diverse. Ma il Monopoli, nell'anticipo di sabato, si ritrova anche e soprattutto penalizzato da quel penalty concesso generosamente ai campani praticamente al fotofinish, che lo inchioda sul pari (tre a tre) dopo una gara prima sofferta e poi più fluida. E, comunque, condizionata dagli errori individuali che frenano ora la squadra di De Luca (Di Gennaro, ad esempio, è difettoso sul sigillo del temporaneo due pari), ora l'avversario. Se si aggiunge, poi, che il sigillo di Lanzillotta, molto probabilmente, si stempera al di qua della linea di porta, dopo aver sbattuto sotto la traversa, è facile capire che tipo di match sia stato quello che ha chiusa ufficialmente l'anno di grazia duemiladodici. E che, al di là degli episodi, conferma come il Monopoli continui a perdere buonissime occasioni per forzare il ritmo e per sistemarsi immediatamente a ridosso della battistrada Ischia e della sua migliore inseguitrice. cioè il Gladiator. La manche di andata, così, si riassume in quel quinto posto chiaro e limpido, praticamente inattaccabile, che sa di giusta dimensione e che plaude sinceramente ad un organico partito per per fare bene, ma non per vincere. Tanto per ripetere un concetto già discusso e universalmente accettato. A proposito: la società, nel frattempo, sta provvedendo a pianificare il futuro: provando, magari, a rassodare questo gruppo, in previsione dei playoff (nel caso servano a qualcosa: ma, ripetiamo, non è bello illudersi) o della prossima stagione. In cui, partendo dalla base di questo campionato, potrebbe essere sufficiente adottare pochi accorgimenti: quelli necessari, cioè, per tentare il salto. Del resto, anche la seconda sessione di mercato (tre tesseramenti in entrata, cioè una punta importante come Majella e due operazioni di complemento, a basso costo di gestione, contro altrettante uscite, con conseguente risparmio sugli ingaggi) va valutata in quest'ottica. E va condivisa: nonostante la gente che tifa non abbia particolarmente gradito la partenza di Anglani, collante dello spogliatoio particolarmente apprezzato sulle gradinate del Veneziani, e quella della punta Ventura, ormai chiuso dalla concorrenza. Se non altro, perchè oggi non conviene svenarsi, di fronte alla mancanza di un obiettivo concreto. E neppure inseguire ciecamente chi fugge (la capolista è di un'altra categoria e dispone di un budget illimitato). E' saggio, piuttosto, concentrare tutti gli sforzi la prossima estate, se le energie si moltiplicheranno: accontentarsi della realtà non è una vergogna, ma un'esigenza lungimirante. Anche a Monopoli.

giovedì 20 dicembre 2012

Il Brindisi frena il crollo verticale

Il Brindisi frena il crollo verticale. Servono, principalmente, quattro mosse: qualche nuovo tesseramento (il più importante è quello di Mino Tedesco, artigliere di affidabilità, ma anche un brindisino verace al servizio della squadra), la risoluzione del rapporto con i meno convinti o, comunque, con chi aveva perso un po' di motivazioni (pensiamo all'argentino Villa: anche se la sua partenza, tecnicamente, dispiace), il successo di pregio ottenuto domenica scorsa sul Matera (poca accademia, ma tanto cuore: e lo svantaggio viene ribaltato, per la felicità di una tifoseria nuovamente riaccostatasi al club e ai protagonisti del campo) e il pareggio, forse deludente (si poteva e doveva vincere), ma ugualmente interessante per morale ed autostima, nel recupero di ieri, a Potenza. All'improvviso, cioè, spunta un'altra classifica. Più sicura, più beneaugurante. Ed emergono energie (fisiche e nervose) nuove. Si profila, ecco, tutta un'altra situazione. Anche se la trasferta in Lucania si concretizza in un match affaticato dal campo pesante e da automatismi ancora non perfettamente lubrificati. Il Brindisi, quello sì, è più squadra dell'avversario, appena reinventato e ancora fragile per un campionato come quello appulocampano di serie D. La superiorità di Laboragine (al rientro dopo la squalifica lunga) e soci, però, si sfarina davanti ad un legno colpito pochi attimi prima del fischio finale, di fronte ad una rete annullata a Bartoccini e alla leggerezza palesata, troppe volte, sulla trequarti potentina. La seconda metà della prima frazione di gioco e l'intera ripresa, comunque, sono lì a certificare la predisposizione alla battaglia e la fame del gruppo: ritrovato, da questa angolazione. Forse anche, e il dettaglio non sembra affatto marginale, rinvigorito dal seppur doloroso e recente passaggio di consegne in panchina (Ciullo per Francioso). Quella panchina che, si vocifera, aveva lacerato l'intesa con parte dello spogliatoio. Il motivo migliore per resettare tutto o quasi. E ripartire.

mercoledì 19 dicembre 2012

Il Lecce e l'ansia da risultato

Il Lecce comincia ad abituarsi e abituarci alle prestazioni magre, ansiose, peccaminose. Viagga per Carpi, la casa della ex vicecapolista del girone e, questa, sembra l'occasione migliore per ribadire quel rango e quella forza scheggiate nell'ultimo mese. O, almeno per allontanare le pretese altrui. Servirebbe lucidità, innanzi tutto. E poi serenità. Ancora prima delle virtù più squisitamente calcistiche. Gli emiliani, invece, fanno quello che devono. Ma il Lecce, affranto e intimorito da se stesso, non sempre. Il rovescio non è inevitabile, ma si abbatte ugualmente. E, soprattutto, il cospicuo vantaggio sulle inseguitrici di un tempo si azzera del tutto. La leadership è conservata, seppur in coabitazione (perchè non ripartire da questa certezza?), ma il morale della truppa emigra nel sottosuolo. C'è, in verità, più coraggio nel Lecce visto in Emilia. Ma c'è, ovviamente, una matrice tecnica che stoppa la squadra di Lerda: gente come Giacomazzi, Jeda, Memushaj e Piá vive un momento d'involuzione preoccupante. Poi, la manovra si accentra puntaulmente verso l'ingresso dell'imbuto. Di più: l'insicurezza, il nervosismo crescente e la frustrazione (Giacomazzi, ad esempio, si fa espellere prima dell'intervallo) non aiutano. La mancata corresponsione di un calcio di rigore (intervento su Piá), ancora sullo zero a zero, abbruttisce i pensieri. E il penalty che, invece, offre la vittoria al Carpi, ad un quarto d'ora dalla conclusione del match, fa il resto. Ma è, probabilmente, l'atmosfera che si è venita a creare, nel tempo, attorno alla squadra che rischia di aggredire la quotidianità di un gruppo che sembra essersi spersonalizzato. La proprietà (Tesoro padre), oltre tutto, è stanco e sta per esplodere. Anche se Tesoro junior, il direttore generale, spiega che è inaccettabile pretendere la promozione del Lecce a febbraio (il problema è spiegarlo al presidente, semmai). E, in pratica, il tecnico non è affatto sicuro di superare il prossimo turno (sabato arriva in Salento l'Albinoleffe e non è ammesso neppure il pareggio). Come dire: i risultati incattiviscono gli animi. Ma il surriscaldamento del terreno non attrae i risultati.

martedì 18 dicembre 2012

Il Taranto e l'euforia spezzata

L'euforia della speranza non paga, tante volte. Ed è, questo, uno degli esempi. La stampa che vive quotidianamente attorno al Taranto si era convinta, o forse solamente illusa, che il nuovo corso avrebbe invertito tendenza e prospettive. La lenta assimilazione del calcio in cui crede coach Pettinicchio, la maturazione graduale dei giovani made in due Mari, l'interruzione del rapporto con troppe figure mal sopportate e, da tempo, ai margini del progetto tecnico, l'acquisizione del cartellino di un certo numero di rinforzi (Mignogna e l'argentino Molinari su tutti), l'ultimo successo (in casa, domenica l'altra con la Puteolana, farcito di buone recensioni9 e qualche altro segnale sparso di ricompattamento, probabilmente, avevano alimentato il buon umore della critica e della piazza. Costrette, almeno per un'altra settimana, a pentirsi. E a riflettere. A Francavilla sul Sinni torna il Taranto già conosciuto: quello distratto, quello incerto. Quello che non possiede ancora un'identità. Quello che non si è calato nella psicologia della quinta serie. Quello che subisce in silenzio. Il rovescio (tre a uno) è grave: non tanto per il risultato in sé. Ma, anche e soprattutto, per le condizioni che lo hanno forgiato. E per le complicazioni che possono derivare, dal punto di vista mentale, da una prestazione che neppure l'allenatore, apertamente infastidito, ha voluto commentare dopo il novantesimo. E, certo, non aiuta molto sapere che è proprio Manzella, un tarantino, ex Berretti e nipote d'arte (parliamo degli anni cinquanta, quando il pallone, in riva a Mar Piccolo, era uno svago di qualità ben superiore) a spingere i lucani verso i tre punti. Il Taranto retrocede, sotto l'angolazione del gioco, del modulo, dell'approccio alla partita, dell'interpretazione delle singole situazioni. E il risveglio, questo risveglio, infastidisce. Soprattutto perchè il mercato suplettivo è fatto e, quindi, già andato. E poi perchè non è più opportuno continiuare a scherzare. Oppure, a confidare sul tempo rimasto e sull'evoluzione di una squadra che non decolla. La realtà è quella che sembra: oggi come oggi, i playout sarebbero assicurati. Il disfattismo non serve, ovvio. Ma, in sede di analisi, è illogico scartare i dettagli più evidenti. Oltre tutto, adesso comincia a non reggere più l'alibi di un mercato (il primo, quello estivo) disegnato e gestito da manager sgraditi. Anche se corre l'obbligo di concedere a Pettinicchio e ai suoi il diritto di peccare, all'interno di un processo di lievitazione collettivo. Proprio perchè il Taranto è stato plasmato e poi reinventato in corsa. Per la soddisfazione della gente e della stampa: che necessitano di certezze. Anche a costo di forzare i tempi. E di fronteggiare le controindicazioni  del caso.    

lunedì 17 dicembre 2012

La flessione del Martina

Due cadute, una dietro l'altra, confondono e incidono. E il Martina, di fronte al Pontedera, sembra trascinarsi da sùbito ruggini e pensieri. L'approccio al match è soft e l'avversario - di sufficiente quadratura, ma anche abbastanza ermetico, con cinque pedine in terza linea - può godere di spazi ed autonomia per ritagliarsi il copione. Il legno timbrato dal toscano Regoli, dopo sei minuti, conferma. L'undici ospite fa viaggiare la palla e, talvolta, prova a nasconderla. Di contro, il Martina non accelera, non forza. Il dispositivo di gioco soffre e stagna. Il Pontedera, ordinato e rapido, gradisce. Tendenzialmente, gestisce la situazione. Ma, appena può, punge. Poi, fioccano le proteste martinesi: prima per un calcio di rigore non concesso. E, immediatamente dopo, per un penalty accordato irragionevolmente alla controparte: che approfitta dell'omaggio, ponendo le basi per il successo. Legittimato, peraltro, dalla tonica prestazione dei pisani: almeno sin lì. La gente di Di Meo, allora, cresce in intensità, si arma di un pizzico di grinta: ma l'irritazione e l'orgoglio si spengono sulla traversa sbucciata da Mangiacasale e sulla linea di porta, su conclusione di Gambino. Decide, allora, quel rigore che non c'è: ma Marsili e compagni sono in flessione. La fatica si accentua nelle occasioni in cui occorre fare la gara. Anche perchè la manovra non sgorga come in passato e, in fase di possesso, il terminale offensivo (Gambino) non ottiene l'altrui collaborazione, rimanendo isolato. Il tecnico dovrà cominciare a rifletterci sopra. O a confidare nell'utilità dei rinforzi che potranno arrivare: perchè a una punta di movimento questa squadra, per come è stata pensata e costruita, non può rinunciare. Senza dimenticare le esigenze vecchie (quella di un centrale di difesa) e nuove (un ricambio in mezzo è opportuno: Marsili non è indistruttibile).

