«Certe voci disturbano. Sapere, proprio mentre le trattative con i
possibili acquirenti si evolvono, del sequestro dei cartellini (di Galano, ndr) e della
quantificazione irrealistica di un disavanzo economico è un peso insostenibile.
E io non ho intenzione di collezionare brutte figure». Parola più, parola
meno, è il pensiero di Gianluca Paparesta, ormai ex gestore dell’auspicato
travaso societario del Bari. A dimissioni formalizzate (e concordate con la
proprietà), non resta dunque che avvalorare quella sensazione di debolezza di
determinate dinamiche (e, soprattutto, di determinate operazioni) e di un
attrito sempre più possente tra l’ex direttore di gara e il gruppo che sta
provando a guidare il Bari in regime di autogestione. Come alcune recenti
parole del diesse Angelozzi, peraltro, avevano abbondantemente lasciato
pensare. Ricapitolando, il club di via Torrebella sembra al punto di partenza.
Senza liquidi, sotto il peso di troppe pressioni (gli stipendi vanno onorati,
per non incorrere in nuove penalizzazioni), minacciato dall’ombra del
fallimento e senza grandi prospettive. Anzi, avanza sempre più prepotente
l’ipotesi di una procedura di autofallimento: che, al momento, appare la
situazione meno dolorosa e più utile alla causa. Le dimissioni di Paparesta dovrebbero
segnare, dunque, anche un punto di non ritorno. Preparando, appunto, il terreno
per le manovre estreme. Quelle che, però, potrebbero consegnare il futuro: di
cui, tuttavia, oggi non conosciamo il prezzo. E che, perciò, piovono
probabilmente al momento più opportuno. Discutere e confrontarsi, a questo
punto, non serve più. Avviarsi verso le incognite del futuro sarà fastidioso:
ma, di sicuro, significherà accorciare i tempi. Comunque vada a finire. E
prepararsi a tutto.