martedì 29 aprile 2014

Martina, tra delusione e speranze

E, ad un certo punto, arrivano i momenti in cui le parole e i disegni non contano. In cui, invece, serve esclusivamente vincere. Non importa come. Chiunque si pari di fronte. Generalmente, peraltro, questi sono momenti che arrivano in fondo al viale, davanti ad un bivio. Di qua il destino che si accartoccia sotto il peso della colpevolezza: e che, nel caso specifico, si chiama retrocessione. O serie D. Ovvero, la reimmersione nell’universo dei dilettanti: di nome, più che di fatto.  Di là, la redenzione della serie C, quella unica, quella tutta nuova pensata dalla Lega e da un calcio che prova a sopravvivere a se stesso. Cioè, la cancellazione di ogni peccato accumulato in corsa, sin dagli albori della stagione. E, nel mezzo, quella lotteria degli spareggi di fine corsa: che si chiamano ufficialmente playoff e che, questa volta, sono contemporaneamente playoff. Quella lotteria un po’ bizzarra alla quale il Martina, ad un certo punto, si era persino ribellato, provando ad ottenere di meglio. E alla quale, infine, proprio nell’ultima settimana si era concettualmente affezionato: un po’ perché l’ottavo posto (l’ultimo utile alla promozione diretta) era ormai blindato dal Lamezia. E un po’ perché la ricorsa recente ha offerto i numeri giusti per pensare ad una scappatoia un po’ scomoda, ma ugualmente utile (a fine playout, la migliore passa in C e le altre tre affondano in D: mai accaduto, su questi campi). Vittoria deve essere, allora: senza dubbio alcuno. E vittoria, alla fine, è stata. E non importa se la gioia si libera oltre il novantesimo, pochi secondi dopo aver incassato il sigillo del pari: che l’avversario non cerca, ma trova. Quasi per sbaglio. Magari, senza troppo gradire. La formazione di Tommaso Napoli, a centottanta minuti dalla conclusione, s’imbatte nel Cosenza già promosso, sparring partner che s’impegna per obbligo, non per convinzione. Approccia senza foga, si nutre dell’accondiscendenza altrui, ma non sfonda. Segnare dovrebbe diventare l’operazione più naturale, ma la manovra s’inaridisce e un certo fastidio cresce. Il lavoro di Montalto e Arcidiacono, prima degli altri, è però premiato dalla costanza e dall’istinto del bisogno: il gol dell’artigliere siciliano sembra promettere la prosecuzione dell’avventura. Tutto, invece, si complicherà più tardi, a fase di recupero già avviata. Per appianarsi magicamente qualche istante più avanti. Perché così è scritto. E così deve essere. Attenzione, però: non cede il Martina e non cede neppure la concorrenza. La posizione di vantaggio – certo - resiste, ma non basta ancora. Traducendo, i playout e le speranze di salvezza vanno ancora guadagnati: all’ultimo chilometro si supera lo Stretto e si rende visita al Messina, un’altra delle otto squadre già qualificate al prossimo campionato di terza serie. In certi frangenti, i favori della provvidenza sono particolarmente graditi. Di contro, un po’ di rammarico affiora ugualmente, emerge. L’obiettivo dell’ottava piazza, creduta tra marzo ed aprile un traguardo oggettivamente raggiungibile, svanisce nello spazio di due settimane e il disappunto è corposo. Alla fine, cioè, pesano le occasioni perdute, i punti sperperati.. Incide quel gap di partenza vincolante: che un organico ampiamente rinnovato e qualitativamente migliorato dopo il girone di andata aveva tuttavia esorcizzato. E non paga neppure quella consapevolezza di essere diventati all’altezza del compito, in coda ad una partenza affaticata. Potremmo sbagliarci, ma ipotizziamo lo stesso: forse è proprio quella sicurezza acquisita a metà del cammino a generare nel gruppo un pizzico di supponenza o di rilassamento. Di sicuro, la seconda versione del Martina semina senza raccogliere, lasciando qualcosa per strada. E quel qualcosa è decisivo: il progetto di base non si evolve, non si compie. Nel percorso, ci sono le premesse: ma difetta la conclusione. E la sensazione che resta è quella di un’operazione incompiuta. Che soltanto il primo posto nel girone finale potrà scacciare.