venerdì 14 dicembre 2012

Meno sei: e Il Bisceglie ci crede ancora

Punto primo: il Bisceglie, da un po', sembra essersi dotato di una certa regolarità. Che, poi, assicura quella credibilità al di fuori e al di dentro del gruppo: utilissima, quando la società e la squadra continuano a confidare nel domani e a puntare al podio più alto. Anche se la vetta del girone appulocampano di quinta serie è già lontana sei punti. E anche se il leader del campionato si chiama Ischia, cioè una formazione di livello superiore a chiunque e che, anche nelle giornate peggiori, costruisce sempre un numero ragguardavole di occasoni da gol. Alcune delle quali, per la legge dei grandi numeri, si concretizzano fatalmente. Sperare, però, è lecito, finchè la matematica lo consente. E finchè, soprattutto, il Bisceglie riesce a coniugare con profitto le virtù tecniche di parecchi suoi esecutori. A Matera, peraltro, di fronte alla terza forza del torneo, la formazione di Ragno reagisce bene allo svantaggio, disegnandosi una seconda frazione di gioco convincente che prelude al pareggio. Pareggio che, tuttavia, non verrà omologato, per una disattenzione della segreteria del club lucano: il nuovo acquisto De Vezze avrebbe dovuto scontare una squalifica non consumata e, invece, subentra a match in corso. La giustizia sportiva, con calma, offrirà al club stellato altri due punti (per questo parliamo di sei lunghezze di disavanzo dalla capolista: che, altrimenti, sarebbero otto). A proposito, sono proprio i numeri a tenere il Bisceglie sulla scia di Ischia e Gladiator: due sole sconfitte, a fronte di nove successi e quattro pareggi. E trentuno reti realizzate (terzo reparto avanzato dell'intero lotto), a fronte delle quattordici (ma diventeranno tredici, dopo l'intervento del giudice) incassate. Ovviamente, però, qualsiasi passo falso può diventare fatale, già a metà del percorso. E la truppa gestita da un tecnico minacciato più volte dagli eventi dovrà abituarsi a convivere con questa nuova pressione. Del resto, mantenere il ritmo altrui sta diventando faticoso: anche perchè, fuori casa, il Bisceglie non è stato sempre irreprensibile. O, meglio, sempre fortemente ostinato nel recuperare il risultato. Che, da ora in poi, è l'unico dato che conta: senza se e senza ma. E anche l'unico argomento a disposizone per non doversi accontentare, prima del tempo, dei semplici playoff, una storia a parte dai contorni ancora sfumati. Dove non esistono certezze, ma solo supposizioni.

giovedì 13 dicembre 2012

Andria, i complimenti non sono tutto

L'Avellino ci mette il mestiere. E qualche nome grosso. L'Andria, di contro, s'imballa quando è il momento di accelerare. O di reagire. Il risultato, in casi come questo, è scontato. E la gente di Cosco deve arrendersi. Succede davanti al pubblico di casa: e lo stop non aiuta ad emergere. Innocenti e compagni sono sempre lì,  un paio di passi sopra la linea di fuoco, cioè sei punti al di là delle tre concorrenti che chiudono la classifica (Sorrento, Barletta e Carrarese). Ma sempre nel mezzo della lotta per la sopravvivenza. Anche perchè il secondo punto di penalità, piovuto ultimamente per le inadempienze economiche della vecchia gestione, impedisce di agganciare Benevento e Catanzaro, appaiate a quota quindici. Oltre tutto, la squadra dimentica di salutare come conviene l'insediamento freschissimo di Francesco De Pasquale, il nuovo presidente. Che, tra parentesi, promette qualche nuovo ingaggio, a breve. Qualche rinforzo, peraltro, male non farà: malgrado i frequenti attestati di stima che l'Andria riceve dagli avversari, dalla critica e dalla sua stessa tifoseria, che spesso ne apprezza il coraggio o la predisposizione alla lotta (non è il caso di domenica, ovviamente: del resto, il coach, a fine gara, parla chiaramente di una prestazione al di sotto delle possibilità del gruppo). Complimenti sinceri che, però, alla lunga, rischiano di ovattare la squadra o, meglio, di impermeabilizzarla dalla realtà di un campionato che non bada troppo alla forma, prediligendo la sostanza. Anzi, di offrirle domenicalmente lo stesso alibi. L'alibi che - di solito - protegge, invece di stimolare.

mercoledì 12 dicembre 2012

Barletta, adesso è recessione piena

Il Barletta si sgretola: gli attacchi di una classifica avarissima sembrano devastanti. La gente che tifa, ormai stanca, insorge. E consiglia Stringara, seconda guida tecnica della stagione, a ripartirsene per la Toscana: ottenendo, in cambio, un rifiuto. Il tecnico fa sapere che non si muoverà, puntando sul risveglio di una squadra incerta e mordida, incapace pure di fallire l'obiettivo del successo con la Carrarese: che pure condivideva e continua a condivere con Burzigotti e compagni l'ultimo vagone del girone A di terza serie. Pavone, il diesse che ha disegnato il progetto economicamente sostenibile per il club della sua stessa città, invece, si fa da parte. Per un paio di giorni soltanto, però: perchè la società, allontanando le indiscrezioni sulla sopraggiunta incompatibilità con il responsabile di mercato, respinge le dimissioni che avrebbero saputo di resa, di sconfitta. Che avrebbero definitivamente bocciato una programmazione creduta intelligente, ma ormai inadeguata per salvarsi. Almeno, con questi presupposti. Domenica lo attendevamo, il Barletta. Lo attendevano un po' tutti. L'illusione, però, si è spenta a due minuti dalla conclusione del match, recupero escluso. Anzi: due gol di vantaggio al minuto ottantacinque si sono scoperti insufficienti. Indeboliti sicuramente da un penalty concesso generosamente all'avversario. Ma anche cancellati da un atteggiamento, assicurano le cronache, presuntuoso e autolesionista. E che, soprattutto, non si coniuga con le esigenze di un collettivo attardato in campionato e mentalmente in difficoltà. Ma anche bisognoso, a questo punto, di essere sostenuto da nuovi investimenti: che il presidente Tatò pare aver garantito, oltre tutto. Rinnovando vecchi sacrifici che parte della piazza, probabilmente, ha dimenticato. E sconfessando pure certe intime convinzioni del recente passato: anche se, davanti al burrone, parare la caduta è un'operazione automatica.

martedì 11 dicembre 2012

Il nuovo campionato del Nardò

La grinta non manca. Anzi, quella abbonda, se ascoltiamo le parole di rabbia che allenatore, giocatori e società del Taranto hanno tributato sùbito dopo il derby perso in Salento due domeniche addietro. E, probabilmente, non difetta neppure il coraggio. Di crederci, nonostante tutto. Il Nardò di Luca Renna continua a galleggiare con dignità, nelle acque di un campionato approcciato con affanno e poi deglutito meglio, con l'energia di qualche acquisto più mirato. Lo scontro (sotto ogni angolazione) vinto sulla formazione di Pettinicchio prima e il pareggio rimediato, sette giorni appresso, a Battipaglia spiegano chiaramente che il nucleo portante del gruppo granata è attaccato alla maglia e al desiderio di ottenere il traguardo prefissato, ovvero la salvezza. Solo che, adesso, la situazione si complica. E non poco. Il miglior realizzatore della squadra, Majella, ha già optato verso una nuova avventura professionale, che si chiama Monopoli. E, con lui, alla riapertura delle liste di trasferimento, è emigrato qualcun altro. Mentre non si intravedono troppe possibilità di rimediare alle uscite. E di tappare le falle. E' la conseguenza prevedibile del nuovo stato di crisi che sta stringendo il club: abile nell'arginare la recessione per qualche mese, ma - si dice - incapace di fornire, sino in fondo, adeguate garanzie a chi resta. Una sola mensilità pagata dall'inizio della stagione in poi, del resto, è un dettaglio che fa riflettere chi di pallone vive. Anche in serie D. Dove, a metà del cammino, molti equilibri si alterano: spingendo verso posizioni più rassicuranti, magari, chi sin qui ha zoppicato. E depauperando, in altri casi, il patrimonio tecnico di realtà più tranquille. E' il caso della Fortis Trani di due tornei addietro, tanto per rimanere in Puglia. Quello stesso Trani che, peraltro, riuscì a salvarsi ugualmente, seppure ai playout, a dispetto di tanta gioventù inesperta: facendo fruttare il buon numero di punti collezionati nel girone d'andata. Ovvio, il Nardò non parte dalla base protettiva del secondo posto, che aiutò allora la Fortis. E, allora, la salvezza abiterà anche nel cuore e nella determinazione di gente come Vetrugno, Antico o Taurino, che hanno deciso di continuare a sostenere il progetto. Oltre che, ovviamente, sull'organizzazione di una formazione votata alla battaglia e al sacrificio. Perchè, al di là del pareggio beneaugurante di Battipaglia, per il Toro, domenica, è partito un altro campionato. Il suo vero campionato: quello della vita.

lunedì 10 dicembre 2012

Il Monopoli bello non basta

Un altro viaggio gravido di significati. Dove la prestazione è oggettivamente interessante. E irrorata di spunti su cui riflettere. Ma anche di occasioni da gol: quelle che bastano per rammaricarsi del solo punto guadagnato dopo novanta minuti di gioco densi e - però - poco redditizi. A Foggia, il Monopoli gioca da formazione titolata, lasciando la sensazione di aver smarrito un'altra chance niente male. E riscuotendo i legittimi complimenti della controparte (Padalino, tecnico dei dauni, in sala stampa non nasconde la superiorità, sul campo, di Lanzillotta e compagni). Il pareggio, cioè, è poco. E non premia la squadra che, oltre tutto, si ritrova a condurre un derby senza pedigrée, ma ugualmente allettante. E che, come in altre circostanze, finisce per trascinarsi quell'amarezza che si confonde con la stizza. Il Monopoli, ancora una volta, è stilisticamente corretto. Ma, pure in Capitanata, tradisce una certa immaturità: che, teoricamente, male si coniuga con la convivenza nel quartiere più altolocato del campionato. Un campionato, quello appulocampano di serie D, in cui - peraltro - certe gerarchie si sono ormai disegnate. E che solo le grandi manovre di metà stagione (la riapertura del mercato, per intenderci) potrebbero sovvertire. Gerarchie che, al di là di tutto, sembrano salvaguardare le ambizioni del club adriatico, ormai intimamente convinto di poter concorrere ad un posto nei playoff: nella speranza che, in estate, servano a qualcosa (l'anno scorso non fu così, ma la situazione potrebbe essere mutata, nel frattempo). Tanto da aver appena tesserato un'altra punta di spessore come l'ormai ex neretino Majella (a proposito, a Foggia ha già esordito con la nuova maglia). La classifica, del resto, spiega come il torneo sia ormai spezzato in due tronconi: di qua le big, di là le altre (confusamente raggrumate in pochi punti). Match come quelli di ieri, tuttavia, certificano quanto la formazione di De Luca, talvolta, si perda. Polverizzando la possibilità di innestare quella marcia in più. Anche per questo, allora, è consigliabile confidare nel futuro prossimo: ma senza pretendere troppo da se stessi. Libero da qualsiasi assillo, piuttosto, il Monopoli potrà vivere meglio: provando, magari, a dotarsi di furbizia e scaltrezza.

