lunedì 28 febbraio 2011

Il bisogno fortifica il Brindisi

Quando l’emergenza diventa ricchezza. E’ un po’ la storia nella storia del Brindisi. Nuovamente travolto dagli affaticamenti finanziari e dall’affarismo becero di qualcuno. E, dunque, obbligato a ripartire dal nulla (o quasi) in mezzo al campionato: cominciato benissimo, ma sùbito franato sotto i colpi dell’insolvenza e della cattiva gestione. A ripartire, cioè, con un apparato societario rivisitato (via Galigani, ancora dentro Pupino): con la prospettiva di salvare il titolo e il calcio sull’Adriatico. Quindi, di finire la stagione, risparmiando tutto quello che si può- E auspicando l’avvicinamento necessario delle forze imprenditoriali della città: esattamente come dodici e ventiquattro mesi addietro. Ora, il Brindisi conta inequivocabilmente solo sulla truppa giovane che Rastelli sta cercando di plasmare: i big di inizio torneo sono andati altrove e altri sono ai margini. Gioca una pattuglia di ragazzi armati di entusiasmo e speranze e persino chi, sin qui, ha calcato i campi della Promozione. Come Scarcella, che liquida il Matera con il primo gol segnato tra i professionisti. Sarebbe a dire che il club, dagli affanni quotidiani, trova il sostentamento per il presente e qualche garanzia per il futuro. Provando a costruire il telaio per la prossima stagione, perché no. Il format del campionato, certo, conforta. E molto: una sola retrocessione, già concordata (il Catanzaro è spacciato) aiuta a vivere meglio. Ad organizzarsi, a rischiare. Ma, per una volta, il bisogno fortifica il Brindisi. Andava sottolineato.

giovedì 24 febbraio 2011

Il segno della resa

Calano gli stimoli (è l’ineluttabile processo di rassegnazione), cala anche l’ardore. Ovvero, quell’ultima qualità che, talvolta, può persino sovvertire il naturale sviluppo delle situazioni. Traducendo, il Bari smette di credere in se stesso e nel suo campionato, afflosciandosi definitivamente. A Roma, in casa della Lazio, la formazione (e il modulo restaurato) di Mutti abbruttisce il proprio compito (già ostico) di continuare a confidare nel domani. Arriva la sconfitta (preventivabile, è chiaro), ma anche la certezza più amara: questa stagione è totalmente compromessa. Non c’è più storia, pare. Perché il collettivo non reagisce, neppure sotto il profilo caratteriale. Senza battagliare, è difficile salvaguardarsi: soprattutto in determinate condizioni. Il Bari subisce e basta. Senza più gambe, probabilmente. E senza più cuore, sicuramente. Non entra mai in gara, è svogliato, abulico, annientato. Inutile, a questo punto, addentrarsi nell’analisi: sarebbe uno spreco di parole. Se mancano la convinzione e la grinta, è proprio finita. Al di là dei numeri, che già inchiodano: quindici punti in ventisei gare, dodici lunghezze di disavanzo dalla quota salvezza. Se n’è già accorto il nuovo tecnico: che, sussurra qualcuno, avrebbe già manifestato il pentimento della scelta di succedere a Ventura. Proprio mentre dilagano le voci (immancabili, in questi casi) di una divisione in fazioni dello spogliatoio. E se n’è accorta anche la tifoseria. I supporters più caldi, anzi, hanno protestato con estrema vivacità, alla ripresa degli allenamenti. Andando oltre: unendo agli striscioni minacce e spintoni. Estrema risposta ad una realtà senza uscita, punto di partenza di una lotta che sta per (ri)trasformarsi in guerra. Che è, paradossalmente, anche il segnale inequivocabile della resa.

