Questo girone appulocampano di serie D possiede un grande
pregio: l’insindacabile equilibrio che lo governa e che, sin dalle prime
settimane della stagione, gli ha regalato umori, sapori, insondabilità,
sorprese, appeal. In una sola parola,
interesse. In un’altra, emozioni. Ma il raggruppamento più perfido e stressante
della quinta serie nazionale comincia a trascinarsi anche un enorme quesito.
Perché non ci è ancora perfettamente chiaro un dettaglio. Cioè: l’equilibrio
granitico presuppone davvero un livello medio delle forze sul campo al di sopra
della norma - alla cui idea, onestamente, ci eravamo abituati un po’ tutti – o,
invece, nasconde una certa inattendibilità di fondo di molte protagoniste di
vertice? Non scomoderemo i concetti più abusati: ad esempio, troppe litiganti,
poco spazio per chiunque. Oppure: l’abbondanza degli scontri diretti finiscono
irrimediabilmente con lo scolpire la classifica. Oppure, ancora: la distanza
tra chi lotta per vincere e chi battaglia per salvarsi è quasi impercettibile.
E potremmo continuare. Ci limitiamo, piuttosto, a prendere atto della realtà:
non esiste la controprova dell’alta competitività di qualsiasi rappresentante
del girone H in un altro contesto. Anche se, intimamente, lo pensiamo. O,
almeno, lo pensavamo. E, al contempo, costringiamo noi stessi a valutare un
dato: anche in una situazione di altissimo equilibrio come questa, la fragilità
conclamata delle formazioni migliori (Matera, Marcianise, Taranto, Francavilla,
Monopoli) comincia ad insospettire. Soprattutto, se i risultati si abbinano ad
un calcio fondamentalmente privo di sostanza. E, talvolta, di robustezza.
Analizziamo brevemente il caso del Matera: furbo quando deve prendersi i punti
di Grottaglie, o corposo quando si ritrova a respingere il Monopoli in
inferiorità numerica (è accaduto domenica). Ma vulnerabile, a dispetto di certe
statistiche che dobbiamo pur rispettare, e assai poco brillante (e la
brillantezza, a fine torneo, conta sempre). Prendiamo, allora, il Marcianise:
sicuramente la formazione più continua e, da un certo punto di vista, più
affidabile del lotto. Eppure, sostanzialmente incapace di gestire mentalmente
il momento più delicato, in cui il campionato chiedeva freddezza e sacrificio.
Quindi, il Francavilla: pratico, organizzato e assistito dai benefici di una
pressione limitata. Ma puntualmente assente, appena è necessario fare e dare
qualcosa di più. Del Monopoli, poi, si è già detto diffusamente: troppo
distante da se stesso, appena si muove dal Veneziani.
Per passare, infine, al Taranto. Che, nell’ancora recente derby di Grottaglie,
si ritagliò una vittoria ingiusta. E che, proprio per questo, non offrì troppe
garanzie in prospettiva. Da quel giorno, ha incrociato il Gladiator (successo
allo Iacovone, non senza qualche difficoltà) e la Gelbison (caduta
ingloriosa a Vallo). Mostrando, peraltro, poche idee e tutte strettamente
dipendenti dalle risorse tecniche di Ciarcià e Mignogna: entrambi impalpabili,
nell’ultima uscita. Ecco, il punto è
questo: nessuna delle quattro migliori del campionato vince con facilità.
Nessuna convince per due gare di fila. Nessuna è riparata da una manovra
avvolgente e limpida. Ma nessuna, soprattutto, è quel blocco pragmatico che
serve a bypassare quel calo
qualitativo che appare persino fisiologico. Il girone che si consuma tra Puglia
e Campania è il più duro della D. Ed è il più dispendioso, il più avvincente.
Ma siamo ancora così sicuri che l’appiattimento dei valori guardi ancora verso
l’alto? La domanda sarà, probabilmente, maliziosa. Ma il dibattito è
ufficialmente aperto.