sabato 8 dicembre 2012

Martina, da Salerno solo rimpianti

Meglio di fronte agli avversari importanti. Il Martina, di questi tempi, è così. Le fatiche accumulate contro formazioni meno titolate ed equipaggiate (Fondi e Arzanese, per dirne due) si stemperano in casa dell'Aprilia (qualche domenica addietro) e a Salerno, ieri, nell'anticipo del venerdì: dove la gente di Di Meo si disegna una partita arcigna, intensa. E dove si ritaglia qualche momento di calcio intelligente, provando persino a graffiare, senza alcun timore reverenziale, e stoppando per un po' le velleità della realtà più ricca e potente del torneo. La caduta, maturata poco dopo la metà del primo tempo, proprio nel momento in cui il Martina sembra poter controllare la gara senza eccessivi intralci e con una dose discreta di mestiere (Guazzo, punta di movimento dei campani, si libera al tiro, vincendo un paio di resistenze; Daleno scivola nel momento meno opportuno, davanti alla porta da difendere), è sostanzialmente ingiusta. Ma, almeno, scaccia qualche dubbio sorto recentemente, fortificando psicologicamente il gruppo. Che, evidentemente, ha assorbito l'idea di doversi giocare le proprie fiches con l'aristocrazia del girone meridionale di quarta serie. Soprattutto, in previsione del potenziamento dell'organico (la punta che avrebbe dovuto arrivare ha firmato altrove, ma il club assicura che ne giungerà un'altra, assieme ad un under da piazzare sulle corsie laterali). Dimenticando, però, che i playoff (è lo stesso tecnico che si scopre, ufficializzando l'obiettivo) si conquistano pure superando la media borghesia: che battaglia di più e brilla di meno.

mercoledì 5 dicembre 2012

Venticinque giorni per ridiscutere tutto

La sicurezza, in dosi eccessive, fa male. Blocca la squadra, depotenzia la fame, aggredisce le gambe e la testa. La facilità di espressione, talvolta, corrompe, impigrisce. E, probabilmente, sono proprio la sicurezza e la facilità d'espressione i nuovi nemici del Lecce, che in un arco di tempo di venticinque giorni, sembra aver esaurito ingegno ed energia, bruciando buona parte del vantaggio robusto accumulato nelle prime nove giornate del torneo. La caduta brusca di Salò, domenica, risveglia il gruppo e, magari, pure qualche coscienza. Ma, innanzi tutto, incattivisce la proprietà, che non nasconde di mal sopportare inciampi e fatiche. E che non è sempre disposta a comprendere. O ad assolvere. Fa rumore la sconfitta, che si allinea ad altri risultati non proprio in linea con la marcia svelta che il club aveva ipotizzato o accarezzato. Ma, ancora di più, punge il dato numerico: il quattro a zero finale è brutale, indigeribile. Eppure, l'avversario non è di quelli che spaventano. Anzi, la classifica povera dei bresciani è un altro punto a sfavore. Però la Feralpi morde e riparte. E la squadra di Lerda si lascia trascinare nel vortice dell'involuzione, dimostrando di non aver saputo replicare alle prime difficoltà del percorso. Manovra a parte (emerge un po' di ruggine nella fase di possesso), il problema principale sembra annidarsi negli atteggiamenti. Il Lecce, ad esempio, lascia giocare l'avverasrio, senza intervenire. Sperando che gli allori recenti bastino e avanzino. E' arduo credere che il gruppo si ritenga sin d'ora impermeabile a qualsiasi intemperia. O che pensi di gestire il resto della stagione senza sacrificarsi, abbandonando il concetto di umiltà. Ma, se fosse realmente così, l'errore diventerebbe imperdonabile.

martedì 4 dicembre 2012

Brindisi, confusione e parole sbagliate

Zero risultati, molta confusione. Negli equilibri interni al club e pure tra le parole. Ma è una situazione che, in fondo, riusciamo persino a comprendere: perchè l'esperienza, nel pallone, non si compra negli ipermercati della periferia. E perchè la paura di sprofondare (eufemismo di retrocedere) destabilizza qualsiasi ambiente. Anche e soprattutto una piazza come quella del Brindisi. Dove si vive male da troppe settimane. E dove, negli ultimi sette giorni, è accaduto molto più di abbastanza. Prima la sconfitta pesante di Sant'Antonio Abate, l'ennesima di fila, la scorsa settimana. E poi le dimissioni del tecnico Francioso, respinte dalla società e anzi, lasciate nella segretezza assoluta (ma non è un reato: di più, questo può essere decodificato addirituura come un segno di forza). Quindi, l'intervento del tecnico, piovuto telefonicamente in un salotto televisivo, che svela il particolare negato alla gente che tifa: tanto da costringere il presidente Galluzzo ad addossare una colpa (che non c'è) all'addetto stampa. Pronto, quest'ultimo, a confermare la propria estraneità dalla vicenda, a divincolarsi da qualsiasi responsabilità e a dimettersi. Infine, esattemente avant'ieri, la nuova caduta della squadra, questa volta al Fanuzzi: la Battipagliese passeggia (1-5) e, a fine gara, Francioso rinuncia nuovamente al mandato. Senza successo, da principio: perchè, sùbito dopo, la società cambia parere, accettando la risoluzione del rapporto. Incassando, il giorno dopo, il sì di Totò Ciullo, ormai nuovo responsabile della guida tecnica. Nel frattempo, intanto, Galluzzo litiga con la stampa, macchiatasi del diritto di cronaca. E di critica. Trovando pure il tempo per dettare pensieri affaticati e largamente opinabili («Giochiamo bene, ma poi, se l'aversario tira in porta una volta e ci fa altri quattro gol, che volete da noi? »). Molta confusione, sì. Ma, paradossalmente, anche un primo bagliore di saggezza: perchè, se davvero esisteva conflitto tra l'allenatore e una parte dell'organico, era davvero opportuno scegliere una strategia (via il gruppo di dissidenti, oppure il nocchiero). Paga qualcosa, oltre a Francioso, anche il direttore sportivo Manzari (ora, al suo fianco, c'è Carbonella). Mentre, dalla seconda sessione di mercato, è già arrivato un primo rinforzo (Tedesco), in attesa di altre auspicabili novità (del resto, anche l'argentino Villa ha abbandonato il gruppo, mentre Rizzi è ormai ai margini del progetto). Novità che però, da sole, non basteranno a mitigare la paura e la tensione che si stanno coagulando (e alleando) attorno al Brindisi. Una società, cioè, che necessita di un piano sportivo nuovo e di tranquillità: da cercare dentro se stessa. Senza pretenderla da chi esercita un altro mestiere: quello di informare. E da chi non può ritagliarsi il ruolo di megafono della società.   

lunedì 3 dicembre 2012

Supponente o appagato, il Martina si scolla

Difficile da credere (e da digerire), ma vero. L'Arzanese, formazione mediocre (inguardabile nella prima mezz'ora, più sollevata e credibile nella seconda parte del match) affonda a domicilio il Martina. Che si prende i demeriti del caso. Tuttti. Perchè non rinfranca ricordare che la squadra di Di Meo (priva di un discreto numero di titolari, è vero) non chiude una gara che potrebbe immediatamente e tranquillamente archiviare, per poi gestirla sino in fondo, pur detenendone il pieno controllo: sotto ogni punto di vista. C'è, probabilmente, un pizzico di supponenza che guasta il regolare corso dei novanta minuti. O, probabilmente, è un letale principio di appagamento a sbarrare la strada ad un successo che appare inattaccabile. All'inizio, il Martina è quello che siamo abituati a vedere: efficace, aggressivo. Il gol arriva dopo appena trentaquattro secondi: non c'è Gambino, ma ci pensa Lattanzio. L'avversario, debole e disarticolato, s'industria come può (male), evidenziando lacune tecniche evidenti e impacci grossolani. Marsili e soci, cioè, possono disporre pienamente di tutte le zolle del campo. E, invece, non accelerano: accontentandosi di una supremazia territoriale che sembra ambire più volte al raddoppio, ma che si sfarina puntualmente. Difetta l'istinto del killer: quindi, la partita diventa zoppa. E così, come spesso accade, alla prima occasione l'Arzanese si libera e pareggia. Comincia, allora, un'altra storia: il Martina indugia, si scolla, si spegne, si perde. Il terminale offensivo (Lattanzio) non è un punto di riferimento sostanzioso. L'esperienza di Anaclerio si eclissa (infortunio). La tenuta difensiva è spesso labile (Filosa continua a non convincere). Dalle fasce non sgorga granchè. Il terreno del Tursi si appesantisce sempre più. E, con il tempo, i campani acquistano fiducia, sicurezza: usando al meglio la ripresa, fino ad ottenere il massimo con uno sforzo ridotto. Lo score finale (uno a tre) non lascia neppure troppo spazio alle parole: ma perdere in questa maniera partita e leadership del girone è davvero un delitto. Il peggior delitto, prima della trasferta di venerdì, a Salerno: dove morale e buon umore servirebbero parecchio.

mercoledì 28 novembre 2012

Il Foggia e la memoria corta

Avevamo detto, più volte: questa è una stagione di passaggio, di consolidamento. Della società, innanzi tutto. E, di conseguenza, del progetto: che vuole essere credibile, ovvero longevo. E questo è un campionato da digerire, da capire, da studiare: per poter poi operare, con intelligenza e budget adeguato, la prossima estate. Un anno di transizione significa sacrificio, tolleranza, persino sopportazione: ma anche disciplina, davanti ad una situazione che non riconosce la storia e il blasone sportivo di una città. E il Foggia, infatti, è perfettamente immerso nel suo percorso di perlustrazione della serie D. Viaggiando tra piccole soddisfazioni e un po' di delusioni. Alternando buone prestazioni a recite oggettivamente scadenti. O, comunque, zoppe. Che non ci merivagliano. E che non possono sorprenderci. Intanto, a rimorchio delle cinque più forti del girone appulocampano (nell'ordine, Ischia e Gladiator, poi Matera, quindi Bisceglie e, infine, Monopoli) c'è un plotone ormai abbastanza distanziato. E, in mezzo al plotone, pure la formazione affidata a Pasquale Padalino. Discretamente protetta, per il momento, dagli assilli del quartiere playout. Eppure, il tecnico sta fronteggiando la crisi della frustrazione di un ambiente ulteriormente depresso dal pereggio interno conquistato al fotofinish di fronte al Nardò, domenica. E, probabilmente, anche qualche velata accusa partita direttamente dal cuore del club. E, peraltro, immediatamente smentita con un celere comunicato stampa. La turbolenza, che il coach sta palesemente avvertendo, non porta affatto bene. E, soprattutto, non rende merito agli intendimenti (e alle dichiarazioni) della vigilia del torneo. Anzi, non serve. E complica soltanto il processo di maturazione di un gruppo che, tra breve, sarà riveduto e corretto. E dal quale dovrebbe germogliare la squadra che, tra dieci mesi, punterà a recuperare il professionismo in Capitanata. Quella squadra che, nelle intenzioni d partenza, avrebbe dovuto essere plasmata proprio da Padalino, un foggiano che non nasconde le proprie ambizioni. E ingaggiato per lavorare nell'arco di un periodo più ampio, cioè in prospettiva.