mercoledì 23 febbraio 2011

Foggia, otto gol per nuove prospettive

Prima giù, poi su. E viceversa. Settimana dopo settimana, il Foggia conferma quello che ha sempre raccontato di sé. Senza soluzione di continuità. Ci siamo abituati tutti, alla sua marcia umorale, insondabile, imprevedibile. E non ci sorprendiamo più. Avevamo lasciato la gente di Zeman avvilita: la sconfitta in un derby, come quello con il Barletta, brucia sempre abbastanza. Però, i giovani (talvolta vaporosi e, in certi casi, ispirati) del boemo non ci hanno messo troppo, a rialzalsi. E a ritrovarsi. La tecnica del lavoro duro, spesso, graffia e lava le coscienze. E aiuta a ritrovare il binario: sino al prossimo deragliamento. Il primo segnale, domenica l’altra: quattro a uno alla Juve Stabia, una delle realtà più in forma del momento. Al culmine di una settimana tosta e avvelenata dalle schermaglie tra patron Casillo e la dirigenza stabiese, ultime ruggini del match vissuto nel girone di andata. E sabato, nell’anticipo, un altro successo esagerato, a Viareggio. Quattro gol (a zero) e tanto buon umore di scorta. In fondo ad una partita di normale atipicità: primo tempo sofferente e ripresa energica. Durante la quale il coach ha urlato. E richiamato all’ordine la truppa che, qualche volta, si confonde. Intanto, il quinto posto (cioè la griglia dei playoff) è ancora prossimo: appena un punto. Anche se, sul campo, il Foggia ha persino scavalcato Taranto e Siracusa (i due punti di penalità cominciano a farsi sentire). Calcoli inutili, fa sapere Zeman: se la squadra non dovesse trovare stabilità, parlare è solo tempo sprecato. Ma se la qualità media del campionato è questa e le argomentazioni degli avversari più qualificati sono complessivamente deboli, aspirare alla quinta piazza si deve. E si può.

martedì 22 febbraio 2011

Lecce, una pagina di storia

La copertina della settimana è del Lecce. Del Lecce scalfito dalle squalifiche (cinque appiedati) e minacciato da una big affaticata (la Juve di Del Neri). Del Lecce che non sfugge alla sfida e che, per una volta, sa approfittare delle disgrazie altrui (Buffon si fa espellere dopo appena dodici minuti e, in undici contro dieci, passa in vantaggio con il ripescato Mesbah). Finendo con lo scrivere una delle pagine più affascinanti della sua storia recente. E, forse, non solo di quella. Finisce come nessuno avrebbe osato prevedere: due a zero. Segna anche il giovane Bertolacci, scuola Roma, alla terza presenza collezionata con la formazione di De Canio. Compito facilitato dalle modalità con cui si sviluppa il match, d’accordo. E dalla crisi che corrode lentamente Chiellini e compagni. Ma pure successo costruito con tenacia e organizzazione. Con decisione e rapidità, scaltrezza e lucidità. Tanto da rischiare l’impensabile, ovvero un risultato più evidente. E non scherziamo. Riconoscendo, al contempo, anche i meriti dell’allenatore: che, evidentemente, ha saputo riaccendere la squadra nelle ore più buie. Senza farsi travolgere dalle insinuazioni e dalle difficoltà. Lavorando a far spenti, in profondità. E aspettando il momento giusto. Cioè, il momento del Lecce, che è questo. Il momento in cui si può edificare una bella porzione di salvezza. Un momento da non sperperare, da coltivare. E da incoraggiare. Anche sugli spalti: sarebbe ora. Delittuoso farlo scivolare via, senza utilizzarlo ancora.

lunedì 21 febbraio 2011

Taranto, vittoria con ansia. Ingiustificata

Avanti di due gol (prima Chiaretti, poi Sy), gratificato dagli sviluppi del match (traversa di Giorgino in apertura, palo di Garufo nella ripresa) e scarsamente preoccupato dall’avversario (il dimesso e deludente Pisa), il Taranto riesce persino a complicarsi la domenica. E’ sufficiente calare il ritmo (dopo venti minuti: troppo presto), per poi perdere progressivamente metri e, infine, consentire ai toscani di ragionare: il due a uno, cioè, finisce per riaprire di fatto una partita già chiusa e blindata. Poco importa che la formazione di Semplici non sappia approfittarne: per limiti propri, innanzi tutto. E anche per l’inferiorità numerica (doppio giallo di Fanucchi) che intralcia gli ultimi vaporosi assalti. Di fatto, però, gli jonici si caricano (inutilmente) di un’apprensione senza fondamenta, che peraltro trasmettono alla tifoseria. Sembra che il Taranto non si fidi di se stesso, certe volte. Consapevole del proprio disagio nel governare la partita e nel conservare lo stesso cliché di gioco per più di mezz’ora. E, di conseguenza, sembra che la anche la gente si fidi limitatamente della squadra. Non si spiega diversamente, del resto, quell’ansia ingiustificata che – in certi casi - circonda il collettivo e quella fatica supplementare che Giorgino e soci potrebbero dribblare. Lo score finale, tuttavia, non merita censure: la vittoria è legittima. E, soprattutto, aiuta a tallonare seriamente il traguardo dei playoff. Ma non è il momento di entusiasmarsi troppo: non ancora, almeno. C’è tanto lavoro da sbrigare, per Dionigi e i suoi. Anche se le dichiarazioni post-gara lasciano pensare il contrario.

