Brindisi-Taranto,
all’improvviso, diventa un derby di alto valore. Per i due tecnici,
essenzialmente. Ciullo, il caudillo
adriatico, si ritrova a sgomitare tra le prime critiche mirate: la squadra,
sicuramente più carrozzata di quella della scorsa stagione, non duplica più
molte giocate di allora e non sviluppa quel calcio largo e tagliente dei suoi
giorni migliori. La manovra si è un tantino involuta e sembra difettare anche la
personalità necessaria per inseguire il risultato. E Maiuri, coach che lavora
in riva ai due Mari, è già un osservato speciale: la formazione probabilmente
più titolata del campionato, sùbito dopo il Matera, si apre troppo spesso sotto
il peso delle insidie degli avversari di turno e sembra soffrire la scarsa
predisposizione della mediana ad assicurare un filtro rassicurante. Tanto che i
risultati non arrivano (l’ultima prestazione è coincisa con la caduta casalinga
di fronte alla Turris e, prima ancora, soltanto un finale di gara grintoso
aveva garantito il pareggio a Bisceglie). Lo scontro incrociato, così, si tinge
di apprensioni. Che il Brindisi supera con la volontà e con la determinazione
che occultano certe distonie (troppi lanci lunghi, fraseggio continuo, ma
talvolta affaticato), mentre il Taranto – confuso, contratto, impaurito,
scollegato, abbastanza fermo – affonda. Vince (due a zero) la squadra più
meritevole, cioè quella meno sgranata, quella più coraggiosa. Quella che tiene
più palla, che copre meglio il campo. E che cerca il successo, sin dall’avvio.
Legittimandolo prima dell’intervallo, quando costruisce il meglio, prima di
raddoppiare (Gambino è sempre più leader
della classifica riservata agli artiglieri del torneo). Perde il collettivo che
approccia il match con troppe riserve mentali e con un impianto che assicura più
protezione alle retrovie (due mediani davanti a Miale e Pulci centrali di
difesa, dal momento che Prosperi torna sull’out
sinistro), ma non la creatività. Ma, se nella zona nevralgica Menicozzo
battaglia, il coloured Muwana osserva
e basta. Servirebbe, perciò, che uno tra le due punte Clemente e Balistreri e
il fantasista Mignogna galleggi tra le linee, per catalizzare palle e gioco: e,
invece, niente. Senza ritmi e senza idee, cioè, non si va da nessuna parte.
L’acciaccato Carloto, uno abituato a pensare, entra a gara ormai compromessa,
quindi troppo tardi. Il Brindisi, più vivo e più in partita, rischia in un paio
di occasioni, ma gestisce il doppio vantaggio senza troppe fibrillazioni.
Autoalimentandosi, probabilmente, con i correttivi tattici adottati da Ciullo (il
vecchio 4-4-2 si trasforma in 4-3-3 e, se non altro, Pellecchia se ne
avvantaggia). Resistono, tuttavia, alcune sensazioni: gli adriatici, seppur in crescita, non
sembrano ancora pronti per affrontare le insidie di un campionato proiettato
verso le primissime proiezioni (necessita una manovra più lineare, più pulita).
E questo Taranto, partito per vincere, oltre alla tranquilla permanenza – oggi –
non può ambire.