lunedì 26 novembre 2012

Monopoli, occasione persa

La superiorità territoriale non basta. E neppure la più corposa cifra tecnica, oppure la quadratura più credibile. Il Monopoli è più solido, più continuo: in una sola fotografia, più collettivo. Ma, dal derby di Taranto, sgorga soltanto un pareggio. Che è per poco per la quantità spalmata sul campo nell'intero arco dell'incontro, ma anche abbastanza per gli ultimi dieci minuti del match, vissuti con qualche apprensione. Il campo pesante, certo, penalizza anche la squadra di Pettinicchio, ma - alla fine - pagano soprattutto i biancoverdi, che probabilmente spendono di più nella prima parte della gara. E la gioventù diffusa degli jonici (sei giovanissimi in campo, per quasi un'ora di gioco), probabilmente, finisce per combattere meglio la stanchezza. Lanzillotta e compagni, tuttavia, arrivano più vicino al successo e anche più spesso, come testimoniano i due legni timbrati nella prima frazione di gioco (il Taranto, nella ripresa, ne colpirà uno con il febbricitante Mignogna) e l'invalidamento di una marcatura (segna Pereyra, ma il direttore di gara ravvisa una situazione di offside). Eppure, da principio, la formazione di casa sembra aver guadagnato posizioni, dal punto di visto della personalità. Questione di una decina di minuti e il quadro cambia sostanzialmente: il Monopoli si muove con più autorevolezza, con più lucidità. E mostra anche più gamba. Il disegno tattico di De Luca è chiaro: tre punte più Strambelli in mezzo al campo. La pressione imbarazza palesemente la controparte, spesso obbligata a commettere fallo sulla trequarti. L'infortunio di De Tommaso, dopo appena mezz'ora, costringe però il tecnico a dotare lo scacchiere, almeno teoricamente, di maggior equilibrio: Strambelli avanza il proprio raggio d'azione ed entra Marini. Di contro, peraltro, la squadra perde contestualmente sul piano della propulsione. Ne approfitta, dunque, il largamente rimaneggiato Taranto (privato sùbito, oltre tutto, delle prestazioni di Fumai e Cordua), che si rianima. Per alcune modalità, poi, è simile anche lo sviluppo dei secondi quarantacinque minuti. In cui gli ospiti non si fanno trovare pronti nei frangenti decisivi, quando occorre essere risoluti (e più convinti) davanti alla porta avversaria e quando occorre addizionare un po' di brillantezza negli ultimi metri. Un punto, allora: che il Monopoli accetta, ben sapendo che nessuno può ragionevolmente chiedere a questo organico la leadership del girone. Ottenuto sul campo (importante) di una realtà ancora in evidente difficoltà come il Taranto, ma anche dotata di orgoglio: che il suo trainer, al novantesimo, definisce un gruppo unito, con evidente soddisfazione. Ma l'occasione sprecata dalla gente di De Luca è evidente: certe gare vanno vinte. E il dettaglio spiega certe differenze tra chi guida il campionato (ancora Ischia e Gladiator, in coabitazione, mentre il Matera si avvicina) e chi insegue.

mercoledì 21 novembre 2012

I dolori della Fortis

Il Trani e una stagione creduta diversa. Qualche buona contrattazione sul mercato (Vicentin e Santaniello su tutti), l'alleanza strategica con operatori che conoscono il girone e, soprattutto, la sua componente campana, un progetto teoricamente più arioso e profondo: le fondamenta, almeno, sembravano sufficientemente solide. I risultati, però, condizionano tutto. Anche i propositi migliori. Ed i risultati, sin da principio, hanno remato in senso contrario. Quattro cadute di fila, poi l'allontanamento del primo tecnico (Pensabene), quindi la sfortunata esperienza del secondo trainer (Squicciarini, già svincolatosi dal rapporto con il club), le problematiche tecniche mai davvero risolte: così si fa dura. Nel mezzo, poi, la querelle tra il presidente Abruzzese e l'amministrazione comunale: sul piatto, soprattutto, la mal digerita questione della gestione dello stadio affidata ad un altro club di Trani. E tante altre cose: tra le quali il disagio di non possedere uno spazio, all'interno della struttura, per poter ospitare la sala stampa. La miscela, dunque, diventa indigesta. E, in coda all'ultima sconfitta (due a zero poco edificante sul campo della formazione ritenuta più debole dell'intero campionato, il Grottaglie), il presidente sbotta. E annuncia di lasciare. Abruzzese, si sa, è persona appassionata, ma anche umorale. Alla fine, cioè, pare persino ripensarci. O meglio: l'impegno (la corresponsione di rimborsi spesa e stipendi) è garantito sino a dicembre, ovvero sino alla riapertura delle liste di trasferimento. Poi si vedra. Ovviamente, però, le porte a nuovi imprenditori sono aperte. Un classico. Tecnici e giocatori, tutti a rapporto, non riprendono neppure la preparazione, fissata il martedì. Situazione in stand-by, quindi. Ma che denuncia un malessere ormai ramificato. Oltre tutto, il rapporto tra la Fortis e la casa comunale, al di là della volontà di riallacciare il colloquio, sembra abbastanza compromesso. E, dal punto di vista squisitamente calcistico, l'organico appena affidato al quarto allenatore (è Gino Loconte, che arriva dopo l'interregno di  Giancarlo Maggio) necessita di una revisione sostanziale (già cominciata, del resto: in sei, Santaniello compreso, sono ormai tagliati). Eppure la città, negli ultimi tempi, non ha offerto molte forze imprenditoriali in grado di assicurare il ricambio fisiologico ad una società che si avvale di un blasone importante. Ed è difficile pensare, soprattutto a torneo in corso, ad un avvicendamento soddisfacente dietro la poltrona di comando. L'impressione, allora, è che Abruzzese resterà dov'è. O che, almeno, sarà costretto a rimanere al suo posto. Con i mezzi di cui dispone e con gli assilli di sempre. Questa, tuttavia, è - egoisticamente parlando - anche la migliore soluzione per il calcio tranese. Davanti all'oscurità dell'incognità, meglio il minimo garantito. Altre volte, davanti all'Adriatico, è finita peggio. Molto peggio.

martedì 20 novembre 2012

Martina, questione di prospettive

Il tempo del Martina, ogni tanto accade, diventa il secondo. Quasi fosse l'eccezione che conferma la regola. E, proprio nella ripresa, di fronte al Gavorrrano, la formazione di Di Meo riconquista coordinate, ritmo, metri, orgoglio, sostanza e risultato, piegando la resistenza ostica di un avversario sufficientemente tecnico e disposto in campo più che bene. Ma che, al contrario di Marsili e compagni, fa molto nella prima frazione di gioco e molto poco in quella successiva. Tutto inversamente proporzionale: ma, in un torneo equilibrato come questo di C2, sono i dettagli che scavano il solco. E i dettagli sono, nel caso specifico, la deviazione di Miano sul traversone di Ancora, entrato neanche un quarto d'ora prima per avvicendare Anaclerio, decisiva a cinque minuti dalla conclusione di un match sodo. Oppure il forcing finale del Martina, che imprime un indirizzo diverso ad una partita che sembra doversi adagiare sul terreno di un pareggio che non scandalizzerebbe nessuno. Malgrado, appena prima della marcatura che scolpisce lo score, un fallo di mani in area toscana venga tranquillamente snobbato dalla terna arbitrale. Eppure, il nuovo appuntamento del Tursi sorride da sùbito: come ci ha ormai abituati, il Martina sprinta in avvio, trovando il vantaggio alla prima conclusione nello specchio della porta, a due minuti dallo start. Buon segno. Anche perchè, se fa gol immediatamente, questa squadra ottiene il risultato, puntualmente: lo dice la storia di questo torneo, lo dice la cabala. E, di contro, se non lo fa sono guai. Niente affatto, invece: il Gavorrano fa viaggiare il pallone, giostra di prima, taglia con grazia la difesa di casa, ancora una volta in affanno palese (non è più un caso: in questo reparto urgono puntelli, lo confermiamo). E, quindi, pareggia. Muovendosi, almeno sino all'intervallo, con discreta autorità. Il Martina si schiaccia, prova ad avanzare, ma la manovra sbrigativa è sintomo di subalternità. Anaclerio, ancora debilitato dallo stop e dal recente infortunio, pensa da play alto, ma non assicura continuità, lasciando Gambino un po' più solo. E senza colmare tatticamente il vuoto creato dalla rescissione del contratto tra la società e Del Core. Cambia tutto più tardi, però: il Gavorrano sparisce e si rianima il Martina. Spunta il carattere, ma anche una certa foga costruttiva (quando si ripropone di costruire, la gente di Di Meo crea sempre qualcosa: questo è un dato appurato). Infine, arriva il successo che blinda il terzo posto per un'altra settimana. Intanto, la società cerca di rimpiazzare numericamente Del Core. E, nel frattempo, studia il comportamento della squadra: è già il momento di nuove scelte ed è necessario capire se conviene rafforzare l'organico (è una questione di prospettive, ormai). Tagliando qualche pedina in esubero, potrebbe essere tecnicamente possibile operare in questa direzione. Con un altro paio di innesti (meglio tre: due dietro e uno più avanti), si può concorrere alla promozione, anche in seconda battuta (si legge play off), con le big. Che, peraltro, stanno per sbarrare la strada. Sì, domenica si va ad Aprilia. E poi, il nove dicembre, a Salerno. Il futuro, cioè anche il mercato suplettivo, passa da quelle contrade.

lunedì 19 novembre 2012

Brindisi, due alternative

Il derby (vinto bene) con il Monopoli e, poi, tanto grigiore. Non il buio, ma quasi. Il Brindisi, da allora, si è sgranato, si è piegato. Improvvisamente. Involuzione veloce, implacabile. Cinque sconfitte in sei match, equamente divise tra impegni casalinghi e trasferte, non lasciano troppi dubbi. Tutto attorno, molte ombre e qualche voce di troppo. Ma la questione societaria, non ancora definitivamente consolidata, incide poco. No, il problema, ancor prima che tecnico e tattico, sembra di vivibilità all'interno del gruppo. La storia sembra cominciare con la risoluzione del rapporto tra il club adriatico e la punta Palmiteri, tornato in Sicilia (per esigenze personali, si è detto: sarà). E continua con le due settimane di black out in cui scompare misteriosamente l'argentino Villa, peraltro ritrovato proprio alla vigilia dell'ultima gara, un altro derby (perso, al Fanuzzi, di fronte al Taranto). Mentre, nel mezzo, danzano prestazioni incerte e gravide di nervosismo (la squadra di Francioso si ritrova talvolta in inferiorità numerica). Infine, proprio in coda alla partita, appena ieri, il tecnico ammette certe difficoltà di dialogo con parte degli effettivi a propria disposizione, auspicando l'intervento della società. Che, dice, già conosce dettagliatamente il caso e le eventuali contromisure: ovvero, immaginiamo, l'allontanamento di qualcuno. Di più: Francioso prova a spiegare il derby (il Brindisi passa per primo, si ritrova in dieci, si sfalda e subisce la reazione del Taranto, che rovescia lo score), preoccupandosi di stabilire le distanze tra di sè e la squadra. Chiaramente, limpidamente: sottraendosi da qualsiasi responsabilità e addossandole a chi scende in campo. A questo punto, pare di capire che la situazione sia arrivata al punto di non ritorno. Anche perchè, tra le righe, la tifoseria potrebbe essere persino portata a pensare che la squadra viaggia in direzione opposta e contraria a quella dell'allenatore (magari, così non è: ma i sospetti si alimentano, in certe occasioni). Di conseguenza, allora, alla proprietà rimangono solo un paio di soluzioni, una alternativa all'altra: ascoltare i consigli del trainer, mettendolo così nelle condizioni di lavorare tranquillo sino in fondo. Anche a costo di rivedere largamente le scelte dell'estate. Oppure, sollevarlo dall'incarico per resettare un po' di cose. La zona play out è già una realtà.   

