mercoledì 27 agosto 2008

Ma la C2 del Noicattaro non affascina

Le categorie inferiori, molto spesso, attraggono la gente più del professionismo. Strano, ma vero. Le prove esistono, da tempo. Anche a Noicattaro: dove il seguito popolare numeroso ed entusiasta dei tempi dell'Eccellenza e della serie D si è liquefatto in C2. Sollevando la sorpresa e il rammarico della prima firma del club, Tatò. Che ha scritto due righe accorate e preoccupate. Il raffreddamento tra squadra e la passione è materia dell'anno scorso. E il problema, puntualmente, si è rinnovato agli albori di questa stagione. La Coppa Italia, ad esempio, ha richiamato pochissimi presenti, sulle gradinate. Malgrado la quarta serie rimanga, per la città, un lusso autentico e un patrimonio da salvaguardare: dietro la scrivania, sul campo e sugli spalti. Il momento storico del Paese e, soprattutto, la raccolta dell'uva - alla quale l'economia locale non può sottrarsi - spiegano qualcosa: ma queste sono motivazioni che non reggono sino in fondo. Sullo sfondo, invece, trasuda un'altra realtà: l'abitudine ad imporsi tra i dilettanti si è trasformata tra i professionisti in cultura della sopravvivenza. Esattamente quello che la gente professa ogni giorno. Ma che, nello strano mondo del calcio, non è gradita. Finendo con il travolgere anche un concetto antico, quello dell'orgoglio dell'appartenenza, che poi è il motore del tifo, più o meno organizzato. Se vinci, vali. Se partecipi soltanto, no. Il senso è questo. Ed è questo che non capiamo. E che, adesso, non capisce neppure Tatò. Uno che ci mette la faccia e il portafogli: finchè non si stanca.