All’improvviso, ma con prevista puntualità, la
situazione societaria del Taranto si ingarbuglia, si intorpidisce. Ma,
contemporaneamente, si evolve. Abbastanza velocemente, pure. La vecchia
struttura societaria, quella che - in sostanza – ha traghettato il pallone dei
due Mari dal momento dell’ammissione alla serie D sin qui, sarebbe stata
disposta a perseguire il proprio progetto di consolidamento delle fondamenta
del club, che passava attraverso due punti fondamentali: il ripianamento dei
conti (mancano, si dice, duecentocinquantamila euro per saldare le vecchie
pendenze) e l’alimentazione delle ambizioni. Per la quale, va aggiunto, avrebbe
gradito nuovi contributi, nuove energie: quindi, ulteriori investitori.
Parallelamente, peraltro, altri soggetti si sarebbero (anzi, si sono)
avvicinati: da Cerruti, attuale patron dell’Agropoli, ai fratelli Campitiello.
Nomi, questi, che hanno finito per ingolosire la piazza. Irruviditasi, così,
nei confronti del presidente Nardoni e del suo vice (e socio forte) Petrelli:
perché, forse, simboli di un passato prossimo senza risultati sportivi
tangibili. O perché prudentemente lontani dall’idea di presentare la
fidejussione che dovrebbe accompagnare l’ipotetica richiesta di ripescaggio in
terza serie (niente affatto certa, per la cronaca). Di fatto, però, parte
dell’ambiente jonico avrebbe ultimamente delegittimato e sfiduciato i due
dirigenti. Che, un po’ offesi, si sono praticamente disimpegnati, in attesa di
ulteriori novità. Accelerando il processo di rinnovamento. Ma, nel contempo,
aprendo un’eventuale crisi societaria, se la trattativa con la famiglia
Campitiello – oggi considerata molto avviata e destinata a soluzione felice -
dovesse saltare, per un motivo o per un altro. Fermiamoci, tuttavia, alle
certezze. E una certezza è questa: il maggior investitore del gruppo uscente,
ovvero Petrelli, ha dribblato ogni problema presente e futuro e qualsiasi
complicazione, cedendo (gratuitamente, giura) le sue quote alla Fondazione
Taras. Scendendo, in questa maniera, dalla giostra delle possibilità. E
trascinandosi emotivamente Nardoni. Il primo e il secondo, intanto, potranno
non piacere (o non piacere più) alla Taranto che tifa: ci può stare. Però, sarà
anche giusto ricordare che proprio Petrelli e Nardoni hanno saputo garantire il
minimo indispensabile: cioè la dignità e la sopravvivenza del club. Che, poco
più di un anno fa, non possedeva neppure la casa, ovvero un campionato a cui
partecipare. Spingerli ad abdicare non è stato un gesto di grande riconoscenza,
da parte di qualcuno (e la
Fondazione Taras non c’entra, per essere chiari): e pure
questo va sottolineato. Così come va sottolineato che, a queste condizioni,
Petrelli e Nardoni lasciano con eleganza. Rimediando un figurone, prima che la
questione si delinei del tutto. Ma, se qualcosa non dovesse funzionare, da qui
alla prossima settimana, nessuno potrà permettersi di rinfacciare qualcosa a
chi si, garbatamente, si è fatto da parte. Questo deve essere abbastanza
chiaro.