domenica 18 novembre 2012

Il Bari sa reagire

L'inferno del quartiere malfamato dei play out sembrava vicino. Due o tre risultati di fila non proprio positivi, del resto, incidono sempre: particolarmente in B. Riuscendo a limitare persino i benefici di un avvio di campionato assolutamente soddisfacente: sotto il profilo del gioco e persino nei numeri, se non pesasse quella penalizzazione maledetta di punti sette. Sì, a Bari l'euforia si era un attimo liquefatta, quasi all'improvviso: dodici punti reali, quindi preoccupazioni assicurate. Invece, a Lanciano, di fronte ad una formazione in oggettiva difficoltà ed evidentemente non troppo corazzata alle insidie di un torneo come questo, la gente di Torrente ritrova un pizzico di quella brillantezza perduta, i gol di un attaccante importante (Caputo, peraltro, ne fa due) e, di conseguenza, il successo. Rotondo, pure. Tre a zero: e, ora, si respira meglio. Il tecnico e i suoi, così, rispondono tangibilmente alle critiche piovute ultimamente e ritenute sostanzialmente ingiuste. Critiche effettivamente sproporzionate agli ultimi accadimenti, per dire la verità. Ma che, magari, avranno aiutato il gruppo a perseguire il calcio praticato nei primi due mesi della stagione e a ritrovare quella concentrazione e quella lucidità riconosciute sino ad ottobre. Ovvio: lo spettro della C fa paura all'ambiente e il livello di tensione va salvaguardato il più possibile. Ma, inevitabilmente, una squadra nel pieno processo di crescita non può sottrarsi ai cali di rendimento, assolutamente fisiologici. Che, proprio perchè fisiologici, vanno messi sul conto. Più volte. Quest'anno, più di altri, è lecito attendersi difficoltà assortite. Peraltro, sin qui, soltanto abbozzate da una competizione che si sta lentamente svelando. Francamente, ci attendiamo momenti più difficili di quello appena vissuto: che, prima o poi, si abbatteranno. Chi tifa e chi, più semplicemente, osserva e commenta, dovrà farsene una ragione. Meglio prepararsi ad ogni situazione: senza lasciarsi fuorviare da quello che, oggi, appare. Pur riconoscendo a questo Bari una qualità: quella di saper reagire. Che, per un collettivo giovane, è già abbastanza.      

venerdì 16 novembre 2012

Il Lecce e l'incidente diplomatico

Un pareggio con gol (a Pavia, due a due) e una caduta (a Lumezzane, nel recupero). E, a Lecce, il germe della polemica avvelena l'humus di euforia e sicurezza. Basta davvero poco per rovinarsi l'umore. La doppia uscita lombarda sembra incrinare qualche equilibrio: perchè, prima, la formazione di Lerda sciupa dal dischetto l'occasione del tre a uno e, quindi, si fa raggiungere dagli undici metri, frenando. E poi, a metà settimana, si piega con poco carattere, rimediando il primo stop della stagione. Il presidente Tesoro non gradisce e lo dice chiaramente, con parole dure, aspre. Che il tecnico non condivide, risentendosi. Il lavoro di mediazione di Tesoro junior e la scaltrezza (ma anche la sensibilità, così pure come la furbizia) del padre arrivano a sostegno del progetto: e il presidente si acquieta, cercando formalmente il perdono per un paio di conclusioni eccessive. O, comunque, troppo pericolose in un momento in cui la squadra incontra le prime difficoltà del percorso. E che, dunque, si ritrova ad affrontare senza conoscere le proprie capacità di reazione. Vincono, cioè, il concetto di bene comune, la ragione di stato, l'esigenza di non arroventare il presente, l'accondiscendenza che ripara le fratture. Lerda non può non aver apprezzato: anche se, nell'immaginario collettivo, lo screzio rimane con tutta la sua atmosfera grigia. L'episodio, però, conferma quanto alto sia il livello di attesa della società in un campionato mal sopportato e quanto ogni minimo indugio possa viaggiare contro un gruppo dimostratosi, sin qui, sicuro e attento. Ad eccezione dell'ultima settimana, ovviamente. Peraltro, il malanimo non aiuta: e l'azzeramento del dissidio verbale è l'operazione migliore che il club abbia potuto adottare. E il Lecce, del resto, è ancora saldamente davanti a tutti, nonostante l'unico punto guadagnato negli ultimi due match. Incuriosisce, piuttosto, capire con quali argomenti il gruppo saprà rispondere, sul campo, agli assilli di metà novembre. E, soprattutto, conoscere lo spessore della tenuta psicologica di una formazione pensata per dominare il torneo di terza serie e non per essere criticata. Ma questa, evidentemente, è una questione sulla quale si sarà corposamente soffermato Lerda: ovvero chi, alla fine della storia, ne esce rafforzato, dopo essere stato sminuito.

lunedì 12 novembre 2012

Taranto, la società si agita

Il Taranto chiede al campionato un successo, il terzo della stagione, per acquistare colore e dignità. E il successo, infine, arriva. Occorre, però, attendere allo Iacovone il Grottaglie, formazione che si conferma strutturalmente inadeguata per garantirsi la salvezza, malgrado i due recenti innesti (Rebecca e Vitagliano), eppure sostanzialmente in gara prima del tre a uno griffato Stigliano (finirà quattro a uno, ma ad un certo punto Radicchio sciupa un paio di volte l'occasione del due pari, prima che gli ospiti si ritrovino in inferiorità numerica). Traducendo, ecco tre punti di fiducia per la gente di Pettinicchio, ma il lavoro è ancora assicurato: prima e anche dopo la seconda sessione di mercato. Alla quale, è chiaro, il club jonico dovrà ricorrere: per fortificare le sue fondamenta, ma anche per avvicendare un po' di pedine verbalmente esautorate già da un po' e, comunque, ormai ai margini del progetto. Nel quale, palesemente, hanno faticato ad incastrarsi. Ecco, appunto: proprio ieri, nel corso del match, davanti alla telecamere, il socio forte del Taranto (Bongiovanni) ha dettato con la sua tradizionale enfasi e con una manciata di doppi sensi il proprio disagio, scavando una nuova distanza tra la società e i nomi più rappresentativi del gruppo (facile, peraltro, capire anche i destinatari del messaggio: basterebbe ripassare la formazione schierata nel derby di terra jonica e soffermarsi su chi non c'era). Ufficialmente, il plenipotenziario rossoblu avrebbe invitato i più distratti a correggere atteggiamenti e rendimento. Di fatto, però, il club sembra aver creato una nuova barriera tra sè e parte dell'organico: provando, lo pensiamo sommessamente, ad avvicinarsi a certe correnti di pensiero popolare. O, meglio, ad allontanarsi da certe scelte del passato. Rinnegandole. Non vorremmo, però, che certe dichiarazioni possano infervorare ancora i più oltranzisti del tifo: del resto, la notizia del raid punitivo di alcuni ignoti sulle auto personali di sei tesserati è ancora fresca (i fatti sono della settimana scorsa). Se non altro perchè, è noto, a Taranto il pallone è spesso vissuto ancora troppo visceralmente. E, dunque, è sempre una pratica intelligente mostrare attenzione pure alla parole che si utilizzano nei periodi più cupi. Ma non è tutto: il club bimare (pensieri, questa volta, del presidente Zelatore) scopre di possedere molti nemici. E pubblicizza l'avvinemnto candidamente. Pensiamo, tuttavia, che in un momento storico particolarmente delicato e ombroso come quello che sta vivendo la società (inesperta, calcisticamente parlando, ed umorale), gestire l'attualità il più seranamente possibile potrebbe alleviare il peso dei giorni. Accentrare volutamente su di sè i riflettori, invece, è esattamente quello che non serve, quando si naviga in acque particolarmente mosse.

mercoledì 7 novembre 2012

Il Barletta è senza grinta. Parola di Stringara

Il derby dell'uktima domenica conferma: l'Andria è in pieno processo di crescita. Ed è oggettivamente competitivo, correttamente sintonizzato sul proprio obiettivo, quello minimo. Il Barletta, invece, no. Ed è, anzi, ancora più confuso dal recentissimo cambio di panca (Stringara per Novelli). Il match di Pane e compagni è affaticato, sin da sùbito. La squadra tarda ad organizzarsi e, una volta sofferta la marcatura di Arini (quella che, poi, decide), interpreta la seconda frazione di gioco senza determinazione, senza carattere. Non è sufficiente neppure rimescolare lo scacchiere (una punta in più, centrocampo più esile) e riaffidarsi alla vena realizzativa di Lamantia, partito dalla panchina. Lo dice chiaramente il nuovo coach dopo il novantesimo: una squadra come il Barletta, che deve conquistarsi una salvezza già ardimentosa, non può soccombere anche sotto il punto di vista agonistico. In una gara, oltre tutto, attesa e sentita come quella con l'Andria. Constatazione pertinente, critica feroce. Ma anche un impegno che il tecnico toscano, automaticamente, si assume: quello, cioè, di rafforzare mentalmente il collettivo. E di garantirgli, al di fuori delle pieghe squisitamente tattiche e dei requisiti tecnici, le ragioni della sopravvivenza.

lunedì 5 novembre 2012

Il Martina sceglie la praticità

Ossequio alla praticità. Il Martina tralascia la forma e bada alla sostanza. Non si fa bello, ma fa fruttare il gol trovato in apertura, gestendolo sino alla fine. Facendosi bastare la propria superiorità tecnica, la sua migliore condizione strutturale e la supremazia territoriale esercitata da inizio a fine match: che l'ospite di turno, un Hinterreggio modesto e neanche troppo focoso, non riesce mai a contrastare. Sette giorni dopo il pareggio dell'Aquila, la formazione di Di Meo allontana definitivamente lo spettro del Fondi: ed è questa la questione fondamentale. Eppure, sotto il profilo stilistico, il Martina di certe situazioni passate è ancora lontano. La manovra è meno pulita, meno fluida di altre volte. Le occasioni da gol arrivano, ma sono numericamente più contenute. La marcatura decisiva, che porta la doppia firma di Gambuzza (che conclude) e Gambino (che devia), spacca la partita dopo solo quattro minuti di gioco. Anzi, la condiziona. Poi, la preoccupazione principale è quella di amministrare il vantaggio: operazione niente affatto problematica. Anche perchè la fase di non possesso è più efficace di quindici giorni prima. E pure le prestazioni dei singoli protagonisti della difesa sono più rassicuranti, al di là dello spessore dei calabresi. Il risultato, alla fine, è inattaccabile. La brillantezza, tuttavia, è un'altra cosa. Ma, ad un certo punto della stagione, contano innanzi tutto i punti. Quelli che Del Core e soci utilizzano per recuperare la terza piazza. In attesa, come sottolinea il tecnico, di capire quanto potrà (e, eventualmente, vorrà) fare la società a dicembre. Per puntare decisamente alla promozione, Di Meo è tentato dal consigliare un rinforzo per reparto. Ci sembra una richiesta corretta.

