mercoledì 2 giugno 2010

Foggia, salvezza da lacrime e sangue

La salvezza del Foggia si chiama Caraccio. L’artigliere argentino capitalizza gli ultimi istanti di gara e trova il varco giusto. Uno a due, Foggia salvo. I playout condannano il Pescina, proprio quando la formazione marsicana sembra aver miracolosamente recuperato lo svantaggio accumulato nel match di andata. E sì: la gente di Ugolotti, nel momento decisivo, si complica masochisticamente l’esistenza, andando sotto di due lunghezze. Confermando il limite di sempre: quello che non gli permette di gestire le situazioni, anche le più agevoli. Proprio come nel passato recente (ricordate la sfida con la Spal?) e un po’ più remoto. Questa volta, certo, l’epilogo è felice: ma la paura (immensa) aleggia ancora nell’aria. Sinceramente, questo Foggia non c i lasciava tranquilli, sino a sabato. E l’ultimo capitolo della stagione non ci sorprende. Come non sorprende la tumultuosa protesta della tifoseria, dopo il novantesimo. E, soprattutto, prima: a partita in corso. Quando il calcio deve fermarsi, di fronte all’invasione solitaria. Che, poi, diventa forse l’ingrediente fondamentale per appaltare la salvezza. Proprio lì, probabilmente, il Foggia si scuote. Proprio lì, probabilmente, il Foggia capisce. Proprio lì, probabilmente, il Foggia si ritrova. Assaltando l’ultima porzione di match. La spinta, verrebbe da dire, arriva direttamente dagli spalti. Concretamente. In un’atmosfera da lacrime e sangue. Senza della quale, magari, la formazione di Ugolotti sarebbe in C2, oggi. A sollevare processi cruenti. E pienamente legittimi.