mercoledì 16 febbraio 2011

Francavilla, un pari denso di paure

Prima della sosta, si consumano un po’ di calcoli. E si rischia qualche previsione: il rush finale partirà ufficialmente domenica ventisette febbraio. Alla ripresa del torneo, appunto. La serie D, intanto, sembra vivere di poche certezze. La prima: l’Arzanese non dispone di rivali seriamente credibili. E questo campionato può solo perderlo per demeriti propri. Ma scommettiamo sin d’ora che non succederà. La seconda, molto più dolorosa per il pallone di Puglia: l’Ostuni e il Francavilla sono più di là (l’Eccellenza) che di qua. La formazione appena affidata a Catalano si arena anche a Potenza, la nuova tana della Fortis Murgia. E a poco, complessivamente, serve il pareggio (e anche la prestazione sul campo, da non disprezzare) della formazione riconsegnata a Saponaro nel derby di Trani (Francavilla in vantaggio per due volte, raggiunto in inferiorità numerica). Esatto, Saponaro: perchè Angelo Carrano, immediatamente dopo la gara precedente, aveva rassegnato le dimissioni. Dichiarando chiusa (e con largo anticipo) la sua personale sfida. Sfida naufragata sotto i colpi della crisi economica (e, di conseguenza, tecnica) che sta travolgendo il club di Distante. E combattuta con armi inadeguate. Esaurito il fuoco dell’entusiasmo più genuino, ecco l’ineluttabilità dei limiti, la realtà occultata dalla sola speranza. Il vecchio mago si è guardato attorno, ha capito, si è convinto dell’inutilità degli sforzi. E ha salutato. Lasciando incarico e un’ultima parte di campionato da onorare. Operazione, è vero, riuscita a Trani, domenica. Anche se, sulla salvezza del Francavilla, sono in pochi (pochissimi) a crederci ancora, per davvero. Forse solo il quarto allenatore della stagione, Claudio Pirone, appena arrivato. E il gruppo, avvinghiato all’orgoglio. Gruppo che va gratificato, se non altro: dagli auguri e da un applauso. E che la sosta ne conservi intatto lo spirito.

martedì 15 febbraio 2011

Lecce, controsorpasso amaro

Il sorpasso (dall’uno a zero all’uno a due) apre l’orizzonte. Il controsorpasso (lo scontro diretto finisce tre a due per il Catania) strangola l’urlo e deprime il Lecce. Scavalcato, contemporaneamente, nel risultato e in classifica. De Canio la prende male. Malissimo. Inghiottendo a fatica le modalità di un match perso, di fatto, su due palle inattive. Soffrendo il travaglio psicologico di una sfida vissuta sulla lama del brivido. E incassando con dolore l’atteggiamento della direzione di gara. Il coach non spiega i motivi (facilmente intuibili, peraltro: l’espulsione di Giacomazzi a partita già chiusa e le ammonizioni pesanti a Jeda, Olivera e Gustavo), ma fa traspirare tutto il proprio malumore. Fuori del campo e anche dentro: due turni senza panchina, per squalifica, dicono tutto. In Sicilia, Munari e compagni (quarantasei marcature incassate sin qui) sciupano un’occasione irripetibile: ribaltare il risultato, aggrappandosi alla personalità e alle ripartenze, per poi convivere con i rimorsi è assolutamente frustrante. Il Lecce, cioè, per larghi tratti riesce a interpretare la gara con intelligenza e incisività, ma non a blindarla. Squagliandosi in dirittura d’arrivo. Un’altra volta. E sì: la sconfitta si abbatte nel quarto d’ora finale. Esattamente come domenica scorsa, in casa, di fronte al Palermo. Solo una coincidenza?