sabato 3 novembre 2012

Lecce, marcia impressionante

Neppure la neve smonta il Lecce. Che, a Lumezzane, domenica scorsa, è stato costretto a ripiegare sulla strada del ritorno, senza giocare. E che, dunque, dovrà recuperare il match. Il vantaggio sulle avversarie  rimane ugualmente cospicuo. Rinsaldandosi, anzi, nell'anticipo di ieri: quando, sull'erba di casa, la gente di Lerda regola pure il Portogruaro in una partita che si sviluppa con modalità diverse (questa volta, i salentini si ritrovano sotto e spingono per recuperare, riuscendoci con garbo, grazia e forza). Facendo i conti, prima del completamento del calendario (le altre scendono in campo regolarmente domani), il Lecce possiede lo stesso mumero di match giocati, ad esempio, dal Carpi e dall'Entella (nove). Ma anche, rspettivamente, otto e dieci punti in più. Numeri che continuano a non nascondono il divario tecnico e strutturale. Nello stesso momento in cui la tranquillità societaria (i Tesoro hanno definitivamente rilevato la vecchia proprietà Semeraro) è diventata il nuovo puntello di una programmazione che vuole rivelarsi pluriennale. Tutto gira bene, dunque. E il livello di concentrazione appare ottimale. Non sembra difettare neppure il carattere, che conta sempre parecchio. Allora, magari, non ce ne sarà bisogno. Ma la prima raccomandazione che ci viene in mente è di non credere di aver già archiviato il torneo, nè di doverlo gestire con nonchalance o, peggio, con supponenza. Le apparenze possono ingannare: anche se la differenza di status tra il Lecce e il resto del gruppo, oggi, sembra incolmabile. 

giovedì 1 novembre 2012

Foggia, managerialità e simpatia

Il Foggia, dicevamo, deve convivere con quello che ha: un organico discreto, non certo di valore assoluto. Numericamente, niente affatto esuberante. Ma con qualche individalità di pregio. Perchè no, di un tecnico (Padalino) animato dalla sua stessa foggianità. Comunque, rampante: cioè, motivato. E, infine, di una società che non custodisce un portafogli infinito, ma pure ricca di iniziative. In due parole, il Foggia deve accontentarsi di quello che è: una squadra sulla strada della maturazione e del completamento. Sotto tutti i punti di vista (la seconda sessione di mercato, ormai, sta arrivando). Alla ricerca degli strumenti necessari per programmare, quello sì, l'assalto al professionismo: la prossima stagione. Nulla, tuttavia, vieta ad Agnelli e soci di impossessarsi di qualche soddisfazione, mentre si procede. Il successo rimediato domenica su una big come il Matera, ad esempio, è una di quelle. E vuol dire poco che i lucani, da un mese a questa parte, stiano zoppicando: almeno, giudicando i risultati (tre sconfitte su quattro match). La gara intensa e sufficientemente ispirata viene premiata: e serve a vivere meglio il presente, a migliorare certi automatismi, a garantirsi l'autostima. Non è detto, però, che il Foggia non caschi ancora. Anzi. Il pericolo esiste. Quasi certamente accadrà. Ma l'eventualità fa parte delle condizioni di questo campionato. In cui anche il club sta imparando a districarsi. Anche con qualche idea che sottintende un cero istinto manageriale: è il caso della vendita on line dei pixel di una foto del suo capitano, Agnelli. L'operazione potrebbe far sorridere: invece è un tocco di modernità che potrebbe fruttare il cash per agire a dicembre. Non conosciamo, sin d'ora, il riscontro: ma il presidente Pelusi sembra sintonizzato sui canali giusti. Del resto, la sua maniera di muoversi, improntata sul marketing e il merchandising, ma anche diretta al cuore della gente (il numero uno, qualche tempo fa, si prestò personalmente ai tornelli di un varco dello Zaccheria, non lo dimentichiamo. E, in un'altra occasione, solidarizzò con la tifoseria, fuori dallo stadio), genera simpatia. Ecco, managerialità e simpatia: due cose che, negli ultimi tempi, sono mancate alle cordate che hanno preceduto l'attuale proprietà. Non è un cattivo modo di presentarsi. Proprio no. Anche perchè aiuta ad organizzarsi e a pianificare meglio.   

lunedì 29 ottobre 2012

Torna il Monopoli. Senza indugi e timori

Torna il Monopoli. Il Monopoli che sa trattare il pallone, che affronta chiunque senza timore, che accetta la sfida privandosi di condizionamenti e indugi, che possiede l'umiltà e anche l'intelligenza di cautelarsi, quando serve. Cioè, dopo essere passato in vantaggio. Non su un campo qualunque, ieri: ma, addirittura in casa dell'Ischia capolista, ovvero la formazione migliore della prima parte del girone appulocampano del torneo di quinta serie, cioè la squadra che riesce puntualmente a crearsi occasioni a tiratura industriale. Partita dopo partita. Torna il Monopoli. Al successo. Nel match teoricamente più proibitivo. Uno a zero: e si parla di impresa. La copertina patinata è tutta dedicata alla gente di Claudio De Luca. E certe esitazioni (quelle di Nardò, soprattutto) vengono cancellate vigorosamente. Lo ringrazia, intanto, il campionato intero: perchè blocca un'ipotetica fuga degli isolani. Così come a Matera, Lanzillotta e soci interpretano bene i novanta minuti: lasciando giostrare l'avversario, ma assicurandosi pure la propria parte di gara. Difendendo meglio, questa volta, la rete di vantaggio. Un'antica sensazione, allora, riconquista quota: il Monopoli si regge su fondamenta solide, su una piattaforma credibile. Le difficoltà, evidentemente, non intaccano la bontà di fondo del progetto tecnico e tattico. Che lo scadimento temporaneo della tenuta atletica di qualche singola pedina può scalfire, ma non intralciare. E che anche le critiche recenti (qualcuna, probabilmente, eccessiva) non possono affondare. Del resto, sin qui questo gruppo non è mai stato decisamente deludente. E, persino nei momenti meno brillanti, il Monopoli ha chiarito le proprie prospettive. Dotandosi di margini sufficienti di recupero. Non sono segnali marginali. Di questa squadra, anzi, continueremo a parlare bene, sino in fondo: questa è l'impressione. Anche se la promozione non è nella lista dei doveri e, alla fine, sarà questione altrui.

domenica 28 ottobre 2012

Bari, non c'è fretta

Bello, ma di una bellezza non fatale. Il Bari di Padova è persino vistoso, ma perdona spesso. Va anche in gol, però il direttore di gara annulla. Senza timori reverenziali, insiste: non trovando, tuttavia, argomenti tangibili. E, infine, si ritrova ad inseguire il risultato. Che, poi, raggiunge con quella palla finalizzata da Sciaudone, un altro di quelli che arrivano dalle retrovie del pallone (sino a giugno era in terza serie e sempre in Puglia, a Taranto). Uno a uno, in casa di una delle realtà più accreditate del campionato. E, dunque, un punto: ma di pregio. Torrente può esibire la soddisfazione del caso: questa squadra, anche dopo qualche difficoltà incontrata sul percorso (la cattiva prestazione di Castellammare di Stabia, ad esempio), sa rialzarsi. Giocando con puntiglio, con brio. E riesce ad intimorire anche gli avversari più corazzati. C'è del buono, in questo progetto: ed è una conferma che va sottolineata. Sottoporre la squadra ad una forte pressione, però, potrebbe non agevolare il processo di crescita. Così come fissare un traguardo definito, cioè pretendere determinati risultati. Che, in silenzio, stanno comunque arrivando (solo la penalizzazione occulta la realtà). Nessuno avrebbe osato sperare tanto, prima dell'avvio di stagione. Anche per questo motivo, allora, lasciamo esprimere il Bari: senza imporgli la fretta di evolversi.

sabato 27 ottobre 2012

Barletta, ancora apprezzamenti. E zero punti

Altri pubblici apprezzamenti, altre parole confortanti. Altri buoni propositi frustrati e, soprattutto, niente punti. Il Barletta è sempre sul fondo, la classifica non si muove. E va bene che, sin qui, la gente affidata alle cure di Novelli ha incontrato il meglio del campionato. Lasciandosi le avversarie teoricamente più abbordabili per i prossimi tempi. Oltrepassata la sosta imposta dal calendario, ecco la trasferta di Frosinone. La capolista Frosinone. Nel venerdì piovoso del Matusa è ancora resa: dopo aver temporaneamente impattato (Lamantia rimedia al vantaggio firmato da Ganci) e prima di pagare l'inferiorità numerica (nuovo cartellino rosso, questa volta per Mazzarani: adesso sembra quasi un'abitudine) e il potenziale dell'artiglieria di casa (segna anche Santoruvo e, più tardi, si ripete Ganci). Finisce tre a uno per i ciociari, ma la squadra non sfigura. Non rinuncia mai a proposrsi, accetta il rischio, sbuguarda la realtà della graduatoria orribile: raccogliendo, però, zero. I complimenti guadagnati, certo, incoraggiano e aiutano ad alleviare la sofferenza. Eppure l'inesperienza corrode ancora le fondamenta di un progetto che non va rivisto, ma semplicemente corretto. Con un paio di iniezioni di praticità e mestiere. Appena possibile. Per non dover piangere, domani, sulla sterilità dei consensi. Che fanno morale e, forse, irrobustiscono le speranze. Ma non la postura dell'organico.

martedì 23 ottobre 2012

Nardò, adesso si ragiona

Magari non piace a chiunque, ma il Nardò comincia a fare punti. Con continuità. Intanto, è nel gruppo di quelle formazioni più lucide del momento. Ha, di recente, forzato il destino anche in trasferta (a Grottaglie) e, proprio domenica, si è liberato (uno a zero) della scomoda pratica-Monopoli. Battendo una formazione che, probabilmente, dopo la prima battuta d'arresto (quella di Brindisi), sta pagando qualcosa sotto il profilo psicologico e, soprattutto, adesso avverte il peso di qualche timore, oltre che delle insufficienti condizioni fisiche di un po' di pedine importanti. Ma che, tuttavia, resta uno degli organici più competitivi del girone H della quinta serie, pure in virtù di un calcio esteticamente interessante. Metà classifica agganciata, tre successi complessivi (l'altro a spese del Bisceglie, non di un avversario qualsiasi), a fronte di un pareggio e di quattro sconfitte, collezionate in avvio di stagione: ora, in Salento, si può ragionare. E fa niente se i detrattori insinuano di un collettivo ancora acerbo che si avvale principalmente dell'esperienza, del carisma, della precisione e della prolificità di un artigliere di gran categoria come Majella. Certo, l'ingaggio recente di Taurino ha rinsaldato il reparto arretrato. E, più in generale, qualche innesto di maggior spessore, arrivato a torneo già in corso, sembra aver rassodato la squadra di Renna. Che, finalmente, prova a giocarsi il traguardo per il quale è stata costruita, ovvero la salvezza. Con maggior coraggio e convinzione. Ma, indubbiamente, i gol possiedono un certo valore, sempre. E le punte di qualità sanno sempre come trovarlo. Majella, dunque, in questo momento è quel qualcosa in più che può contribuire a trovare una quadratura definitiva, una strada certa. Che si appoggia sulla consapevolezza di dover perseguire determinate dinamiche (la difesa a cinque con tre centrali di ruolo è un indizio) e sulla certezza che solo i risultati possono attrarne altri.

