martedì 13 dicembre 2011

Taranto, apoteosi dopo mezzanotte

Stringere i denti. Lo chiedeva il campionato. Lo chiedeva al Taranto, smarrito sulla rotta verso il consenso. Lo chiedeva ad una squadra non tanto sfiancata dalla rincorsa alla capolista Ternana, quanto da un sintomo oscuro: la sensazione di non poter disporre più di meccanismi limpidi, del controllo assoluto di se stessa, della propria facilità di espressione. Nei momenti belli e, soprattutto, in quelli più ruvidi. E particolarmente ruvido (e ostico) sembrava il momento. Sporcato da prestazioni meno convincenti (l'ultima, contro il Foligno, la settimana scorsa), da qualche dubbio tecnico affiorato sul cammino (uno per tutti, l'impressione netta di dover cominciare a pagare dazio per la mancanza, in organico, di una prima punta con una dote di gol garantita) e da quell'involuzione societaria mai messa in preventivo, negli ultimi due anni. Tradotta nei due punti di penalizzazione che si assommeranno presto a quello già sofferto e nella confusione nata a ridosso dei silenzi del club, che non aiutano a gestire il presente, rabbuiando la mente di chi gioca e l'ambizione di chi tifa. Silenzi buoni a depistare, certo, ma non ad assicurare la gente o a catturare la comprensione popolare. Che, in casi come questi, è persino urgente invocare. Stringere i denti e sgomitare. Lo chiedeva la trasferta, giustamente temuta, di Reggio Emilia. Che, dopo il novantesimo, si trasforma invece in una festa. Quasi in un'apoteosi. Uno a zero, risolve Girardi, ultimamente uno dei più criticati, uno dei più motivati. Il successo, fiorito a novanta secondi dalla fine dei giochi, diventa l'atto di forza (e di coraggio) di un gruppo che non vuole smettere di sentirsi tale. Malgrado certi rumori e certi timori liberi di ramificarsi sotto i due Mari. Malgrado le ombre che circolano da giorni. E che non sempre possono essere considerate conseguenza di fantasie. La vittoria del Giglio sembra anche il frutto di un rinnovato impegno della formazione di Dionigi: con la piazza e con il programma condiviso. E finisce per intrecciarsi perfettamente alla sconfitta della Ternana, maturata in casa del Foggia (il divario quasi si appiattisce: un punto). Ma è anche una dichiarazione suplettiva di consapevolzza: in ciò che questo stesso collettivo può dare. Il coach, poi, davanti ai microfoni, sùbito dopo la conclusione del match, invita la tifoseria a ringraziare la squadra. Invitandola allo Iacovone, appena la comitiva sarà rientrata a casa, ben oltre la mezzanotte. E la risposta è inimmaginabile. Mille persone, riferisce chi c'è stato. Con bandiere, fumogeni ed entusiasmo. Nonostante il sinistro concetto dettato dal presidente D'Addario ad un magazine locale, in settimana («Saliamo in B e me ne vado»). «Qualcosa, a Taranto, è cambiato», riferiva Dionigi, sempre alla stampa. Forse. Magari. Ma questi, intanto, sono dettagli importanti. Altre volte, la rincorsa allo sfascio avrebbe mietuto vittime numerose. L'intero movimento calcistico jonico, innanzi tutto. Oggi, però, tira un vento migliore: che è già un trofeo da esibire. Ed è per questo che è doveroso provarci, nonostante la crisi, nonostante tutto. Ed è per questo che D'Addario deve farsi capire e farci capire: possibilmente, prima del sedici dicembre, quando dovranno essere coperti tutti gli impegni economici assunti. Quando la città realizzerà se è davvero arrivato il momento, oppure no, di tornare a credere almeno nel pallone.