L’incastro dei confronti diretti è un puzzle
goloso che lascia godere il girone H della quinta serie. Monopoli-Taranto è un
altro tassello di questa lunga storia, ma non l’ultimo. Il futuro della gente
di De Luca e della formazione di Papagni, ma pure della larga concorrenza,
passa da questi novanta minuti. Sugli
spalti la gente risponde, dribblando vincoli di sicurezza e agibilità parziale
della struttura. Jonici debilitati dalla giustizia sportiva (Molinari, Ciarcià
e Clemente fermati per un turno), adriatici immutati nella sostanza e negli
uomini (ancora fuori Pedalino e Corvino, mediana nuovamente rafforzata da un
difensore d’estrazione come Castaldo, sin qui assolutamente convincente nel
nuovo ruolo): e si parte. Con circospezione, ma si parte. La manovra del
Monopoli ci mette un po’ a sgrossarsi, ma lentamente si assicura più quantità e
intensità e, nella fase centrale della prima parte del match, si dota di
maggior qualità. Montaldi, vestito da prima punta, esegue i movimenti giusti e,
ai suoi fianchi interagiscono con profitto Di Matera e
Camporeale. L’assenza di un artigliere di peso, che la tifoseria non decodifica
con favore, sembra serenamente bypassata. Il Taranto si copre diligentemente,
difendendosi a cinque: le esitazioni spuntano dai limiti dei singoli, più che
dai difetti del reparto. Comunque, l’assetto di presidio tiene. Le ripartenze,
tuttavia, sono puntuali: anche se necessita maggiore volontà di pungere, perché
un pareggio serve a poco. Lanzillotta e compagni finiscono per spendere
qualcosa, invano. La brillantezza, cioè, si eclissa abbastanza presto. E, a
fronte di un calo di lucidità, il calcio prodotto si sporca di falli e
ammonizioni. Ed è proprio adesso che Papagni, tecnico di buon senso ed
esperienza, intuisce le difficoltà dell’avversario, leggendo bene nelle pieghe
della gara e rivedendo l’assetto di gioco. Muwana avanza in mezzo al campo,
Properi si accentra in terza linea e lo scacchiere si trasforma in un 4-4-2
pratico e furbo. Irrobustito, ma anche più reattivo, il Taranto cresce prima
dell’intervallo e, agli albori della ripresa, coglie il vantaggio con Balistreri, monetizzando
la prima vera (ed unica) occasione del match. Attendere il momento e colpire: certe volte,
basta solo questo. Il Monopoli, allora, si sgonfia e si appiattisce.
L’iniezione di uomini a forte attitudine offensiva (Pedalino e Corvino) non
paga nell’immediato. Il forcing si
materializza solo più in là, prima dei titoli di coda: attorno al novantesimo,
peraltro, Montaldi firma il pari, ma l’intervento arbitrale gli invalida la
conclusione con motivazioni oscure. Quindi, lo slancio generoso del portiere
Mirarco si traduce in una traversa beffarda. Vince il Taranto, senza sottrarre
nulla, al culmine di una prestazione priva di orpelli, vergata dal sacrificio e
dalla scaltrezza. Che vale, innanzi tutto, la vetta del campionato, tuttora
illeggibile. Perde il Monopoli, scomparso nella parte più delicata di una
partita da non fallire e, invece, decisiva. Ormai fuori dai giochi per la prima
piazza. Con un dolore da elaborare e la rabbia popolare da addomesticare. E con
un tecnico, adesso, troppo distante dalle posizioni della tifoseria. Il fosso
scavato tra De Luca e l’ambiente è diventato, nel tempo, un burrone. Perché un
buon campionato, questa volta, non riuscirà a lenire gli appetiti di una
squadra costruita per vincere. Perché, nel pallone, chi non vince finisce
irrimediabilmente per perdere. E perché il coraggio, in fondo, è una qualità che
la gente finisce sempre per apprezzare, al di là dei risultati. Quel coraggio mancato
troppe volte, lontano dal Veneziani.
E, affermano con veemenza i detrattori, anche ieri, sull’erba di casa.