lunedì 7 aprile 2014

Il Taranto vola, il Monopoli s'inchioda

L’incastro dei confronti diretti è un puzzle goloso che lascia godere il girone H della quinta serie. Monopoli-Taranto è un altro tassello di questa lunga storia, ma non l’ultimo. Il futuro della gente di De Luca e della formazione di Papagni, ma pure della larga concorrenza, passa da questi novanta  minuti. Sugli spalti la gente risponde, dribblando vincoli di sicurezza e agibilità parziale della struttura. Jonici debilitati dalla giustizia sportiva (Molinari, Ciarcià e Clemente fermati per un turno), adriatici immutati nella sostanza e negli uomini (ancora fuori Pedalino e Corvino, mediana nuovamente rafforzata da un difensore d’estrazione come Castaldo, sin qui assolutamente convincente nel nuovo ruolo): e si parte. Con circospezione, ma si parte. La manovra del Monopoli ci mette un po’ a sgrossarsi, ma lentamente si assicura più quantità e intensità e, nella fase centrale della prima parte del match, si dota di maggior qualità. Montaldi, vestito da prima punta, esegue i movimenti giusti e, ai suoi fianchi interagiscono con profitto Di Matera e Camporeale. L’assenza di un artigliere di peso, che la tifoseria non decodifica con favore, sembra serenamente bypassata.  Il Taranto si copre diligentemente, difendendosi a cinque: le esitazioni spuntano dai limiti dei singoli, più che dai difetti del reparto. Comunque, l’assetto di presidio tiene. Le ripartenze, tuttavia, sono puntuali: anche se necessita maggiore volontà di pungere, perché un pareggio serve a poco. Lanzillotta e compagni finiscono per spendere qualcosa, invano. La brillantezza, cioè, si eclissa abbastanza presto. E, a fronte di un calo di lucidità, il calcio prodotto si sporca di falli e ammonizioni. Ed è proprio adesso che Papagni, tecnico di buon senso ed esperienza, intuisce le difficoltà dell’avversario, leggendo bene nelle pieghe della gara e rivedendo l’assetto di gioco. Muwana avanza in mezzo al campo, Properi si accentra in terza linea e lo scacchiere si trasforma in un 4-4-2 pratico e furbo. Irrobustito, ma anche più reattivo, il Taranto cresce prima dell’intervallo e, agli albori della ripresa, coglie il vantaggio con Balistreri, monetizzando la prima vera (ed unica) occasione del match. Attendere il momento e colpire: certe volte, basta solo questo. Il Monopoli, allora, si sgonfia e si appiattisce. L’iniezione di uomini a forte attitudine offensiva (Pedalino e Corvino) non paga nell’immediato. Il forcing si materializza solo più in là, prima dei titoli di coda: attorno al novantesimo, peraltro, Montaldi firma il pari, ma l’intervento arbitrale gli invalida la conclusione con motivazioni oscure. Quindi, lo slancio generoso del portiere Mirarco si traduce in una traversa beffarda. Vince il Taranto, senza sottrarre nulla, al culmine di una prestazione priva di orpelli, vergata dal sacrificio e dalla scaltrezza. Che vale, innanzi tutto, la vetta del campionato, tuttora illeggibile. Perde il Monopoli, scomparso nella parte più delicata di una partita da non fallire e, invece, decisiva. Ormai fuori dai giochi per la prima piazza. Con un dolore da elaborare e la rabbia popolare da addomesticare. E con un tecnico, adesso, troppo distante dalle posizioni della tifoseria. Il fosso scavato tra De Luca e l’ambiente è diventato, nel tempo, un burrone. Perché un buon campionato, questa volta, non riuscirà a lenire gli appetiti di una squadra costruita per vincere. Perché, nel pallone, chi non vince finisce irrimediabilmente per perdere. E perché il coraggio, in fondo, è una qualità che la gente finisce sempre per apprezzare, al di là dei risultati. Quel coraggio mancato troppe volte, lontano dal Veneziani. E, affermano con veemenza i detrattori, anche ieri, sull’erba di casa.