martedì 19 novembre 2013

Monopoli, giù la maglia



La timidezza del primo tempo e l’imperizia della seconda parte del match condannano il Monopoli. E fruttano ai lucani del Francavilla un successo di prestigio e di sostanza. La gente di De Luca si ferma ancora, in trasferta: accade per la quarta vota in tre mesi. E non sono numeri che autorizzano a confidare così facilmente nella promozione tra i professionisti, ovviamente. Malgrado l’approccio alla partita si consumi con argomenti promettenti, l’aggressività evapora presto: e resta una squadra senza profondità, che si limita a controllare l’avversario, svolgendo il proprio compitino e niente più. Che si risveglia prima dell’intervallo. E poco prima della fine della gara. Troppo poco, Anche se il coach, davanti a block notes e microfoni, parla di un gran primo tempo della sua squadra (difendere il gruppo va bene, ma esagerare stona: decisamente). L’assenza dell’acciaccato Lanzillotta si fa sentire - e come - . E Di Rito, scartato dallo scacchiere di partenza, entra soltanto nella ripresa: la prestazione, forse anche per questo, resta lacunosa, innervata di esitazioni. In questo campionato, è vero, nessuno sfugge ai pericoli del percorso (pensate: le prime cinque della classifica, tutte assieme, hanno collezionato quattordici sconfitte in dodici giornate, e stiamo escludendo le tre cadute della Turris, che viaggia in sesta piazza), ma la tifoseria al sèguito di Laboragine e soci ci resta assai male. L’accusa popolare si concentra sul difetto di impegno, sulla mancanza di attaccamento alla maglia. A fine match, la contestazione (anche se la società dribbla il vocabolo) è decisa e chiassosa. E non passa affatto inosservata. Il gruppo è chiamato a svestirsi, a lasciare le maglie. Che vengono, per la cronaca, affidate alla società. Non requisite, per intenderci. E’, comunque, un gesto forte, netto. Antipatico, certo. Che ricorda quello, più noto e sviluppatosi in un contesto più composito, della torcida del Genoa (roba di un paio di stagioni addietro). E che scatena facili disamine sociologiche applicate al pallone, alcune anche pertinenti (il disagio e la rabbia degli ultras si fanno sempre più pressanti, non c’è che dire: e il calcio, anche per questo, ma non solo per questo, annaspa). Finendo per interessare anche la stampa nazionale e la televisione generalista. Che, però, finisce per accostare forzosamente i fatti di Francavilla con quelli (recenti) di Salerno, in realtà di più pesante natura. Anzi, per dirla proprio tutta, l’equazione indispettisce alquanto. Perché disinformata e tecnicamente sbagliata. Perché di qua c’è semplice contestazione e di là, in Campania, ci sono minacce (ancora da provare, per inciso) e progetti predefiniti nei dettagli. Perché da una parte c’è una partita mai nata e, da quell’altra, un match regolarmente giocato e malamente perso. Oltre ad un centinaio di dettagli differenti. Così, giusto per ricordarlo.