Questa volta si gioca,
normalmente. Niente pioggia scrosciante, niente freddo pungente: il Taranto recupera di mercoledì il
match di Francavilla sul Sinni, rinviato l’altra domenica. E trova un pareggio
non eccessivamente ammiccante, che tiene – magari – la squadra ancora sulla
scia del pratico, rapido e ben organizzato Marcianise, sempre più capolista
(con merito) del girone appulocampano di D. Quel Marcianise che, peraltro,
proprio domenica scende allo Iacovone (dove, uscendo indenne, potrebbe
ipotecare la promozione: fatti, non fantascienza). La formazione di Papagni si
ritrova sotto, pareggia e ribalta lo score,
quindi si fa raggiungere: ma, al di là dei dettagli statistici, dopo un periodo promettente, quella di Papagni non sembra ancora la squadra sicura di sé e proprietaria insindacabile
del proprio destino che tutti gradirebbero applaudire. Rischia poco, cioè: ottenendo il minimo indispensabile.
Così com’è, diciamolo tranquillamente, non può ambire a molto di più del terzo
o del secondo posto finale. Il coach, è vero, è costretto a rinunciare agli
attaccanti migliori. E, in fase difensiva, continua a soffocare (le esitazioni,
ormai, sono sistematicamente imbarazzanti). Ciarcià, ispiratore designato
dall’urgenza, fallisce la prova, sostanzialmente: spiegando, una volta per
tutte, che l’ingaggio di un catalizzatore di gioco è esiziale. Ma, in realtà,
la seconda sessione di mercato non decolla. Per ora, solo movimenti in uscita. E
c’è un motivo, sottolineato – del resto – dagli sviluppi dell’ultimo confronto
societario: il club, come confessa candidamente il presidente Nardoni, ha capito
di aver fatto affidamento su entrate inesistenti, di fatto. La situazione è più
complicata del previsto: come certi segreti sussurrati qua e là avevano, sin
dalla fine dell’estate. già abbondantemente lasciato intendere. Nessun
problema, però. In questo caso, è sufficiente abbozzare un passo indietro e
moderare gli appetiti. Se il Taranto non può competere per la serie C, che
venga detto chiaramente. Definitivamente. La gente capirà. O se ne farà una
ragione. I programmi possono pure cambiare, a lavori in corso. Non è una
vergogna. Per nessuno. Nemmeno per una piazza di prestigio antico: che deve
preferire la continuità al sogno folle.