Foggia smaltisce lentamente l’euforia. La sua legittima euforia: la serie
C, la nuova serie C, è oggettivamente un approdo fondamentale. Innanzi tutto,
per certe premesse di neanche due anni fa (fallimento e inserimento tra i
Dilettanti). Ma anche per aver dignificato come merita la progettualità
ambiziosa eppure composta del gruppo di comando del club: sempre realista, ma
mai disattento agli input della
realtà. Cioè, puntualmente presente. E quasi sempre sotto traccia. Oppure, il
lavoro concreto e lungimirante di Padalino e Di Bari: abili nell’assemblare
esperienza e rampantismo dello scacchiere (tutti ci provano, a qualsiasi
latitudine, in ogni categoria: pochi riescono, se facciamo due conti). E poi
sì, è chiaro: la serie C, oggi come oggi, non può non coinvolgere una piazza
come quella di Foggia. Forse, anche perché stiamo tornando a riassaporare
quelle atmosfere della terza serie di un tempo. Dovrebbe essere, quello che sta
nascendo, un campionato rivalutato dalla rivisitazione del Palazzo. Più che dal
punto di vista tecnico, da quello dello spessore mediatico. Un torneo con un
peso specifico maggiore, diciamo così. E dove il blasone della concorrenza non
mancherà. Anzi. Dopo l’euforia, però, viene anche il momento di riunire i
concetti di base e di razionalizzare le idee. La società dauna, e di questo va
dato atto, non ha sciupato troppe settimane. Riallacciando immediatamente il
filo del discorso interrotto dalla festa. E ripartendo il piano della scalata
alla B nelle prossime tre stagioni. Dalla prima riunione programmatica postpromozione, vengono fuori alcuni
numeri: è previsto lo stanziamento di un milione e ottocentomila euro per la
stagione che verrà. Due milioni e mezzo per quella successiva. E, come prevede
la strategia dell’investimento crescente, il Foggia conta di destinare tre
milioni e duecentomila euro per il 2016/2017. Tra parentesi, non pochi, oggi
come oggi. Il disegno, ovviamente, potrà tenere di conto di alcune variabili,
come lo sfruttamento delle risorse del settore giovanile (che andrà, però,
rafforzato) e, soprattutto, dell’accostamento di altri imprenditori interessati
a fare calcio in Capitanata (una volta latitavano: e adesso?). Ma le buone
intenzioni sembrano, almeno, garantite. Sin da ora. Aggiungiamo, anzi, che le
programmazioni migliori sono quelle che si pianificano presto e si sviluppano
in prospettiva. Tre anni sono un arco di tempo appropriato e una previsione
responsabile, seria. Di più: piace soprattutto quella chiarezza di fondo nelle
cifre. Che spiega, da sùbito, la soglia di risorse entro la quale occorre
operare. E oltre la quale non si può navigare. Affinché tutti sappiano, con
adeguato anticipo, qual è il raggio d’azione del club. E per tracciare - alla
città e alla tifoseria - il giusto binario di percorrenza. Giusto per non
generare, in un domani più o meno prossimo, inutili illusioni.