lunedì 10 febbraio 2014

Il derby scontenta tutti


Martina-Foggia è uno di quei derby che finisce per scontentare tutti. Accade puntualmente, quando la classifica pretende molto da chiunque. Ma succede pure quando il pareggio vuole accarezzare le due parti opposte della barricata, finendo per svilire l’impegno un po’ arruffato di chi deve raggiungere la permanenza e per punire il governo un po’ sciatto delle proprie chances di promozione. Il Foggia crede nell’ordine della manovra, nella ripetitività del suo giropalla: comincia a costruire con lucidità, ma poi si smarrisce. Il 3-5-1-1 di Padalino fa viaggiare il pallone, ma non penetra mai. Il Martina è più istintivo e meno geometrico. La sua urgenza si scontra con il mestiere dell’avversario e l’aggiramento della pratica del pressing, che pure servirebbe. Il 4-4-2 di Napoli, più spiccio e meno sereno, si infila puntualmente nell’imbuto: e le soluzioni dalla distanza non soccorrono. Gai e soci, con il tempo, guadagnano in quantità e in possesso della palla, ma l’avvenuta inferiorità numerica prima dell’intervallo (De Lucia fuori per doppio giallo) finisce inevitabilmente per intralciare il processso di crescita dei padroni di casa. Il Foggia, che evidentemente gradisce parecchio pure il pari, sembra però non volerne approfittare. Preferendo gestire molto (e sin qui va bene) e osare poco (e questo va meno bene, a determinate condizoni). Appena lo fa, comunque, si ritrova in vantaggio (l’ex Colombaretti ingigantisce un cattivo intervento di Leuci), seppure per soli centottanta secondi. Il pareggio è un incrocio tra l’ingenuità catastrofica di Sciannamè (fallo inutile ai limiti dell’area su Ilari, che procede spalle alla porta) e la freddezza di Montalto, dagli undici metri. Dopo, c’è solo il Martina: che ci mette coraggio e cuore, ma non la precisione. Vero, agli jonici manca anche un secondo penalty: i dauni, cioè, rischiano molto, vanificando l’enorme comodità di un uomo in più per oltre cinquanta minuti, recuperi esclusi. Probabilmente, perché Giglio resta troppo distante dal corpo della squadra. Forse, perché il lavoro di cucitura di Venitucci, tra le linee, si rivela insufficiente. O, magari, perché difetta un po’ di volontà politica. Ovvero: il Foggia si scopre all’improvviso schiavo della sua classifica importante, accontentandosi. Oppure, fidandosi poco di se stesso. Lasciando, così, alla formazione di Napoli il campo e anche il diritto di recriminare. Addirittura.