lunedì 14 febbraio 2011

E D'Addario bacchetta Dionigi

Il tempo passa. E il Taranto che crede di essere, reclamando una propria identità, ancora non è. Dionigi può dire quella che pensa o quello che gli può fare comodo. Cioè quello che vuole. Ma la sua squadra è ancora indefinita. Punto. Indefinita perchè vivacchia. Perchè si ammorbidisce, ritorna, si riassenta, si ritrova: sempre in bilico tra un calcio in evoluzione e un atteggiamento remissivo. Difficilmente detta il gioco. Più facile, invece, che reagisca alle aggressioni dell’avversario. Mettendeoci del tempo, peraltro: come a Cava, ieri (primo tempo pessimo, ripresa più presentabile). Novanta minuti sono sempre troppi: se il Taranto convince, è solo per un pezzo di gara. Come accade ogni settimana, da tempo. Tecnico e giocatori, magari, non lo ammettono: ma lo sanno. E cominciano a soffrire dei loro stessi difetti: che opinione pubblica e tifoseria non tralasciano affatto di sottolineare, puntualmente. La pressione, così, sale. E, con la pressione, un certo nervosismo: che si riversa in campo. Palpabilmente: anche attraverso un ormai discreto numero di cartellini rossi. Che non sono sempre e solo la conseguenza diretta di ingiustizie arbitrali, come Dionigi vorrebbe lasciar credere. Le parole di stizza del trainer sgorgano puntuali, dopo ogni match. Anche dopo quello pareggiato in casa della Cavese (espulso Sabatino, inutilmente colpevole). Cavese che, per la cronaca, va in vantaggio regolarmente (l’offside non c’è, l’allenatore si tranquillizzi). Però, l’effetto delle recriminazioni (esagerate: e non solo nell’ultimo caso specifico) con il tempo si diluisce. E le giustificazioni non convincono più tanto. L’ha capito anche il presidente D’Addario. La sua incursione sul sito ufficiale del Taranto è apprezzabile: la direzione di gara, fa sapere il numero uno del club, è inappuntabile. Di conseguenza, il problema è tutto della squadra. E di Dionigi, ovviamente. Seccamente smentito anche dal suo datore di lavoro. E, per la prima volta, indirettamente (ma pubblicamente) bacchettato. Ovvero, avvertito. Nessuna minaccia, almeno per il momento. Ma un consiglio (o più consigli): tra le righe, ovviamente.

sabato 12 febbraio 2011

Il Bari da Ventura a Mutti

La gestazione dell’esonero di Ventura è più laboriosa del previsto. Ma l’ufficializzazione non si fa attendere troppo: tutto persino scontato, alla fine. E tutto ormai scritto. Per un allenatore che va, un altro che viene: Bortolo Mutti. Dopo, si dice, un rifiuto: quello di Beppe Papadopulo. Che, evidentemente, alla salvezza del Bari crede poco o nulla. Ci crede, invece, il nuovo coach: non solo per dovere o consuetudine, ma anche per fortificare l’investitura. Che è l’investitura di un tecnico serio e intelligente, ma pure fuori dal giro, da un po’ di tempo. Una delle condizioni necessarie (l’altra è la motivazione, la fame calcistica) per accollarsi il fastidio e per guadagnarsi l’ingaggio. Difficile sarebbe stato, del resto, convincere un nome più spendibile. Al di là delle qualità di Mutti: che, generalmente, ha lavorato bene ovunque sia approdato. Ma che, mediaticamente, fa oggettivamente meno del possibile per guadagnare visibilità. Il primo impatto dell’allenatore bergamasco, tuttavia, è coinciso con l’ultimo atto di Ventura, cioè la conferenza stampa di commiato. Che ha finito, sotto certi aspetti, per offuscarlo. O per annacquarlo. Il vecchio caudillo si è congedato con la signorilità che gli è stata unanimemente riconosciuta, sempre. Armandosi di emotività e, perchè no, di ironia. Esce dal palcoscenico con dignità e stile, Ventura. Aggrappandosi, ancora una volta, alla dialettica e alla franchezza: anche nel momento più buio. Giurando sulla certezza di tornare, prima o poi, alla guida del Bari: l’ultima dimostrazione di affetto nei confronti della piazza. Che, come accade molto spesso, esalta e scarica. Arrivederci, allora. Sarà per un’altra volta. Ventura è un personaggio autentico che ci mancherà. Chapeau.