lunedì 22 ottobre 2012

Il Martina si punisce da solo

Generalmente, spinge da sùbito. Stringendo l'avversario. Questa volta, invece, il Martina sembra preferire il ragionamento all'istinto. Sembra, cioè, voler gestire meglio l'arco di tutti i novanta minuti. Sensazione errata: non è giornata, piuttosto. Coincidenza fatale: il Fondi, avversario di turno che stagna sul fondo della classifica, si porta in vantaggio abbastanza presto (quattordici minuti). Aggravante decisiva: l'assetto difensivo traballa, troppe volte. Gambuzza e Filosa sbagliano praticamente tutto, Bagaglini e persino Dispoto si aggregano al grigiore. Sono tutti preoccupati, nervosi: e si vede. Ogni situazione di presidio è vissuta male. Il contraccolpo psicologico dello svantaggio acquisito, peraltro, è forte. Il Martina si smarrisce e D'Anna replica: zero a due. E' un match segnato. Pure la fluidità della fase di possesso è macchiata. Galleggia solo Del Core, che favorisce Gambino: distanze accorciate. Dietro, però, si pasticcia ancora e il disavanzo di due gol si ristabilisce. La squadra che si ripresenta dopo l'intervallo, però, è più acuta, più convinta. Spunta finalmente qualcosina e la gara si riapre al sigillo di Mangiacasale. L'irreparabile, tuttavia, sta arrivando: Gambuzza completa la sua prestazione orribile con un fallo di mani in piena aerea. Quarto gol dei pontini dagli undici metri e fine delle trasmissioni. Di Meo, davanti ai microfoni e ai taccuini, si carica di ogni responsabilità e parla di approccio alla partita sbagliato. Garantendo, poi, di intervenire sui problemi della retroguardia. Che, però, a questo punto necessita di puntelli: e non solo numericamente parlando. Anche a costo di rinunciare alla contrattazione di un altro attaccante, che nell'immaginario collettivo sembrava la priorità.

domenica 21 ottobre 2012

Taranto, convalescenza lunga

Convalescenza lunga: il Taranto, esteticamente e praticamente, non è ancora quello che vorrebbe essere o diventare. La sua manovra è ancora lontana dalla brillantezza, dall'autorevolezza e dalla risolutezza. E l'arrendevolezza è un tumore maligno che si propaga subdolamente. A Potenza, nell'anticipo del sabato, va discretamente nel primo tempo (poca sofferenza, un paio di occasioni fallite) E malissimo dopo l'intervallo (la difesa si allarga e cede due volte, nel giro di pochissimi minuti, scrivendo il verdetto con mezz'ora di anticipo). Il lavoro paziente e serio del nuovo coach Pettinicchio, erede di un organico incompleto e scalfito dalle prime difficoltà della stagione, che pure cominciava a solidificare qualche concetto fondamentale, si perde nel grigiore di una ripresa in cui la squadra, fragile e debole, si abissa nel buio. Il Taranto che approccia la gara subisce oggettivamente poco, professando concretezza e badando prima al presidio della propria incolumità e poi al resto. Che, tante volte, sottintende una lievitazione della tenuta collettiva. Passi piccoli verso un futuro migliore: mettiamola così. La formazione jonica cerca innanzi tutto la propria identità. E prova a darsi un tono, un'impronta, un assetto più credibile con quello che possiede. Prima, cioè, che la riapertura delle liste di trasferimento possa concedere qualche indicazione interessante. E mentre Massimo Fumai, il rinforzo di ottobre, sembra essersi calato in fretta nel cuore del problema. Ma quello che accade dopo cancella ogni progresso: ingigantendo, piuttosto, i difetti, le crepe, gli assilli, i timori. Cala l'intensità, che tributa all'avversario spazi e agilità. E ai lucani bastano un paio di accelerazioni per chiudere il conto. Quindi, in serata, la società detta in comunicato stampa la propria delusione, accarezzando il trainer e infierendo sulla truppa. Sembra addirittura una dichiarazione d'intenti. La convalescenza, sì, è lunga. Ma non è detto che lo sia anche la storia calcistica tra i due Mari di molti altri. Stanno arrivando le prime sentenze: e l'atmosfera è densa di bassa pressione.

giovedì 18 ottobre 2012

Il gran momento del Lecce

C'è un gruppo di avversari e poi (anzi, prima) c'è il Lecce. Quella di Lerda, oggi, è formazione che fa storia a sè. La classifica si esprime chiaramente: a sette turni dallo start, Giacomazzi e soci viaggiano già sei punti sopra la seconda forza del torneo, cioè l'Entella di Chiavari, cioè l'inseguitore appena abbattuto (quattro a due) a via del Mare, nell'ultima fatica. Eppure, il pareggio di Como, appena una settimana prima, aveva tranquillizato la concorrenza. Inutilmente: la tendenza è trasparente. Sei vittorie sei: e, dietro, il vuoto. La differenza di caratura tra il Lecce e il resto della compagnia, almeno in questo periodo della stagione, è assolutamente evidente. E il divario di forze si fa sentire anche quando, nell'undici di partenza, il tecnico piemontese deve necessariamente rinunciare a qualche nome di spessore (domenica scorsa, ad esempio, ne mancavano quattro). Poi, adesso, la situzione societaria è ormai quasi definitivamente delineata. E, comunque, rasserenata. La famiglia Tesoro, di fatto, ha preso finalmente pieno possesso del club, tracciando una linea di discontinuità con i diciotto anni di presidenza Semeraro. E anche questa è una garanzia in più. Stipendi sicuri, testa più libera. Con tutto quello che ne consegue. Malgrado, e sia detto forte, questo Lecce abbia mantenuto passo e saldezza morale anche nel momento di maggiore depressione societaria, quando - neppure troppo tempo fa - emersero attriti sinistri tra chi avrebbe dovuto vendere e chi avrebbe dovuto comprare. Segno che non manca davvero niente, per aprire un nuovo ciclo: la gente che tifa (oltre seimila spettatori sulle tribune, durante l'ultima gara: chi l'avrebbe detto, in una piazza considerata spesso un po' fredda?) l'ha capito.

mercoledì 17 ottobre 2012

Il Foggia e la crescita lenta

Irregolare come una squadra in pieno processo di consolidamento. Il Foggia cade e si rialza, si riaffloscia e si ricarica: a una prestazione incerta e zoppicante si sostituisce una prova più tonica e rassicurante. E viceversa. Ci sta anche questo, sulla strada di una società appena rieditata e di un organico che necessita di conferme. E pure di certezze. Come la guida in mezzo al campo. Che il tecnico Padalino (ma pure l'ambiente tutto), ormai, sembrano aver riconosciuto nelle qualità di Agnelli: senza del quale, adesso è chiaro, l'ingranaggio s'inceppa. Il quattro a zero inflitto al Potenza, domenica, ha acquietato qualche dubbio e un po' di ansie. Al di là delle difficoltà palesi di un avversario mai davvero integrato in un campionato troppo oneroso per una neopromossa che neppure dispone di un nuovo tecnico ufficialmente ingaggiato. Ma, ovviamente, qualsiasi giudizio rischia puntualmente di franare, domenica dopo domenica. Il Foggia continua a cercarsi, a collaudare se stesso. Ben sapendo che non può più permettersi figuracce come quella di Bisceglie, sofferta recentemente. Le cui scorie, peraltro, sono state lavate lentamente (nell'ultimo match, malgrado il largo score finale, l'approcio alla gara va considerato un po' affannato). Proprio per questo, allora, è assolutamente inutile alimentare gli appetiti e tornare a guardare verso le vere big del girone. Quello del Foggia era e resta un altro torneo: quello della rinascita, della ricostruzione. Non quello dell'ambizione.  

lunedì 15 ottobre 2012

Martina, si viaggia ancora

Niente da dire: il Martina che riceve il Melfi, per venti minuti buoni, fa viaggiare la palla, gioca, crea. Con continuità. E impone le sue condizioni. Cosa che, peraltro, gli riesce spesso: almeno in casa, dal momento che, a Chieti, la scorsa settimana, qualcosa non ha funzionato nei meccanismi e nella gestione delle situazioni. Anche di fronte ai lucani, la formazione di Di Meo imbastisce con lucidità, esprimendosi con ampiezza, ma anche in profondità. Magari polverizzando qualche occasione di troppo, sin dalle prime battute di gioco. Che non è problema da poco, in determinate circostanze: se non altro, perchè non è lecito pretendere che una squadra detti tempi e ritmi per novanta minuti interi. E anche perchè il rischio di smontarsi, in assenza di riscontri tangibili e immediati, esiste sempre. Tanto meglio, allora, per l'onestissimo Melfi di Dino Bitetto, che così rifiata, s'irrobustisce e può permettersi di riflettere. E, dunque, di ripartire. Cioè: progressivamente, il Martina trova difficoltà sempre maggiori. Anche gli inserimenti diventano più rari. E una partita saldamente controllata si fa, all'improvviso, discretamente ostica. Come spesso accade, tuttavia, è una palla inattiva a modificare il corso di un match: e Gambino, alla treza realizzazione in campionato, regala il vantaggio dopo sessanta minuti. Vantaggio che Del Core e soci gestiscono sommariamente, lasciando al Melfi molto campo e iniziativa. Comincia a difettare, nel mezzo, un filtro adeguato e si soffre, sino in fondo. Il successo, intanto, mantiene il Martina nei quartieri alti (terza piazza, dietro Aprilia e Pontedera). Ma, ancora una volta, la squadra della seconda frazione di gioco è più impacciata e meno lucida di quella vista nella prima parte della partita: e questo diventa un dato da analizzare con calma, ma con attenzione.

venerdì 12 ottobre 2012

Barletta, sempre più giù

Hanno detto, abbiamo detto: è una formazione strutturalmente giovane, in pieno processo formativo. Vero. Ma i risultati stanno lentamente piegando il Barletta verso un destino di sofferenza. E' già un campionato amaro, per la gente di Novelli: due soli pareggi in sei partite, undici rete subite (peggio, solo la Carrarese, ultimissima), palesi difficoltà in fase di possesso (nei match disputati al Puttilli, appena un gol segnato). Chiaro, ormai, che il progetto fatichi a decollare. E' andata male, malissimo, anche domenica: la capolista Latina ha infierito (uno a tre), appena ha potuto accelerare. Persino discreta, sul piano del gioco, nella prima parte della gara: ma questa squadra sembra lontana dalle esigenze di un torneo come quello di terza serie. Primo, perchè non conclude. E, quindi, non può sperare di poter graffiare. Secondo, perchè si smonta facilmente, lasciandosi travolgere dal vortice dei timori: come ammette lo stesso tecnico. La gioventù, del resto, regge se c'è entusiasmo e organizzazione, ma anche spessore individuale e collettivo e, soprattutto, carattere. Altrimenti, urge un'iniezione di fiducia. E di esperienza. Intanto, il disavanzo da chi si trova poco più avanti è ancora colmabile. E digrignare i denti per un mese e mezzo non sarà un'impresa immensa: purchè chi può corra ai ripari, alla riapertura delle liste di trasferimento. Non basterà a Novelli sovraccaricarsi di responsabilità: alla fine, servono le fondamenta della casa. E non basterà alla società aspettare la redenzione di un organico evidentemente in difetto in personalità. Che non si acquista: neppure lavorando a fondo, giorno dopo giorno.  

