lunedì 17 giugno 2013

Lecce, un anno buttato via

Certe cose si sentono. E non avremmo scommesso troppo volentieri sulla promozione del Lecce, arrivato davanti al traguardo con una zavorra di appannamento fisico e mentale. E con un obbligo imprescindibile: vincere (all'andata si era imposto il Carpi, a casa sua). A fronte, peraltro, di un avversario più tonico: almeno nel momento decisivo della stagione. Il successo, comunque, sembrava persino ipotizzabile, ad un quarto d'ora dalla fine del match. Certo, non inattaccabile: ma, se non altro, difendibile. E, invece, i calci da fermo sono episodi importanti, che spesso decidono le battaglie del campo. Come quello trasformato da Kabine, che annulla il precedente sigillo di Bogliacino: uno a uno, poche possibilità di ribattere. Serie B al Carpi, Lecce ancora nell'inferno della terza serie. Malgrado un campionato vissuto quasi sempre sul gradino più alto. E nonostante il miglior piazzamento da utilizzare nella griglia dei playoff. Pare impossibile, ma così è: l'organico ritenuto più forte e più blasonato fallisce anche la prova di appello. Aprendo un serio periodo di riflessione e, purtroppo, anche di depressione. L'ambiente, già elettrico di suo, si incattivisce di molto: e le immagini che, in diretta, tagliano l'Italia sono crude e inequivocabili. Invasione di campo, caccia all'uomo, sfondamenti, tentativi di penetrazione negli spogliatoi, guerriglia urbana, contenzioso acceso con le forze dell'ordine: c'è di tutto. Ma ci divincoliamo dalla cronaca (nera) e guardiamo oltre: ad una città calcisticamente ferita e ancora incredula. Ad una tifoseria abbruttita dai gesti sconsiderati di alcuni. Ad una società spiazzata e parecchio seccata. Ad una squadra già scarica e, ora, addirittura impaurita. Piaccia o no, se non accadrà altro, nella migliore delle ipotesi, sùbito dopo la riflessione, urgerà allora una rifondazione tecnica. Anche e soprattutto perchè, fatte poche eccezioni (una su tutte, Chevanton: in campo anche in condizioni di difficoltà, a match ormai compromesso), molti protagonisti del collettivo allestito prima da Lerda, poi da Toma e, infine, da Gustinetti hanno irrimediabilmente scavato un fossato tra di loro e la piazza. Perdendo credibilità e i benefici di quel feeling che ancora resisteva. Azzerare tutto o quasi: è proprio questo il problema. Perchè, nel pallone, azzerare e ripartire è un compito sempre abbastanza rischioso. Questa volta, però, resettare quasi tutto diventa addirittura necessario. Di più: chi dirige il club non potrà neppure perdere tropppo tempo. Cercare di capire dove operare per adottare le scelte migliori, velocemente: ecco quel che ci vuole. Utilizzando la testa, invece dei nervi: la nuova sfida si fa complicata.