martedì 8 aprile 2014

Foggia, è festa

Giglio utilizza come sa e come deve il pallone giusto, il Poggibonsi si arrende e il Foggia acquisisce la certezza dell’aritmetica. Adesso, l’ammissione alla futura C unica è ufficiale. I xxx punti, ormai, sono inattaccabili: con tre giornate di anticipo. La classifica potrà consolidarsi ancora (la Casertana e il Teramo viaggiano una sola lunghezza sopra), oppure deteriorarsi un po’ (il Messina è due punti dietro, l’Ischia tre): nella peggiore o nella migliore delle ipotesi, però, non cambierà granché. Allo Zaccheria c’è atmosfera di festa e la festa può cominciare. La formazione di Padalino si affretta ad archiviare la pratica, copre il campo con decisione, detta il gioco e i ritmi, governa palla e partita e, infine, colpisce. L’opposizione dei toscani è ampiamente gestibile e il risultato non traballa mai. Tre punti e via, la tensione può sciogliersi nella grazia della promozione. Il fallimento e l’affossamento tra i dilettanti sembrano spettri lontani. Nello spazio di dieci mesi, in Capitanata si sorride per la seconda volta di sèguito. Prima il ripescaggio in Seconda Divisione, escamotage burocratico per aggirare un’altra stagione di confinamento in quinta serie e per dribblare il fastidio di concorrere, quest’anno, con troppe pretendenti al salto di categoria. E, quindi, l’affermazione sul campo: probabilmente, meno faticosa del previsto, eppure non meno dispendiosa, in termini di investimento e di energie nervose. Quanto basta per recuperare il terreno perduto dopo il fallimento del vecchio club di Casillo e per ricollocare il blasone in un angolo meno angusto. Passando per un resettaggio malinconico nelle modalità, ma tecnicamente utile. Il Foggia, in meno di due anni, è sostanzialmente risorto, azzerando i passivi di un tempo e riacquistando la dignità. Ricostruendosi un’immagine e impalcando le fondamenta per affrontare un futuro più solido. Ma, soprattutto, ricostruendo i rapporti con la città e la tifoseria. Non senza attraversare qualche momento di smarrimento e di fibrillazione. Non senza temere di inciampare sugli ostacoli di sempre, che sono propri dell’espressione calcistica di una realtà socialmente confusa ed economicamente debole. Non senza aggirare con astuzia qualche difficoltà di percorso: puntando anche sul coinvolgimento concreto della tifoseria, nel momento di maggior bisogno. Come quando servì promuovere una sorta di colletta, per garantirsi la fidejussione da allegare alla domanda di ripescaggio. Al momento in cui, cioè, il club decise di far sottoscrivere alla sua gente l’abbonamento per tre campionati di fila, introitando un po’ di contante. E, infine, non senza ricorrere al sacrificio personale dei suoi finanziatori (Franco Lo Campo, immediatamente in coda al match di domenica, ha quantificato in un milione le uscite certificate per guadagnarsi la terza serie). Foggia e il pallone, intanto, si riappacificano. Stringendosi attorno ad un allenatore che, nella foggianità, sembra aver coniato il proprio marchio di fabbrica e ad un organico più pratico che illusorio, compatto ed affamato, motivato e sostanzialmente costante, nel rendimento. Malgrado un avvio di campionato affaticato e osteggiato da amnesie difensive e dai tanti sistemi di gioco che si sono inseguiti. E, perché no, abbracciando l’intero organigramma societario, che - anche a dispetto delle apparenze - nel doppio salto ha sempre profondamente creduto. Puntando tutto (e rischiando non poco) sull’onerosa pratica di ripescaggio, l’estate scorsa. Operazione, quella, dai risvolti oscuri e pericolosi: ma, in definitiva, anche e soprattutto una scommessa vinta sugli scettici, noi compresi.