mercoledì 10 ottobre 2012

Pellegrino, il Grottaglie cambia

Di Marcello Casu ne abbiamo già parlato, recentemente. Di lui non ci aveva convinto qualche frase spesa in un paio di dopogara. Poco male, però: le parole, nel pallone, aiutano e guastano (dipende dall'uso che se ne fa), ma non incidono direttamente sulle qualità o sui limiti di una squadra. Che, in questo caso, si chiama Grottaglie. E che viaggia con gravi difficoltà nel girone appulocampano di questo campionato di serie D (un solo punto in sei match, ultimo posto condiviso con il Potenza: roba da preoccuparsi). Di Casu, piuttosto, hanno fatto parlare (la tifoseria più affezionata, evidentemente) l'atteggiamento tattico un po' remissivo di qualche occasione e, soprattutto, le difficoltà diffuse incontrate da un organico che, oggettivamente, reputavamo e reputiamo ancora non eccessivamente corazzato per questo tipo di torneo. Ma dell'allenatore sardo, arrivato sulla panca dell'Ars et Labor in estate, adesso a Grottaglie non si discuterà più. L'ultima partita, persa sull'erba di casa di fronte al rinvigorito Nardò, ne ha consigliato l'allontanamento. La società, una delle meno ricche dell'intero raggruppamento, ha optato per la svolta: a costo di un ulteriore piccolo sacrificio economico. Chiamando a lavori in corso Claudio Pellegrino, ex attaccante di buon pédigrée, che proprio in Terra Jonica possiede diversi estimatori, e allenatore ancora non troppo rodato (nel bagaglio, pochissimi campionati di Eccellenza). Che proprio oggi viene presentato ufficialmente. La richiesta del club è una sola: la salvezza. Non uno scherzo. Ma, come scrivevamo ad inizio della stagione, una scommessa. Che, adesso, sembra già abbastanza disperata. E che, tuttavia, ci servirà a capire una cosa: se, cioè, il problema del Grottaglie era solo il suo nocchiero, oppure se l'ostacolo era (ed è) un collettivo bisognoso di maggior spessore. Non solo tecnico.  

martedì 9 ottobre 2012

Anche l'Andria sa vincere

Arriva anche il tempo del successo. Magari, al novantesimo dell'ennesimo match che sta ammarando nelle acque limacciose del pareggio. L'Andria, di fronte al Sorrento delle forti delusioni, si affida al fiuto di un antico attaccante di razza come Innocenti: il guizzo  sa di rabbia ed esperienza, ma anche di liberazione. Il sesto tentativo, dopo quattro partite impattate e una persa, è quello giusto. Anche questa, però, è una prestazione viziata dall'incapacità di produrre quella quantità di occasioni che agevolino il compito di raggiungere il traguardo. Nel deserto delle emozioni, tuttavia, affiora l'integrità dello spirito del gruppo e la resistenza della squadra alle avversità. Due qualità sulle quali il tecnico Cosco sembra voler edificare il proprio progetto di salvezza. Vince, cioè, il collettivo che ci crede di più e fino in fondo. Anche perchè, e il tecnico di Santa Croce non dimentica di sottinearlo a fine gara, la tenuta fisica e atletica dell'Andria, adesso, sembra aver colmato il gap che nelle prime uscite stagionali avrebbe puntualmente favorito gli avversari (dalla Nocerina al Pisa, dal Frosinone al Perugia), puntualmente in grado di recuperare lo svantaggio. Avanti adagio, dunque. Ma senza deconcentrarsi: questa squadra, evidentemente, non può permetterselo. Non ancora, almeno. L'organico, in fondo, non è di qualità eccelsa. E attendersi troppo di più non è consigliato. Sempre che la futura prioprietà (il barletano Di Cosola starebbe per surrogare Fusiello) non decida di rafforzare l'elenco dei disponibili. Ma questo è, oggettivamente, un discorso che si amplierà più tardi. Nel frattempo, è necessario farsi bastare quello che c'è. E sforzarsi di migliorare la fase di possesso: onestamente, soddisfazione del successo a parte, l'Andria deve lavorare e crescere ancora.

lunedì 8 ottobre 2012

Il derby del Brindisi

Monopoli senza timori, Brindisi sciolto e fluido, buoni ritmi. Il derby, intenso e niente affatto teso, si presenta bene. La gente di Francioso, ispirata, imbastisce una manovra a tratti davvero convincente e trova, anche abbastanza presto, il varco giusto: inutilmente, perchè il direttore di gara invalida. Ma la formazione di De Luca, superata la decina di minuti di imborghesimento, risponde con la personalità che lo sorregge. La partita continua a poggiarsi su una densità che piace. La ripresa, tuttavia, scrive la storia dei novanta minuti. Il Monopoli cerca persino di forzare il destino del match: dentro Ventura, punta di peso, e retrocessione di Strambelli in mediana: le buone intenzioni ci sono. Ma, nonostante il gioco si sporchi un poco, il Brindisi fa valere la qualità e la migliore condizione dei suoi singoli. L'argentino Villa (giocatore completo: attacca gli spazi, sgomita, conclude, dialoga, difende la palla, va a cercarsi il pallone) sbriga il lavoro grosso e Albano conclude: due volte, quelle giuste. Lanzillotta e soci, gradualmente, perdono l'aderenza alla realtà della contesa, sfarinandosi e piegandosi alle esitazioni individuali. I padroni di casa si permettono così di gestire, sino alla chiusura dei gioco, spazi e ripartenze. E candidandosi, adesso per davvero, ad un ruolo importante all'interno del campionato. Questa squadra, se continua a far scorrere la palla, può dichiararsi ufficialmente.  

giovedì 4 ottobre 2012

E il Taranto sceglie Pettinicchio

Non più Maiuri, ma Giacomo Pettinicchio. Il Taranto, alla fine, trova il nuovo nocchiero: quello che sostituisce l'esautorato Napoli. Il primo sembra poco convinto della nuova destinazione. O, comunque, non abbastanza. E, davanti al traguardo, si defila. Per questioni di organico, forse. O per il mancato coinvolgimento di un collaboratore fidato, da cui non intende separarsi. Anche se qualche equilibrio interno non ancora delineato potrebbe aver sovvertito l'ordine della priorità: è un'ipotesi, ovviamente. Invece, Pettinicchio avrebbe accettato senza particolari condizioni. Anche il suo nome, però, fa parte di quel ventaglio di alternative scartato ad inizio campionato. Dunque, l'emarginamento di Pieroni è confermato. Anzi, sigillato dalla parole del presidente Zelatore («E' una nostra scelta»). Punto. Comincia una nuova gestione. Che non potrà, lo ripetiamo, divincolarsi dall'esigenza di fare chiarezza, dentro il gruppo di comando. Mentre, attorno, gli appetiti si rianimano: la speranza, tante volte, è più forte della realtà. Sbagliato, però: questa squadra, che andrà puntellata, deve pensare a conseguire l'obiettivo minimo, per il momento. Fa male pensarlo, ma è così. Anche per questo, non è facile il compito del nuovo trainer. Che merita il supporto incondizionato dell'ambiente tutto. Ne avrà bisogno: e come.

mercoledì 3 ottobre 2012

Taranto, cambia tutto

C'era una volta l'asse che sembrava aver cementato il rapporto tra il socio forte (Bongiovanni) e il manager sgradito alla piazza (Pieroni). Quella sinergia che aveva depotenziato il gruppo Papalia, vero collante della rinascita del pallone a Taranto. Tutto, però, gira attorno ai risultati: che, nel caso specifico, non arrivano (archiviata la fastidiosa caduta di Bisceglie, ecco l'affaticato pareggio interno contro una delle formazioni meno dotate dell'intero girone, il Sant'Antonio Abate). La schiettezza e l'umoralità di chi siede dietro le scrivanie del comando e le proteste della gente che tifa, poi, fanno il resto. Così, a quarantott'ore dall'ultima e dolorosa prestazione (squadra svuotata, senza idee, senza impronta, quasi piegata dall'inconsistenza dei singoli più attesi, che sullo Jonio non riescono a duplicare quanto fatto altrove), coach Tommaso Napoli si ritrova esautorato, il responsabile dell'area tecnica Tambone non è più saldissimo sulla sua poltrona, l'attaccante Sarli è praticamente sulla soglia, qualcun altro è prossimo al taglio e anche un altro uomo strettamente legato a Pieroni (Giovanni Spinelli) ha già lasciato i due Mari. All'improvviso (o, forse, non tanto) cambia praticamente tutto. Il Taranto, in due parole, si rivoluziona: e proprio Pieroni, da una situazione dominante, si ritrova defilato ai margini del progetto. Oltre tutto, la spinta della Fondazione Taras, una delle anime del club che prende ufficialmente le distanze dal manager, è forte e legittima le pressioni di una parte di tifoseria organizzata. Altre scosse di assestamento (come il recente ingresso nello staff dirigenziale di Domenico Pellegrini) lasciano, peraltro, immaginare scenari nuovi e, chissà, altri arrivi. Più o meno conosciuti. Intanto, sembra vicino l'ingaggio di Enzo Maiuri, ovvero il nuovo allenatore: esattamente uno di quei nomi spesi immediatamente dopo l'iscrizione al campionato di serie D ed espressamente ricusati da Pieroni. Il cerchio, dunque, sembra chiudersi. Restano, tuttavia, i problemi: quelli, innanzi tutto, di un organico che non risponde alle sollecitazioni. Ma anche quelli di una società alla ricerca di un assetto definitivo. Senza del quale non ci saranno decisioni condivise, cioè nette. E senza del quale non esiste futuro certo.

martedì 2 ottobre 2012

Brindisi, serve regolarità

Cinque gol, tutti assieme, nel derby dove aveva asfaltato il Grottaglie sembravano aver definitivamente promosso il Brindisi nel gruppo ristretto delle vere big del torneo di serie D. Invece, sette giorni più tardi, la formazione di Mino Francioso viaggia verso Pomigliano e cade. La squadra che la gente attende (quella decisa, continua nel rendimento, fredda e robusta) non c'è ancora. Cose buone e meno buone si alternano, senza sosta. Al di là del fatto che il gol che, alla fine, decide la partita si abbatte dopo soli quattro minuti di gioco,  segnandola e indirizzandola. Meglio il Brindisi della ripresa, comunque. In cui Villa e soci riescono ad imbastire qualcosa di più interessante. E dove, però, il Brindisi finisce per ritrovarsi in inferiorità numerica e, dunque, per limitarsi. Dichirazioni di convenienza dei protagonisti a parte, da questo collettivo ci aspettiamo qualcosa in più. Oltre tutto, questo è un momento storico in cui chi ha qualcosa da dichiarare, comincia a farsi sentire. E dove accumulare ritardo significa innervosirsi. Davanti, ci sono almeno quattro formazioni che hanno conquistato la regolarità (le capoliste Matera e Monopoli, l'Ischia, il Gladiator): e la regolarità, da sempre, paga in contanti. In qualsiasi contesto. La prossima manche, intanto, sembra soccorrere la volontà di riacquistare visibilità. Il derbissimo del Fanuzzi con il Monopoli sembra già una pietra miliare del tragitto: e, se l'appuntamento cade nel periodo più o meno indicato, lo sapremo solo al novantesimo. Nel frattempo, potrebbe alimentarsi la tensione, come spesso accade in circostanze simili: eventualità che, per inciso, non servirebbe a nessuno. Nè al Monopoli e nè al Brindisi: due squadre che, per definizione, provano a proporre calcio.