Prima il Brindisi, dopo il Francavilla, poi il Monopoli, quindi il
Marcianise, infine la
Turris. Una dopo l’altra, cadono molte protagoniste della
quinta serie che alberga tra la
Puglia e la
Campania. E il campionato seleziona le forze migliori.
Premiando, cioè, chi ha sbagliato meno. Il rush
finale è una corsa che riguarda Matera e Taranto. E nessun altro. Lotta a due,
battaglia dura. Stessa resa (cinquantotto punti, prima di domenica scorsa), stessi match a disposizione (due). E,
attorno, il profumo di spareggio. Incandescente, affascinante. Ma in questo
torneo, ormai lo sappiamo, le porte si aprono, si chiudono, si riaprono e si
richiudono con facilità disarmante, in un vortice di emozioni purissime. E
davvero niente è scontato. Oltre tutto, il calendario è infido per tutti, sino
in fondo: anche per il Matera, che viaggia verso Vico. E pure per il Taranto,
ospitato dal Marcianise. I costieri cercano punti per salvarsi, ma la gente di
Cosco passa ugualmente. Mentre la formazione jonica si ferma, spartendo la
posta con i casertani, troppo orgogliosi per rassegnarsi alla quinta piazza
dopo tre quarti di stagione di rilievo e qualità. Ecco, allora, che i destini
sembrano compiersi prima del tempo: il Matera vede la C e progetta di superare in casa
il Manfredonia, nel prossimo match, per festeggiare. E il Taranto mastica amaro,
amarissimo. Rispolverando tutti i suoi limiti proprio davanti al traguardo. Non
è, del resto, un segreto: con esperienza e personalità, Papagni ha occultato (o
ridimensionato) la natura sdrucciola di un organico male assortito, poco
equilibrato (penetrante nell’area avversaria, morbido in fase di filtro e non
possesso) e non sempre credibile nelle occasioni che contano. Cioè, nelle gare che
indirizzano la stagione. Sin quando ha potuto, però. Per intenderci: gli
accorgimenti tattici e il buon senso del tecnico biscegliese, con il sostegno
di un alto quoziente realizzativo, hanno finito per sostenere il collettivo,
mantenendolo sin qui in prima fascia: eppure, i problemi strutturali di un
tempo sono rimasti tutti e gli infortuni individuali e di reparto hanno scritto
il resto. Pesando al momento della verità. La partita di Marcianise, peraltro,
riassume un po’ di verità assolute. Denudando, al contempo, un atteggiamento
difettoso: il Taranto si porta in vantaggio per due volte, finendo però per
intimorirsi e per concedere metri e iniziativa alla manovra della formazione di
Fogliamanzillo. In sostanza, reticenze e personalità sbiadita condannano la
squadra ai playoff: a meno che il campionato non riservi, al fotofinish, l’ultimo coup de theatre. A verdetto virtualmente
scritto, tuttavia, non possono convincerci le prime accuse, più o meno feroci,
schizzate irrazionalmente sulla società, sul tecnico e sugli effettivi di un
organico allestito con sacrifici estivi non indifferenti e, soprattutto, in fretta,
alle soglie del torneo. La riappropriazione del calcio, sui due Mari, d’altra
parte, è un processo lento che deve tenere conto di molti dettagli e, prima di
ogni altra cosa, degli insegnamenti del passato. Approfondire le valutazioni ed
esercitare il diritto di critica è legittimo. E, anche da queste colonne, nessuno
ha mai circumnavigato la questione, discutendoci sopra. Ma sparare addosso a
questo Taranto, sia pure sulla scia della delusione o della frustrazione, è
ingiusto. Almeno questa volta, le attenuanti ci sono: e sono roba seria.