venerdì 11 febbraio 2011

Cari, buona la prima. Anzi, ottima

Niente da dire: la prima di Marco Cari sulla panca del Barletta è sontuosa. Vittoria. Fuori casa. E in un derby. A Foggia, raccontano gli appassionati delle statistiche, non era mai successo. Il sostituto di Sciannimanico arriva, suggerisce e raccoglie: anche qualche merito altrui, magari. Ma, nel giorno dell’esordio, la sua squadra mette un’impronta sul campionato. Disegnandosi una prova pulita, volitiva. In cui sfrutta le assenze, gli errori e le svagatezze (tante) dell’avversario, replicando con perizia, con freddezza. Difficile capire se durerà: ma, intanto, il nuovo Barletta (rivisto a gennaio, vale ricordarlo) sembra carburare. Perchè più fluido, meglio definito, scaltro quanto basta. Rajčić e soci accettano il confronto, vincendolo. Prima, forse, che lo perda il Foggia. E cominciano a guardare con languore al campionato (a proposito: sapete che, battendo la Ternana, dopodomani, il gap da molte concorrenti dirette alla salvezza è azzerato o, comunque, parzialmente colmato?). In questo caso, è ovvio, Cari rimedierà molti altri complimenti. Alcuni dei quali, sicuramente, pienamente meritati: perchè, talvolta, il segreto di un collettivo si annida pure nella mentalità, nell’approccio alla partita. O in dettagli significanti. E Sciannimanico, al contempo, si ritroverà ancora più sminuito: le buone argomentazioni di uno, tante volte, sono le controindicazioni di altri. Sminuto, anche se sereno con se stesso. Ma percorso da tanti rivoli di rabbia. Non lo dirà a nessuno, ma gli gireranno parecchio.

giovedì 10 febbraio 2011

Ostuni, ultima mossa

L’Ostuni e la rincorsa spezzata. La rincorsa imperfetta: ad un divario incolmabile, come dice qualcuno. Troppo lontana la squadra della Città Bianca dalla soglia della salvezza. E ancora troppo debole l’organico per poter confidare nel domani. Eppure, le uscite più recenti avevano riscaldato un po’ l’ambiente. Qualche punto, persino una vittoria. E qualche progresso pure sul campo. Quanto basta per pianificare con timidezza la scalata alla zona playout, che è sempre meglio di una retrocessione diretta, inappellabile. Invece, di fronte al Sant’Antonio Abate (un’altra pericolante, cioè), l’Ostuni si liquefa proprio davanti al pubblico amico: giusto domenica scorsa. Uno a cinque: come dire, fine delle trasmissioni. O quasi. Niente di sconvolgente, pensandoci bene: perchè la formazione passata da Insanguine a Vergari e poi ancora ad Insanguine alle sconfitte si è persino abituata. Ma, forse, non abbastanza. Perchè il club conferma di credere ancora nell’obiettivo minimo. Senza rassegnarsi. E, per questo, si libera nuovamente di Insanguine. Concedendo la scomodità della panchina a Lorenzo Catalano, un altro di quei trainer coraggiosi che non badano alla classifica e che si tuffano nella sfida. Stoicamente. Catalano debutterà a Potenza, nella nuova casa della Fortis Murgia. Cercando almeno qualche indizio per ipotizzare un miracolo. E argomenti buoni per mantenere vivo il discorso. Il cambio di panca è la mossa estrema. Forse l’ultima mossa possibile. Comunque, una mossa disperata. Perchè la speranza (o la disperazione) è l’ultima a morire.

mercoledì 9 febbraio 2011

Il Bari e la prospettiva di una scelta

«Se il problema fossi io, me ne andrei. Ma il problema non sono io. Anche se, potendo tornare indietro, opeterei per altre decisioni. Però la squadra è stata costruita su giocatori come Barreto e Almirón, bloccati da infortuni e problemi vari. Ci vuole il tempo necessario per integrare tatticamente i recenti acquisti: tutti ragazzi interessanti, che però non conoscevo. Sembrano, lo so, giustificazioni di comodo, ma sono motivazioni oggettive». Giampiero Ventura si apre e si confessa. Difendendo l’onore della sua gente. E ammettendo l’ineluttabilità della realtà. Cioè: questa è la situazione, il Bari si è arenato ed è dura smuoverlo da lì. La tifoseria, però, ha già deciso: il tecnico è il colpevole massimo. E l’indice di gradimento dell’allenatore è al minimo storico. La nuova caduta di Brescia (due a zero, dopo aver sfiorato il pari) sancisce una frattura difficilmente sanabile. E, di fatto, mette la società nell’angolo. Obbligandola a scelte di campo nette e, comunque, dolorose. Matarrese giura che Ventura è blindato, ma l’accerchiamento sembra già iniziato. E non sarà facile resistere agli assalti. Primo tra tutti, quello del pessimismo: il Bari è unanimemente considerato più in B che in A. Neanche a metà febbraio. E non è soltanto la delusione ad alimentare il fuoco dello scoramento. Parla chiaro pure la classifica: il divario dalla quota salvezza attuale (dieci punti) è un dato preoccupante. Tanto quanto la pressione. E la prospettiva di dover scegliere: l’allenatore o la piazza.

