Forse sì, forse no. Decidersi è delicato, faticoso.
Perché le anime che attraversano (e condizionano) il ménage quotidiano del Taranto sono diverse, agguerrite e
apertamente contrapposte. Perché le frizioni si accumulano e perché qualcuno,
dietro la tastiera di un computer, va un po’ al di là del consentito. Ma anche
perché chi vorrebbe comprare, probabilmente, non ha saputo (o voluto) spingersi
oltre un limite invisibile: quello nascosto tra l’incertezza e i timori. Il
club jonico, oltre un mese dopo l’inizio della trattativa tra i soci uscenti e
la famiglia Campitiello, campani sponsorizzati dal tarantino Francesco
Montervino, è però ancora in mezzo ad un bivio. Tra l’ipotesi una due diligence e il fuoco incrociato dei
comunicati stampa. La situazione, capirete, comincia a preoccupare. Soprattutto
perché la Fondazione Taras,
garante e traghettatrice dell’operazione, sembra lentamente fratturarsi (hanno
lasciato, proprio nei giorni scorsi, il presidente e altri due soci del
direttivo). Non ci soffermeremo, tuttavia, sui dettagli di una cronaca
infinita, che muta di colori e umori almeno tre o quattro volte al giorno,
senza sosta: non ne abbiamo il tempo e neppure la voglia. E, poi, ormai,
esistono i motori di ricerca: e anche i meno attenti potranno documentarsi, se
lo riterranno opportuno. Ma non dimentichiamo il clima avvelenato che sta
attraversando la città: e che ha coinvolto quasi tutti i contendenti. Perché di
contendenti, alla fine, si tratta. A partire dal presidente Nardoni, pronto a
denunciare – così come il suo ex vice Petrelli, prima di lui - le minacce
ricevute nel corso di questa querelle
un po’ stucchevole. I tempi, intanto, si dilatano. E la lista dei misteri si
infittisce. Il Taranto ha già perso, ad esempio, un big come Molinari, già tesserato dal Brindisi. E, innanzi tutto, ad
oggi non possiede né un padrone certo, né un progetto tecnico. Progetto che, se
la trattativa del passaggio di proprietà dovesse saltare, sarà necessariamente
riaffidato al gruppo di lavoro coordinato da Nardoni: cioè, un dirigente abbondantemente
(e troppo in fretta) sfiduciato dalla piazza, osteggiato dalla Fondazione Taras
e, di conseguenza, non sappiamo quanto motivato a ripartire. Un presidente che,
nello scetticismo dilagante, dovrà eventualmente ripianare un deficit di gestione niente affatto
leggero. E, nell’altro caso, progetto finalmente accolto dai fratelli
Campitiello: probabilmente, ancora dubbiosi di una scelta che, nel tempo, è
diventata sofferta. E, comunque, come dimostra il recentissimo dietrofront, già spaventati dalla
complessità e dall’umoralità di una piazza difficile da gestire. E da capire.