E, ad un certo punto, arrivano i momenti in cui le parole e i disegni non
contano. In cui, invece, serve esclusivamente vincere. Non importa come.
Chiunque si pari di fronte. Generalmente, peraltro, questi sono momenti che arrivano
in fondo al viale, davanti ad un bivio. Di qua il destino che si accartoccia
sotto il peso della colpevolezza: e che, nel caso specifico, si chiama
retrocessione. O serie D. Ovvero, la reimmersione nell’universo dei dilettanti:
di nome, più che di fatto. Di là, la
redenzione della serie C, quella unica, quella tutta nuova pensata dalla Lega e
da un calcio che prova a sopravvivere a se stesso. Cioè, la cancellazione di
ogni peccato accumulato in corsa, sin dagli albori della stagione. E, nel
mezzo, quella lotteria degli spareggi di fine corsa: che si chiamano ufficialmente
playoff e che, questa volta, sono contemporaneamente playoff. Quella lotteria
un po’ bizzarra alla quale il Martina, ad un certo punto, si era persino
ribellato, provando ad ottenere di meglio. E alla quale, infine, proprio
nell’ultima settimana si era concettualmente affezionato: un po’ perché
l’ottavo posto (l’ultimo utile alla promozione diretta) era ormai blindato dal
Lamezia. E un po’ perché la ricorsa recente ha offerto i numeri giusti per
pensare ad una scappatoia un po’ scomoda, ma ugualmente utile (a fine playout,
la migliore passa in C e le altre tre affondano in D: mai accaduto, su questi
campi). Vittoria deve essere, allora: senza dubbio alcuno. E vittoria, alla
fine, è stata. E non importa se la gioia si libera oltre il novantesimo, pochi
secondi dopo aver incassato il sigillo del pari: che l’avversario non cerca, ma
trova. Quasi per sbaglio. Magari, senza troppo gradire. La formazione di Tommaso
Napoli, a centottanta minuti dalla conclusione, s’imbatte nel Cosenza già
promosso, sparring partner che
s’impegna per obbligo, non per convinzione. Approccia senza foga, si nutre
dell’accondiscendenza altrui, ma non sfonda. Segnare dovrebbe diventare
l’operazione più naturale, ma la manovra s’inaridisce e un certo fastidio
cresce. Il lavoro di Montalto e Arcidiacono, prima degli altri, è però premiato
dalla costanza e dall’istinto del bisogno: il gol dell’artigliere siciliano
sembra promettere la prosecuzione dell’avventura. Tutto, invece, si complicherà
più tardi, a fase di recupero già avviata. Per appianarsi magicamente qualche
istante più avanti. Perché così è scritto. E così deve essere. Attenzione,
però: non cede il Martina e non cede neppure la concorrenza. La posizione di
vantaggio – certo - resiste, ma non basta ancora. Traducendo, i playout e le
speranze di salvezza vanno ancora guadagnati: all’ultimo chilometro si supera
lo Stretto e si rende visita al Messina, un’altra delle otto squadre già
qualificate al prossimo campionato di terza serie. In certi frangenti, i favori
della provvidenza sono particolarmente graditi. Di contro, un po’ di rammarico
affiora ugualmente, emerge. L’obiettivo dell’ottava piazza, creduta tra marzo
ed aprile un traguardo oggettivamente raggiungibile, svanisce nello spazio di
due settimane e il disappunto è corposo. Alla fine, cioè, pesano le occasioni
perdute, i punti sperperati.. Incide quel gap
di partenza vincolante: che un organico ampiamente rinnovato e qualitativamente
migliorato dopo il girone di andata aveva tuttavia esorcizzato. E non paga
neppure quella consapevolezza di essere diventati all’altezza del compito, in
coda ad una partenza affaticata. Potremmo sbagliarci, ma ipotizziamo lo stesso:
forse è proprio quella sicurezza acquisita a metà del cammino a generare nel
gruppo un pizzico di supponenza o di rilassamento. Di sicuro, la seconda
versione del Martina semina senza raccogliere, lasciando qualcosa per strada. E
quel qualcosa è decisivo: il progetto di base non si evolve, non si compie. Nel
percorso, ci sono le premesse: ma difetta la conclusione. E la sensazione che
resta è quella di un’operazione incompiuta. Che soltanto il primo posto nel
girone finale potrà scacciare.