L'imbarazzo del club di via Torrebella dura meno di ventiquattr'ore: Matarrese accantona Ventura. Mal volentieri: ma deve. Anche per parare la contestazione della tifoseria nei suoi stessi confronti. Cedere significa anche ricucire. O provare a ricucire. E poi la pressione della piazza, da queste parti, è cosa seria. E Matarrese lo sa.

martedì 8 febbraio 2011

Andria e Taranto, pari intenso

Il lunedì sera si carica d’intensità. Perché l’intensità è la premessa (e la promessa) di un derby che cerca rispetto. Nel posticipo satellitare, l’Andria è quantità che spesso si disperde. E il Taranto è fatica, ma pure sacrificio. La gente di Papagni insegue la rapidità d’esecuzione: e, per mezz’ora, crede di potersi impossessare della partita. La squadra di Dionigi è in vigile attesa: spezza sistematicamente l’iniziativa avversaria e prova a ripartire. Il derby sa anche essere ruvido, come ogni derby che conta. Ad un certo punto, a primo tempo inoltrato, la manovra dell’Andria si allarga, accelera, si infiamma. Il pallone circola, ma gli jonici reggono. L’assetto difensivo ospite è convincente e anche là davanti si collabora alla salvaguardia del risultato (Rantier e Chiaretti, che dovrebbero assistere l’unica punta Girardi, lavorano alacremente anche in fase di ripiegamento). Certo: quando occorre sbarrare la strada altrui, va tutto bene. E, quando necessita ragionare e impostare, riaffiorano le reticenze. Però è anche vero che il Taranto, nella seconda parte di gara, alza il baricentro, allenta la tensione, si fa più propositivo. L’Andria, contestualmente, accusa un calo: anche fisico. La partita, cioè, si scopre dichiaratamente più aperta. Anche se, paradossalmente, è proprio adesso che Del Core e compagni collezionano le occasioni più interesanti. Senza scardinare, tuttavia, lo zero a zero che si trascina sino in fondo. Il pareggio, così, per la formazione di Papagni sembra un vestito un po’ attillato. Ma il Taranto che lievita alla distanza finisce per sciupare l’opportunità di vincere, con Di Deo, proprio nei minuti di recupero. Continuando a tallonare il suo format definitivo.

lunedì 7 febbraio 2011

Casarano, tra frustrazione e recessione

La sconfitta di Gaeta, ne avevamo già parlato, ha segnato il Casarano. Demoralizzandolo, disorientandolo, disunendolo. Da allora in poi, si sono susseguiti gli avvenimenti: tutti avvelenati dalla delusione. E alimentati dalla frustrazione. Ma anche dalla necessità di far quadrare un bilancio (quello economico) che, evidentemente, non quadra. Nonostante l’impegno (e le assicurazioni) della società. Che non dispone, sin dall’estate, dell’appoggio incondizionato dello sponsor di riferimento: tuttavia disposto, si diceva, a venire ugualmente incontro al pallone di questa fetta di Salento. Dopo Gaeta, l’organico si è asciugato. Qualcuno è partito, per poi ritornare immediatamente. Qualcun altro no, salutando definitivamente. Coach Silva ha rescisso il contratto. E un po’ di under hanno guadagnato il salto dalla formazione Juniores, capolista del proprio girone: trascinandosi anche Gianluca Martina, il tecnico. La Virtus, nel frattempo, ha impattato con poca gloria in casa, di fronte al modesto Pisticci. E ieri è uscita battuta dal campo del Pomigliano, altra protagonista mancata del torneo di quinta serie. Risultato: la classifica si è fatta praticamente anonima. Ma non è più questo il cruccio: le ambizioni, ormai, sono stipate in fondo al tunnel. E la battaglia per la promozione è un impegno che non interessa più. Persino il quinto posto è in pericolo serio. Ma assai più in pericolo, a questo punto, è il futuro del Casarano. Il progetto di traghettare il club tra i professionisti si è arenato. E le certezze di ieri si sono sfaldate, anche se non proprio all’improvviso. Del resto, la rinuncia alla presentazione della domanda di ripescaggio (e, quindi, alla C2), in estate, era un segnale, un messaggio. Recapitato, aperto e letto con qualche mese di ritardo. Mentre chi poteva provava a mascherare la realtà. O a dribblare le difficoltà, confidando in qualcosa o in qualcuno. Inutilmente: la verità, prima o poi, emerge. E la recessione non fa sconti: neppure alla passione.

