mercoledì 22 gennaio 2014

Brindisi, malumori al novantaquattresimo. E anche dopo


Il Brindisi riveduto e corretto tra dicembre e gennaio è più robusto, più tonico. E, crediamo, anche più continuo. Nel rendimento. E, di conseguenza, nei risultati. E’ più solido, innanzi tutto, in mezzo al campo: dove Troiano e Pollidori sembrano offrire un tipo di calcio più propedeutico al campionato di quinta serie. Più di Marsili e De Martino, per intenderci: tanto da avvalorare la decisione del club di sostituirli a lavori in corso. Nel frattempo, poi (e il particolare non è affatto di secondaria importanza), Gambino sembra essersi definitivamente riappropriato del passo brillante esibito ad inizio di stagione: tre gol in due match, gli ultimi, confermano. La gara di domenica scorsa, però, semina malumori diffusi. I supporters più critici non gradiscono il pareggio maturato al Fanuzzi, quattro minuti oltre il novantesimo: e, in certi ambienti, si riallarga l’alone di sfiducia o di scoramento. E, di conseguenza, anche coach Ciullo si rinzela un poco: difendendo il gruppo (e provando ad assorbire personalmente tutte le inquietudini della piazza) e, infine, contrattaccando. Non è uno stupido, dice. E avverte il subdolo tentativo di qualcuno (qualche collega, magari) che starebbe per addossare proprio sul Brindisi il peso di molti pronostici di vittoria finale. E, dunque, una discreta dose di pressione. Segno evidente che la situazione comincia decisamente a fibrillare, ovunque. Del resto, questo è il momento in cui tutti cominciano a prepararsi al rush finale. E in cui molti cercano di fortificarsi nell’intimo del proprio profilo mentale: Papagni, nella vicina Taranto, insegna. Sicuramente, comunque, il pareggio (due a due) realizzato di fronte alla Gelbison è deglutito male. Per quella palla che arriva in area dopo essere stata spizzata e che trova due avversari liberi davanti a Novembre, a partita ormai consumata. E per quel fallo inesistente vicino all’out di sinistra che determina il calcio franco da cui nasce quella palla. Gambino non commette alcuna scorrettezza e, giustamente, l’assistente di linea lascia correre. La pensa diversamente, invece, il direttore di gara, che non si fida e lo sbugiarda, sbagliando. Malgrado molti metri di distanza dalla zolla dell’episodio. Lasciandoci pensare: all’utilità, in certi casi, del guardalinee. Nel caso specifico, addirittura sminuito. E all’eccessiva fame di protagonismo del primo giudice. Momenti di calcio, questi, che meriterebbero un’analisi approfondita. Non tanto del designatore, quanto dello psicologo.