Infine, il Taranto cambia proprietà: passando (non
interamente) dal composito gruppo coordinato da Nardoni ai fratelli
Campitiello. Che si ritaglia le quote di maggioranza e la responsabilità di
risanare il bilancio. Non senza contare sull’appoggio di chi, sin qui, ha
operato. Contraendo, dunque, quel disavanzo. Il travaso societario non è agile.
E non è affatto celere: tanto che la piazza si ritrova immediatamente ad
inseguire chi è partito in anticipo e bene (il Brindisi, ma non solo il
Brindisi). E neppure indolore: le cicatrici di un’estate conflittuale si vedono
tutti, ancora adesso. E si sentono. Ma la famiglia di Pagani ribadisce più
volte di poter e voler assicurare, da qui in avanti, investimenti intelligenti
e mirati. Dunque, un futuro solido. E duraturo. Non è poco. Intanto, però, il
tempo scorre. E occorre varare staff tecnico e squadra. Designato il diesse
(Montervino, il garante della trattativa) arrivano sullo Jonio, a rimorchio, l’allenatore
(Favo, ex Maceratese) e qualche under.
Un paio di volti conosciuti, poi, decidono di restare: Ciarcià, Mignogna. In
attesa di altre conferme e nuovi ingaggi. Ma Taranto è la città dei due Mari e
delle mille polemiche. Esaurito un argomento, se ne affaccia un altro. Il
sentimento popolare, rilanciato da qualche organo di informazione, si sofferma
sulla faccenda del mancato ripescaggio. Mancato soprattutto perché, prima, non
viene formulata la domanda di ammissione alla nuova terza serie. Ufficialmente
inevasa per pure motivazioni tecniche e amministrative (il passaggio di
proprietà, cioè, si compie proprio quando i termini burocratici per allestire
la pratica si stanno spegnendo). Ma, in realtà, rimandata per lunghe settimane.
E mai seriamente considerata: per i costi che una domanda di ripescaggio
comporta (anche le fidejussioni hanno un proprio prezzo). Per i dubbi che hanno
accompagnato il travaso societario (chi avrebbe dovuto pensarci: la vecchia
dirigenza o la nuova?). Per le remote possibilità attribuite all’accoglimento
della richiesta. Però, in città si è sùbito allargato il sospetto che il
passaggio di consegne si sia definito troppo tardi anche e soprattutto per bypassare questa situazione ritenuta
economicamente scomoda . E per pianificare il domani del Taranto ripartendo
dalla D, con calma. Puntando, prima di ogni cosa, al ripianamento dei debiti
contrattiu dalla vecchia gestione del club. Sospetto, poi, diventato rabbia:
perché la Lega
di Macalli finisce per bocciare anche le ultime concorrenti rimaste in gara per
il ripescaggio dalla D alla C (Correggese all’Akragas, prime delle graduatorie
di merito, ma sprovviste di uno stadio dotato di tutti i requisiti). Mentre
altre società, nel frattempo, si erano ritirate dalla corsa: dall’Arezzo al
Matelica. Risultato: in terza serie rientrano tre club appena usciti dalla
porta di servizio: la Torres,
il Martina e l’Aversa. E già si maligna di uno scambio di favori, tra il re
della Lega di C e il primo dirigente dei dilettanti Tavecchio. E, dunque, di un
accordo a tavolino, per favorire il disegno del primo in cambio dei voti utili
al secondo, che resta il candidato più saldo nella corsa verso la presidenza
della FIGC. Tutto, cioè, sembra quadrare. Ma le perplessità, in riva a Mar
Piccolo, affiorano ugualmente. E la sensazione è che - al di là dei calcoli
economici, assolutamente meritevoli di essere considerati – il Taranto abbia
sciupato un’occasione irripetibile. Malgrado uno stadio a norma, un bacino d’utenza
di pregio, un prestigio largo e una società in via di risanamento. Eppure, già
macchiata dell’alone della diffidenza della gente che tifa. Ancora prima di
cominciare.