domenica 6 febbraio 2011

Il Nardò riprende la corsa

Due a uno al Trani, nell’anticipo che passa per la televisione satellitare. L’ultima fatica del Nardò ricuce il discorso interrotto (a Battipaglia) con il capitolo-promozione. Al quale la formazione di Maiuri continua (deve continuare) ad essere interessata, malgrado i cinque punti (obiettivamente non pochi, a questo punto della stagione) che dividono i salentini (attualmente secondi) dalla leader del girone H della serie D (l’Arzanese, che domani si esibisce a Grottaglie e che, teoricamente, potrebbe allargare il vantaggio). Inutile sottolinearlo: la caduta di domenica scorsa, con la scorta di roventi polemiche, sul campo della penultima forza del campionato (la Battipagliese, appunto) ha complicato – e non poco – il cammino di Montaldi e soci. Ma crederci ancora non costa nulla. Anche se la regolarità della capolista non sembra concedere grandi speranze. Però, l’entusiasmo è ancora dalla parte del Nardò. Che, nel giro di un mese, si esibirà a Capriati, riceverà il Casarano, renderà visita al Sant’Antonio Abate e, quindi, attenderà sull’erba di casa i lucani del Francavilla. Pensando, magari con il conforto dei risultati, allo scontro diretto del ventisette marzo. Prima, però, c’è tanto asfalto da consumare. E ci sono un po’ di domande a cui rispondere.Le prossime gare, cioè, ci diranno se di questa squadra possiamo davvero e definitivamente fidarci.

venerdì 4 febbraio 2011

E la Fortis Murgia se ne va

Il certificato di residenza dice Irsina. Ma il domicilio è Altamura, così come l’anima (e il portafoglio) della società. Ancora per poco, però. E’ già ufficiale: la Fortis Murgia, dalla prossima stagione, tornerà in Lucania. A Potenza: dove diventerà la massima espressione calcistica della città. Il cuore, magari, non c’entra. Ma è un’opportunità: per non sentirsi estranei in casa propria. Soprattutto se la casa (cioè lo stadio) è condivisa con altre realtà. E, talvolta, è necessario emigrare, per giocare: a Noicattaro, a Picerno. E, appunto, a Potenza. Oppure, anticipare al sabato: come avvenuto recentemente. A proposito: dopodomani si va ad Ischia. Ma, la domenica dopo, il vecchio problema (il terreno del D’Angelo è indisponibile, si esibisce un’altra formazione, che gode del vantaggio di risiedere - federalmente parlando – ad Altamura), si ripresenta: e occorre trovarsi una sistemazione diversa. Il vertice del club si è stancato. E, allora, via: destinazione Potenza, come già detto. E, dal momento che la scelta è ormai maturata, è giusto cominciare a fidelizzare la nuova piazza, a entrare nel tessuto sociale e sportivo del capoluogo lucano. Con l’Ostuni, si giocherà proprio lì, al Viviani. I buoni propositi di rappresentare il comprensorio murgiano muoiono in fretta. Naturale, per un club senza uno stadio e, di conseguenza, senza una precisa identità. Naturale, per una società che non si è mai sentita accettata dalla città. Che non è mai entrata nel cuore della gente. E che Altamura non ha mai considerato profondamente sua.

giovedì 3 febbraio 2011

Da problema a risorsa: Chevanton smentisce tutti

Smentiti. E affondati. La cronaca che scorre ci smentisce. E Chevanton, piuttosto che costituire un problema, diventa un’alternativa in più. Un’alternativa seria. Una risorsa. Gliene va dato atto. Proprio ieri, a Parma (nuovo turno infrasettimanale), l’artigliere uruguaiano si sistema in panca. Entrando a metà ripresa, sullo zero a zero. La formazione di De Canio, alla fine, passerà: smembrando, è il caso di sottolinearlo, le critiche della domenica precedente. E il gol che decide è firmato, ovviamente, da Chevanton. Rilassato nel momento in cui rientra nello scacchiere. E sorridente dopo. Come il coach. Se il chiarimento tra gli antichi contendenti è arrivato, è arrivato in tempo. E, se non è arrivato, fa lo stesso. Confidando che l’armonia ritrovata duri per sempre. Non abbiamo motivi per credere il contrario. E, comunque, spesso i risultati leniscono le lacerazioni. Il pallone è anche questo.

