Giglio utilizza come sa e come deve il pallone giusto, il Poggibonsi si
arrende e il Foggia acquisisce la certezza dell’aritmetica. Adesso,
l’ammissione alla futura C unica è ufficiale. I xxx punti, ormai, sono inattaccabili:
con tre giornate di anticipo. La classifica potrà consolidarsi ancora (la Casertana e il Teramo viaggiano
una sola lunghezza sopra), oppure deteriorarsi un po’ (il Messina è due punti
dietro, l’Ischia tre): nella peggiore o nella migliore delle ipotesi, però, non
cambierà granché. Allo Zaccheria c’è
atmosfera di festa e la festa può cominciare. La formazione di Padalino si
affretta ad archiviare la pratica, copre il campo con decisione, detta il gioco
e i ritmi, governa palla e partita e, infine, colpisce. L’opposizione dei
toscani è ampiamente gestibile e il risultato non traballa mai. Tre punti e
via, la tensione può sciogliersi nella grazia della promozione. Il fallimento e
l’affossamento tra i dilettanti sembrano spettri lontani. Nello spazio di dieci
mesi, in Capitanata si sorride per la seconda volta di sèguito. Prima il
ripescaggio in Seconda Divisione, escamotage
burocratico per aggirare un’altra stagione di confinamento in quinta serie e
per dribblare il fastidio di concorrere, quest’anno, con troppe pretendenti al
salto di categoria. E, quindi, l’affermazione sul campo: probabilmente, meno
faticosa del previsto, eppure non meno dispendiosa, in termini di investimento
e di energie nervose. Quanto basta per recuperare il terreno perduto dopo il
fallimento del vecchio club di Casillo e per ricollocare il blasone in un
angolo meno angusto. Passando per un resettaggio malinconico nelle modalità, ma
tecnicamente utile. Il Foggia, in meno di due anni, è sostanzialmente risorto,
azzerando i passivi di un tempo e riacquistando la dignità. Ricostruendosi
un’immagine e impalcando le fondamenta per affrontare un futuro più solido. Ma,
soprattutto, ricostruendo i rapporti con la città e la tifoseria. Non senza
attraversare qualche momento di smarrimento e di fibrillazione. Non senza
temere di inciampare sugli ostacoli di sempre, che sono propri dell’espressione
calcistica di una realtà socialmente confusa ed economicamente debole. Non
senza aggirare con astuzia qualche difficoltà di percorso: puntando anche sul
coinvolgimento concreto della tifoseria, nel momento di maggior bisogno. Come
quando servì promuovere una sorta di colletta, per garantirsi la fidejussione
da allegare alla domanda di ripescaggio. Al momento in cui, cioè, il club
decise di far sottoscrivere alla sua gente l’abbonamento per tre campionati di
fila, introitando un po’ di contante. E, infine, non senza ricorrere al
sacrificio personale dei suoi finanziatori (Franco Lo Campo, immediatamente in
coda al match di domenica, ha quantificato in un milione le uscite certificate
per guadagnarsi la terza serie). Foggia e il pallone, intanto, si
riappacificano. Stringendosi attorno ad un allenatore che, nella foggianità,
sembra aver coniato il proprio marchio di fabbrica e ad un organico più pratico
che illusorio, compatto ed affamato, motivato e sostanzialmente costante, nel
rendimento. Malgrado un avvio di campionato affaticato e osteggiato da amnesie
difensive e dai tanti sistemi di gioco che si sono inseguiti. E, perché no,
abbracciando l’intero organigramma societario, che - anche a dispetto delle
apparenze - nel doppio salto ha sempre profondamente creduto. Puntando tutto (e
rischiando non poco) sull’onerosa pratica di ripescaggio, l’estate scorsa.
Operazione, quella, dai risvolti oscuri e pericolosi: ma, in definitiva, anche
e soprattutto una scommessa vinta sugli scettici, noi compresi.