martedì 25 marzo 2014

Girone H, una questione di equilibri

Questo girone appulocampano di serie D possiede un grande pregio: l’insindacabile equilibrio che lo governa e che, sin dalle prime settimane della stagione, gli ha regalato umori, sapori, insondabilità, sorprese, appeal. In una sola parola, interesse. In un’altra, emozioni. Ma il raggruppamento più perfido e stressante della quinta serie nazionale comincia a trascinarsi anche un enorme quesito. Perché non ci è ancora perfettamente chiaro un dettaglio. Cioè: l’equilibrio granitico presuppone davvero un livello medio delle forze sul campo al di sopra della norma - alla cui idea, onestamente, ci eravamo abituati un po’ tutti – o, invece, nasconde una certa inattendibilità di fondo di molte protagoniste di vertice? Non scomoderemo i concetti più abusati: ad esempio, troppe litiganti, poco spazio per chiunque. Oppure: l’abbondanza degli scontri diretti finiscono irrimediabilmente con lo scolpire la classifica. Oppure, ancora: la distanza tra chi lotta per vincere e chi battaglia per salvarsi è quasi impercettibile. E potremmo continuare. Ci limitiamo, piuttosto, a prendere atto della realtà: non esiste la controprova dell’alta competitività di qualsiasi rappresentante del girone H in un altro contesto. Anche se, intimamente, lo pensiamo. O, almeno, lo pensavamo. E, al contempo, costringiamo noi stessi a valutare un dato: anche in una situazione di altissimo equilibrio come questa, la fragilità conclamata delle formazioni migliori (Matera, Marcianise, Taranto, Francavilla, Monopoli) comincia ad insospettire. Soprattutto, se i risultati si abbinano ad un calcio fondamentalmente privo di sostanza. E, talvolta, di robustezza. Analizziamo brevemente il caso del Matera: furbo quando deve prendersi i punti di Grottaglie, o corposo quando si ritrova a respingere il Monopoli in inferiorità numerica (è accaduto domenica). Ma vulnerabile, a dispetto di certe statistiche che dobbiamo pur rispettare, e assai poco brillante (e la brillantezza, a fine torneo, conta sempre). Prendiamo, allora, il Marcianise: sicuramente la formazione più continua e, da un certo punto di vista, più affidabile del lotto. Eppure, sostanzialmente incapace di gestire mentalmente il momento più delicato, in cui il campionato chiedeva freddezza e sacrificio. Quindi, il Francavilla: pratico, organizzato e assistito dai benefici di una pressione limitata. Ma puntualmente assente, appena è necessario fare e dare qualcosa di più. Del Monopoli, poi, si è già detto diffusamente: troppo distante da se stesso, appena si muove dal Veneziani. Per passare, infine, al Taranto. Che, nell’ancora recente derby di Grottaglie, si ritagliò una vittoria ingiusta. E che, proprio per questo, non offrì troppe garanzie in prospettiva. Da quel giorno, ha incrociato il Gladiator (successo allo Iacovone, non senza qualche difficoltà) e la Gelbison (caduta ingloriosa a Vallo). Mostrando, peraltro, poche idee e tutte strettamente dipendenti dalle risorse tecniche di Ciarcià e Mignogna: entrambi impalpabili, nell’ultima uscita.  Ecco, il punto è questo: nessuna delle quattro migliori del campionato vince con facilità. Nessuna convince per due gare di fila. Nessuna è riparata da una manovra avvolgente e limpida. Ma nessuna, soprattutto, è quel blocco pragmatico che serve a bypassare quel calo qualitativo che appare persino fisiologico. Il girone che si consuma tra Puglia e Campania è il più duro della D. Ed è il più dispendioso, il più avvincente. Ma siamo ancora così sicuri che l’appiattimento dei valori guardi ancora verso l’alto? La domanda sarà, probabilmente, maliziosa. Ma il dibattito è ufficialmente aperto.