mercoledì 2 febbraio 2011

Lecce, Chevanton resta. Per ora

Due punti persi sui titoli di coda. Dopo aver tremato dal dischetto (Rosati ferma un penalty di Budan). Il pareggio con il Cesena (uno a uno, in Salento) frena il Lecce, che spreca l’opportunità di scavalcare il Catania e di guadagnare altri metri, incorraggiando – oltre tutto – una concorrente diretta. E, nel contempo, riapre la porta a certi mugugni popolari, rafforzati da una prestazione in controtendenza (la formazione di De Canio compie un passo indietro, rispetto alle uscite precedenti, sotto il profilo dell’atteggiamento) e da una campagna di rafforzamento ritenuta avara. Incapace, cioè, di arricchire un organico che dovrà misurarsi, da qui in poi, con compagne di avventura (Catania, Parma, lo stesso Cesena, Bari) adesso più competitive. La mancata contrattualizzazione di un’altra punta, che la gente attendeva, costringe peraltro il club a ricucire il rapporto deteriorato con Chevanton, considerato sino all’ultimo minuto in lista di imbarco e, invece, confermato nell’elenco dei disponibili. Malgrado lo scarso feeling che lega l’uruguaiano al tecnico: ufficializzato con le recenti, piccate e inequivocabili dichiarazioni dei protagonisti. Anzi: la gestione di Chevanton, obbligato a rimanere per convenienza, più che per convinzione, rischia ora di costituire un problema in più. O, comunque, un elemento di disturbo nel ménage quotidiano. Sempre che non spunti, prima o poi, il meccanismo della rescissione del contratto, ipotesi che garantirebbe il soccorso. Ma non il patrimonio tecnico: in questo caso, cioè, De Canio dovrà farsi bastare quello che ha (De Michele e Corvia, più Ofere e Mesbah). Sperando in un rendimento complessivamente più affidabile. E nella compiacenza del fato: che gli infortuni si tengano lontani.

martedì 1 febbraio 2011

La debolezza del Bari

L’ultimo giorno di mercato è una fiera colorata, senza confini. Senza remore, qualche volta. E senza certezze: perché l’acquisto delle ultime ore è, a suo modo, una mossa disperata. O estrema. Che, magari, può persino soddisfare il venditore e il compratore. Ma che, molto spesso, si rivela un’operazione poco incisiva. Nell’ultimo giorno di mercato, chi ama il Bari pensava (sperava) in un’ulteriore contrattazione, dopo gli arrivi di Okaka, Rudolf, Glik, Huseklepp e Codrea: propedeutica al progetto che pretende di perseguire una salvezza ormai ardua da conquistare (a proposito, Gillet e soci tornano battuti anche da Cagliari) . Invece, proprio nell’ultimo giorno di mercato, Ventura ha rischiato di perdere anche Barreto, ovvero il miglior realizzatore della squadra. E una delle principali garanzie tecniche dell’organico a propria disposizione: non appena, ovviamente, il brasiliano tornerà disponibile, in coda ad un periodo passato in infermieria. Eppure, il trasferimento del ragazzo non era pianificato. Assolutamente. Ma la proposta della Fiorentina deve aver ingolosito il presidente Matarrese e il diesse Angelozzi. Cinque milioni di euro, forse qualcosa in più, per la comproprietà (l’altra metà del cartellino, va ricordato, è dell’Udinese). Un affare, ammettono da via Torrebella. La trattativa, però, salta. Al fotofinish. Perché, sull’Adriatico, il pensiero torna improvvisamente alla classifica. E alle difficoltà contro cui combatte la squadra. E, probabilmente, anche perché in Toscana ci riflettono sopra. La mancata cessione, tuttavia, fa rumore. Molto rumore. «Un momento di debolezza. Niente di più e niente di meno. Alla fine, abbiamo preferito pensare al Bari, al suo futuro»: una verità da confessare candidamente. Una debolezza che emerge nella confusione che, oggi, sembra governare il Bari. Un po’ ammaccato, un po’ sfiduciato, un po’ insicuro. Debole, appunto.